Maltrattamenti, sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 22 ottobre 2018, n. 48085.

La massima estrapolata:

In ordine al reato di cui all’art. 572 c.p., sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, per la sussistenza dello stesso non e’ necessario che l’agente abbia perseguito particolari finalita’ ne’ il proposito di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali senza plausibile motivo, essendo invece sufficiente il dolo generico cioe’ la coscienza e volonta’ di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo ed abituale; non e’, quindi, richiesto un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto; essendo l’elemento unificatore dei singoli episodi costituito da un dolo unitario, e pressoche’ programmatico, che abbraccia e fonde le diverse azioni; esso consiste nell’inclinazione della volonta’ ad una condotta oppressiva e prevaricatrice che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attivita’ illecita, posta in essere gia’ altre volte; esso e’, percio’ costituito da una condotta abituale che si estrinseca con piu’ atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualita’ ed avvinti nel loro svolgimento dall’unica intenzione criminosa di ledere l’integrita’ fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioe’, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze.

Sentenza 22 ottobre 2018, n. 48085

Data udienza 12 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. VIGNA Mar – Rel. Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/02/2018 della CORTE APPELLO di SALERNO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Vigna Maria Sabina;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. Iacoviello Francesco Mauro che ha chiesto il rigetto del ricorso del ricorso;
udito il difensore della parte civile avvocato (OMISSIS) del foro di Salerno che ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore dell’imputato, avvocato (OMISSIS) del foro di Roma in sostituzione dell’avvocato (OMISSIS) che si e’ riportato ai motivi del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale locale in data 15 settembre 2016 – con la quale era pronunciata sentenza di non doversi procedere per prescrizione nei confronti di (OMISSIS) in relazione ai reati di lesione (capo B) e di assoluzione dal reato di maltrattamenti (capo A) perche’ il fatto non sussiste – dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato per intervenuta prescrizione in ordine al reato di lesioni commesso il (OMISSIS), cosi’ scissa la originaria imputazione di cui al capo B), affermava la penale responsabilita’ del (OMISSIS) per i restanti reati e lo condannava alla pena di mesi dieci di reclusione, concesse le attenuanti generiche ed operato l’aumento per la continuazione.
L’imputato era, altresi’, condannato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile (OMISSIS).
1.1. Nella sentenza impugnata si da atto di avere proceduto, in conformita’ ai dettami della sentenza Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267492, a nuova escussione della parte offesa la quale aveva interamente confermato le accuse precedentemente mosse al marito, in ordine ai maltrattamenti subiti, psicologici – con ingiuria, minacce, assillanti controlli sul luogo di lavoro – e fisici, con schiaffi e percosse.
La Corte territoriale ha ritenuto, al contrario del giudice di primo grado, le dichiarazioni della parte offesa coerenti e credibili ed ha evidenziato la minuziosita’ e analiticita’ con le quali la persona offesa ha descritto il tipo di violenze subite in occasione delle lesioni di cui ai certificati medici, senza che nessuna contraddizione evidente con altre precedenti dichiarazioni potesse essere ritenuta sussistente se non in relazione a particolari del tutto irrilevanti (uno schiaffo o un pugno, per esempio).
La Corte ha anche ritenuto che il fatto che la parte offesa non rientrasse a casa puntualmente la sera o che potesse intrattenere una relazione extraconiugale, nulla poteva rilevare in ordine alla evidente mancanza di qualsiasi giustificazione relativa all’uso di una cosi’ grave forma di violenza domestica.
Quanto al reato di lesioni la Corte ritenuto fondato il gravame interposto dal Pubblico ministero e dalla parte civile posto che, tenuto conto delle sospensioni di cui all’articolo 159 c.p., non era decorso, al momento della pronuncia della sentenza, per nessuno dei tre episodi contestati il termine di sette anni e mezzo; al momento della pronuncia d’appello, invece, l’episodio del (OMISSIS) era da dichiararsi prescritto.
2. Il ricorrente, con motivi affidati al difensore di fiducia e di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., chiede l’annullamento della sentenza impugnata perche’ inficiata da plurimi vizi di violazione di legge e motivazionali. Denuncia, in particolare:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 572 c.p., e all’articolo 192 c.p.p..
La Corte di appello non ha esternato alcuna motivazione in ordine alla abitualita’ che avrebbe caratterizzato il comportamento dell’imputato. Nel corso dell’istruttoria, inoltre, non e’ emersa alcuna prova della sottoposizione della parte civile a un regime di vita vessatorio ed umiliante, emergendo, di contro, la liberta’ di vita di cui la predetta godeva.
La Corte, poi, con la sentenza impugnata, ha illegittimamente ribaltato la sentenza di proscioglimento pronunciata in primo grado senza confutarne adeguatamente gli argomenti, ritenendo, erroneamente, attendibili le dichiarazioni della persona offesa.
2.2. Violazione di legge in relazione alla improcedibilita’ della richiesta della parte civile ex articolo 572 c.p.p..
Dall’atto di appello ai soli effetti della responsabilita’ civile, emerge che l’avvocato (OMISSIS) dichiarava di agire quale difensore e procuratore speciale di (OMISSIS) parte civile costituita nel procedimento penale indicato.
In tema di impugnazione della parte civile, la presunzione del conferimento del mandato alle liti per un solo grado nel processo puo’ essere superata da una diversa manifestazione di volonta’, la quale deve emergere dal mandato previsto dall’articolo 100 c.p.p., e non puo’ essere ritrattata ne’ dal contenuto delle procure previste dagli articoli 76 e 122 c.p.p., ne’ da circostanze esterne quale la presenza fisica della parte civile all’udienza tenutasi davanti alla Corte di appello, non essendo contemplato il potere della parte di ratificare l’operato del difensore non legittimato.
3. Con memoria depositata il 26 giugno 2018, l’avvocato (OMISSIS), nella qualita’ di difensore e procuratore speciale di (OMISSIS) evidenziava quanto segue:
3.1. Il ricorso proposto dalla difesa dell’imputato ha ad oggetto esclusivamente le statuizioni relative al capo A) dell’imputazione. Ne consegue che in ordine ai reati contestati al capo B) si e’ formato un giudicato parziale.
3.2. L’impugnazione autonoma proposta avverso la sentenza di primo grado dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Salerno rende inammissibile il secondo motivo di ricorso proposto dal difensore dell’imputato per difetto di interesse. In ogni caso il motivo di ricorso e’ infondato atteso che dalla interpretazione della procura alle liti si puo’ desumere la volonta’ della parte di conferire al suo difensore anche il potere di proporre impugnazione in ogni stato e grado del procedimento.
3.3. La sentenza impugnata, contrariamente a quanto assume la difesa, ha chiarito in modo completo ed esaustivo che, dalla escussione della persona offesa in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, sono emersi, da un lato, la sistematicita’ e la ripetitivita’ delle azioni lesive della liberta’ fisica e della liberta’ morale della stessa e dall’altro uno stato di perdurante ansia, preoccupazione e allarme a causa dei ripetuti atteggiamenti violenti prevaricatori dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ manifestamente infondato e, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
2. Mette conto rilevare che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, la motivazione della sentenza d’appello che riformi in senso radicale la decisione di primo grado si caratterizza per un obbligo peculiare e “rafforzato” di tenuta logico-argomentativa, che si aggiunge a quello generale della non apparenza, non manifesta illogicita’ e non contraddittorieta’, desumibile dalla formulazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) (Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012, Rv. 253718; Sez. 6, n. 1266 del 10/10/2012, dep. 10/01/2013, Rv. 254024; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Rv. 254113).
In particolare, la sentenza di appello che ribalta il giudizio assolutorio deve confutare specificamente le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilita’ sul piano logico e giuridico degli argomenti piu’ rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa in sede di appello, e deve, quindi, corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 16/02/2006, Rv. 233083; Sez. Un., n. 45276/2003, Andreotti; nell’ambito dello stesso ordine di idee v., inoltre, Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, secondo cui “il giudice di appello che riformi totalmente la sentenza di primo grado, sostituendo alla pronuncia di assoluzione quella di condanna dell’imputato, e’ tenuto a dimostrare in modo rigoroso l’incompletezza o l’incoerenza della prima”).
In definitiva, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i piu’ rilevanti argomenti contenuti nella motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, e non puo’, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perche’ ritenuta preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, dep. 20/02/2013, Rv. 254638).
2.1. Cio’ premesso, la censura del ricorrente che lamenta l’assenza di motivazione rafforzata non coglie nel segno, posto che la Corte di appello di Salerno si e’ approfonditamente soffermata, superandoli, sui punti ritenuti critici dal giudice di primo grado.
2.1.1. Ed invero, i giudici di secondo grado hanno esplicitato le ragioni per le quali le dichiarazioni di (OMISSIS), la quale ha confermato in appello le accuse precedentemente mosse al marito, in ordine ai maltrattamenti subiti sia psicologici – con ingiurie, minacce assillanti, controlli sui luoghi di lavoro – che fisici, con schiaffi e percosse, debbano ritenersi credibili, in quanto intrinsecamente attendibili e confortate da riscontri esterni quali i certificati medici.
Le considerazioni svolte sul punto si accordano perfettamente all’insegnamento espresso da questo giudice di legittimita’ a Sezioni Unite, secondo cui le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3 non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Cass. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
I Giudici di secondo grado hanno, inoltre, sottolineato come non sia ravvisabile alcuna contraddizione con altre precedenti dichiarazioni della vittima, se non su particolari del tutto irrilevanti (come avere ricevuto un pugno anziche’ un calcio).
La Corte d’appello ha, infine, puntualmente chiarito che la parte offesa non e’ caduta in contraddizione nell’affermare nella querela sporta nel (OMISSIS) che la convivenza con il marito era divenuta intollerabile da diversi anni e nel riferire poi in dibattimento che il rapporto si era incrinato nel (OMISSIS).
E’ del tutto logico e comprensibile che il clima di violenza fisica e psicologica all’interno del matrimonio non sia peggiorato all’improvviso, in un anno specifico, ma si sia evoluto gradatamente verso espressioni sempre piu’ gravi di maltrattamenti.
Tali conclusioni – ad avviso del Collegio – sono state correttamente e logicamente tratte dai giudici di secondo grado.
2.2. Altrettanto incensurabile e’ la motivazione svolta allorche’ si e’ ritenuta integrata la fattispecie di cui all’articolo 572 c.p.: la vicenda, come ricostruita in narrativa e corredata da precisi riferimenti probatori, si appalesa infatti correttamente sussunta nella fattispecie incriminatrice, e cio’ anche con riguardo allo specifico aspetto della abitualita’ delle condotte maltrattanti.
Sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, deve evidenziarsi che la giurisprudenza e’ costante nel ritenere che per la sussistenza dello stesso non e’ necessario che l’agente abbia perseguito particolari finalita’ ne’ il proposito di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali senza plausibile motivo, essendo invece sufficiente il dolo generico cioe’ la coscienza e volonta’ di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo ed abituale (Sez. 6, n. 1067 del 3 luglio 1990, Rv. 186275, Soru); non e’, quindi, richiesto un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto; essendo l’elemento unificatore dei singoli episodi costituito da un dolo unitario, e pressoche’ programmatico, che abbraccia e fonde le diverse azioni; esso consiste nell’inclinazione della volonta’ ad una condotta oppressiva e prevaricatrice che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attivita’ illecita, posta in essere gia’ altre volte (Sez. 6, n. 468 del 06/11/1991 dep. 20/01/1992 Rv. 188931, Faranda); esso e’, percio’ costituito da una condotta abituale che si estrinseca con piu’ atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualita’ ed avvinti nel loro svolgimento dall’unica intenzione criminosa di ledere l’integrita’ fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioe’, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze.
Di tali principi la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione sottolineando la sussistenza di una precisa determinazione del ricorrente a sottoporre la (OMISSIS) a vessazioni morali – e talvolta fisiche – di accertata offensivita’.
3. Quanto al secondo motivo, deve evidenziarsi che le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che e’ legittimato a proporre appello il difensore della parte civile munito di procura speciale (mandato alle liti) anche se non contenente espresso riferimento al potere di interporre il detto gravame, posto che la presunzione di efficacia della procura “per un solo grado del processo”, stabilita dall’articolo 100 c.p.p., comma 3, puo’ essere vinta dalla manifestazione di volonta’ della parte – desumibile dalla interpretazione del mandato – di attribuire anche un siffatto potere (Sez. U, n. 44712 del 27/10/2004 Rv. 229179).
Tale manifestazione di volonta’ e’ ravvisabile nel caso in esame. Ed, infatti, con la procura speciale ex articolo 100 c.p.p., la parte offesa ha espressamente attribuito al difensore “ogni e piu’ ampia facolta’ di legge inerente al mandato sia nel presente grado di giudizio che in quelli eventualmente successivi”.
A prescindere da cio’, il motivo di ricorso e’ inammissibile per carenza di interesse in considerazione del fatto che anche il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Salerno aveva interposto appello avverso la sentenza di primo grado.
4. Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, deve, altresi’, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara’ separatamente liquidata dal giudice di merito, disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

Avv. Renato D’Isa

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