Cassazione 15

Suprema Corte di Cassazione

sezione III
sentenza 3 maggio 2016, n. 8640

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20842/2011 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS) in (OMISSIS), domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 285/2011 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 23/06/2011, R.G.N. 284/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2015 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. Con sentenza del 23 giugno 2011 la Corte d’Appello di Trieste ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso l’ordinanza del 6 marzo 2009 con cui il Giudice dell’Esecuzione presso il Tribunale di Trieste aveva provveduto sul ricorso ai sensi dell’articolo 612 c.p.c., introdotto da (OMISSIS) e (OMISSIS) per ottenere la determinazione delle modalita’ di esecuzione di una sentenza resa inter partes all’esito di un procedimento possessorio.

p.1.1. L’appello era stato proposto dai ricorrenti nel presupposto che il Giudice dell’Esecuzione avesse pronunciato una sentenza in senso sostanziale, per avere travalicato i limiti dei poteri inerenti il procedimento ai sensi dell’articolo 612 c.p.c..

La Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’appello sulla base di due autonome rationes decidendi, negando con la prima che l’ordinanza avesse assunto l’invocato carattere di sentenza in senso sostanziale e rilevando con la seconda che, se anche cosi’ fosse stato, il provvedimento, in ragione della sua pretesa natura decisoria di una sostanziale opposizione all’esecuzione, sarebbe stato ricorribile in Cassazione e non appellabile, giusta il regime dell’articolo 616 c.p.c., introdotto dalla L. n. 52 del 2006, articolo 14, che era applicabile in relazione alla data di pronuncia dell’ordinanza impugnata.

p.2. Al ricorso per cassazione hanno resistito con controricorso congiunto il (OMISSIS) e la (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione degli articoli 612, 323 e 339 c.p.c., e articolo2909 c.c.”, censurando la ratio decidendi enunciata in via preliminare dalla sentenza impugnata nel senso di escludere che l’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione di Trieste rivestisse i caratteri della sentenza in senso sostanziale legittimanti la sua impugnazione per il suo carattere decisorio.

Con il secondo motivo, denunciante “violazione e falsa applicazione degli articoli 612, 323 e 339 c.p.c.”, ci si duole dell’altra ulteriore ratio decidendi con cui la Corte giuliana ha rilevato che, quando pure all’ordinanza fosse stato attribuibile il carattere di sentenza in senso sostanziale, nel regime dell’articolo 616 c.p.c., introdotto dalla L. n. 52 del 2006, articolo 14, il provvedimento non avrebbe avuto natura di sentenza appellabile, bensi’, quale decisione resa su una controversia di sostanziale opposizione all’esecuzione, natura di sentenza assoggettabile in via diretta al ricorso per cassazione.

p.2. Il Collegio rileva che e’ logicamente preliminare l’esame del secondo motivo, posto che il problema del rimedio esperibile contro un provvedimento si pone prima di quello della sua effettiva consistenza di provvedimento impugnabile, per la sua natura, dinanzi al giudice davanti al quale e’ stato svolto il mezzo di impugnazione prescelto.

Infatti, l’esercizio del diritto di impugnazione con la scelta di un mezzo piuttosto che di un altro postula da parte di chi impugna un’attivita’ preliminare astratta relativa alla collocazione del provvedimento nella categoria per cui e’ previsto il mezzo di impugnazione prescelto, mentre l’attivita’ relativa alla ricognizione nel provvedimento, una volta compiuta quella di individuazione del mezzo astrattamente esperibile, dell’esistenza dei caratteri richiesti per l’esperibilita’ del mezzo prescelto si colloca dopo e cio’ anche dal punto di vista del giudice investito dell’impugnazione.

Egli, infatti, deve prima domandarsi se astrattamente la legge prevede che il provvedimento, secondo i caratteri e la natura che avrebbe ad avviso dell’impugnante, sarebbe soggetto al mezzo di impugnazione prescelto, e solo dopo, esaurito positivamente tale riscontro, domandarsi se quei caratteri e quella natura sussistano.

p.3. Tanto premesso, il Collegio osserva che e’ esatta la seconda ratio decidendi con cui la Corte triestina ha giustificato l’inammissibilita’ dell’appello, adducendo che l’ordinanza, siccome dagli appellanti prospettata come sentenza in senso sostanziale risolutiva di questioni che avrebbero dovuto decidersi con una sentenza su opposizione all’esecuzione, per avere il Giudice dell’esecuzione travalicato i limiti del potere di cui all’articolo 612 c.p.c., avrebbe dovuto impugnarsi con il ricorso per cassazione.

Cio’, in quanto in relazione alla data di pronuncia dell’ordinanza il regime di impugnazione delle decisioni sulle opposizioni all’esecuzione sancito dal testo dell’articolo 616, applicabile era quello dell’assoggettabilita’ a ricorso straordinario per cassazione si sensi dell’articolo 111, settimo comma, della Costituzione, attesa la proclamazione di inimpugnabilita’ della sentenza di decisione sull’opposizione, prevista dallo stesso articolo 616 c.p.c..

La Corte territoriale ha invocato la giurisprudenza di questa Corte che aveva affermato tale principio per le sentenze di decisione sotto quel regime delle opposizioni all’esecuzione.

p.3.1. Il Collegio rileva che questa Corte aveva enunciato espressamente tale principio nell’ordinanza n 19605 del 2010.

In tale decisione si era rilevato innanzitutto che la consolidata giurisprudenza, secondo cui “in tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, il provvedimento con cui il giudice determina le modalita’ dell’esecuzione, ancorche’ emesso in forma di ordinanza (come espressamente indicato nell’articolo 612 c.p.c.), ove dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilita’ dell’azione esecutiva intrapresa, ha natura sostanziale di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, cioe’ su una opposizione all’esecuzione ex articolo 615 cod.proc.civ., proposta dall’esecutato o rilevata d’ufficio dal giudice, ed e’ pertanto impugnabile con l’appello” (Cass. n. 16471 del 2009, da ultimo; in precedenza e senza risalire ulteriormente nel tempo: Cass. n. 24808 del 2008; n. 3992 del 2003, n. 3990 del 2003; n. 1071 del 2000; n. 5672 del 1997) (…) in sostanza, interpretava l’insorgenza di contestazioni sulla portata del titolo esecutivo come determinativa dell’assunzione da parte del procedimento di esecuzione ai sensi dell’articolo 612 c.p.c., sul punto di carattere di procedimento cognitivo in ordine ad una contestazione sull’i dell’esecuzione e, quindi, della natura, in parte qua, propria dell’opposizione all’esecuzione”.

Dopo di che detta decisione aveva osservato che “la situazione oggi esistente (scilicet quella di applicabilita’ del testo dell’articolo 616 c.p.c., introdotto dalla L. n. 52 del 2006, articolo 14) e’ diversa. Invero, poiche’ il mezzo di impugnazione esperibile contro le sentenze rese sull’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., era, prima della sostituzione dell’articolo 616 c.p.c., operata dalla L. n. 52, articolo 14, del Decreto Legislativo n. 40 del 2006, l’appello e non come, successivamente a detta sostituzione e fino alla soppressone dell’ultimo inciso dell’articolo 616 c.p.c., da parte della L. n. 69 del 2009, articolo 49, comma 2, (soppressione applicabile ai procedimenti pendenti in primo grado all’atto dell’entrata in vigore della legge: articolo 58, comma 2) il ricorso per cassazione, detta giurisprudenza risultava pienamente spiegabile la’ dove rifiutava l’accesso al ricorso ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 7. Viceversa, nel periodo di vigenza dell’articolo 616 nel testo sostituito dalla L. n. 52 del 2006 e, quindi, in relazione a provvedimenti emessi a far tempo dal 1 marzo 2006 e fino a tutto il 3 luglio 2009, poiche’ il mezzo normale di impugnazione delle sentenze rese nel giudizio di opposizione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., era diventato il ricorso straordinario, stante la proclamazione della inimpugnabilita’ della sentenza figurante nell’ultimo inciso della norma, la ricordata giurisprudenza – il cui ultimo precedente non a caso concerne un provvedimento pronunciato prima del 1 marzo 2006 e, quindi, soggetto al regime dell’articolo 616, ante riforma del 2006 – comportava che l’individuazione del mezzo ordinario esperibile era il ricorso per cassazione e non piu’ l’appello”.

A condizione, naturalmente, che l’ordinanza formalmente emessa ai sensi dell’articolo 612 c.p.c., nella sostanza avesse assunto caratteri di decisorieta’, dovendosi l’impugnabilita’ come sentenza in senso sostanziale altrimenti negarsi e riconoscersi carattere soltanto ordinatorio al provvedimento.

Questione sulla quale l’ordinanza citata, che decideva un caso in cui era stato proposto ricorso per cassazione, si soffermo’ poi, per affermare, condivivendo le argomentazioni della relazione ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., i seguenti principi di diritto: “In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, nel regime delle opposizioni all’esecuzione introdotto dalla L. n. 52 del 2006, qualora si assuma che il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione ha provveduto sulla richiesta di determinazione delle modalita’ dell’esecuzione, ancorche’ emesso in forma di ordinanza (come espressamente indicato nell’articolo 612 c.p.c.), abbia in realta’ risolto una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilita’ dell’azione esecutiva intrapresa, cosi’ decidendo su un’opposizione all’esecuzione introdotta nell’ambito del procedimento, non e’ impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione sull’assunto che abbia natura sostanziale di sentenza decisiva dell’opposizione, ove il provvedimento stesso non abbia chiuso il giudizio davanti al detto giudice, come quando abbia deciso sulle spese, bensi’, non avendo fissato il termine per l’iscrizione della causa a ruolo previsto dall’articolo 616 c.p.c., e’ suscettibile di una richiesta di integrazione a questo scopo ai sensi dell’articolo 289 c.p.c., oppure puo’ essere seguito da una diretta iniziativa di iscrizione a ruolo della parte interessata. Analogamente, nel regime dell’articolo 616 c.p.c., introdotto dalla L. n. 69 del 2009, con il ripristino dell’appellabilita’ della sentenza decisiva dell’opposizione, il suddetto provvedimento non e’ appellabile (salva sempre l’ipotesi di chiusura del procedimento con la statuizione sulle spese), ma e’ suscettibile di una richiesta di integrazione con la fissazione del termine per l’iscrizione a ruolo, oppure puo’ essere seguito dall’iniziativa della parte interessata di iscrivere a ruolo la causa”. “In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, nel regime delle opposizioni agli atti introdotto dalla L. n. 52 del 2006, il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione ha provveduto sulla richiesta di determinazione delle modalita’ dell’esecuzione, risolvendo contestazioni insorte fra le parti in ordine a tale determinazione, non e’ direttamente impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione sull’assunto che abbia natura sostanziale di sentenza decisiva di un’opposizione agli atti, ove il provvedimento stesso non abbia chiuso il giudizio davanti al detto giudice, come quando abbia deciso sulle spese, bensi’, non avendo fissato il termine per l’iscrizione della causa a ruolo previsto dall’articolo 616 c.p.c., comma 2, e’ suscettibile di una richiesta di integrazione a questo scopo ai sensi dell’articolo289 c.p.c., oppure puo’ essere seguito da detta iscrizione anche d’iniziativa della parte interessata”.

p.3.2. Ora, e’ palese che l’applicazione delle enunciazioni di Cass. (ord.) n. 19605 del 2010 (cui si aggiunga Cass. n. 17314 del 2015) evidenzia l’esattezza della seconda ratio decidendi adottata dalla Corte territoriale e, quindi, l’infondatezza del secondo motivo, giacche’ l’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione di Trieste, se avesse assunto carattere decisorio, sarebbe stata impugnabile con il ricorso per cassazione e non con l’appello.

Va detto anzi che la successiva giurisprudenza della Corte, sempre nel regime dell’articolo 616 c.p.c. che prevedeva l’inimpugnabilita’ e, quindi, la ricorribilita’ in cassazione della sentenza resa sull’opposizione all’esecuzione, con riferimento all’ipotesi in cui il giudice dell’esecuzione avesse definito l’opposizione con l’ordinanza emessa a chiusura della fase sommaria senza fissare il termine per l’inizio della causa di merito, provvedendo anche sulle spese, ha ritenuto che comunque non fosse esperibile il ricorso straordinario ma sempre possibile l’introduzione del giudizio di merito (si veda Cass. (ord.) n. 22503 del 2011).

L’applicazione del principio – tanto nel regime di ricorribilita’ per cassazione che in quello di appellabilita’, ora ripristinata, delle sentenze sulle opposizioni all’esecuzione – puo’ ora, nella contemplazione della struttura dell’opposizione all’esecuzione articolata in una fase sommaria ed una fase a cognizione piena da iniziarsi nel temine concesso dal giudice dopo l’esaurimento della prima ed in difetto di concessione del termine introducibile comunque dalla parte interessata, condurre ad una soluzione nuova.

Essa e’ nel senso che l’ordinanza emessa ai sensi dell’articolo 612 c.p.c., che illegittimamente abbia assunto il carattere oggettivo di risoluzione di una contesa fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilita’ dell’azione esecutiva intrapresa e dunque abbia esorbitato dal profilo funzionale dell’istituto di cui alla norma, non e’ mai considerabile come una sentenza in senso sostanziale decisiva di un’opposizione all’esecuzione e, dunque, impugnabile con il mezzo di impugnazione della sentenza che decida una simile opposizione, ma da’ luogo – e cio’ anche qualora in essa si siano liquidate le spese giudiziali – alla conseguenza che la parte interessata, assumendo il provvedimento carattere di decisione soltanto sommaria, consideri l’ordinanza come definitiva della fase sommaria di un’opposizione all’esecuzione e, pertanto, possa tutelarsi introducendo un giudizio di merito ex articolo 616 c.p.c..

Questa e’ la ricostruzione (gia’ adombrata da Cass. n. 19605 del 201, gia’ citata e ribadita come possibile da Cass. n. 17314 del 2014, nel paragrafo 4 della sua motivazione) che ora deve ritenersi corretta nell’attuale assetto normativo dell’opposizione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c..

Nel caso di specie, peraltro, il nuovo principio di diritto non giuoca nessuna rilevanza ai fini della decisione del ricorso, essendo invece assorbenti le ragioni del decidere sopra enunciate.

p.3.2. Gli svolti rilievi palesano l’infondatezza del secondo motivo e, determinandosi cosi’ il consolidamento della relativa autonoma ratio decidendi a favore dell’inappellabilita’ dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione per essere il mezzo astrattamente proponibile il ricorso per cassazione, diventa inutile lo scrutino del primo motivo.

Consegue, dunque, il rigetto del ricorso.

p.4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014.

p.5. I resistenti hanno invocato l’applicazione dell’articolo 96 c.p.c., commi 1 e 3.

Il comma 3, non e’ pero’ applicabile, essendo stato introdotto dalla L. n. 69 del 2009, e trovando applicazione (articolo 58, comma 1, della legge) solo ai procedimenti iniziati in primo grado dopo la sua entrata in vigore.

Riguardo al primo comma si riscontrano i presupposti per la colpa grave nell’introduzione del ricorso per cassazione, atteso che la correttezza della decisione quanto alla inappellabilita’ di cui alla seconda ratio decidendi era gia’ supportata dal precedente di cui a Cass. (ord.) n. 19605 del 2010.

Difetta tuttavia l’allegazione stessa del danno.

Pertanto, l’istanza non puo’ essere accolta nemmeno ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 1.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro settemilaseicento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

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