Non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 21 maggio 2020, n. 15689.

Massima estrapolata:

Non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che questi, nel corso del procedimento, come componente del tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale, in quanto tale decisione prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato, salva la verifica in concreto e caso per caso, da parte del giudice della ricusazione, di eventuali profili rilevanti dedotti. (Nella specie, il compendio probatorio, costituito anche da intercettazioni telefoniche, era stato esaminato in sede di riesame al solo fine di stabilire la riferibilità e disponibilità del bene in sequestro in capo al ricorrente).

Sentenza 21 maggio 2020, n. 15689

Data udienza 24 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Giudice – Ricusazione – Casi – Manifestazione indebita del proprio convincimento – Provvedimento di conferma di una misura cautelare reale adottato come componente del tribunale del riesame – Sussistenza – Esclusione – Condizioni – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 15/10/2019 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. BRANCACCIO MATILDE;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dr. CORASANITI GIUSEPPE, per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Firenze ha dichiarato l’inammissibilita’ dell’istanza di ricusazione proposta da (OMISSIS) nei confronti dei giudici del Tribunale di Pistoia, (OMISSIS) e (OMISSIS), componenti del collegio giudicante dibattimentale del procedimento penale n. 298/2019 a suo carico, nei confronti dei quali l’istante aveva eccepito, ai sensi dell’articolo 37 c.p.p., le condizioni di ricusazione di cui alla lettera g) dell’articolo 36 per aver essi deciso, nell’ambito cautelare del medesimo procedimento, sull’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro per equivalente di un immobile intestato a terzi ma ritenuto nella disponibilita’ di (OMISSIS), sequestro disposto dal GIP.
2. Avverso il citato provvedimento di inammissibilita’ della ricusazione propone ricorso (OMISSIS), tramite il difensore, avv. (OMISSIS), deducendo un unico motivo, con cui si eccepisce violazione di legge e di norme processuali in relazione all’articolo 37 c.p.p. e articolo 36 c.p.p., comma 1, lettera g), violazione degli articoli 3, 24, 27 e 111 Cost. avuto riguardo ai principi costituzionali di eguaglianza ed inviolabilita’ della difesa, nonche’ alla presunzione di non colpevolezza.
La Corte d’Appello non ha tenuto in conto il principio della sentenza Sez. 1, n. 58024 del 18/10/2017, Pirini, Rv. 271779, che pure ha richiamato, insieme alle ulteriori conformi, secondo cui non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che egli, nel corso del procedimento, come componente del Tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale, atteso che l’adozione di quest’ultima prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato.
Difatti, nel caso di specie, non si e’ di fronte ad una situazione in cui i giudici del riesame non hanno svolto valutazioni di merito sugli indizi a carico dell’imputato e si sono limitati ad approfondire legittimamente i profili rilevanti ai fini della decisione sul sequestro, ma in un’ipotesi in cui essi hanno piuttosto esaminato il compendio probatorio comprensivo delle intercettazioni telefoniche, al fine di stabilire la riferibilita’ e disponibilita’ del bene sequestrato in capo al ricorrente.
Evidente, pertanto, la contraddittorieta’ della motivazione della decisione di inammissibilita’ dell’istanza di ricusazione e la violazione delle norme procedurali: i giudici componenti del collegio dibattimentale che dovra’ giudicare il ricorrente sono per i due terzi gli stessi che hanno gia’ analizzato e valutato il contenuto delle intercettazioni a suo carico in fase cautelare e, per decidere della riferibilita’ del bene sequestrato, hanno formulato un pre-giudizio sulla decisione finalizzata (quantomeno) alla confisca.
Il ricorrente richiama, a sostegno della propria lettura delle disposizioni processuali in tema di incompatibilita’ e ricusazione, la sentenza n. 153 del 2012 della Corte costituzionale e il contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Carta costituzionale, nella misura in cui si verifica disparita’ di trattamento tra gli imputati giudicati da giudici “prevenuti”, orientati a confermare una decisione gia’ assunta, e gli imputati che vengono giudicati da collegi non composti in tal modo.
Anche a voler ammettere, infine, che i giudici non abbiano espresso un pre-giudizio sulla responsabilita’ penale del ricorrente, e’ indubbio che cio’ abbiano fatto quanto alla confisca, che ne e’ conseguenza solo eventuale, anche in caso di condanna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. La giurisprudenza di legittimita’ ha piu’ volte stabilito che, ai fini della ricusazione prevista dall’articolo 37 c.p.p., e’ necessario che il giudice,il quale abbia assunto una decisione in una fase precedente a quella in decisione, abbia espresso una valutazione sulla res iudicanda.
Le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 41263 del 27/9/2005, Falzone, Rv. 232067, hanno stabilito, infatti, che l’indebita manifestazione del convincimento da parte del giudice espressa con la delibazione incidentale di una questione procedurale, anche nell’ambito di un diverso procedimento, rileva come causa di ricusazione solo se il giudice abbia anticipato la valutazione sul merito della “res iudicanda”, ovvero sulla colpevolezza dell’imputato, senza che tale valutazione sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, nonche’ quando essa anticipi in tutto o in parte gli esiti della decisione di merito, senza che vi sia necessita’ e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato.
In un’ipotesi omogenea a quella impugnata, si e’ anche condivisibilmente ed espressamente affermato che non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che egli, nel corso del procedimento, come componente del tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale, atteso che l’adozione di quest’ultima prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato (Sez. 1, n. 58024 del 18/10/2017, Pirini, Rv. 271779).
Il principio si inscrive nella logica interpretativa anche di Sez. 6, n. 6859 del 3/12/2007, dep. 2008, Puliga, Rv. 239418 e Sez. 2, n. 3539 del 16/1/2007, Zucchetto, Rv. 235628, che hanno affermato come nei confronti del giudice che, nel corso delle indagini preliminari, abbia emesso la misura cautelare reale del sequestro preventivo, non e’ profilabile ne’ un pregiudizio rispetto ad ulteriori atti della fase, ne’ una indebita manifestazione del convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione (vedi anche Sez. 3, n. 347 del 8/11/1995, dep. 1996, Curin, Rv. 203718).
Analoga impostazione ermeneutica generale e’ anche quella seguita da Sez. 6, n. 7082 del 3/2/2010, Calcagni, Rv. 246088, secondo cui non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che abbia applicato nel corso del procedimento una misura cautelare reale, atteso che l’adozione di quest’ultima prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato e riguarda solo il fumus della sussistenza di un reato.
3. La giurisprudenza di legittimita’ coincide con le opzioni dei giudici costituzionali.
Ed infatti, deve sottolinearsi come, diversamente da quanto assume il ricorrente, la Corte costituzionale ha enunciato in via assoluta e insuperabile i principi di necessaria incompatibilita’ tra il giudice cautelare e quello del merito solo quando il giudice ricusato abbia deciso in un procedimento cautelare de libertate e non quando venga in rilievo una cautela reale.
3.1. La sentenza n. 153 del 2012 della Corte costituzionale, richiamata nel ricorso, ha ritenuto, come noto, non fondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 34 c.p.p. – censurato, in riferimento all’articolo 3 Cost., articolo 111 Cost., comma 2, e articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all’articolo 6 della CEDU, nella parte in cui non prevede che non possa esercitare le funzioni di giudice del dibattimento il giudice che, precedentemente investito della richiesta di convalida dell’arresto dell’imputato e di contestuale giudizio direttissimo, non abbia convalidato l’arresto per ritenuta insussistenza del reato e abbia conseguentemente disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero – poiche’ sostanzialmente gia’ implicitamente decisa dal suo orientamento consolidato, secondo cui, un tale provvedimento, determinando una frattura tra la fase prodromica al giudizio direttissimo (relativa alla convalida e alla richiesta di misura cautelare) e la fase dibattimentale, implica l’incompatibilita’ del giudice.
La Corte costituzionale sottolinea, infatti, come, in tal caso, debba esservi applicazione diretta del principio, reiteratamente affermato, secondo cui il giudice che si e’ pronunciato in una diversa fase processuale sulla liberta’ personale dell’imputato, formulando un apprezzamento prognostico in ordine alla sua responsabilita’, diviene incompatibile all’esercizio della funzione di giudizio sul merito dell’accusa, senza la necessita’ di invocare una nuova pronuncia additiva della Corte sul punto (si richiamano la sentenza n. 224 del 2001 e le pronunce nn. 131 del 1996, 155 e 131 del 1996; 432 del 1995; 124 del 1992; n. 502 del 1991; l’ordinanza n. 516 del 1991; nonche’, sull’insussistenza, invece, dell’incompatibilita’ a celebrare il giudizio direttissimo del giudice che ha convalidato l’arresto e applicato la misura cautelare nei confronti dell’imputato presentato a dibattimento per detto giudizio, la sentenza n. 177 del 1996 e le ordinanze n. 90 del 2004; n. 40 del 1999; n. 286 del 1998; n. 433, n. 316 e n. 267 del 1996).
In tale contesto, la Corte costituzionale ha chiarito come le norme sulla incompatibilita’ del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento presidiano i valori della sua terzieta’ e imparzialita’, oggetto di espressa previsione nell’articolo 111 Cost., comma 2, e risultano, in particolare, volte ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla “forza della prevenzione” – ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione gia’ presa o a mantenere un atteggiamento gia’ assunto – scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda.
Secondo la prospettiva oramai consolidata del giudice delle leggi, non basta, tuttavia, a generare l’incompatibilita’ la semplice “conoscenza” di atti anteriormente compiuti, ma occorre che il giudice sia stato chiamato a compiere una “valutazione” di essi, strumentale all’assunzione di una decisione; in aggiunta, detta decisione – per generare dubbi sul valore dell’imparzialita’ – deve avere natura non “formale”, ma “di contenuto” e comportare valutazioni che attengono al merito dell’ipotesi dell’accusa, e non gia’ al mero svolgimento del processo.
Da ultimo, affinche’ insorga l’incompatibilita’, e’ necessario che la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento, essendo del tutto ragionevole che, all’interno di ciascuna delle fasi, resti comunque preservata “l’esigenza di continuita’ e di globalita’” per non incorrere in irrazionali ed irragionevoli frammentazioni del procedimento, che implicherebbe la necessita’ di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (sentenza n. 131 del 1996; in tema cfr. anche Sez. 6, n. 11 del 29/12/2015, dep. 2016, Gammuto, Rv. 265466).
Ripercorrendo la propria giurisprudenza e le innovazioni legislative che hanno modificato il volto dell’articolo 34 c.p.p. anche e soprattutto tenendo conto delle sentenze additive di illegittimita’ costituzionale che hanno riguardato tale norma, la Corte costituzionale ha enunciato il criterio interpretativo generale gia’ anticipato, secondo cui deve ritenersi ormai presente nell’ordinamento processuale penale il principio in forza del quale l’adozione di provvedimenti inerenti alla liberta’ personale dell’imputato, i quali implichino una valutazione prognostica in ordine alla sua responsabilita’, ancorche’ su base indiziaria e allo stato degli atti, impediscono al giudice che li ha emessi di partecipare al giudizio, sempre che i provvedimenti in questione si collochino in una fase processuale distinta da quella pregiudicata.
3.2. Viceversa, la Corte costituzionale ha sostanzialmente escluso l’equiparazione tout court al giudice della cautela reale delle ragioni di tutela dell’autonomia di giudizio alla base del regime di incompatibilita’ sopradetto per il giudice che abbia svolto funzioni nella fase cautelare dedicata a decisioni sulla liberta’ personale.
Gia’ nella sentenza n. 66 del 1997 i giudici delle leggi avevano dichiarato non fondate, in riferimento agli articoli 3, 24, 25 e 101 Cost., le questioni di legittimita’ costituzionale dell’articolo 34 c.p.p., commi 1 e 2, nella parte in cui non comprende tra i casi nei quali il giudice non puo’ partecipare al giudizio, anche quello del giudice il quale, prima del dibattimento, si sia pronunciato in merito al sequestro preventivo di cose pertinenti al reato, adottando questa misura quale giudice per le indagini preliminari o confermandola quale componente del Tribunale del riesame, evidenziando come il presupposto dal quale prendevano le mosse i dubbi di legittimita’ costituzionale, e cioe’ la ritenuta piena assimilabilita’ della disciplina delle misure cautelari reali a quella prevista per le misure cautelari personali, fosse inesatto.
I giudizi cautelari reali e quelli personali, infatti, implicano valutazioni differenti che incidono sulle questioni che attengono all’incompatibilita’ del giudice.
Nell’adozione o nella conferma delle misure cautelari reali, infatti, manca quella incisiva valutazione prognostica sulla responsabilita’ dell’imputato, basata sui gravi indizi di colpevolezza, che potrebbe rendere, o far apparire, condizionato il successivo giudizio di merito da parte dello stesso giudice, cosi’ da violare le garanzie che si collegano al principio del giusto processo. (cfr., anche le pronunce nn. 48 del 1994, 176 e 229 del 1994).
Successivamente, la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 181 del 2004, ha ribadito il principio, decidendo per l’insussistenza in astratto dell’incompatibilita’ a svolgere le funzioni di giudice dell’udienza preliminare del giudice che abbia deciso un sequestro preventivo quale componente del Tribunale del Riesame, ritenendo manifestamente infondata la relativa questione di legittimita’ costituzionale sollevata, quanto all’articolo 34 c.p.p., comma 2, in relazione proprio agli articoli 3 e 111 Cost., oggi invocati dal ricorrente.
La Corte costituzionale, nella decisione del 2004, in particolare ha approfondito l’elaborazione sul tema della valenza della decisione cautelare reale in termini di ricadute sul principio di imparzialita’ e su quello di terzieta’ del giudice, indicando il parametro della necessita’ di una verifica in concreto dell’eventuale valutazione sul merito compiuta dal giudice del sequestro, tale da risultare pregiudicante rispetto ad una successiva fase di “giudizio”.
La Corte evidenzia come, sebbene, di norma, una valutazione di merito sulla gravita’ indiziaria dell’indagato non sia imposta dal tipo di atto compiuto dal giudice all’interno di una fase di cautela reale, tuttavia tale dato deve essere accertato in concreto, valendo, in caso di verifica positiva, gli istituti dell’astensione (nel prisma dell’articolo 36 c.p.p., comma 1, lettera h) o della ricusazione (cfr. anche le sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997, 113 del 2000 e le ordinanze n. 203 del 1998, n. 29 e n. 444 del 1999).
Tali due soluzioni gia’ presenti nell’ordinamento processuale consentono alla Corte di dichiarare inammissibile la questione sollevata in relazione ad entrambi i parametri costituzionali invocati (articoli 3 e 111 Cost.) poiche’, in sintesi, e’ solo sul piano del rispetto concreto dell’eventuale violazione dei principi di imparzialita’ e terzieta’ che si gioca la partita dell’incompatibilita’ del giudice del merito che abbia adottato un provvedimento cautelare reale, “naturalmente e normalmente” privo di contenuti sotto il profilo della valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza di un soggetto perche’ rivolto, invece, solo ad accertare l’esistenza dei gravi indizi di un reato.
3.3. La soluzione del caso di specie, dunque, alla luce dei principi sinora enunciati, passa attraverso la necessaria verifica in concreto del contenuto della valutazione operata dal giudice della cautela reale, chiamato a comporre il collegio decidente di merito.
Ebbene, la Corte d’Appello ha ragionevolmente e logicamente applicato i criteri ermeneutici enunciati dalla giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimita’, ed ha operato una verifica in concreto sull’incidenza della valutazione compiuta in fase cautelare dal Riesame di cui erano componenti i due giudici dibattimentali ricusati dall’imputato.
La Corte fiorentina ha sottolineato come nessuna valutazione di merito sugli indizi a carico dell’imputato fosse stata svolta dal Tribunale di Pistoia che aveva a suo tempo deciso per il rigetto dell’istanza di riesame avanzata.
Del resto, e’ lo stesso ricorrente che prospetta come il giudice cautelare abbia si’ esaminato il compendio probatorio comprensivo delle intercettazioni telefoniche, ma al solo fine di stabilire la riferibilita’ e disponibilita’ del bene sequestrato in capo al ricorrente, il che non implica necessariamente alcuna valutazione di gravita’ indiziaria nei suoi confronti ne’ comunque il ricorso ne deduce specificamente i contorni se non richiamando apoditticamente l’utilizzazione dei contenuti delle intercettazioni.
Il motivo di ricorso si rivela, dunque, manifestamente infondato, oltre che distonico rispetto all’evoluzione giurisprudenziale, anche della Corte costituzionale.
Deve essere, pertanto, affermato che non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che egli, nel corso del procedimento, come componente del tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale, se, come accade di norma, l’adozione di quest’ultima prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato, mentre eventuali profili rilevanti che siano stati dedotti devono essere verificati in concreto e caso per caso dal giudice della ricusazione.
4. Alla declaratoria d’inammissibilita’ del ricorso segue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonche’, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilita’ (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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