Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 3 maggio 2016, n. 18448
Ritenuto in fatto
1. II difensore di G.P. ha proposto ricorso per Cassazione contro l’ordinanza con la quale il Tribunale di LECCE, in sede di riesame, ha accolto parzialmente il ricorso contro l’ordinanza dei Gip della stessa città e ha sostituito la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione.
1.1 II P. è sottoposto ad indagine per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 416 bis, cod. pen. per aver collaborato, nella sua qualità di assessore al Comune di Parabita, alla realizzazione dei fini della associazione mafiosa di cui alla imputazione cautelare fornendo un contributo significativo costituito dall’interessamento per l’assunzione di alcuni sodali come operatori ecologici e dal versamento di somme di denaro finalizzate a garantirsi il sostegno dei sodalizio mafioso nelle elezioni amministrative dei maggio 2015.
2. II difensore ha dedotto quattro motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 309, comma 5 e 10 del codice di rito; l’ordinanza impugnata, infatti, ha utilizzato una intercettazione ambientale che non era mai stata trasmessa né al Gip che ha emesso la misura né al Tribunale, come dei resto riconosciuto anche dalla stessa ordinanza oggetto del ricorso, con conseguente inefficacia della misura cautelare ex art. 309, comma 5 e 10 cod. proc. pen..
2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. in tema di gravi indizi di colpevolezza; le dichiarazioni di accusa di M.D., infatti, erano smentite da acquisizioni documentali e prive in ogni caso di elementi di riscontro, sia generali che individualizzanti mentre le intercettazioni tra presenti all’interno della autovettura di O.M. non erano riferibili con certezza al ricorrente che in ogni caso non vi aveva partecipato, erano fortemente sospette di non veridicità, erano state fraintese, nel loro effettivo significato, dal Tribunale, specie sul punto dei contributi economici elargiti dall’imputato ed erano state interpretate al di fuori dei contesto specifico in cui le relative frasi erano state pronunciate; quanto poi all’interessamento dei P. per l’assunzione di alcuni sodali o di loro congiunti come operatori ecologici, il ricorrente ha specificato che il servizio di nettezza urbana dei Comune di Parabita era gestito dalla Provincia di LECCE e che quindi il P. non aveva alcun potere di interferire nella relativa gestione.
2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 416 bis cod. pen. specificamente sul punto dei concorso esterno in associazione mafiosa; il ricorrente ha contestato che nel territorio dei Comune di Parabita fosse presente un clan mafioso per conto del quale il P. avrebbe esercitato la sua funzione politica dato che M.G., indicato come responsabile del sodalizio mafioso, era stato poi assolto dal Gip di LECCE e Orazio e F. M. erano soggetti incensurati fino alla emissione della misura cautelare in questione, così che in effetti il P. era dei tutto all’oscuro dei fatto che tali soggetti fossero mafiosi e si era trovato tutt’al più in una situazione di mera vicinanza ed amicizia personale con il solo F. M., come tale dei tutto inidonea a realizzare la fattispecie materiale e psicologica dei concorso esterno in associazione mafiosa.
2.4 Con il quarto motivo, infine, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 274 cod. proc. pen.; il Tribunale non aveva sufficientemente considerato che il P. si era dimesso da ogni incarico amministrativo ricoperto, era totalmente incensurato ed esente da altri procedimenti penali in corso, così che difettava la dimostrazione non solo della concretezza del pericolo cautelare individuato dal Tribunale ma anche la sua attualità.
Considerato in diritto
1. II ricorso è infondato e va rigettato, con condanna dei ricorrente alle spese processuali.
1.1 II primo motivo di ricorso è palesemente infondato; l’intercettazione ambientale cui fa riferimento il ricorrente, quella tra D. M. e il fratello F. dei 2 aprile 2015 presso la casa circondariale di SULMONA è in realtà presente in atti (e non potrebbe essere altrimenti, dato che il Tribunale ne ha riportato per esteso il contenuto trattando della posizione di D. M. a ff. 19 e segg. della motivazione) sotto forma di stralci della stessa riportati nella informativa conclusiva redatta dal ROS dei carabinieri di Lecce il 13 maggio 2015.
In realtà, il ricorrente lamenta che il testo della conversazione in esame non sia stato trasmesso al Gip e poi al Tribunale nella sua integralità ma a tale osservazione non possono che essere opposte le considerazioni svolte dal Tribunale di Lecce che ha rigettato l’eccezione richiamando, per un verso, la copiosa giurisprudenza di legittimità secondo la quale non sussiste a carico dei pubblico ministero l’onere di trasmettere, prima al giudice per le indagini preliminari e poi al tribunale in sede di riesame, tutti gli atti di indagine nella loro integralità, in quanto l’organo dell’accusa è legittimato a selezionare il materiale indiziario da sottoporre al vaglio del giudice, mentre l’obbligo di una trasmissione integrale e completa sussiste solo per gli elementi a favore dell’imputato (da ultimo, Cass. sez. 1 del 25/11/2009 n. 47353, Rv 245636 che conferma Cass. sez. 2 del 6/2/2008 n. 12080, Rv 239739, oltre a quelle indicate nella motivazione del Tribunale), per l’altro, l’attrettanto univoca affermazione che il termine “elementi” contenuto nel testo dell’art. 291, comma 1 cod. proc. pen. richiamato dall’art. 309, comma 5 cod. proc. pen. comprende non solo atti integrali ma anche stralci di essi, il che non impedisce il contraddittorio, che comunque si sviluppa sulla valutazione della entità e rilevanza degli elementi appunto concretamente presentati e concretamente valutati dal Gip (si veda sul punto Cass. sez. 2 del 8/2/2012 n. 6367, Rv 26266 che riafferma un principio di identico contenuto affermato precedentemente da Cass. sez. 2 del 7/6/2007 n. 26266, Rv 237266 e altre); nessuna compressione, quindi, né delle attività di controllo da parte del Gip, che valuta evidentemente solo quegli elementi che sono stati effettivamente sottoposti al suo esame, né delle prerogative della difesa che è ammessa, come si è detto, ad un contraddittorio pieno ed integrale sugli stessi elementi sui quali si è precedentemente soffermata la valutazione del Giudice per le indagini preliminari.
1.2 Il secondo motivo di ricorso è infondato; le censure difensive svolte nella prima parte dello specifico motivo in trattazione, infatti, non colgono nel segno quando criticano il giudizio di attendibilità dato dal Tribunale in lunghe pagine della motivazione alle dichiarazioni di M.D. che, secondo il ricorrente, avrebbero trovato positiva smentita, dal momento che è lo stesso Tribunale a riconoscere che le stesse difettavano dei necessari riscontri individualizzanti; al contrario, il fondamento della gravità indiziaria ritenuta sussistente per il P. si fonda su di una copiosa serie di intercettazioni ambientali riportate al punto 17 della motivazione dell’ordinanza (ff. 51-63) in ordine alle quali il ricorrente ha richiamato all’osservanza di necessari e rigorosi criteri di apprezzamento dal momento che il P. non aveva mai partecipato alle conversazioni in questione non comparendo tra i soggetti intercettati.
La motivazione del provvedimento impugnato, in realtà, ha fatto corretta applicazione di detti criteri, opportunamente ricordati dal ricorrente con il richiamo al contenuto di alcune decisioni della Corte di Cassazione che, pur non richiedendo un riscontro esterno al contenuto delle conversazioni in cui non compare il terzo estraneo evocato, sollecita comunque ad una valutazione particolarmente attenta ed approfondita.
Infatti il Tribunale, in primo luogo, ha motivatamente escluso che il terzo evocato nelle conversazioni fosse altra persona omonima solo nel cognome al P., indicando la conversazione ambientale n. 7566 del 4/4/2015 e deducendo con procedimento logico immune da vizi che proprio di G.P. si stesse parlando; per quanto riguarda poi il merito delle conversazioni e il loro significato, va rilevato che la motivazione dell’ordinanza impugnata attribuisce alle stesse il senso che è immediatamente desumibile dal contenuto testuale delle frasi pronunciate e dalla correlazione temporale e in successione delle conversazioni stesse con un procedimento ermeneutico che non sembra tacciabile di critica e che sfocia coerentemente nel riconoscimento della esistenza di rapporti stretti e continui con il gruppo criminale oggetto della imputazione preliminare con la piena disponibilità del P., come ha osservato l’ordinanza impugnata, ad assicurare, grazie alla sua funzione, posti di lavoro pubblici e modifiche migliorative di contratti già in corso, oltre a contribuzioni economiche in favore della associazione stessa.
Il ricorrente, con argomentazioni sostanzialmente tutte di merito, tutte già proposte davanti al Tribunale e tutte, nei limiti di rilevanza tipici della fase processuale nella quale l’ordinanza impugnata è stata pronunciata, convincentemente confutate, ha proposto, pur non nascondendo talora dubbi e perplessità enunciati nel corpo stesso del ricorso, una complessiva reinterpretazione della totalità delle conversazioni intercettate orientata verso il riconoscimento di rapporti di natura amicale e personale tra il P. e i membri del gruppo criminale oggetto delle indagini e più complessivamente della irrilevanza indiziaria dei contatti e delle circostanze che emergevano dalle conversazioni intercettate ma è giocoforza riconoscere, in questa specifica sede in cui si tratta di accertare se vi siano i necessari, gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273, comma 1 cod. proc. pen., che le osservazioni difensive, pur astrattamente suscettibili di possibili, eventuali sviluppi positivi in sede di accertamento pieno della responsabilità del P., non sono attualmente tali da vanificare quella “qualificata probabilità di colpevolezza” che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, costituisce l’essenza della nozione di gravità indiziaria sopra richiamata (si veda da ultimo, a conclusione di un percorso giurisprudenziale sostanzialmente uniforme, Cass. sez. 2 del 10/1/2003 n. 18103).
1.3 Anche il terzo motivo di ricorso è infondato; esso si articola in una sorta di tre “sottomotivi” rappresentati dalla contestazione della esistenza nel territorio di Parabita, di una associazione mafiosa con le caratteristiche indicate nel relativo capo della imputazione cautelare, della inesistenza di condotte propriamente qualificabili come di concorso esterno nella associazione criminale questione e infine nella assenza dell’ elemento soggettivo derivante dalla affermata non conoscenza, da parte del P., della esistenza di detta associazione e dei singoli membri che ne facevano parte.
Premesso che si tratta in tutti i casi di valutazioni di mero fatto che hanno già costituito oggetto di confutazione nella motivazione dell’ordinanza impugnata, si osserverà comunque, quanto alla prima prospettazione, che la motivazione dell’ordinanza si dilunga da pag. 13 a pag. 51 per dimostrare l’esistenza, nel territorio in questione, di una associazione mafiosa che costituiva parte della più ampia associazione criminale “sacra corona unita”, descrivendone con cura la struttura, i componenti e le attività e che il ricorso, sul punto specifico in trattazione, è del tutto generico e immotivato dato che non si sofferma a confutare specificamente le argomentazioni e le conclusioni prese dal Tribunale.
Quanto alla seconda prospettazione, la motivazione dell’ordinanza del Tribunale di LECCE ha dettagliatamente descritto quali siano state le condotte causalmente rilevanti per l’esistenza della associazione e per il raggiungimento dei suoi fini indicandole più e più volte nel corpo della argomentazione come quelle costituite dal sostentamento degli affiliati della associazione criminale, dal contributo alla sistemazione lavorativa di alcuni dei suoi membri e, più in generale, dal rafforzamento del prestigio e della capacità intimidatoria del gruppo criminale derivante, come osservato dal Tribunale, dalla evidente e palese messa a disposizione del ruolo della funzione pubblica rivestita dal P.; dei resto, il ricorrente non ha contestato specificamente, nel suo motivo, che gli indici di sussistenza del concorso esterno quali individuati ed elencati dal Tribunale non fossero realmente tali ma si è limitato, con prospettazioni quindi generiche e sostanzialmente immotivate, a riproporre la tesi di una mera situazione di vicinanza e di amicizia con un solo membro del gruppo che, per le ragioni già più volte ricordate, non possono certo trovare ingresso in questa specifica sede.
Ad identiche conclusioni si deve giungere, infine, sul punto della affermata non conoscenza della esistenza, nel territorio di PARABITA, di una associazione criminale con i caratteri di cui all’art. 416 bis. Cod. pen.; il Tribunale ha convincentemente e dettagliatamente motivato circa l’infondatezza di tale prospettazione richiamando in generale l’osservazione che ben difficilmente una persona impegnata da gran tempo nella politica locale poteva ignorare che nel Comune di PARABITA operava da anni una associazione il cui elemento di spicco, M. A. G., con il quale il P. risulta aver dialogato e trattato, era stato arrestato nel 2014 per il reato di associazione di tipo mafioso; il ricorrente, anche su questo punto, si è limitato a considerazioni di mero fatto osservando che il G. era stato poi assolto ma tale elemento, evidentemente, non fornisce alcuna valenza a discolpa dato che comunque egli era stato oggetto di un provvedimento giudiziale che lo stigmatizzava, in ambito locale, come appartenente ad una associazione mafiosa.
1.4 Anche il motivo relativo alle esigenze cautelari è infondato; il Tribunale ha correttamente osservato che le condotte del P. si erano protratte fino al maggio 2015, in epoca quindi assai recente, che la composizione del sodalizio criminale era soggettivamente più vasta di quella oggetto di indagine e che anche altri amministratori pubblici erano in qualche modo vicini al gruppo in questione, così che andava necessariamente ridimensionato il significato delle dimissioni da ogni carica pubblica del P. e delle altre circostanze indicate dallo stesso Tribunale per sostituire con gli arresti domiciliari la misura cautelare della custodia in carcere originariamente disposta.
Le considerazioni svolte nella motivazione dell’ordinanza impugnata sono dotate dei necessari caratteri di specificità e di non astrattezza e sono tali da evidenziare la sussistenza di esigenze cautelari ex art. 274 lett. c) cod. proc. pen. che possono definirsi concrete ed attuali, indicate dal Tribunale, quanto al primo aspetto, nel ruolo pubblico già svolto dal P., nella rete di rapporti intessuti in tale funzione e nella conseguente possibilità, tutt’altro che ipotetica, che lo stesso possa continuare a favorire i soggetti ancora non individuati del sodalizio criminale in esame grazie anche ai contatti con amministratori ancora in carica e indicati come vicini alla associazione mafiosa; quanto al profilo della attualità, infine, non resta che richiamare l’osservazione del Tribunale secondo la quale le condotte del P. si sono protratte almeno fino al maggio 2015, in epoca quindi assai prossima alla attuale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Leave a Reply