La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 2 maggio 2019, n. 11556.

La massima estrapolata:

La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 1438 cod. civ., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto, situazione che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia iniquo ed esorbiti dall’oggetto di quest’ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordinamento

Ordinanza 2 maggio 2019, n. 11556

Data udienza 21 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 4038/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3744/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 22/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/02/2019 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 22 ottobre 2014 la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato per violenza morale il contratto concluso il 26 maggio 2006 e l’atto di costituzione di ipoteca del 13 settembre 2006, ordinando la cancellazione dell’ipoteca stessa.
Ha ritenuto la corte territoriale, per quanto ancora rileva, che la violenza morale che indusse il (OMISSIS) alla conclusione del negozio transattivo ed alla costituzione dell’ipoteca e’ consistita nella minaccia del protesto dell’assegno di Euro 349.240,00, emesso in bianco in favore del (OMISSIS) e da questi riempito in violazione del patto di riempimento: cio’, in ragione dell’insussistenza del debito portato dal titolo, convincimento cui la corte del merito e’ giunta sulla base dei documenti, delle dichiarazioni rese dal prenditore in sede di interrogatorio formale e delle prove testimoniali raccolte.
Avverso questa sentenza propone ricorso la parte soccombente, affidato a sette motivi. Resiste l’intimato con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il difensore del ricorrente ha reso noto il venir meno della parte e di avere “dismesso” il mandato, come comunicato agli eredi.
Al riguardo, occorre ricordare il principio affermato dalle Sezioni unite (Cass., sez. un., 4 luglio 2014, n. 15295), secondo cui sussiste la regola dell’ultrattivita’ del mandato alla lite, per il quale la parte va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace: principio valido anche nell’ipotesi in cui il soggetto abbia gia’ munito il proprio difensore della procura speciale ed egli abbia gia’ notificato il ricorso, dovendosi quindi reputare legittimato alle ulteriori difese proprio in virtu’ dell’ultrattivita’ del mandato speciale (si veda, pur con riguardo al controricorso, Cass. 14 ottobre 2016, n. 20832), atteso altresi’ la regola secondo cui gli eventi interruttivi non hanno incidenza nel giudizio di cassazione, caratterizzato dall’impulso di ufficio (fra le tante, Cass. 2 febbraio 2018, n. 2625 e 14 febbraio 2017, n. 3769).
2. – Il ricorrente propone avverso la sentenza impugnata motivi di censura, che possono essere cosi’ riassunti:
1) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., L. n. 1736 del 1933, articoli 1, 2 e 25, oltre a difetto assoluto di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, in quanto l’onere di provare il patto di riempimento e la sua violazione incombeva all’emittente il titolo;
2) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., L. n. 1736 del 1933, articoli 1, 2 e 25, oltre a difetto assoluto di motivazione, in quanto la sentenza impugnata ha invertito l’onere probatorio, laddove l’emissione dell’assegno fa presumere l’esistenza del rapporto sottostante ex articolo 1988 c.c.;
3) violazione e falsa applicazione degli articoli 1988 e 2697 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., oltre a difetto assoluto di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, perche’ l’articolo 1988 c.c., prevede una presunzione di esistenza del rapporto sottostante;
4) violazione e falsa applicazione degli articoli 1993 e 2697 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., oltre a difetto assoluto di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, in quanto era onere della controparte offrire la prova del contenuto del patto di riempimento e della sua violazione;
5) violazione e falsa applicazione degli articoli 1434 e 1438 c.c., oltre a difetto assoluto di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, perche’ la violenza morale e’ integrata dalla minaccia con efficacia concreta sulla liberta’ di autodeterminazione della vittima, mentre la mera rappresentazione di un pericolo non integra la fattispecie;
6) violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., oltre a difetto assoluto di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, in quanto la corte territoriale ha erroneamente interpretato quanto dichiarato dal ricorrente in sede di interrogatorio formale, che non fu affatto in contraddizione con le proprie difese;
7) violazione e falsa applicazione dell’articolo 139 c.p.c., oltre a difetto assoluto di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo, in quanto l’atto di citazione in primo grado fu notificato presso la residenza anagrafica ex articolo 140 c.p.c., ma controparte conosceva quella reale ed egli si era costituito in giudizio dopo il decorso dei termini di cui all’articolo 183 c.p.c., producendo documenti ed articolando capitoli di prova comprovanti tale conoscenza, ma la corte d’appello ha respinto l’impugnazione incidentale facendo riferimento alla notifica dell’atto di appello, non della citazione in primo grado.
3. – I primi quattro motivi, tutti intimamente connessi e dunque da trattare congiuntamente, sono infondati.
Con essi il ricorrente lamenta la violazione delle regole sull’onere della prova, assumendo essere mancata ogni dimostrazione circa l’esistenza di un patto di riempimento dell’assegno, emesso dal (OMISSIS) in suo favore, nonche’ della violazione del patto stesso.
Al riguardo, la Corte territoriale ha pero’ affermato che la violenza morale, tale da indurre il (OMISSIS) alla conclusione del negozio transattivo ed alla costituzione dell’ipoteca, dalla Corte stessa percio’ annullati, e’ consistita nella minaccia di far levare il protesto dell’assegno di Euro 349.240,00, emesso dal (OMISSIS) in bianco in favore del (OMISSIS) e da questi riempito in violazione del patto di riempimento. La Corte del merito ha raggiunto tale convincimento in ragione della ravvisata insussistenza del debito portato dal titolo, accertamento cui e’ giunta sulla base dei documenti, delle dichiarazioni rese dal prenditore in sede di interrogatorio formale e delle prove testimoniali assunte in corso di causa.
In tal modo, la sentenza impugnata ha ritenuto dimostrato il riempimento abusivo del titolo e superata la presunzione semplice di cui all’articolo 1988 c.c., reputando raggiunta la prova dell’inesistenza del rapporto causale alla base del debito; donde l’ingiustizia della minaccia di porre il titolo in pagamento ed ottenerne il protesto, del pari reputata dal giudice del merito idonea a coartare la volonta’ del contraente, nei successivi atti di transazione e di costituzione dell’ipoteca, ai sensi dell’articolo 1438 c.c..
Tale ragionamento, se da un lato non viola le regole di diritto invocate, dall’altro lato costituisce l’esito di valutazioni in fatto interamente rimesse al giudice del merito.
Ed invero, da una parte (e multis, Cass. 15 febbraio 2017, n. 4006; Cass. 9 ottobre 2015, n. 20305; Cass. 23 agosto 2011, n. 17523), la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione di un contratto, ai sensi dell’articolo 1438 c.c., qualora sia diretta a conseguire un vantaggio ingiusto, il che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia anche esorbitante ed iniquo rispetto all’oggetto di quest’ultimo e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordinamento.
Dall’altra parte, i predetti motivi, pur sotto l’egida del vizio di violazione di legge o di omesso esame, mirano in verita’ non a censurare una interpretazione delle norme non conforme a diritto, ma a riproporre in questa sede un inammissibile esame del merito.
Ne’ (al pari che per tutti i rimanenti motivi, i quali insistono in simili censure) ricorre affatto un preteso vizio di motivazione, inteso come assenza assoluta di essa e violazione del c.d. minimo costituzionale necessario, secondo i parametri esposti da questa Corte (per tutte, Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053), o viene adeguatamente censurato un omesso esame di fatto decisivo, neppure adeguatamente nei motivi individuato.
4. – Il quinto motivo del pari impinge in un giudizio sul fatto, pretendendo di censurare la valutazione circa la violenza morale, integrata da minaccia ingiusta, nella specie dalla corte del merito positivamente riscontrata.
5. – Il sesto motivo e’ inammissibile, pretendendo di sindacare l’apprezzamento delle prove, rimesso al giudizio insindacabile della corte del merito.
6. – Il settimo motivo e’ inammissibile, non essendo la violazione dedotta censurata come error in procedendo, ne’ come omessa pronuncia, e nemmeno avendo il ricorrente individuato il pregiudizio che gli sarebbe derivato dalla pretesa violazione della norma invocata, atteso il principio consolidato secondo cui (e plurimis, Cass. 2 febbraio 2018, n. 2626; Cass. 9 luglio 2014, n. 15676) “I vizi dell’attivita’ del giudice che possano comportare la nullita’ della sentenza o del procedimento, rilevanti ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarita’ dell’attivita’ giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato error in procedendo, con conseguente onere dell’impugnante di indicare il danno concreto arrecatogli dall’invocata nullita’ processuale”: onde, quando il ricorrente non chiarisce quale pregiudizio sia derivato alla sua difesa dalla situazione censurata, il motivo e’ inammissibile.
7. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.
Dichiara che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

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