Lesioni colpose aggravate e prevenzione degli infortuni sul lavoro

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|27 ottobre 2021| n. 38423.

Lesioni colpose aggravate e prevenzione degli infortuni sul lavoro.

La pena applicabile al reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ove tale circostanza aggravante sia ritenuta equivalente alle circostanze attenuanti, è quella prevista dall’art. 590, primo comma, cod. pen., e non quella prevista per i reati di competenza del giudice di pace, perché il reato accertato resta quello originariamente contestato di competenza del tribunale.

Sentenza|27 ottobre 2021| n. 38423. Lesioni colpose aggravate e prevenzione degli infortuni sul lavoro

Data udienza 19 ottobre 2021

Integrale

Tag – parola: INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI – RESPONSABILITA’ PENALE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/02/2020 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCA PICARDI;
trattato il giudizio con le modalita’ della trattazione scritta.

Lesioni colpose aggravate e prevenzione degli infortuni sul lavoro

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di condanna che, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, ha condannato (OMISSIS), in qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., alla pena di Euro 500,00 di multa per il reato di cui agli articoli 113 e 590 c.p., oltre al risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile (OMISSIS) s.r.l., nei confronti della costituita parte civile (per avere, quale committente di lavori di smantellamento di capannoni, provocato lesioni a (OMISSIS), il quale precipitava dall’alto, non essendo munito di alcun presidio anticaduta, con colpa consistita nella mancata nomina di un coordinatore per la sicurezza dei lavori e nella mancata verifica della idoneita’ tecnica della impresa incarica, in data 19 aprile 2013. Piu’ precisamente, al fine di smantellare alcuni capannoni in lamiera, ubicati su un terreno nella sua disponibilita’, la (OMISSIS) S.r.l. ha appaltato il lavoro all’impresa (OMISSIS) S.r.l., la quale a sua volta l’ha subappaltato all’impresa individuale di (OMISSIS), che, per portare a termine l’attivita’, si e’ avvalso dell’aiuto di (OMISSIS), suo conoscente. Quest’ultimo, durante la realizzazione dei lavori, su indicazione di (OMISSIS), salendo, privo di protezioni, sul tetto di uno dei capannoni, e’ caduto ed ha riportato lesioni).
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore, deducendo: 1) il difetto di motivazione in ordine al primo motivo di appello, avente ad oggetto l’assenza del profilo di colpa relativo alla omessa verifica della idoneita’ tecnico professionale della impresa incaricata ed alla rilevanza causale di tale omissione profilo rilevante ai fini non solo del trattamento sanzionatorio, ma anche dell’eventuale applicazione dell’articolo 131-bis c.p.; 2) la violazione dell’articolo 590 c.p., essendo stata applicata una pena superiore al massimo edittale di Euro 309, la cui congruita’ e’ stata giustificata in modo erroneo in considerazione della possibile conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, non disposta nel caso in esame.
3.La Procura Generale presso la Corte di cassazione e la parte civile hanno concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Preliminarmente osserva il Collegio come il reato per il quale l’imputato e’ stato tratto a giudizio, che risale al 19 aprile 2013, deve ritenersi ormai prescritto, non risultando ulteriori periodi di sospensione della prescrizione rispetto a quello collegato all’emergenza sanitaria, previsto dal combinato disposto del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articoli 2 e 4, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27.
2. Al riguardo, va precisato che l’odierno ricorso non appare inammissibile ne’ affetto da altro vizio che ne precluda l’esame nel merito (come si evidenziera’ nel prosieguo).
3. L’impugnazione proposta deve, tuttavia, essere valutata agli effetti civili, secondo quanto prescritto dall’articolo 578 c.p.p. (v. da ultimo Sez. 5, n. 24469 del 09/04/2019, Fiore, Rv. 276513 – 01, secondo cui il giudice, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale in primo grado sia intervenuta condanna anche al risarcimento del danno, e’ tenuto a decidere su tale ultima questione effettuando una piena cognitio sulla responsabilita’ dell’imputato, anche se la parte civile non abbia manifestato espressamente il proprio interesse alla trattazione del procedimento in appello e non vi abbia partecipato – fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza che, dopo aver interpellato mediante comunicazione di cancelleria la parte civile perche’ manifestasse il proprio interesse alla celebrazione del processo, in assenza di risposta, aveva dichiarato la prescrizione del reato e revocato le statuizioni civili della sentenza di primo grado).
4. Il primo motivo di ricorso, avente ad oggetto l’omessa valutazione della censura di appello relativa ad una delle condotte contestate, e’ manifestamente infondato, atteso che la sentenza impugnata ha, sia pure sinteticamente, risposto in modo congruo alla censura dell’appello avente ad oggetto le condotte colpose contestate. In particolare, in ordine all’omessa verifica dell’idoneita’ tecnica dell’impresa incaricata, la Corte territoriale, anche richiamando le argomentazioni del giudice di primo grado, ha sottolineato che l’eventuale omessa conoscenza del subappalto dei lavori e’, comunque, nel caso di specie, riconducibile alla negligenza dell’imputato, che ha sostanzialmente confermato di non aver svolto specifici controlli. A cio’ si aggiunga che la rilevanza causale dell’omessa verifica, da parte del committente, dell’idoneita’ tecnico professionale dell’appaltatore si ricava chiaramente dalla motivazione della sentenza di primo grado, che integra quella impugnata, trattandosi di doppia conforme: una verifica accurata e responsabile avrebbe comportato la scelta di altra impresa.
La decisione in esame risulta, del resto, conforme agli orientamenti della giurisprudenza di legittimita’, atteso che il committente non puo’ limitarsi a “confidare” (come prospettato nel ricorso) che l’appaltatore abbia le competenze tecniche necessarie per procedere ai lavori esclusivamente sulla base dell’accettazione dell’incarico, ma e’ tenuto ad eseguire un controllo effettivo sulla struttura organizzativa dell’impresa incaricata e sulla sua adeguatezza rispetto alla pericolosita’ dell’opera commissionata – in particolare, in caso di lavori in quota, il committente deve assicurarsi dell’effettiva disponibilita’, da parte dell’appaltatore, dei necessari dispositivi di sicurezza (v., per tutte, Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Marangio, Rv. 267744, in materia di infortuni sul lavoro, il committente ha l’obbligo di verificare l’idoneita’ tecnico professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosita’ dei lavori affidati fattispecie, relativa alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall’alto della copertura di un fabbricato, nella quale e’ stata ritenuta la responsabilita’ per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza). Si e’ pure precisato che, in materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilita’ del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l’idoneita’ tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosita’ dei lavori affidati, poiche’ l’obbligo di verifica di cui al Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 90, lettera a), non puo’ risolversi nel solo controllo dell’iscrizione dell’appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo (Sez. 4, n. 28728 del 22/09/2020, Olivieri, Rv. 280049).
Ne’ e’ pertinente, nel caso di specie, il richiamo, fatto dal ricorrente, alla procedura semplificata prevista dal secondo periodo del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 90, comma 9, lettera a), ai sensi del quale nei cantieri la cui entita’ presunta e’ inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’allegato XI, il requisito dell’idoneita’ tecnico professionale si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarita’ contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti dall’allegato XVII.
Difatti, come si ricava dalla lettera della legge, tale procedura semplificata e’ inapplicabile laddove l’appalto abbia ad oggetto lavori che comportano i rischi particolari di cui all’allegato XI, tra cui e’ espressamente compreso quello di caduta dall’alto.
5. Il secondo motivo, avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio, e’ assorbito in considerazione dell’intervenuta prescrizione del reato, non incidendo sulla valutazione del ricorso ai fini della responsabilita’ civile del ricorrente.
Per completezza, deve, tuttavia, precisarsi che tale censura, a differenza della prima, non risultava manifestamente infondata e che proprio, in considerazione di cio’, si e’ dichiarata la prescrizione del reato.
Invero, pur eliminate le circostanze aggravanti, in virtu’ del giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti generiche, il reato contestato nel presente procedimento resta quello originario (lesioni gravi commesse con violazione delle norme sulla disciplina degli infortuni sul lavoro) e non ricade in quelli di competenza del Giudice di pace. Da tale premessa consegue che la pena applicabile non e’ esclusivamente quella pecuniaria prevista dal Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 52 (multa “da lire cinquecentomila a cinque milioni”, convertiti in Euro 258 a 2.582), ma e’, tuttora, quella dell’articolo 590 c.p., comma 1, (la reclusione sino a 3 mesi o, in alternativa, la multa sino a Euro 309,00). Non puo’, difatti, ritenersi che l’articolo 590 c.p., comma 1, sia stato implicitamente abrogato dall’articolo 52 del Decreto Legislativo citato, riferendosi quest’ultima disposizione esclusivamente ai reati di competenza del Giudice di pace. Ne’ il sistema sanzionatorio cosi’ ricostruito risulta irragionevole e, quindi, in contrasto con l’articolo 3 Cost., atteso che, sebbene i reati di competenza del Giudice di pace, di disvalore sicuramente inferiore, sono puniti con una pena pecuniaria piu’ elevata, quelli di competenza del giudice superiore, di maggiore disvalore, continuano ad essere puniti anche con la pena detentiva.
Invero, la pena pecuniaria massima sino ad Euro 309,00, prevista dall’articolo 590 c.p., comma 1, avrebbe potuto essere aumentata ai sensi dell’articolo 133-bis c.p., comma 2, ai sensi del quale il giudice puo’ aumentare la multa o l’ammenda stabilite dalla legge sino al triplo o diminuirle sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa. Tuttavia, nelle motivazioni delle sentenze dei giudici di merito non vi e’ traccia ne’ dell’esercizio di tale potere ne’ di una originaria pena detentiva convertita in pena pecuniaria, sicche’ la censura in esame, lungi dall’essere inammissibile o manifestamente infondata, avrebbe dovuto essere accolta.
6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, agli effetti penali, per l’intervenuta prescrizione del reato, mentre il ricorso deve essere rigettato, agli effetti civili, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese nei confronti della parte civile.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio, agli effetti penali, la sentenza impugnata, perche’ il reato e’ estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso, ai fini civili, e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro tremila, oltre accessori come per legge.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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