Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza  2 maggio 2016, n. 8587

Ritenuto in fatto

Nel corso di una verifica fiscale presso lo Studio legale e tributario associato B. N. furono esaminati, previa acquisizione dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, anche documenti rispetto ai quali era stato opposto il segreto professionale in quanto relativi a corrispondenza con i clienti dello studio medesimo.
L’autorizzazione suddetta fu impugnata dinanzi al Tar della Lombardia che, con sentenza confermata dal C.d.S., declinò la propria giurisdizione.
Queste sezioni unite, investite dell’impugnazione proposta avverso la decisione del C.d.S. dallo Studio e dai professionisti associati al medesimo all’epoca dei fatti contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, il Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della G.d.F. di Milano, il MEF, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e nei confronti del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano, con sentenza n. 11082 del 2010 hanno respinto il ricorso e confermato che non sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nell’ipotesi di impugnazione dell’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 comma 3 d.p.r. n. 633 del 1972, per consentire nel corso di una verifica fiscale l’esame di documenti rispetto ai quali il contribuente abbia eccepito l’esistenza del segreto professionale. Le sezioni unite hanno altresì precisato che la giurisdizione del giudice tributario si estende non solo all’impugnazione del provvedimento impositivo ma anche alla legittimità di tutti gli atti del relativo procedimento, ivi compresa l’autorizzazione in questione, onde gli eventuali vizi della stessa possono essere dedotti nell’ambito dell’impugnazione del provvedimento che conclude l’iter di accertamento, e che, qualora l’attività di accertamento non sfoci in un atto impositivo (ovvero questo non sia oggetto di impugnazione), l’autorizzazione suddetta, in quanto in ipotesi lesiva del diritto del contribuente a non subire verifiche fiscali al di fuori dei casi previsti dalla legge, può essere impugnata dinanzi al giudice ordinario. La C.T.P. di Milano, adita a seguito della sopra richiamata pronuncia delle sezioni unite, ha accolto parzialmente il ricorso annullando il provvedimento di autorizzazione impugnato e respingendo la domanda risarcitoria.
Con la sentenza n. 1267 del 2014 impugnata in questa sede, la sezione n. 44 della C.T.R. della Lombardia, pronunciando sull’appello proposto da Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della G.d.F. di Milano, MEF e Presidenza del Consiglio dei Ministri, rilevato che nella specie il provvedimento conclusivo del procedimento di verifica fiscale a carico dello studio non era stato oggetto di impugnazione e che pertanto difettava l’imprescindibile collegamento tra l’impugnazione del suddetto provvedimento e l’autorizzazione in questione ed escluso che quest’ultima fosse di per sé suscettibile di essere ricompresa tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario alla stregua dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, ha dichiarato l’improponibilità dei ricorsi.
Avverso questa sentenza ricorre lo studio associato nonché, in proprio, i professionisti che ad esso erano associati all’epoca dei fatti. Resistono la Procura della Repubblica di Milano, il Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della G.d.F. di Milano, il MEF, il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Considerato in diritto

Con un unico motivo, deducendo violazione delle norme sulla giurisdizione e del dictum delle Sezioni Unite di cui alla sentenza n. 11082 del 2010; violazione e falsa interpretazione degli artt. 2 e 19 d.lgs. n. 546 del 1992; violazione degli artt. 24, 13 e 117 comma 1 Cost. nonché 6 e 13 CEDU, i ricorrenti sostengono che la decisione impugnata si fonda su di una erronea lettura della sentenza delle sezioni unite, le quali avrebbero statuito – con efficacia vincolante nel presente giudizio – che nella specie l’impugnativa immediata e diretta del provvedimento adottato dal Procuratore della Repubblica di Milano rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice tributario, precisando solo in via incidentale, in un passaggio “completamente frainteso” dai giudici della C.T.R., che la giurisdizione apparterrebbe al giudice ordinario ove venisse lamentata la lesione di un diritto soggettivo derivante da un’attività di verifica fiscale posta in essere al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
I ricorrenti ritengono pertanto che l’autorizzazione di cui si discute debba considerarsi, alla stregua della citata sentenza delle sezioni unite, sempre impugnabile dinanzi al giudice tributario e chiedono che -eventualmente previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale in relazione alla ritenuta illegittimità dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992 nella parte in cui non comprende tra gli atti immediatamente impugnabili dinanzi al giudice tributario anche l’autorizzazione in questione – la sentenza impugnata, in accoglimento del proposto ricorso, venga cassata con rinvio.
La censura è infondata.
Come emerso dalla narrativa che precede, nella controversia in esame queste sezioni unite si sono pronunciate in punto di giurisdizione confermando la decisione del C.d.S. impugnata ai sensi dell’art. 362 c.p.c., e lo hanno fatto con una sentenza ampia e chiara, peraltro nel solco univocamente tracciato dalla precedente giurisprudenza delle medesime sezioni unite in materia (cfr. tra le altre s.u. n. 6315 del 2009).
In particolare le sezioni unite hanno affermato che la giurisdizione del giudice tributario ha carattere pieno ed esclusivo e si estende non solo all’impugnazione del provvedimento impositivo ma anche alla legittimità di tutti gli atti del relativo procedimento, ivi compresa l’autorizzazione di cui si discute, sostanzialmente perché l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità (formale o sostanziale) su di un atto istruttorio prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto “finale” impugnato, con la conseguenza che gli eventuali vizi di atti istruttori prodromici possono essere fatti valere dinanzi al giudice tributario soltanto in caso di impugnazione del provvedimento che conclude l’iter di accertamento.
Qualora, invece, l’attività di accertamento non sfoci in un atto impositivo (ovvero, è da ritenersi, tale atto, come nella specie, non sia fatto oggetto di impugnazione), secondo le sezioni unite l’autorizzazione in questione, siccome in ipotesi lesiva del diritto soggettivo del contribuente a non subire verifiche fiscali al di fuori dei casi previsti dalla legge, è autonomamente impugnabile dinanzi al giudice ordinario.
Infine le sezioni unite hanno precisato che il problema della riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 è questione che non attiene alla giurisdizione del giudice adito bensì alla proponibilità della domanda dinanzi a quel giudice.
Come chiaramente risulta da quanto sopra esposto la decisione delle sezioni unite sulla questione di giurisdizione – vincolante nel presente giudizio – non si presta a fraintendimenti di sorta in quanto esplicita ed esaustiva, senza che, attraverso l’impugnazione della sentenza della C.T.R. e la deduzione di un fraintendimento, da parte di quest’ultimo giudice, della portata della citata decisione delle sezioni unite, sia possibile “veicolare” in questa sede una inammissibile censura avverso la suddetta decisione al fine di sollecitare una nuova e diversa statuizione sul punto.
I giudici della C.T.R. della Lombardia, invero, in piena consonanza con quanto chiaramente espresso nella più volte richiamata statuizione delle sezioni unite, non hanno declinato la giurisdizione loro attribuita ma l’hanno esercitata dichiarando l’improponibilità dei ricorsi.
In particolare i suddetti giudici hanno affermato l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario di tutti gli atti del procedimento di imposizione tributaria unitamente all’atto che tale procedimento conclude; hanno precisato che tale estensione al controllo della regolarità di tutte le fasi del procedimento di imposizione fiscale unitamente all’atto conclusivo comporta, a contrario, l’applicabilità agli atti fiscali “istruttori” del principio della non autonoma ed immediata impugnabilità proprio in quanto aventi carattere infraprocedimentale; hanno conseguentemente escluso nella specie la proponibilità dei ricorsi avverso l’autorizzazione in questione, non essendo stato impugnato l’atto tributario conclusivo del procedimento di verifica nel quale è intervenuta l’autorizzazione suddetta.
I giudici della C.T.R. hanno inoltre più in generale escluso che, in mancanza dell’imprescindibile correlazione con l’atto conclusivo del procedimento di accertamento, possa comunque giungersi a ricondurre l’autorizzazione in questione nell’ambito degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario alla stregua dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, anche estensivamente interpretato.
L’affermazione è corretta, posto che l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 citato, pur suscettibile di interpretazione estensiva – in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento dell’amministrazione (artt. 24, 53 e 97 Cost.) nonché in considerazione delle modifiche introdotte dalla legge n. 448 del 2001- si riferisce, in ogni caso, sempre ad atti dell’Amministrazione finanziaria che, pur non rivestendo l’aspetto formale proprio di uno di quelli dichiarati espressamente impugnabili, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, suscitandone l’interesse a chiedere il controllo di legittimità in sede giurisdizionale o comunque costituiscano pur sempre, sia pure indirettamente, a differenza dell’atto autorizzatorio di cui si discute, espressione del potere impositivo (v. in tal senso s.u. n. 3773 del 2014 nonché Cass. nn. 21392 del 2012, 16100 del 2011 e 285 del 2010).
È infine appena il caso di precisare che la statuizione di improponibilità del ricorso non crea un vuoto di tutela (né pertanto comporta alcuna violazione della Costituzione e della CEDU), posto che, qualora il procedimento di verifica fiscale non si sia concluso con un provvedimento “tributario” ovvero tale provvedimento non sia stato impugnato dal contribuente, in relazione all’atto “procedimentale” è comunque assicurata la tutela giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario, con la possibilità, ricorrendone i presupposti, di agire anche in via cautelare.
Come affermato anche nella più volte citata sentenza di queste sezioni unite, infatti, l’eventuale illegittimità del provvedimento adottato dal Procuratore della Repubblica non lede un semplice interesse legittimo ma integra (se effettivamente sussistente) sempre la lesione di un diritto soggettivo del contribuente nei cui confronti viene eseguita la verifica, perché solo quel provvedimento rende legittimo l’esercizio dell’azione accertatrice e fa sorgere, a carico del contribuente-professionista sottoposto a verifica, l’obbligo di soggiacere a detta azione anche in ordine ai documenti secretati nonché di fare quanto eventualmente le norme gli impongano per consentire agli inquirenti di svolgere appieno la propria attività. L’ipotizzabile esito negativo per l’Ufficio dell’attività di accertamento compiuta in forza di provvedimento ritenuto illegittimo dal contribuente (con conseguente riscontrata inesistenza delle condizioni per emettere un provvedimento fiscale), oppure l’adozione di un provvedimento impositivo del tutto avulso dall’esame dei documenti secretati, ovvero di un provvedimento impositivo che il contribuente non abbia impugnato porta dunque inevitabilmente la valutazione di quel fatto (ove lesivo di un qualche diverso interesse giuridico del contribuente ispezionato) nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario siccome in ipotesi incidente sul diritto soggettivo del contribuente a non subire, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, verifiche fiscali – con relative compressioni legali dei suoi corrispondenti diritti, anche costituzionalmente garantiti- oltre i casi previsti dalle leggi che attribuiscono e circoscrivono l’esercizio del potere di controllo degli Uffici fiscali.
Il ricorso deve essere pertanto respinto. Considerate le peculiarità della vicenda in esame ed il relativo iter processuale così come risultanti dalla narrativa che precede, si ritiene la sussistenza delle condizioni per disporre l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono i presupposti per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.p.r. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

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