In tema di riduzione in schiavitù

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 21 maggio 2020, n. 15662.

Massima estrapolata:

In tema di riduzione in schiavitù, ai fini della configurabilità del requisito dello stato di soggezione della persona offesa, rilevante per l’integrazione del reato, non è necessaria la totale privazione della libertà personale della medesima, ma soltanto una significativa compromissione della sua capacità di autodeterminazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato – rilevando come fosse irrilevante un minimo margine di autodeterminazione residuato alle vittime, cui era comunque impossibile sottrarsi al condizionamento degli imputati – in relazione alla condizione di ragazze nigeriane, anche minori d’età, totalmente private dei guadagni derivanti dall’attività di prostituzione esercitata e dei documenti necessari alla permanenza nel territorio italiano, tenute in stato di totale carenza di mezzi di sussistenza, limitate nella libertà di movimento ed intimidite da violenze e minacce).

Sentenza 21 maggio 2020, n. 15662

Data udienza 17 febbraio 2020

Tag – parola chiave: REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA LIBERTA’ INDIVIDUALE – SCHIAVITU’

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – rel. Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), detta (OMISSIS), nata in (OMISSIS);
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/10/2018 della Corte di assise di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. B. Calaselice;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. Loy M. F., che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi;
udito il difensore avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS);
udito il difensore, avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di assise di appello di Brescia, con la sentenza impugnata ha confermato la condanna alle pene di giustizia, emessa, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale in sede in data 8 febbraio 2018, nei confronti di (OMISSIS) detta (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione al reato di cui agli articoli 110 e 600 c.p., articolo 602-ter c.p., comma 1, lettera a) e b) perche’ dopo averle adescate in Nigeria nonche’ fatte giungere in Italia, riducevano e mantenevano in soggezione continuativa le tre persone offese indicate nella imputazione, di cui una minorenne, attraverso violenze e minacce consistite nella loro reclusione forzata presso un appartamento sito in (OMISSIS), nonche’ nell’infliggere loro punizioni corporali, vessazioni psicologiche ed approfittando della loro vulnerabilita’, costringendole a prostituirsi e sfruttando la prostituzione, con le aggravanti di aver commesso il fatto ai danni di minorenne e per aver sfruttato la prostituzione.
2. Avverso il descritto provvedimento hanno proposto distinti, tempestivi, ricorsi per cassazione gli imputati, per il tramite dei propri difensori di fiducia.
2.1. (OMISSIS) deduce violazione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), erronea applicazione dell’articolo 600 c.p. e correlato vizio di motivazione, con travisamento di dati processuali.
2.1.1. Illogica sarebbe la motivazione nella parte in cui assegna attendibilita’ alle parti lese, tenuto conto che non appare credibile che le stesse, pur avendo avuto reiteratamente l’opportunita’ (P liberarsi, non avessero mai provato a sottrarsi agli imputati, per timore di riti satanici.
Ai fini dell’individuazione del reato di riduzione in schiavitu’ occorre, secondo la Difesa, la compromissione della capacita’ di autodeterminazione del soggetto mentre cio’ non ricorre quando alla vittima sia lasciato un margine di autonomia, utile a sottrarsi alla situazione dannosa.
Nel caso di specie la Corte di assise di appello incorrerebbe nel vizio lamentato nella parte in cui individua una continuita’ nell’asserita soggezione delle parti lese le quali, invece, potevano allontanarsi anche da sole, viaggiare, recarsi in luoghi pubblici, frequentare i loro fidanzati, uscire con i clienti, individuando come una scelta libera quella di entrare in Italia, onde ottenere il permesso di soggiorno, nonche’ chiedere ospitalita’ nell’immobile teatro dei fatti.
2.1.2. Scarna sarebbe la motivazione nella parte in cui nega la concessione delle circostanze attenuanti generiche e nella parte in cui assegna ai coimputati un ruolo paritario.
2.2. (OMISSIS) denuncia due vizi.
2.2.1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione alla qualificazione del fatto.
Secondo la Difesa non si e’ tenuto conto, circa la qualificazione del fatto, che le parti lese potevano allontanarsi dalla casa dove vivevano, erano libere di chiedere il rinnovo dei passaporti e di girare in auto o treno. Ne’ le persone offese, pur trovandosi diverse volte al cospetto di agenti di polizia, avevano mai fatto presente la loro condizione di asservimento.
2.2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione con riferimento alla parte lesa (OMISSIS), rispetto alla quale sarebbe emerso che non era presente nell’appartamento ed, anzi; la sua presenza sarebbe stata esclusa proprio dalla deposizione della persona offesa minorenne.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.
2. (OMISSIS) denuncia vizi inammissibili e, pertanto, i motivi di doglianza sono manifestamente infondati.
2.1. Coerente, ampia e non manifestamente illogica e’ la motivazione nella parte in cui valuta l’attendibilita’ delle parti lese, alle pag. da 21 e sgg. del provvedimento impugnato.
Sul punto si osserva, conformemente al pacifico e costante orientamento ermeneutico formatosi in seno a questa Corte regolatrice che, in tema di valutazione della prova dichiarativa, l’attendibilita’ della persona offesa dal reato e’ una questione di fatto che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, rispetto alla quale e’ inibita una rivalutazione in sede di legittimita’, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Micciche’, Rv. 262948; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., non rientrano, dunque, quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilita’ dei testimoni e parti lese, salvo il controllo estrinseco della congruita’ e logicita’ della motivazione.
Quanto alla denunciata violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla qualificazione giuridica della condotta, si osserva che il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitu’ o in servitu’ e’ reato a fattispecie plurima ed e’ integrato, alternativamente., dalle condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti ai proprietario, che, implicando la reificazione della vittima, ne comporta ex se lo sfruttamento, ovvero dalla condotta di riduzione o mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, in relazione alla quale, invece, e’ richiesta la prova dell’ulteriore elemento, costituito dall’imposizione di prestazioni integranti lo sfruttamento della vittima (Sez. 5, n. 10426 del 09/01/2015, 0., Rv. 262632).
E’ stato, poi affermato in giurisprudenza il principio che merita, in questa sede, di essere ribadito secondo il quale ai fini della configurabilita’ dello stato di soggezione, rilevante per l’integrazione del reato, e’ necessaria una significativa compromissione della capacita’ di autodeterminazione della persona offesa, anche indipendentemente dalla totale privazione della liberta’ personale della vittima (Sez. 5, n. 49594 del 14/10/2014, Enache, Rv. 261345; Sez. 5, n. 44385 del 24/09/2013, Rv. 257564; Sez. 5, ord. n. 2775 del 18/11/2010, dep. 2011, Sali, Rv. 249257).
L’utilita’ di tale indagine si pone anche in ragione dell’indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice secondo cui non integra la fattispecie criminosa di riduzione in schiavitu’, il cui evento di riduzione o mantenimento di persone in stato di soggezione consiste nella privazione della liberta’ individuale, la condotta consistente nella mera offerta di un lavoro con gravose prestazioni in condizioni ambientali disagiate, verso un compenso inadeguato, qualora la persona si determini, liberamente, ad accettarla e possa sottrarsi una volta rilevato il disagio concreto che ne consegue (Sez, 5, n 13532 del 10/02/2011, Rv. 249970).
Con riferimento al caso di specie, si rileva, dunque, che il motivo proposto appare generico in quanto non si confronta con il contenuto della motivazione, correttamente in linea con l’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato, laddove valorizza l’irrilevanza del margine di autodeterminazione residuato aile vittime, posto che alle predette era, comunque, impossibile sottrarsi al condizionamento esercitato dagli esecutori materiali della condotta, tanto da riacquistare la piena capacita’ di autodeterminarsi. Le giovani vittime, infatti, venivano spogliate totalmente dei loro guadagni derivanti della loro attivita’ di prostituzione, private dei documenti o, comunque; di quelli validi, necessari a permanere sul territorio nazionale, tenute in stato di totale carenza di mezzi di sussistenza, limitate nella propria liberta’ di movimento, intimidite da violenze o minacce, tanto da trovarsi in una evidente ed univoca situazione di soggezione ed asservimento continuativa.
Peraltro la confutazione di specifici dati di fatto, risultanti dal contenuto delle conformi sentenze di merito, appare inammissibile in quanto si propone una mera rilettura, in senso diverso e piu’ favorevole, non consentita in sede di legittimita’ e che, comunque, richiederebbe i riesame di fonti di prova non consentito a questa Corte.
2.1.1. Esauriente e non manifestamente illogica appare, infine, la motivazione nella parte in cui nega le circostanze attenuanti generiche valorizzando la durata delle condotte e l’intrinseca pericolosita’ della stessa, posta in essere anche attraverso violenze e minacce ai danni di minorenne.
Al riguardo e’ sufficiente notare che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle circostanze
attenuanti generiche, giudice non e’ tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati. E’, invece, necessario che questi spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 26582E: Sez. 3, n. 14071 del 25/09/2014, Rv. 260610).
2.2. (OMISSIS) propone, del pari, un ricorso inammissibile.
2.2.1. Il primo motivo e’ manifestamente infondato.
La censura non si confronta con la motivazione, ampia, coerente e non manifestamente illogica dei giudici di merito ed appare, dunque, aspecifica. E’, infatti, principio pacificamente affermato in sede di legittimita’ (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Gaitelle Rv. 268822; Sez. 2, n. 5522 del 22/10/2013, Rv. 258264; di cui si ripercorrono,, parzialmente, le argomentazioni; Sez. 6, n, 8700 del 21/01/2013, Rv. n. 254584) quello secondo il quale il motivo di ricorso in cassazione e’ caratterizzato da duplice specificita’: deve essere conforme all’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisivita’ rispetto al percorso logico seguito per giungere alla deliberazione impugnata, si’ da condurre a decisione differente.
Si richiamano, peraltro, quanto alla correttezza della qualificazione giuridica le argomentazioni di cui ai par. 2.1.
2.2.2. Il secondo motivo e’ ugualmente inammissibile.
Il motivo e’ integralmente versato in fatte inoltre si propone una diversa, alternativa lettura delle fonti di prova dichiarativa, diversa da quella che emerge dalla lettura delle conformi sentenze di merito le cui motivazioni si integrano per confluire in un unico percorso giustificativo, immune da censure di qualsiasi tipo (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, Re, 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Autieri; 257056; Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, Re Carlo, Rv. 215722).
3. All’inammissibilita’ dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma, che si ritiene equa nella misura indicata nel dispositivo, a favore della Cassa delle Ammende, avuto riguardo ai motivi d’impugnazione devoluti.
3.1. In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che vengano omesse generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, tenuto conto del titolo di reato contestato e della circostanza che una delle parti lese e’ minore di eta’.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno a favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto previsto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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