L’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 53 comma 15 del d.lgs. n. 165 del 2001 produce effetti anche sui giudizi in corso

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 7 maggio 2019, n. 11953.

La massima estrapolata:

L’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 15, del d.lgs. n. 165 del 2001 (Corte cost. n. 98 del 2015) produce effetti anche sui giudizi in corso, in ragione dell’efficacia retroattiva – salva l’avvenuta formazione del giudicato – delle pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale, inibendo pertanto l’applicazione della sanzione ivi prevista a carico degli enti conferenti incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, per il caso di omessa comunicazione dei compensi corrisposti.

Ordinanza 7 maggio 2019, n. 11953

Data udienza 14 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22827/2015 R.G. proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS) s.r.l., quest’ultima in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso la medesima Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Perugia n. 85 depositata il 20 febbraio 2015;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 settembre 2018 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:
– il Tribunale di Terni, con sentenza n. 452 del 2013, decidendo sull’opposizione proposta da (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante del (OMISSIS) s.r.l., avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dall’Agenzia delle entrate con la quale veniva loro comminata la sanzione di Euro 10.712,00 per avere conferito nell’anno 2007 incarico, oltre ad erogare il relativo compenso, a (OMISSIS), dipendente pubblico del Comune di Terni, senza provvedere alle prescritte comunicazioni, l’accoglieva e per l’effetto annullava l’ordinanza per mancanza di colpa, risultando dalla fattura del (OMISSIS) che questi aveva una partita Iva, un indirizzo, un telefono e un fax, per cui era ragionevole ritenere che si trattasse di libero professionista e non gia’ di un dipendente pubblico;
– sul gravame interposto dall’Agenzia delle entrate, la Corte di appello di Perugia, nella resistenza degli appellati, accoglieva l’impugnazione, e per l’effetto respingeva l’opposizione, osservando preliminarmente che era infondata l’eccezione di tardivita’ dell’appello che, proposto ai sensi del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, correttamente era stato introdotto con ricorso, richiamato dall’articolo 2 Decreto Legislativo cit. l’articolo 434 c.p.c.; nel merito, che la semplice lettura della fattura emessa dal professionista consentiva di accertare che lo stesso era un dipendente pubblico facendo riferimento ad una ritenuta al 4% in favore dell’INPS, elemento caratteristico di soggetti aderenti ad un fondo speciale, gia’ pubblici dipendenti, non dirimente la circostanza che lo stesso fosse titolare di partita Iva;
– per la cassazione del provvedimento della Corte di appello di Perugia ricorre (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante del (OMISSIS) s.r.l., sulla base di tre motivi;
– veniva depositato dall’Agenzia delle entrate solo un “atto di costituzione” in vista della eventuale partecipazione alla discussione della causa;
– in prossimita’ dell’adunanza camerale parte ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa.
Atteso che:
– il ricorso e’ articolato in tre motivi: con il primo ed il secondo motivo di ricorso viene denunciata la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 434 c.p.c., nonche’ del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articoli 2 e 6 in ordine alla forma dell’atto introduttivo del gravame e dell’articolo 327 c.p.c. quanto alla conseguente decadenza dall’impugnazione, dell’articolo 342 c.p.c. relativamente alla forma dell’atto di appello, per avere il giudice del gravame ritenuto che le regole speciali dettate per il giudizio di primo grado non potevano ritenersi automaticamente estensibili anche a quelle di appello, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere proposto secondo la regola generale contenuta nell’articolo 342 c.p.c. e cioe’ con citazione, anche quanto al contenuto; con il terzo motivo di ricorso e’ dedotta la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, articolo 3 e dell’articolo 115 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, per avere la corte argomentato illogicamente sulla consapevolezza della condizione di dipendente pubblico del professionista, dal momento che la fattura conteneva solo elementi tipici rispetto a quelle rese da un libero professionista iscritto alla gestione separata dell’Inps; in altri termini, la indicazione dell’Iva al 4% ad avviso dei ricorrenti non sarebbe di per se’ dirimente per accertare la condizione dell’incaricato;
– tanto premesso, va rilevato che nelle more del presente giudizio di legittimita’ e’ intervenuta la sentenza 10 giugno 2015 n. 98 con la quale la Corte Costituzionale – in accoglimento di una questione di legittimita’ costituzionale sollevata dal Tribunale di Ancona in un giudizio relativo ad una fattispecie sovrapponibile a quella di cui si tratta nel presente giudizio – ha dichiarato che “e’ costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 76 Cost., il Decreto Legislativo n. 30 marzo 2001, n. 165, articolo 53, comma 15, nella parte in cui assoggetta gli enti pubblici economici e i privati che conferiscono incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, alla sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti, in caso di omessa comunicazione dell’ammontare dei compensi. La disciplina censurata non risulta riconducibile ai principi o criteri direttivi enunciati nelle leggi di delega succedutesi nel tempo, che non avevano autorizzato il legislatore delegato a prevedere sanzioni amministrative per l’inadempimento dell’obbligo di comunicazione dei compensi corrisposti. Inoltre, la censurata previsione finisce per risultare particolarmente vessatoria, atteso che la sanzione in esame si duplica rispetto a quella gia’ prevista per il conferimento degli incarichi senza autorizzazione”.
Il Giudice delle leggi e’ pervenuto a tale conclusione evidenziando che in una direttiva intesa a conferire al legislatore delegato il compito di prevedere come obbligatoria una determinata condotta, non e’ ricompresa, sempre e comunque, anche la facolta’ di stabilire eventuali correlative sanzioni per l’inosservanza dell’obbligo stesso. E’ stato aggiunto che la previsione contenuta nell’articolo 53, comma 15, cit. si risolve in una duplicazione della sanzione gia’ prevista per il conferimento degli incarichi senza autorizzazione, con un effetto moltiplicativo raccordato ad un inadempimento di carattere solo formale.
Del resto, com’e’ noto, le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno efficacia retroattiva, con l’unico limite costituito dalle situazioni consolidate ed in particolare dal giudicato, che, nella specie, non si e’ formato poiche’ il capo della decisione riguardante la legittimita’ della sanzione inflitta e’ stato specificamente e ritualmente contestato.
Poiche’ nella specie risulta essere stata contestata esclusivamente la fattispecie per la quale e’ stata dichiarata l’illegittimita’ costituzionale, la sentenza impugnata deve essere cassata (vedi, nello stesso senso: Cass. 30 giugno 2016, n. 13474), assorbite tutte le ulteriori censure formulate da parte ricorrente.
In via conclusiva la sentenza impugnata deve essere cassata per avere ritenuto correttamente inflitta la sanzione amministrativa prevista dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 53, comma 15 dichiarato costituzionalmente illegittimo.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ex articolo 384 c.p.c., comma 2, con l’annullamento della ordinanza ingiunzione opposta.
La novita’ della questione per l’affermata rilevanza del sopravvenire della pronuncia di illegittimita’ costituzionale che ha travolto le norme in base alle quali era stata emessa l’ordinanza impugnata con opposizione formale giustifica l’integrale compensazione fra le parti delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidento nel merito, annulla l’ordinanza ingiunzione impugnata;
spese dell’intero giudizio compensate.

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