I contratti di scambio e la donazione indiretta

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 19 marzo 2019, n. 7681.

La massima estrapolata:

Nei contratti di scambio, la donazione indiretta è configurabile solo a condizione che le parti abbiano volutamente stabilito un corrispettivo di gran lunga inferiore a quello che sarebbe dovuto, con l’intento, desumibile dalla notevole entità della sproporzione tra il valore reale del bene e la misura del corrispettivo, di arricchire la parte acquirente per la parte eccedente quanto pattuito.

In ipotesi di dichiarazione sottoscritta, pur se contenuta in più fogli dei quali solo l’ultimo firmato, poiché la sottoscrizione, ai sensi dell’art. 2702 c.c., si riferisce all’intera dichiarazione e non al solo foglio che la contiene, la scrittura privata deve ritenersi valida ed efficace nel suo complesso, rimanendo irrilevante la mancata firma dei fogli precedenti, con la conseguenza che, al fine di impedire che l’intero contenuto della scrittura faccia stato nei confronti del sottoscrittore, quest’ultimo ha l’onere di proporre querela di falso.

Sentenza 19 marzo 2019, n. 7681

Data udienza 20 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 14399/2015 proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) e dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio a (OMISSIS), elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) e dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio a (OMISSIS), elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 486/2015 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE, depositata il 16/3/2015;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 20/12/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. CELESTE Alberto, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’inammissibilita’ del ricorso incidentale;
sentito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS);
sentito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), con citazione notificata il 16/3/2005, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Firenze, (OMISSIS) e, dopo aver premesso di essere la sorella e l’erede di (OMISSIS), moglie del convenuto, ha dedotto che: – le due sorelle sono le coeredi di un compendio costituito da immobili e denaro, lasciato dal comune padre; – le medesime sorelle hanno abitato, insieme al marito di (OMISSIS) ed alla figlia di primo letto di quest’ultimo, nell’edificio costituente parte del patrimonio ereditario, posto in (OMISSIS); – l’attrice, dopo essersi a sua volta sposata, si e’ trasferita altrove; – tra le due sorelle era stato raggiunto un accordo, successivamente documentato da scrittura privata in data 20/5/1998, in base al quale la sorella maggiore, (OMISSIS), era usufruttuaria dell’immobile in cui viveva; – (OMISSIS), a sua volta, era la nuda proprietaria di quest’ultimo appartamento, oltre che proprietaria degli altri tre immobili appartenenti all’eredita’, immobili i cui frutti venivano divisi a meta’ tra le coeredi; l’accordo ha trovato conferma nel testamento olografo, redatto da (OMISSIS) il 27/5/1998, con il quale la testatrice ha lasciato alla sorella la totalita’ della quota disponibile dando atto che gli immobili lasciati dal padre erano, in realta’, gia’ per intero della sorella (OMISSIS), al pari del denaro depositato in un conto corrente bancario; – la scrittura privata ha previsto una clausola penale, in forza della quale il contraente o un suo avente causa che avesse fatto opposizione al quel regolamento di interessi, avrebbe dovuto pagare una somma pari al 15% del valore dei quattro immobili appartenenti all’asse; – il convenuto, pero’, alla morte di (OMISSIS), ha continuato ad occupare l’immobile di (OMISSIS), di proprieta’ esclusiva di (OMISSIS), contestando la scrittura privata e presentando una dichiarazione di successione legittima nonostante la presenza di un testamento.
L’attrice, quindi, ha chiesto che fosse accertato il suo diritto, quale scaturente dalla scrittura privata e dal testamento, con la condanna del convenuto al pagamento del 15% del valore degli immobili, al rilascio di quello destinato ad abitazione ed al pagamento di un’indennita’ di occupazione dalla data della morte di (OMISSIS).
(OMISSIS) ha contestato la validita’ della scrittura del 20/5/1998, deducendo che: – l’atto, avendo la natura di una divisione stragiudiziale, era nullo in carenza del requisito della determinazione del valore sia del compendio ereditario, che delle singole quote, della determinazione del valore attribuito all’usufrutto e di qualsiasi riferimento al denaro depositato in conto corrente; – l’atto, in ragione della sproporzione dei valori, doveva ritenersi una donazione indiretta, contro la quale ha proposto domanda di riduzione; la clausola penale era nulla, stabilendo obblighi a carico di terzi ed impedendo agli eredi di esercitare i loro diritti successori. Il convenuto, poi, ha contestato sia il diritto dell’attrice di pretendere l’indennita’ di occupazione, che l’ammontare preteso a tale titolo ed ha, inoltre, chiesto, in via riconvenzionale, di dichiarare la nullita’ della scrittura privata del 20/5/1998 e di essere riconosciuto coerede della moglie, di accertare che l’accordo documentato dalla predetta scrittura fosse qualificato come donazione indiretta, che andava dunque ridotta, accordandogli la quota riservata ai legittimari.
Deceduto lo (OMISSIS), la (OMISSIS) ha instaurato il giudizio nei confronti della figlia dello stesso, proponendo le stesse domande.
La convenuta si e’ costituita facendo proprie le difese del genitore.
Il tribunale di Firenze, con sentenza non definitiva del 20/4/2009, ha escluso che l’accordo contenuto nella scrittura privata potesse essere qualificato come una donazione indiretta, difettandone sia l’elemento soggettivo, e cioe’ lo spirito di liberalita’, risultando dall’atto la chiara volonta’ delle parti di regolare i reciproci interessi, che l’elemento oggettivo, e cioe’ la sproporzione tra le rispettive attribuzioni patrimoniali, in ragione del fatto che (OMISSIS), in cambio della piena proprieta’ degli immobili e del denaro, rinunciava al credito derivante dal fatto che la sorella (OMISSIS) rimaneva da sola nel godimento dell’immobile costituente l’abitazione di famiglia; ha qualificato tale accordo come una permuta, della quale ha riconosciuto la validita’, sotto il profilo della determinatezza dell’oggetto. Il tribunale, quindi, ha conseguentemente accolto la domanda dell’attrice di accertamento della proprieta’ esclusiva degli immobili e delle somme indicate in citazione; il tribunale, poi, ha accolto la domanda di rilascio dell’immobile destinato ad abitazione ed al risarcimento per il periodo in cui l’occupazione era proseguita senza titolo, rimettendo ad una consulenza tecnica d’ufficio la determinazione dell’indennita’ di occupazione dovuta alla (OMISSIS) per il periodo successivo al 2005; il tribunale, inoltre, ha rigettato la domanda della (OMISSIS) di essere riconosciuta erede legittima in relazione al compendio non contemplato dal testamento olografo, rilevando che l’unico bene ancora facente parte dell’asse ereditario, del quale (OMISSIS) poteva disporre, era costituito dal fabbricato di Viareggio (estraneo al compendio ereditato dalle sorelle (OMISSIS)), ritualmente considerato nel testamento. Il tribunale, infine, ha rigettato la domanda di condanna della convenuta a corrispondere il 15% del valore degli immobili a titolo di penale, in quanto la relativa clausola era contraria alle norme imperative concernenti l’esercizio dei diritti successori da parte del legittimario.
Espletata la consulenza tecnica d’ufficio, il tribunale, con sentenza definitiva del 21/7/2012, ha determinato l’indennita’ di occupazione in Euro 170.260 ed ha condannato la convenuta al relativo pagamento, oltre alle spese di lite.
La (OMISSIS) ha proposto appello nei confronti tanto della sentenza non definitiva, quanto della sentenza definitiva. Quanto alla sentenza non definitiva, l’appellante, per quanto ancora rileva, ha dedotto: – con il primo motivo, che l’atto di permuta consacrato nella scrittura privata del 1998 era nullo, per difetto dell’oggetto e della causa, posto che l’indennita’ di occupazione, che costituiva la contropartita dell’attribuzione della quota di proprieta’ spettante ad (OMISSIS), non era dovuta, in mancanza di un’occupazione illegittima; – con il secondo motivo, ha contestato tanto la scelta del tribunale di non configurare il contratto del 1998 come una donazione indiretta, sussistendone sia lo spirito di liberalita’ (da individuarsi nella rinuncia alla prescrizione del diritto all’indennita’), sia la sproporzione (ravvisabile nella considerazione della differenza tra i rispettivi valori che le parti avevano considerato come contrapposti e permutato), quanto il metodo di calcolo seguito dal tribunale per giungere alla valutazione dell’indennita’ di occupazione nel periodo in cui (OMISSIS) era stata in vita.
L’appellata si e’ costituita in entrambi i giudizi e, dopo aver negato la fondatezza delle doglianze avversarie, ha proposto, relativamente alla sentenza non definitiva, appello incidentale avverso il rigetto della domanda di applicazione della penale del 15%, trattandosi di clausola costituente espressione di autonomia privata e non impeditiva dell’esercizio di alcun diritto.
La corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata in data 16/3/2015, ha rigettato tanto l’appello principale, quanto l’appello incidentale.
La corte, per quanto ancora interessa, dopo aver premesso che: a) con la scrittura privata del 20/5/1998, le due sorelle, dopo aver compiuto una ricognizione del patrimonio delle quali erano coeredi, hanno dato atto del fatto: che l’edificio di (OMISSIS) era stato occupato, sin dal 1963, esclusivamente da (OMISSIS); che i redditi provenienti dai tre fondi commerciali erano stati convogliati in un conto corrente cointestato; che (OMISSIS) era creditrice di un’indennita’ pari alla meta’ di cio’ che sarebbe derivato dall’occupazione dell’immobile di (OMISSIS); che (OMISSIS) ha rinunciato alla prescrizione relativamente a detta somma; che (OMISSIS) sarebbe rimasta, come da pregressi accordi, titolare a vita del diritto di abitare l’immobile menzionato mentre (OMISSIS) era proprietaria di tutti gli immobili; che il prezzo della cessione a (OMISSIS) della piena proprieta’ di quel 50% spettante ad (OMISSIS) sugli immobili, cosi’ come l’attribuzione a (OMISSIS) dell’intera somma presente sul conto corrente, era ritenuta pari a quanto ricevuto da (OMISSIS), evidentemente a titolo di godimento dell’abitazione; b) con il testamento olografo del 27/5/1998, (OMISSIS) ha riconosciuto che gli immobili che provenivano dall’eredita’ paterna, e cioe’ quelli oggetto della scrittura privata, erano di proprieta’ esclusiva della sorella (OMISSIS), al pari del denaro presente in banca; ha provveduto ad esaminare la censura che, con il primo motivo, l’appellante ha rivolto nei confronti della sentenza impugnata, criticando, in particolare, la parte in cui il tribunale ha qualificato l’atto documentato dalla scrittura del 20/5/1998 come una permuta. La corte ha evidenziato come tale censura fosse incentrata su una considerazione fondamentale, vale a dire che l’indennita’ di occupazione consegue alla sola ipotesi di occupazione illegittima, che, nella specie, non sussiste, per cui, secondo l’appellante, tale indennita’ non avrebbe potuto essere permutata con il valore degli immobili. La corte ha ritenuto che tale censura fosse infondata: “la tesi dell’appellante si scontra non soltanto con il rilievo che l’utilita’ costituita dall’uso, ancorche’ legittimo, di un bene va compensato, con altrettanto valore ma anche con il senso che proviene dalla lettura della scrittura privata: le contraenti hanno inequivocamente espresso la loro concorde volonta’ di permutare la meta’ degli immobili ereditari con quanto (OMISSIS) poteva aver ritratto dall’uso esclusivo dell’abitazione, che era comune alla sorella”. Ne’, ha aggiunto la corte, risulta fondata l’eccezione di nullita’ di tale atto, proposta dalla (OMISSIS) con la comparsa conclusionale e fondata sul rilievo che la scrittura in questione si compone di piu’ fogli non connessi materialmente tra di loro e non e’ stata sottoscritta nei fogli intermedi: la corte, sul punto, ha evidenziato come “il documento sia stato prodotto dall’attrice sin dall’inizio, sia stato conosciuto immediatamente dal convenuto (OMISSIS) che inizialmente ne contesto’ la carenza di data certa, abbia costituito oggetto di contrastanti letture”. Tale documento, quindi, ha concluso la corte, “ancorche’ non sottoscritto in ogni foglio (ma nessuna norma impone simile formalita’ per le scritture private) costituisce un contesto la cui unitarieta’ non e’ mai stata posta in dubbio ad opera delle persone che si sono avvicendate nella veste di convenute”.
La corte, quindi, ha provveduto ad esaminare il secondo motivo d’appello: al riguardo, dopo aver premesso che, secondo gli accertamenti peritali svolti nel processo di primo grado, il valore della meta’ dell’indennita’ di occupazione e’ stato determinato in Euro 1.889.000,00, laddove il valore della meta’ degli immobili oggetto della permuta e’ pari ad Euro 1.250.000,00, la corte, a fronte degli elementi che l’appellante ha dedotto come significativi della sussistenza di una donazione indiretta, ha escluso, innanzitutto, che vi sia stata, tra le due prestazioni corrispettive, una sproporzione, “dal momento che era semmai il valore cui rinunciava (OMISSIS) ad essere superiore all’altro”. Quanto, invece, alla rinuncia alla prescrizione dell’indennita’ pregressa, nella quale secondo l’appellante si sostanzierebbe lo spirito di liberalita’, la corte ha osservato che, in realta’, il documento del 20/5/1998 ha consacrato in forma scritta un accordo che le stesse parti hanno riferito come risalente: “soltanto in forza di una simile risalente accordo sarebbe immaginabile la cessione, a far tempo dal 1963, ad una sola delle coeredi del godimento esclusivo dell’intero fabbricato destinato ad abitazione, fino ad allora abitato anche dall’altra”, per cui “il valore costituito dal diritto esclusivo di abitazione era stato attribuito da (OMISSIS) ad (OMISSIS) sin dal 1963, dunque la rinuncia alla prescrizione da parte di (OMISSIS) faceva parte di un risalente e piu’ ampio regolamento di interessi, che ha infine assunto la veste di scrittura privata”.
La corte, infine, ha respinto l’appello incidentale proposto dall’appellata nei confronti della sentenza non definitiva nella parte in cui il tribunale aveva negato legittimita’ alla clausola penale in quanto limitativa dell’esercizio dei diritti degli eredi legittimi. La corte, sul punto, ha ritenuto che la motivazione adottata dal tribunale per negare legittimita’ alla clausola penale “in quanto limitativa dei diritti degli eredi legittimi” non risultava scalfita dal gravame, che “si limita ad una tautologica affermazione contraria a quella contenuta nella sentenza”, aggiungendo, rispetto a quanto gia’ affermato dal tribunale, che “quella clausola, pattuita tra le due coeredi, non poteva venir attivata nei confronti di soggetti che all’accordo non avevano preso parte”.
(OMISSIS), con ricorso notificato il 27/5/2015 e tempestivamente depositato, ha chiesto la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata, proponendo tre motivi, il terzo dei quali, a sua volta, come la stessa ricorrente ha evidenziato, articolato in quattro censure.
Ha resistito, con controricorso notificato il 2/7/2015, (OMISSIS) la quale ha proposto, per un motivo, ricorso incidentale, al quale ha resistito la ricorrente con controricorso notificato l’11/9/2015.
La controricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 1341, 1350 c.c., L. n. 89 del 1913, articolo 72, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha accolto l’eccezione di nullita’ della scrittura privata intervenuta tra (OMISSIS) e (OMISSIS) il 20/5/1998. La scrittura, infatti, ha osservato la ricorrente, e’ stata sottoscritta solo nella prima e nell’ultima pagina mentre non sono state sottoscritte tutte le pagine intermedie. I fogli non sottoscritti, peraltro, ha aggiunto la ricorrente, sono quelli che contengono gli accordi intervenuti tra le due sorelle poiche’ mentre il primo foglio sottoscritto attiene solo all’intestazione dell’atto e alla prima descrizione degli immobili, l’ultimo foglio sottoscritto contiene punti del tutto marginali, quale la clausola relativa alla penale, gia’ ritenuta nulla da entrambi i giudici del merito, e la clausola relativa alle spese circa la formulazione degli accordi: tutti gli accordi intervenuti tra le sorelle (OMISSIS) e (OMISSIS) sono, quindi, disciplinati nelle pagine intermedie prive di sottoscrizione. La scrittura, inoltre, nelle pagine prive di sottoscrizione, contiene anche la rinuncia alla prescrizione da parte di (OMISSIS) la quale, potendosi configurare come una limitazione alla facolta’ di opporre eccezioni ai sensi dell’articolo 1341 c.c., necessita (e/o poteva necessitare) della specifica sottoscrizione per essere valida. Gli atti contenuti nella scrittura, quindi, richiedendo la forma scritta a norma dell’articolo 1350 c.c., presuppongono e richiedono la sottoscrizione la quale, in ipotesi di atti separati, dev’essere apposta su ogni foglio. La L. n. 89 del 1913, articolo 72, prevede, infatti, che l’atto, anche privato, debba essere sottoscritto anche nei fogli intermedi e cosi’ autenticato dal notaio. L’atto che necessita della forma scritta, ancorche’ non pubblica, richiede, quindi, la sottoscrizione dei fogli intermedi, a pena di nullita’. La decisione della corte d’appello, ha proseguito la ricorrente, nella parte in cui ha ritenuto che nessuna norma impone una simile formalita’, dev’essere, quindi, cassata, poiche’ la necessita’ della sottoscrizione dei fogli che contengono gli accordi intervenuti tra le parti appare strettamente dipendente dalla stessa necessita’ della forma scritta ad substantiam e poiche’ la regola e’ ricavabile dalla legge notarile, quale principio generale degli atti scritti, anche privati. Ne’ rileva, ha aggiunto la ricorrente, l’affermazione della corte secondo la quale la scrittura in oggetto costituisce un contesto la cui unitarieta’ non e’ mai stata posta in dubbio ad opera delle persone che sono avvicendate nella veste di convenute posto che la nullita’ dell’atto negoziale puo’ essere rilevata dal giudice, anche d’ufficio, in ogni tempo, e non puo’ essere sanata dal comportamento della parte, soprattutto se terza rispetto all’atto nullo.
2. Il motivo e’ infondato. Premesso che la sentenza impugnata non da’ in alcun modo atto che le sottoscrizioni apposte sulla scrittura privata intercorsa tra le sorelle (OMISSIS) ed (OMISSIS) siano state autenticate (articolo 2703 c.c.) ma neppure che la sottoscrizione apposta da quest’ultima sia stata disconosciuta dal convenuto contro il quale la scrittura stessa era stata prodotta (articolo 214 c.p.c.), quanto meno nella forma prevista dal comma 2 di tale norma, trova, nella specie, applicazione il principio per cui, in ipotesi di dichiarazione sottoscritta, pur se contenuta in piu’ fogli dei quali solo l’ultimo firmato, poiche’ la sottoscrizione, ai sensi dell’articolo 2702 c.c., si riferisce all’intera dichiarazione e non al solo foglio che la contiene, la scrittura privata deve ritenersi valida ed efficace nel suo complesso, rimanendo irrilevante la mancata sottoscrizione dei fogli precedenti, con la conseguenza che, al fine di impedire che l’intero contenuto della scrittura faccia stato nei confronti del sottoscrittore, quest’ultimo ha l’onere di proporre querela di falso (Cass. n. 4886 del 2007). La ricorrente, del resto, non ha contestato (ne’ la corte d’appello ha escluso) che le dichiarazioni contenute nei vari fogli costituissero, sui piano logico e lessicale, un unico ed inscindibile corpo: in ogni caso, non ha proposto, allo scopo di impedire che l’intero contenuto della scrittura facesse stato nei suoi confronti, la querela di falso (Cass. n. 4886 del 2007; Cass. n. 9820 del 1995). Quanto al resto, e cioe’ all’eccezione di nullita’ della clausola contenente la rinuncia alla prescrizione in conseguenza della sua mancata approvazione specifica, in violazione dell’articolo 1341 c.c., la Corte rileva che, nel caso di specie, non risulta accertato, in fatto, che il contratto in questione sia stato unilateralmente predisposto dalla parte che ha beneficiato della predetta clausola, e cioe’ (OMISSIS). Ne’, del resto, tale contratto risulta, per il contenuto che emerge dalla sentenza impugnata, destinato a regolare una serie indefinita di rapporti. Ed e’, invece, noto che possono qualificarsi come contratti “per adesione”, rispetto ai quali sussiste l’esigenza della specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie, soltanto quelle strutture negoziali destinate a regolare una serie indefinita di rapporti, tanto dal punto di vista sostanziale (se, cioe’, predisposte da un contraente che esplichi attivita’ contrattuale all’indirizzo di una pluralita’ indifferenziata di soggetti), quanto dal punto di vista formale (ove, cioe’, predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie), mentre non possono ritenersi tali i contratti predisposti da uno dei due contraenti in previsione e con riferimento ad una singola, specifica vicenda negoziale, ed a cui l’altro contraente possa, del tutto legittimamente, richiedere ed apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto, ne’, a maggior ragione, quelli in cui il negozio sia stato concluso a seguito e per effetto di trattative svoltesi tra le parti (Cass. n. 6753 del 2018; Cass. n. 7605 del 2015).
3. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, con riferimento all’occupazione legittimamente posta in essere dalla comproprietaria (OMISSIS) la quale, senza impedire il pari uso alla sorella (OMISSIS), ha fatto uso, come consentito dall’articolo 1120 c.c., della cosa comune, ha ritenuto che l’utilita’ costituita dall’uso, ancorche’ legittimo, di un bene, dev’essere compensata con altrettanto valore. In realta’, ha osservato la ricorrente, l’indennita’ di occupazione presuppone un’occupazione senza titolo o illegittima: se l’occupazione e’ senza titolo o illegittima, l’occupante deve un’indennita’ di occupazione al proprietario del bene; ma se l’occupazione ha un titolo ed e’, quindi, legittima, non vi sono ragioni, ha osservato la ricorrente, per le quali l’occupante debba versare un’indennita’ di occupazione. (OMISSIS), ha aggiunto, ha sempre occupato l’immobile a titolo di comproprietaria, come consentito dall’articolo 1102 c.c., il quale statuisce che ciascun partecipante puo’ servirsi della cosa comune, purche’ non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso: se, quindi, il comproprietario fa uso della cosa comune, nei limiti dell’articolo 1102 c.c., non deve versare agli altri compartecipi alcuna indennita’. Nella specie, (OMISSIS) non ha mai impedito a (OMISSIS) di abitare l’immobile ne’ ha mai alterato la sua destinazione. Ne consegue che, sussistendo tutte le condizioni previste dall’articolo 1102 c.c., non si comprende perche’ (OMISSIS), quale comproprietaria dell’immobile, avrebbe dovuto versare un’indennita’ di occupazione alla comproprietaria per aver continuato ad abitare l’immobile nel periodo successivo al 1963. Non essendo maturata alcuna indennita’ di occupazione, ha concluso la ricorrente, la scrittura privata del 20/5/1998 e’ nulla per difetto dell’oggetto e della causa: (OMISSIS), infatti, ha ceduto le proprie quote ereditarie senza alcun corrispettivo.
4. Il motivo e’ infondato. La corte d’appello, infatti, ha accertato, in fatto, che, attraverso la scrittura in questione, che ha consacrato in forma scritta un accordo che le stesse parti hanno riferito come risalente (“soltanto in forza di uno” simile risalente accordo sarebbe immaginabile la cessione, a far tempo dal 1963, ad una sola delle coeredi del godimento esclusivo dell’intero fabbricato destinato ad abitazione, fino ad allora abitato anche dall’altra”), “le contraenti hanno inequivocamente espresso la loro concorde volonta’ di permutare la meta’ degli immobili ereditari con quanto (OMISSIS) poteva aver ritratto dall’uso esclusivo dell’abitazione, che era comune alla sorella”. Non viene, dunque, in rilievo il diritto del singolo comproprietario, previsto dall’articolo 1102 c.c., di servirsi della cosa comune, nei limiti in cui non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso: si tratta, piuttosto, della facolta’ di ciascun partecipante alla comunione di disporre, a norma dell’articolo 1103 c.c., del proprio diritto di comproprieta’, esercitata, nella specie, attraverso un accordo per effetto del quale una delle due comproprietarie ha trasferito all’altra il suo diritto di comproprieta’ del bene (oltre alle somme versate su un conto corrente), ricevendo, quale corrispettivo, l’attribuzione del diritto di abitare a vita l’intero immobile. D’altra parte, se cosi’ non fosse, bisogna ricordare che, nel sistema della comunione del diritto di proprieta’ per quote ideali, ciascun partecipante gode del bene comune in maniera diretta e promiscua purche’ non ne alteri la destinazione e non impedisca l’esercizio delle pari facolta’ di godimento che spettano agli altri comproprietari (articolo 1102 c.c.): allorche’ per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, i comproprietari possono deliberarne l’uso indiretto (a maggioranza o all’unanimita’, secondo il tipo di uso deliberato: cfr. articoli 1105 e 1108 c.c.). Tuttavia, prima e indipendentemente da cio’, nel caso in cui la cosa comune sia potenzialmente fruttifera, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti: frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono, in mancanza di altri piu’ idonei criteri di valutazione, essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile (Cass. 20394 del 2013, in motiv.; Cass. n. 5156 del 2012; Cass. n. 7881 del 2011).
5. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 1325 e 1350 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 809, 1363, 1364 e 1366 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 e la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 809 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso che la scrittura privata del 1998 abbia configurato una donazione indiretta, ritenendo che il documento del 20/5/1998 abbia consacrato in forma scritta “un accordo che le stesse parti hanno riferito come risalente” e che “il valore costituito dal diritto esclusivo di abitazione era stato attribuito da (OMISSIS) ad (OMISSIS) sin dal 1963”, per cui “la rinuncia alla prescrizione da parte di (OMISSIS) faceva parte di un risalente e piu’ ampio regolamento di interessi, che ha infine assunto la veste di scrittura privata”. Cosi’ facendo, pero’, ha osservato la ricorrente, la corte ha commesso quattro violazioni di legge, vale a dire: a) dell’articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c., poiche’ da nessuna parte degli atti processuali, ne’ la corte d’appello li indica, vi sono elementi per sostenere che l’accordo era “risalente”, per cui, ha aggiunto la ricorrente, l’argomento utilizzato dalla corte d’appello per escludere che la rinuncia alla prescrizione nel 1998 di un presunto credito maturato dal 1963 costituisca donazione indiretta e’ in contrasto con gli atti del processo perche’ le stesse parti non lo hanno affatto riferito come risalente; tale presupposto, che e’ stato decisivo ai fini della decisione, risulta, quindi, assunto in contrasto con le regole della prova e dell’articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c.; b) degli articoli 1325 e 1350 c.c., poiche’ l’atto che hanno posto in essere le sorelle (OMISSIS) nel 1998 necessita, ai sensi delle disposizioni normative appena richiamate, della forma scritta per cui, ha aggiunto la ricorrente, delle due l’una: o questo presunto accordo risalente tra le sorelle era stato preso in forma scritta a norma dell’articolo 1350 c.c., n. 4, fin dal 1963, quando (OMISSIS) lascio’ l’immobile, oppure ogni altro diverso accordo tra le sorelle e’ nullo, trattandosi di accordo che, appunto, necessitava della forma scritta per essere valido: dal processo, tuttavia, come confermato anche dalla sentenza della corte d’appello, e’ chiaramente emerso che tra le sorelle non e’ intervenuto alcun accordo prima del 20/5/1998 per cui, ha concluso la ricorrente, escludere la donazione indiretta sul presupposto di un accordo comune risalente quando non solo tale accordo risalente non risulta agli atti ed e’ sfornito di prova ma non e’ altresi’ postulabile per aver ad oggetto patti che necessitano la forma scritta, comporta che la corte d’appello e’ incorsa in una ulteriore violazione di legge; c) degli articoli 809, 1363, 1364 e 1366 c.c., per avere la corte d’appello, puramente e semplicemente, escluso che la rinuncia alla prescrizione costituisca donazione indiretta, laddove, al contrario, la rinuncia ad un diritto al fine di avvantaggiare un terzo costituisce una donazione indiretta ove tra la rinuncia e l’arricchimento vi sia un nesso di causalita’; nel caso di specie, peraltro, ha aggiunto la ricorrente, la rinuncia alla prescrizione fatta da (OMISSIS) nel 19998 non trova alcun bilanciamento in una controprestazione in suo favore da parte di (OMISSIS): (OMISSIS), infatti, ha rinunciato alla prescrizione ed, in piu’, ha attribuito a (OMISSIS) l’intera eredita’ del padre. La rinuncia al diritto alla prescrizione, quindi, non trovando alcun bilanciamento in una controprestazione, costituisce, a norma dell’articolo 809 c.c., una donazione indiretta. La sentenza della corte d’appello, nella misura in cui ha escluso la donazione indiretta dinanzi ad una rinuncia alla prescrizione senza alcun do ut des, e’ stata, quindi, pronunciata in contrasto con la norma prevista dall’articolo 809 c.c.. La corte d’appello, inoltre, avendo escluso che la scrittura in esame abbia configurato una donazione indiretta sulla base di elementi extracontrattuali, come il presunto ed insussistente accordo tra le sorelle, risulta in contrasto con gli articoli 1363, 1364 e 1366, nella misura in cui dal combinato disposto di tali norme si ricava che il contratto dev’essere interpretato alla luce delle clausole e degli elementi che emergono dal contatto e non da elementi allo stesso estranei; d) dell’articolo 809 c.c., per avere la corte d’appello omesso di indagare in ordine alla consapevolezza da parte di (OMISSIS) dell’insufficienza del corrispettivo rispetto a cio’ che aveva concesso, laddove, per giurisprudenza costante, la vendita, per poter essere considerata un negozio contenente anche una donazione indiretta, impone di verificare, oltre alla sproporzione tra l’entita’ delle prestazioni, anche la consapevolezza del cedente dell’insufficienza del corrispettivo ricevuto: tale omissione, ha concluso la ricorrente, comporta la violazione dell’articolo 809 c.c., trattandosi di una circostanza integrativa della norma.
6. Il motivo e’ infondato in tutte le censure nelle quali risulta articolato. Quanto alla prima, e’ sufficiente osservare che la ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di tale norma dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno dell’articolo 115 c.p.c., puo’ porsi solo allorche’ il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di la’ dei limiti in cui cio’ e’ consentito dalla legge (Cass. n. 27000 del 2016). La violazione dell’articolo 115 c.p.c., puo’ essere, cioe’, dedotta come vizio di legittimita’ solo denunciando che il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (Cass. n. 11892 del 2016). La ricorrente, invece, ha, in sostanza, dedotto che la corte d’appello, quando ha ritenuto che l’accordo trasfuso nella scrittura privata del 1998 fosse in realta’ “risalente” rispetto alla data del documento, abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento delle prove “agli atti del processo”, formulando cosi’ una censura deducibile in sede di legittimita’ unicamente ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo in vigore ratione temporis, vale a dire come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti: ferma restando l’impossibilita’ di richiedere alla Corte di cassazione di sostituirsi ai giudici del merito per procedere ad un nuovo esame degli apprezzamenti di fatto a quelli solo spettanti. Il compito di questa Corte, infatti, non e’ quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, del resto, un’attivita’ riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Ne’ risulta fondata la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., configurabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da tale disposizione (Cass. n. 1606 del 2017, in motiv.; Cass. n. 15107 del 2013): e non, invece, laddove, come nella specie, l’oggetto della censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimita’, entro i ristretti limiti previsti dall’articolo 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 13395 del 2018). Infondata, poi, e’ la dedotta violazione degli articoli 1325 e 1350 c.c.. La corte d’appello, infatti, come in precedenza osservato, ha accertato, in fatto, che, nella scrittura del 1998, “le contraenti hanno inequivocamente espresso la loro concorde volonta’ di permutare la meta’ degli immobili ereditari con quanto (OMISSIS) poteva aver ritratto dall’uso esclusivo dell’abitazione, che era comune alla sorella”. Ora, se, da un lato, e’ vero che i contratti che trasferiscono la proprieta’ di beni immobili devono essere stipulati per iscritto a pena di nullita’ (articolo 1350 c.c., n. 1): e’ anche vero, pero’, dall’altro lato, che, ai fini del rispetto della forma scritta, e’ sufficiente, com’e’ accaduto nel caso di specie, la scrittura privata, anche se non autenticata. Del resto, pur se la scrittura avesse integrato una donazione indiretta, va ricordato che il regime formale della forma solenne (fuori dai casi di donazione di modico valore di cosa mobile, dove, ai sensi dell’articolo 783 c.c., la forma e’ sostituita dalla traditio) e’ esclusivamente proprio della donazione tipica: per la validita’ delle donazioni indirette, invece, non e’ richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per l’atto o gli atti (nella specie la permuta di diritti immobiliari, per la quale basta la forma scritta a norma dell’articolo 1552 c.c. e articolo 1350 c.c., nn. 1 e 2 e la rinunzia alla prescrizione, per la quale, a norma dell’articolo 2937 c.c., e’ sufficiente che l’atto risulti da un fatto incompatibile con la volonta’ di valersene) utilizzati per realizzare lo scopo di liberalita’, dato che l’articolo 809 c.c., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalita’ realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’articolo 769 c.c., non richiama l’articolo 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (Cass. n. 468 del 2010, in motiv.; Cass. n. 14197 del 2013; Cass. SU n. 18725 del 2017 in motiv.). Priva di fondamento, inoltre, e’ la censura fondata sulla dedotta violazione degli articoli 1363, 1364 e 1366 c.c.: la ricorrente, pur avendo contestato l’interpretazione che la corte d’appello ha dato alla scrittura privata (della quale, peraltro, non ha neppure riprodotto in ricorso il contenuto), lamentando l’inosservanza delle citate disposizioni normative, non ha, tuttavia, indicato, con la dovuta precisione, in che modo la stessa corte le abbia violate. Eppure, com’e’ noto, il ricorrente per cassazione, che intenda censurare la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale previsti dagli articoli 1362 c.c. e segg., deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, con la specifica indicazione delle norme asseritamene violate e dei principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati (Cass. n. 27136 del 2017). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimita’, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 6125 del 2014). Quanto, infine, alla lamentata violazione dell’articolo 809 c.c., la Corte osserva come, una volta stabilito (oramai definitivamente) che: – la scrittura del 1998 ha consacrato in forma scritta un accordo tra le parti risalente nel tempo (“soltanto in forza di uni simile risalente accordo sarebbe immaginabile la cessione, a far tempo dal 1963, ad una sola delle coeredi del godimento esclusivo dell’intero fabbricato destinato ad abitazione, fino ad allora abitato anche dall’altra”); – tale accordo si e’, per l’effetto, concretizzato nello scambio (“le contraenti hanno inequivocamente espresso la loro concorde volonta’ di permutare”) tra il trasferimento (da parte di (OMISSIS) in favore di (OMISSIS)) del diritto di comproprieta’ dell’immobile (oltre alle somme versate su un conto corrente) e l’attribuzione (da parte di (OMISSIS) in favore di (OMISSIS)) del diritto di abitare l’intero immobile (e, precisamente, tra “la meta’ degli immobili ereditari con quanto (OMISSIS) poteva aver ritratto dall’uso esclusivo dell’abitazione, che era comune alla sorella”) a partire dal 1963 e per tutta la sua vita (“il valore costituito dal diritto esclusivo di abitazione era stato attribuito da (OMISSIS) ad (OMISSIS) sin dal 1963, dunque la rinuncia alla prescrizione da parte di (OMISSIS) faceva parte di un risalente e piu’ ampio regolamento di interessi, che ha infine assunto la veste di scrittura privata”); – tra tali attribuzioni reciproche non v’e’ stata alcuna sproporzione (“dal momento che era semmai il valore cui rinunciava (OMISSIS) ad essere superiore all’altro”); risulti evidentemente impossibile la configurazione delle relative pattuizioni in termini di donazione indiretta: la quale, infatti, nei contratti di scambio, e’ configurabile solo a condizione che le parti abbiano volutamente stabilito un corrispettivo di gran lunga inferiore rispetto a quello che sarebbe dovuto, con l’intento (desumibile anche dalla stessa notevole entita’ della sproporzione tra il valore reale del bene e la misura del corrispettivo) di arricchire la parte acquirente per quella parte eccedente il corrispettivo pattuito (Cass. n. 23215 del 2010, in motiv.; conf., Cass. n. 23297 del 2009; Cass. n. 1955 del 2007; Cass. n. 19601 del 2004).
(OMISSIS)
(OMISSIS)Filidei Gianna (OMISSIS)Filidei Anna (OMISSIS)
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(OMISSIS)
(OMISSIS)
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