Non può essere rilevata d’ufficio l’inammissibilità di una prova testimoniale di un contratto

Corte di Cassazione, sezioni unite, Sentenza 5 agosto 2020, n. 16723.

La massima estrapolata:

Non può essere rilevata d’ufficio l’inammissibilità di una prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto ai sensi dell’art. 2725 c.c. poiché attiene alla tutela processuale. Pertanto, l’inammissibilità deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio. Trattandosi di scrittura richiesta dalla legge ad probationem e non ad substantiam, la relativa carenza non poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice, senza che le parti avessero eccepito alcunché al riguardo né al momento dell’ammissione, ne’ al momento dell’espletamento, ne’ dopo l’assunzione della prova per testi, né con l’atto di appello. Nel caso in cui la prova sia stata ugualmente assunta nonostante l’eccezione d’inammissibilità, spetta alla parte interessata opporne la nullità secondo quanto disposto dall’art. 157 c.p.c., comma 2. In caso contrario, la stessa rimane ritualmente acquisita e non può più essere fatta valere in sede di impugnazione.

Sentenza 5 agosto 2020, n. 16723

Data udienza 7 luglio 2020

Tag/parola chiave: PROVA CIVILE – PROVA – TESTIMONIALE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f.

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez.

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez.

Dott. TRIA Lucia – Presidente di Sez.

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 4195-2015 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 39/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 19/01/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso e l’assorbimento dei restanti motivi;
uditi gli Avvocati (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

La s.r.l. (OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 39/2015 della Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, pubblicata il 19 gennaio 2015.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
(OMISSIS), con ricorso monitorio del 13 luglio 2007, domando’ al Tribunale di Taranto di ingiungere alla s.r.l. (OMISSIS) il pagamento della somma di Euro 46.912,23, a titolo di corrispettivo della vendita di uva, documentata da fattura commerciale n. 07 dell’8 ottobre 2007. L’opponente s.r.l. (OMISSIS) dedusse pero’ che il contratto di vendita dell’uva dell’agosto 2006, per il quale era stato versato un acconto di Euro 20.000,00, era poi stato risolto consensualmente, riducendosi il prezzo ad Euro 29,00 per quintale, per un complessivo prezzo di Euro 80.000,00 (come da fattura n. (OMISSIS)), a causa della cattiva qualita’ della merce e per evitare un contenzioso. Avendo l’acquirente corrisposto la residua somma di Euro 60.000,00, la stessa assumeva che il credito intimato col decreto ingiuntivo non avesse alcuna fondatezza. L’opposto (OMISSIS) replico’ che si trattava di distinte forniture, una “a quintale”, di cui alla fattura n. (OMISSIS), ed una “in blocco”, di cui alla fattura n. (OMISSIS). Espletata prova testimoniale, il Tribunale di Taranto ritenne mancante la prova del credito azionato ed accolse l’opposizione a decreto ingiuntivo.
Proposto appello da (OMISSIS), la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 19 gennaio 2015, accolse il gravame, cosi’ respingendo l’opposizione a decreto ingiuntivo formulata dalla s.r.l. (OMISSIS). Ad avviso dei giudici di secondo grado, l’allegata risoluzione del primo contratto di vendita intercorso fra le parti, dovuta alla cattiva qualita’ del prodotto, con rideterminazione del prezzo in complessivi Euro 80.000.00 (previa riduzione del prezzo a quintale in Euro 29,00), integrando una transazione, avrebbe dovuto essere provata per iscritto, ai sensi dell’articolo 1967 c.c. La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha reputato a tal fine irrilevante la deposizione del teste (OMISSIS), ed ha evidenziato come la societa’ acquirente non avesse specificamente controdedotto circa l’avvenuta conclusione, allegata da (OMISSIS), di due distinte vendite, una “in blocco”, di cui alla fattura n. (OMISSIS) per Euro 80.000,00, ed altra “a peso”, di cui alla fattura n. (OMISSIS) per Euro 46.000,00, posta quest’ultima a fondamento della domanda monitoria. L’esistenza di un secondo contratto di vendita d’uva “a peso”, secondo la sentenza impugnata, sarebbe dimostrata dalla documentazione inerente ai prelievi di prodotto tra il 13 ed il 21 agosto 2006 al prezzo di Euro 0,38 per Kg, nonche’ dalla stessa testimonianza di (OMISSIS).
La trattazione del ricorso veniva dapprima fissata per il 31 gennaio 2019 in camera di consiglio, a norma dell’articolo 375 c.p.c., comma 2, e articolo 380 bis.1 c.p.c., quindi nell’udienza pubblica del 6 maggio 2019, all’esito della quale la Seconda Sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 30244/2019 del 20 dicembre 2019, ha disposto la trasmissione al Primo Presidente per la rimessione delle decisione alle Sezioni Unite, ravvisando difformita’ delle pronunce nelle sezioni semplici sulla questione di diritto da esaminare, e comunque la particolare importanza della stessa questione di massima.
Il Primo Presidente ha cosi’ disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. E’ stata altresi’ acquisita la relazione predisposta dell’Ufficio del massimario.
Venne rinviata l’udienza pubblica inizialmente fissata per il giorno 24 marzo 2020.
Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale, la procura speciale conferita dalla s.r.l. (OMISSIS) all’avvocato (OMISSIS) per atto Notaio (OMISSIS) del 10 marzo 2020 supera l’eccezione di irritualita’ della nomina del nuovo difensore della ricorrente sollevata dal controricorrente, in rapporto all’articolo 83 c.p.c., comma 3, nella formulazione applicabile per i giudizi instaurati prima della novella di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69.
I.II primo motivo del ricorso della s.r.l. (OMISSIS) denuncia la violazione dell’articolo 111 Cost., dell’articolo 1967 c.c. e degli articoli 157 e 345 c.p.c., quanto alla validita’ ed alla utilizzabilita’ delle prove. Si assume che la Corte d’appello abbia arbitrariamente dichiarato la nullita’ o la inutilizzabilita’ della prova testimoniale ammessa ed espletata in primo grado per la pretesa inosservanza dell’articolo 1967 c.c., reputando che fosse intervenuta tra le parti una transazione da provarsi per iscritto e non mediante testimoni. Trattandosi di scrittura richiesta dalla legge ad probationem e non ad substantiam, la relativa carenza, secondo la ricorrente, non poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice, senza che le parti avessero eccepito alcunche’ al riguardo ne’ al momento dell’ammissione, ne’ al momento dell’espletamento, ne’ dopo l’assunzione della prova per testi, ne’ con l’atto di appello. Essendo avvenuto verbalmente il contratto di compravendita, avrebbe potuto svolgersi in tale forma anche la risoluzione consensuale dello stesso (qualificazione piu’ corretta, secondo la ricorrente, che non ravvisa proprio l’esistenza di una transazione).
Il secondo motivo del ricorso della s.r.l. (OMISSIS) deduce in rubrica l’omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma il contenuto della censura allega, in realta’, la contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata, la quale avrebbe dapprima definito irrilevante la deposizione testimoniale del mediatore (OMISSIS), giacche’ non ammessa in forza dell’articolo 1967 c.c., e poi avrebbe invece tratto dalla medesima deposizione la prova di due distinti contratti di vendita e dei rispettivi elementi costitutivi.
Anche il terzo motivo del ricorso della s.r.l. (OMISSIS) denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non avendo la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, tenuto in nessun conto le dichiarazioni rese dai testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS), che vengono per intero trascritte nel motivo. Di seguito, la ricorrente critica il punto della sentenza impugnata che ha attribuito al teste (OMISSIS) l’affermazione di “valutazioni giuridiche”, sicche’ viene per intero trascritta in ricorso anche la relativa deposizione del teste.
Il quarto motivo di ricorso allega la violazione dell’articolo 2697 c.c. sull’onere della prova, sull’oggetto e sulla rispettiva ripartizione, avendo la Corte d’appello gravato l’opponente compratrice di dare dimostrazione della quantita’ d’uva prelevata all’epoca della transazione, nonche’ della unicita’ del contratto, ovvero del prezzo dei due diversi accordi. Per convalidare l’assunto della carenza probatoria che affliggerebbe, piuttosto, la pretesa di (OMISSIS), vengono trascritte in questo motivo di ricorso le risposte date dai testimoni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
II. Occorre iniziare dall’esame separato del primo motivo di ricorso.
II.1. Va dunque considerato come la s.r.l. (OMISSIS), opponente a decreto ingiuntivo, abbia dedotto che, a fronte di un originario contratto di vendita di massa, avente ad oggetto l’uva prodotta da un fondo di (OMISSIS), con determinazione di un prezzo correlato al peso della merce prelevata, essendo tra le parti insorte contestazioni sulla qualita’ della frutta, in data 29 agosto 2006 si risolse il primo accordo e si determino’ un prezzo globale di Euro 80.000,00 per tutta la merce prelevata. La sentenza impugnata ha apprezzato in fatto che detta seconda convenzione allegata dalla s.r.l. (OMISSIS) dovesse qualificarsi come transazione, avendo essa preso atto dei vizi della merce venduta ed operato una riduzione del corrispettivo per dirimere il contrasto fra le parti, cosi’ modificando la fonte del rapporto giuridico preesistente con effetto novativo, in maniera da determinare l’estinzione del primo accordo e la costituzione di un nuovo programma obbligatorio, diretto a generare autonome situazioni giuridiche, in sostituzione di quelle precedenti.
Non vi e’, dunque, alcuna assoluta incompatibilita’ logica tra la transazione, ravvisata dalla Corte d’appello, e la mera risoluzione consensuale, che prospetta la ricorrente, senza peraltro censurare specificamente la qualificazione negoziale delineata nella sentenza impugnata, fermo restando che la risoluzione per mutuo consenso si esaurisce in un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio preesistente, mentre qui la stessa allegazione difensiva della s.r.l. (OMISSIS) postulava che l’accordo del 29 agosto 2006, raggiunto con l’intervento del mediatore (OMISSIS), avesse altresi’ dato luogo ad un nuovo assetto sostanziale dei diritti e degli obblighi spettanti ai contraenti.
E poi indubbio che l’onere di provare la transazione incombe sulla parte che ne invoca gli effetti estintivi sul debito oggetto del giudizio.
La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha tuttavia affermato che la transazione, dedotta dalla societa’ opponente a decreto ingiuntivo, non poteva ritenersi provata sulla base della testimonianza resa al riguardo da (OMISSIS), necessitando di prova per iscritto in forza dell’articolo 1967 c.c..
11.2. Ora, una diffusa interpretazione premette che la prescrizione dell’articolo 1967 c.c., secondo cui la transazione deve essere provata per iscritto, postula che tutti gli elementi costitutivi del negozio transattivo (quali, in particolare, le reciproche concessioni) debbano risultare dal documento, non essendo possibile ricorrere, neppure a fini integrativi, alla prova per testimoni o per presunzioni (Cass. Sez. 2, 28 aprile 2005, n. 8875; Cass. Sez. 3, 3 marzo 1999, n. 1787; Cass. Sez. 3, 6 gennaio 1983, n. 75; Cass. Sez. 1, 19 luglio 1979, n. 4298). Altre volte si e’, peraltro, affermato che, proprio perche’ nel contratto di transazione la prova scritta e’ richiesta dalla legge soltanto ad probationem (quando non ricorrano gli estremi della forma a pena di nullita’, ai sensi dell’articolo 1350 c.c., n. 12), non osterebbe alla qualificabilita’ di un contratto come transazione il fatto che le reciproche concessioni tra le parti, intese a far cessare la situazione di dubbio in atto, non siano specificamente indicate nel documento, ma emergano dal complesso dell’atto, nonche’ da elementi eventualmente esterni ad esso (Cass. Sez. 3, 8 giugno 2007, n. 13389). E’ stato pure ritenuto che la prova della transazione possa ritrarsi da un documento sottoscritto da una sola parte, ove risulti il consenso solo tacito, purche’ univoco, dall’altra parte (Cass. Sez. 1, 13 luglio 1978, n. 6825; Cass. Sez. L, 16 maggio 1996, n. 4542).
11.3. Cio’ premesso sotto il profilo dell’atto soggetto a forma ad probationem, sotto, invece, il profilo dei correlati limiti della prova per testimoni, come evidenzia l’ordinanza interlocutoria n. 30244/2019 resa dalla Seconda Sezione civile, si registra un cospicuo orientamento giurisprudenziale secondo il quale, mentre in materia di atti e contratti per i quali la forma scritta e’ richiesta ad substantiam, la prova testimoniale dell’esistenza del negozio e’ del tutto inammissibile, salvo che nell’ipotesi di perdita incolpevole del documento, e tale inammissibilita’ puo’ essere dedotta in ogni stato e grado del giudizio ed essere rilevata anche d’ufficio, per quanto riguarda, invece, gli atti e i contratti per i quali la forma scritta e’ richiesta soltanto ad probationem, l’inammissibilita’ della prova testimoniale, non attenendo all’ordine pubblico, ma alla tutela di interessi privati, non puo’ essere rilevata d’ufficio e la correlata nullita’ deve essere tempestivamente eccepita dalla parte interessata, entro il termine dell’articolo 157 c.p.c., comma 2, nella prima istanza o difesa successiva al suo configurarsi, con la conseguenza che la prova ammessa oltre i limiti predetti deve ritenersi altrimenti ritualmente acquisita, in conformita’ alle regole generali in tema di nullita’ di carattere relativo riguardanti l’ammissione e l’espletamento della prova in violazione degli articoli 2721 c.c. e ss. (Cass. Sez. L, 3 giugno 2015, n. 11479; Cass. Sez. 1, 25 giugno 2014, n. 14470; Cass. Sez. 3, 30 marzo 2010, n. 7765; Cass. Sez. 2, 30 maggio 2005, n. 11389; Cass. Sez. 1, 20 febbraio 2004, n. 3392; Cass. Sez. 2, 8 gennaio 2002, n. 144; Cass. Sez. 3, 12 maggio 1999, n. 4690; Cass. Sez. 1, 16 marzo 1996, n. 2213; Cass. Sez. L, 1 ottobre 1991, n. 10206; Cass. Sez. 2, 10 aprile 1990, n. 2988; Cass. Sez. 3, 12 luglio 1979, n. 4047; Cass. Sez. 3, 25 maggio 1979, n. 3053; Cass. Sez. 3, 24 novembre 1969, n. 3814; Cass. Sez. 3, 22 giugno 1968, n. 2095; Cass. Sez. 3, 29 aprile 1965, n. 772). Ove, pertanto, la parte interessata non si sia opposta alla richiesta di ammissione della prova testimoniale relativa ad un contratto da provare per iscritto, sollevando tempestivamente l’eccezione all’atto dell’assunzione secondo le modalita’ di cui all’articolo 157 c.p.c., comma 2, nonche’ riproponendo la questione in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello, la relativa nullita’ dovrebbe intendersi sanata, ed al giudice dell’impugnazione, cui sia sottoposta una doglianza che investa la valutazione dei risultati di tale mezzo di prova, resterebbe preclusa ogni indagine ex officio in punto di ammissibilita’ della prova per testimoni.
11.4. L’ordinanza interlocutoria n. 30244/2019 segnala, tuttavia, l’esistenza nella giurisprudenza di questa Corte di una contrapposta interpretazione, evincibile nella motivazione di Cass. Sez. 3, 14 agosto 2014, n. 17986, in base alla quale, quando, per legge o per volonta’ delle parti, sia prevista per un certo contratto la forma scritta ad probationem, la prova testimoniale che abbia ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l’esistenza del medesimo e’ inammissibile, salvo che non sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento, cosi’ come e’ inammissibile la connessa prova per presunzioni; ne’ siffatta inammissibilita’ della prova testimoniale, derivante dal conflitto con le norme che la vietano, potrebbe dirsi sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata, visto che la sanatoria per acquiescenza riguarda soltanto le decadenze e le nullita’ previste per la prova testimoniale dall’articolo 244 c.p.c. (in tema di modo di deduzione), non anche la prova testimoniale illegittimamente ammessa, di talche’ la relativa eccezione potrebbe essere utilmente formulata anche dopo l’espletamento della prova vietata. Questa interpretazione osserva come la tesi che ravvisa un diverso regime processuale in ordine al rilievo dell’inammissibilita’ della prova testimoniale con riferimento ai contratti per i quali la forma scritta sia richiesta ad probationem ovvero ad substantiam, facendo leva su considerazioni metagiuridiche in ordine alla natura degli interessi coinvolti, non terrebbe conto della unitaria disciplina della prova testimoniale (e di quella connessa per presunzioni) relativa ai contratti per i quali la forma scritta e’ richiesta ad probationem ovvero ad substantiam, siccome dettata, rispettivamente, nell’articolo 2725 c.c., commi 1 e 2 (e nell’articolo 2729 c.c., comma 2), per entrambi derogandosi al divieto di ammissione nella sola ipotesi di perdita incolpevole del documento.
Va peraltro considerato come Cass. Sez. 3, 14 agosto 2014, n. 17986, decidesse, in realta’, con riguardo ad un caso di mancata ammissione, da parte dei giudici del merito, della prova testimoniale di una transazione (e cosi’ anche la richiamata Cass. Sez. L, 9 gennaio 1996, n. 8838).
Viceversa, in Cass. Sez. 2, 8 marzo 1997, n. 2101, si affermo’ proprio che la mancata opposizione della parte interessata all’espletamento di una prova testimoniale erroneamente ammessa, giacche’ volta a dimostrare un contenuto difforme da quello risultante in forma documentale, occorrente ad probationem, non vale a sanare l’inammissibilita’, operando una tale sanatoria unicamente per le nullita’ previste dall’articolo 244 c.p.c. in tema di modalita’ di deduzione della prova ed indicazione delle persone da interrogare (cosi’ gia’ Cass. Sez. 2, 23 agosto 1986, n. 5143).
11.5. E’ comunque evidente come l’articolo 2725 c.c. parifichi, ai fini del divieto di ricorso alla prova per testimoni e della rispettiva eccezione costituita dallo smarrimento incolpevole del documento, i contratti per i quali la forma scritta sia richiesta ad probationem ed i contratti per i quali, invece, essa sia richiesta sotto pena di nullita’.
Non e’, dunque, sotto il profilo della inammissibilita’ della prova testimoniale, vertente sull’esistenza e sul contenuto di un contratto da provare per iscritto, che puo’ ravvisarsi un contrasto interpretativo in giurisprudenza, quanto sotto il diverso profilo del regime di rilevabilita’ dell’eventuale violazione di tale divieto.
11.6. Queste Sezioni Unite ritengono che il ravvisato contrasto debba essere risolto prescegliendo la soluzione indicata nel primo e piu’ diffuso dei richiamati orientamenti giurisprudenziali.
E’ uniforme nelle pronunce di questa Corte l’affermazione secondo cui, giacche’ i limiti di ammissione della prova testimoniale sull’esistenza di un contratto soggetto a forma scritta “ad substantiam” sono dettati da ragioni di ordine pubblico, l’inammissibilita’ della prova assunta oltre quei limiti puo’ essere dedotta in qualsiasi stato e grado del giudizio, va rilevata anche d’ufficio e non e’ sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata, la quale puo’ eccepire il vizio discendente anche per la prima volta con motivo di appello (Cass. Sez. 2, 24 novembre 2015, n. 23934; Cass. Sez. 3, 12 maggio 1999, n. 4690; Cass. Sez. 2, 25/03/1987, n. 2902; Cass. Sez. 3, 25 gennaio 1974, n. 196; Cass. Sez. 1, 26 aprile 1969, n. 1352).
Quando, invero, la forma scritta e’ richiesta per la validita’ di un atto, in forza degli articoli 1350, 1351 e 1352 c.c., come ben si avverte pure in dottrina, la dichiarazione formalizzata, avendo funzione costitutiva, e’ inevitabilmente necessaria “anche” per la prova del negozio, restando di regola il difetto dello scritto, giacche’ causa di nullita’, rilevabile altresi’ d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio secondo i principi enunciati da Cass. Sez. Unite, 12 dicembre 2014, n. 26242 e n. 26243, e da Cass. Sez. Unite, 4 settembre 2012, n. 14828.
Quando, invece, la forma scritta e’ imposta, secondo la legge o la volonta’ delle parti, per la prova di un contratto, la questione non e’ di “forma dell’atto”, ma di “forma della prova”, essendo la forma requisito non sostanziale, e cioe’ indispensabile per la validita’ del negozio, quanto processuale: la mancanza della scrittura comporta, allora, solo una limitazione sul terreno della prova, rendendo non ammissibile la testimonianza, qualunque sia il valore del contratto, e puo’ pero’ essere supplita con altri mezzi di particolare efficacia, quali la confessione od il giuramento, ne’ impedisce l’esecuzione volontaria, la conferma o la ricognizione volontaria del negozio.
Si e’ detto, altrimenti, che, a differenza della forma ad substantiam, la forma prescritta in funzione soltanto della prova e’ estranea alla disciplina della fattispecie contrattuale e fa riferimento esclusivamente al giudizio in cui le parti vogliano far valere il negozio.
In tal senso, il limite che l’articolo 2725 c.c. pone alla prova per testimoni di un contratto che debba essere provato per iscritto non attiene agli effetti sostanziali dell’atto, ma, al pari degli altri limiti legali di ammissibilita’ della prova testimoniale dei contratti (quali quelli fissati dagli articoli 2721, 2722 e 2723 c.c.), e’ dettato nell’esclusivo interesse delle parti litiganti, le quali hanno percio’ piena facolta’ di rinunciare, anche tacitamente, e cioe’ con il loro comportamento processuale, alla sua applicazione.
L’argomento della congiunta collocazione, nei due commi nel medesimo articolo 2725 c.c., delle regole sulla testimonianza inerenti, rispettivamente, ai contratti da provare per iscritto ed ai contratti scritti ad substantiam, non si rivela cosi’ forte da indurre ad obliterare, sia pure ai limitati fini dell’ammissibilita’ della prova, le differenze che negli uni e negli altri riveste l’elemento formale, essendo la forma scritta solo nei secondi, come ricorda la stessa norma, “richiesta sotto pena di nullita’”. Ne’ depone per la forzata soggezione ad un identico regime applicativo di inammissibilita’ la comunanza, in entrambi i commi dell’articolo 2725 c.c., della deroga rappresentata dallo smarrimento senza colpa del documento, essendo a sua volta tale ipotesi ripresa dalle eccezioni che l’articolo 2724 c.c. riconosce per tutti i limiti di ammissione della prova per testimoni dei contratti.
11.7. E’, invero, pressoche’ unanime, in giurisprudenza come in dottrina, l’interpretazione secondo cui i limiti oggettivi di ammissibilita’ della prova testimoniale, di cui agli articoli 2721 e ss. c.c., sono dettati da norme di carattere dispositivo e, proprio perche’ posti nell’interesse delle parti, sono altresi’ da queste derogabili, anche alla stregua di un accordo implicito desumibile dalla mancata opposizione: si tratta, cioe’, di limiti alla prova per testimoni che, salvo i casi di forma scritta ad substantiam, il giudice deve far valere sol quando uno dei contraenti (o dei loro eredi o aventi causa) contesti l’esistenza del contratto.
Mentre, dunque, le norme che prevedono preclusioni assertive ed istruttorie nel giudizio di cognizione, giacche’ ispirate all’esigenza di garantire la celerita’ e la concentrazione del processo civile, si intendono non dettate nell’esclusivo interesse delle parti (le quali possano percio’ derogarvi esplicitamente o anche solo implicitamente), quanto dirette a garantire l’interesse pubblico a scongiurare l’allungamento dei tempi processuali (Cass. Sez. U, 11/05/2006, n. 10831), ovvero l’ordine pubblico processuale, riferibile ai principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, con conseguente rilevabilita’ anche d’ufficio della loro inosservanza, la violazione delle formalita’ stabilite per l’ammissione della prova testimoniale, giacche’ ritenuta lesiva soltanto di interessi individuali delle parti, rimane affidata al meccanismo dell’articolo 157, comma 2, c.p.c. (si veda gia’ Cass. Sez. U, 13/01/1997, n. 264; poi, indicativamente, Cass. Sez. 3, 18/07/2008, n. 19942; Cass. Sez. 3, 17/10/2003, n. 15554; Cass. Sez. 3, 09/01/2002, n. 194).
Piu’ in particolare, si afferma in giurisprudenza che le norme poste dal codice civile in materia di onere della prova e di ammissibilita’ ed efficacia dei vari mezzi probatori (a differenza delle norme attinenti alle modalita’ ed ai tempi delle deduzioni istruttorie) attengono al diritto sostanziale, tant’e’ che la loro violazione integra nel giudizio di cassazione errores in indicando e non in procedendo (Cass. Sez. L, 19/03/2014, n. 6332; Cass. Sez. 2, 04/02/2000, n. 1247). Non di meno, come visto, l’eccezione di irritualita’ della prova in rapporto a tali criteri sostanziali di ammissibilita’ ed efficacia, in assenza di un suo particolare regime, non viene assoggettata alle barriere preclusive di deducibilita’ che regolamentano l’introduzione nel processo dell’allegazione di un fatto impeditivo, ma, appunto, disciplinata secondo i principi che riguardano l’inosservanza delle norme sulla forma degli atti procedimentali.
L’invocazione del presidio allestito dall’articolo 157 c.p.c., comma 2, sottende inevitabilmente, del resto, che si supponga mancante un requisito stabilito nell’interesse di una parte, salvo a voler immaginare una iniziale inammissibilita’ assoluta, percio’ rilevabile anche d’ufficio, che si trasformi, secundum eventum litis, in una nullita’ relativa derivata.
11.8. Gli articoli 2721 e ss. c.c. danno luogo a regole epistemiche di esclusione della prova, volte ad evitare essenzialmente che di un contratto siano offerte contemporaneamente al giudice prove documentali e prove testimoniali, reputandosi queste ultime meno affidabili delle prime. La Relazione al Codice Civile, § 1114, illustrando la scelta di superare, con un regime di carattere generale, la diversita’ di disciplina in tema di limiti di ammissibilita’ della prova testimoniale che connotava il codice civile del 1865 e il codice di commercio del 1882, evidenzio’ come le disposizioni degli articoli 2721 e seguenti avessero attuato un “delicato contemperamento” di quelle “legittime diffidenze che ha sempre suscitate e suscita in materia contrattuale questo mezzo di prova con la necessita’ di non offendere d’altro canto le esigenze della buona fede, in quei casi in cui, anche fuori delle ipotesi dell’articolo 2724, usi, necessita’ tecniche, condizioni di ambiente, relazioni personali tra contraenti od altre circostanze anche meramente contingenti possano spiegare o giustificare perche’ le parti non abbiano provveduto a procurarsi un documento scritto”.
La costante applicazione giurisprudenziale di tali regole di esclusione della prova testimoniale dei contratti (come rileva, talvolta criticamente, pure la dottrina) ha poi subordinato l’operativita’ delle stesse, sotto un profilo processuale, al potere di eccezione spettante alla parte interessata. Questa diffusa interpretazione, non contenendo il codice di procedura civile, come pure gia’ accennato, una distinta regolamentazione della inutilizzabilita’ processuale dei mezzi di prova, riconduce, infatti, al regime della nullita’ ex articolo 156 c.p.c., ed in particolare a quello della nullita’ relativa, la violazione delle norme procedurali in materia di prove, ovvero, nella specie, la violazione dei limiti di ammissibilita’ della prova per testimoni, quando non siano in gioco contratti con forma scritta ad substantiam.
Analogamente si ragiona nelle sentenze con riguardo alla inammissibilita’ della prova per testimoni della simulazione, ai sensi dell’articolo 1417 c.c., negandosene il rilievo giudiziale in assenza di un’espressa eccezione di parte (Cass. Sez. 3, 08/06/2017, n. 14274; Cass. Sez. 6 – 2, 17/07/2014, n. 16377; Cass. Sez. 2, 21/05/2007, n. 11771; Cass. Sez. 1, 19/01/2000, n. 551).
In alcune pronunce si e’ inteso precisare, peraltro, come sul piano delle definizioni occorrerebbe distinguere l’eccezione di inammissibilita’ delle prova testimoniale dedotta senza osservare le limitazioni di cui agli articoli 2721 c.c. e ss. dalla eccezione di nullita’ della prova assunta, operando la prima ex ante per impedire un atto invalido, e la seconda, invece, ex post per evitare che gli effetti di esso si consolidino. In tal modo, possono pure essere diversamente apprezzati gli interessi dalla medesima parte, la quale, valutata la prova, potrebbe ritenerne vantaggioso l’esito, che, in forza del principio di acquisizione, giova o nuoce indipendentemente da chi abbia dedotto il mezzo istruttorio (Cass. Sez. 6 – 3, 15/02/2018, n. 3763; Cass. Sez. 2, 19 settembre 2013, n. 21443; Cass. Sez. 6 – 2, 23/05/2013, n. 12784). Tale eccezione di inammissibilita’ ex ante costituirebbe comunque un’eccezione in senso proprio (Cass. Sez. 1, 20/02/2004, n. 3392; Cass. Sez. 2, 25/03/1995, n. 3550; Cass. Sez. L, 01/10/1991, n. 10206).
In ogni modo, poiche’ gli articoli 2721 c.c. e ss. sono accomunati dal prevedere i divieti della prova testimoniale dei contratti e le rispettive eccezioni, tutti stabiliti nell’esclusivo interesse delle parti private, e non nell’interesse pubblico al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale, il regime di rilevabilita’ della eventuale deviazione dal modello legale non e’ officioso, ma viene lasciato alla disponibilita’ dei contendenti.
Cosi’, l’eventuale inosservanza di dette limitazioni va necessariamente eccepita dalla parte interessata per opporsi alla richiesta di ammissione della prova; qualora, nonostante la preventiva eccezione di inammissibilita’, la prova testimoniale sia stata egualmente assunta, la correlata nullita’ deve essere opposta dalla medesima parte nel cui interesse sostanziale e’ stabilito il requisito inosservato, secondo la scansione articolata dall’articolo 157 c.p.c., comma 2, in funzione del corretto sviluppo dei poteri dei contendenti, verificandosene, in difetto, la sanatoria (Cass. Sez. 1, 19 febbraio 2018, n. 3956; Cass. Sez. 6 – 3, 15 febbraio 2018, n. 3763; Cass. Sez. 2, 19 settembre 2013, n. 21443; Cass. Sez. 1, 16 aprile 2008, n. 10062; Cass. Sez. 3, 14 febbraio 2006, n. 3186; Cass. Sez. 2, 3 aprile 1999, n. 3287; Cass. Sez. 2, 21 ottobre 1993, n. 10433; Cass. Sez. 1, 25 marzo 1976, n. 1069). Se l’interessato non abbia eccepito dapprima l’inammissibilita’ della deduzione istruttoria e poi la nullita’ della prova per testimoni comunque assunta, tale nullita’ non potra’ piu’ essere rilevata o eccepita per la prima volta in appello, e, tanto meno, in sede di legittimita’ (Cass. Sez. 3, 13 marzo 2012, n. 3959; Cass. Sez. 2, 25 marzo 1995, n. 3550; Cass. Sez. 2, 3 ottobre 1979, n. 5068; Cass. Sez. 2, 10 luglio 1962, n. 1828).
Peraltro, il principio secondo cui la nullita’ per violazione dei limiti di ammissibilita’ della prova testimoniale sanciti dagli articoli 2721 c.c. e ss. rimane sanata, se non tempestivamente eccepita dalla parte interessata, non interferisce con il generale potere giudiziale di revoca delle ordinanze istruttorie attribuito dall’articolo 177 c.p.c., ne’ con il controllo affidato al collegio in sede di decisione della causa ai sensi dell’articolo 178 c.p.c., comma 1, non essendo comunque tali strumenti esercitabili al fine di rilevare inammissibilita’ o nullita’ di cui il giudice non puo’ disporre.
Rimane integro, in ogni caso, il potere del giudice di valutare secondo il suo prudente apprezzamento la prova testimoniale comunque assunta in ordine ai diritti ed agli obblighi derivanti dal contratto, alla volonta’ dei contraenti ed alla portata delle varie pattuizioni.
11.9. L’essere, del resto, la forma scritta ad probationem onere di natura disponibile, attinente esclusivamente alla tutela degli interessi privati delle parti, e percio’ dalle stesse derogabile pure con un patto tacito (desumibile “per facta concludentia” dalla loro condotta, eventualmente consistente proprio nella rinuncia all’applicazione del limite della prova testimoniale ex articolo 2725 c.c.), costituisce argomento utilizzato anche per giustificare l’operativita’ al riguardo del principio della “non contestazione”. Ad esempio, si e’ di frequente sostenuto in giurisprudenza che, qualora siano pacifici tra le parti la stipula di una transazione e il suo contenuto (salvo quando riguardi uno dei rapporti di cui all’articolo 1350 c.c., n. 12), il giudice deve reputare tali fatti non bisognosi di prova e tenerne conto ai fini della decisione, a nulla rilevando la mancata produzione di un atto sottoscritto dai contraenti idoneo a documentare la conclusione dell’accordo (Cass. Sez. 3, 19 ottobre 2006, n. 22395; Cass. Sez. 3, 12 dicembre 2003, n. 19052; Cass. Sez. 2, 13 aprile 1999, n. 3621).
In tal senso, cosi’ come la non contestazione della stipula e del contenuto di un contratto scritto ad probationem, pur non surrogando la prova di tali fatti, rende la stessa superflua, puo’ avvenire che le parti di un simile contratto, per quanto in disaccordo sui diritti e sugli obblighi da esso derivanti, non si oppongano al ricorso alla prova testimoniale, non facendo valere il limite di ammissibilita’ di cui all’articolo 2725 c.c., comma 1.
Rimane evidente come del tutto diverse siano le conclusioni da adottare quando il rapporto litigioso si fonda su contratto che postula la forma scritta ad substantiam, in quanto il principio processuale di disponibilita’ dei fatti di causa e la derogabilita’ dei limiti oggettivi della prova testimoniale devono qui confrontarsi con la rilevabilita’ ex officio della nullita’ del negozio derivante dalla mancanza di uno dei requisiti di cui all’articolo 1325 c.c..
II.10. In definitiva, a composizione della difformita’ di pronunce sulla individuata questione, va enunciato il seguente principio di diritto:
“L’inammissibilita’ della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’articolo 2725 c.c., comma 1, attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non puo’ essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nonostante l’eccezione d’inammissibilita’, la prova sia stata egualmente assunta, e’ onere della parte interessata opporne la nullita’ secondo le modalita’ dettate dall’articolo 157 c.p.c., comma 2, rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullita’ possa piu’ essere fatta valere in sede di impugnazione”.
III. Facendo applicazione di tale principio nel caso in esame, il primo motivo di ricorso della s.r.l. (OMISSIS) deve essere accolto. La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, pronunciando sul gravame avanzato da (OMISSIS) contro la decisione di primo grado, col quale si ponevano doglianze unicamente in punto di ricostruzione dei fatti, di valutazione delle risultanze istruttorie e di attendibilita’ delle prove testimoniali assunte, ha compiuto un indebito rilievo d’ufficio della inammissibilita’ della prova testimoniale resa da (OMISSIS) in primo grado, in assenza di tempestive eccezioni delle parti, con riguardo alla dedotta transazione intervenuta tra i contraenti, volta a costituire un nuovo programma obbligatorio in sostituzione di quello preesistente.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento delle restanti tre censure, dovendo comunque il giudice di rinvio procedere ad un nuovo esame dei fatti acquisiti uniformandosi al principio di diritto enunciato sulla questione oggetto del medesimo motivo accolto.
La sentenza impugnata va cassata, con rinvio dalla causa alla Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, che decidera’ uniformandosi al principio di diritto enunciato e provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

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