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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 29 gennaio 2014, n. 1980

Svolgimento del processo

1. In data 10 ottobre 2006 M.M. , S. e C. intimavano sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida nei confronti del Comune di Oristano in relazione al rapporto di locazione avente ad oggetto l’immobile di loro proprietà, adibito dal Comune intimato a sede dell’Ufficio Circoscrizionale del Lavoro.
Nella opposizione del Comune – che deduceva la legittimità del recesso al 1^.8.06 da esso formalmente comunicato alla proprietà ex art. 27 l. 392/78 – e previo mutamento del rito, interveniva la sentenza 546/06 con la quale il tribunale di Oristano rigettava il ricorso, ritenendo legittimo tale recesso ex articolo 4 l.cit. e, comunque, per la sussistenza di gravi motivi ex articolo 27 u.c. l.cit..
Interposto gravame dalle M. , interveniva la sentenza n. 163 del 21 maggio 2009 con la quale la Corte di Appello di Cagliari confermava la sentenza del Tribunale e condannava le appellanti alla rifusione delle spese del grado.
Avverso tale sentenza veniva proposto ricorso per cassazione, mediante la formulazione di sette motivi, ai quali resisteva con controricorso il Comune di Oristano.

Motivi della decisione

2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360 1^ co. n.3 cpc, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362 ss e 1325 codice civile, per avere il giudice di appello attribuito efficacia integrativa del contratto di locazione tra le parti alla delibera dirigenziale del Comune di Oristano n. 467 del 21 ottobre 2002, nonostante che quest’ultima avesse natura di mero atto amministrativo interno, come tale non idoneo a concretare una volontà negoziale vincolante i locatori. A corredo del motivo, viene formulato il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis cpc, qui applicabile ratione temporis: “se costituisca violazione degli articoli 1362 ss codice civile e falsa applicazione dell’articolo 1325 cc l’avere il giudice a quo ritenuto che uno dei punti espressi nelle considerazioni preliminari alla determinazione dirigenziale a contrarre adottata dalla parte pubblica ai fini della stipulazione del contratto di locazione, entri a far parte dell’accordo tra le parti ed integri l’oggetto del predetto contratto di locazione, pur se: a. Le parti si siano limitate a richiamarne l’esistenza nel contratto, nell’ambito della premessa; b. Il documento in questione non sia stato espressamente allegato al contratto di locazione, il quale non lo individua quale elemento costitutivo della pattuizione, neppure per relationem. Dica pertanto la corte se, correttamente, possa affermarsi il contrario principio di diritto per cui ‘ la mera sottoscrizione di una determinazione dirigenziale a contrarre, adottata da un ente pubblico, allorquando il relativo documento non sia stato allegato espressamente al contratto ed in esso contemplato come fonte di diritti ed obblighi, non è idonea a collocare il contenuto della determinazione stessa nell’ambito della volontà contrattuale condivisa dalle parti”.
Con il secondo motivo, le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, 1^ co., n. 3) cpc con riferimento all’art. 1326 codice civile, per avere il giudice di appello attribuito alla determina dirigenziale in oggetto valore di proposta negoziale accettata mediante sottoscrizione dei locatori. È stato in proposito formulato il seguente quesito di diritto: “se il giudice a quo abbia violato il disposto dell’articolo 1326 cc nel ritenere che la determinazione dirigenziale possa essere valutata alla stregua di proposta negoziale e che la sottoscrizione della medesima importi accettazione della proposta e determini il sorgere di un accordo contrattuale; dica inoltre se, al contrario, debba correttamente affermarsi che una determinazione dirigenziale non possa costituire proposta negoziale e che anche dalla sua sottoscrizione ad opera del privato non possa derivare un vincolo negoziale o l’integrazione di altri contenuti negoziali”.
Nel terzo motivo di ricorso si impugna la sentenza appellata sotto il profilo della violazione degli articoli 1362 ss. cc, non avendo il giudice di appello considerato che l’accordo di rinnovo della locazione non recava alcuna clausola di recesso convenzionale; che la determina dirigenziale in questione si limitava a prevedere la mera facoltà di recesso del conduttore in forza dell’articolo 4 l. 392/78, senza “istituirne contrattualmente il potere”; che il Comune di Oristano aveva dichiarato, nella comunicazione di disdetta, di voler recedere dal contratto per “gravi motivi” ex articolo 27 l. 392/78. Viene formulato un quesito di diritto (multiplo, ma privo di esatta corrispondenza con le doglianze esplicitate), del seguente tenore: “a. se costituisca violazione dell’articolo 1362 primo comma codice civile l’avere il giudice omesso di considerare che il testo della determinazione dirigenziale alludesse non alla necessità di istituire in contratto una clausola di recesso, bensì all’esistenza di simile facoltà in forza dell’articolo 4 l. 392/78; b. se costituisca violazione dell’articolo 1362 secondo comma codice civile l’avere il giudice omesso di valutare che il Comune convenuto, volendo risolvere il rapporto negoziale, non abbia fatto riferimento alla considerazione contenuta nella determinazione dirigenziale, bensì direttamente all’articolo 21 l. 392/78 che disciplina il recesso del conduttore per gravi motivi non previsti in contratto; c. se costituisca violazione degli articoli 1362 e 1363 codice civile l’avere il giudice omesso di valutare che il contratto di locazione non rechi menzione, al suo interno, di alcuna clausola di recesso convenzionale, ed anzi rimandi alle previsioni normative in materia di locazione; d. se costituisca violazione dell’articolo 1362, primo e secondo comma, e dell’articolo 1363 codice civile il fatto che il giudice non abbia valutato la circostanza che il contratto stesso costituisse, secondo la volontà dichiarata dalle parti, mero rinnovo delle pattuizioni pregresse; correlativamente dichiari la corte adita che il giudice, al fine di operare correttamente nella interpretazione del contratto in esame, deve analizzare il medesimo sulla scorta dell’applicazione degli articoli 1362 e 1363 codice civile, valutando se la predetta interpretazione sia influenzatile dalle seguenti circostanze: a. che il testo della determinazione dirigenziale alluda non alla necessità di istituire in contratto una clausola di recesso, bensì all’esistenza di simile facoltà in forza dell’articolo 4 1.392/78; b. che il comportamento posteriore alla conclusione del contratto, tenuto dal Comune, sia consistito nell’aver cercato di recedere operando un riferimento non alla considerazione contenuta nella determinazione dirigenziale, bensì direttamente all’articolo 21 l. 392/78 che disciplina il recesso del conduttore per gravi motivi non previsti in contratto; c. che il contratto di locazione non rechi menzione, al suo interno, di alcuna clausola di recesso convenzionale, ed anzi rimandi alle previsioni normative in materia di locazione; d. che il contratto stesso costituisca un rinnovo di pattuizioni pregresse tra le parti”.
Questi tre motivi sono suscettibili di valutazione unitaria perché tutti incentrati – sul presupposto della violazione delle richiamate norme codicistiche sulla formazione e sulla interpretazione della volontà negoziale delle parti – sull’erronea attribuzione alla determina dirigenziale in oggetto di efficacia integrativa del contratto di locazione, così come risultante in esito all’accordo di rinnovo.
In particolare, si evidenzia in ricorso che la determina dirigenziale non potrebbe assurgere a rilevanza negoziale integrativa del contratto di locazione perché non allegata all’atto di rinnovo; appunto concernente non già l’instaurazione di un nuovo rapporto di locazione, bensì la protrazione della durata di un rapporto già in essere senza facoltà di recesso ad nutum del conduttore; non valevole quale proposta contrattuale; comunque implicante un diritto di recesso (art. 4 l. 392/78) diverso da quello poi invocato dal Comune (art. 27 cit.).
Le doglianze sono infondate.
In primo luogo si osserva che esse non danno esattamente conto di una situazione fattuale nella quale la determina dirigenziale – con cui l’amministrazione comunale deliberava di procedere al rinnovo per ulteriori sei anni, salvo avvalersi della clausola di recesso di cui all’articolo 4 cit. in considerazione dell’andamento dei lavori intrapresi per la ristrutturazione di locali di proprietà destinati a sostituire quelli locati risultava: – espressamente richiamata nell’atto di rinnovo; – a quest’ultimo allegata (contrariamente a quanto sostenuto); sottoscritta dalle M. .
Si tratta di circostanze acclarate dalla corte di appello e che hanno indotto quest’ultima – in sede di conferma dell’analoga valutazione offerta dal tribunale di Oristano – a ravvisare nella fattispecie la legittimità del recesso anticipato da parte del Comune, proprio perché fondato sulla valenza negoziale della determina. Ciò sul corretto presupposto che quest’ultima, ancorché indubbiamente assistita da natura provvedimentale interna all’ente, aveva purtuttavia esplicato nella specie altresì efficacia contrattuale nel momento in cui entrava a far parte (formale e sostanziale) del regolamento negoziale di rinnovo; e trovava in questa sede l’accettazione da parte delle locatrici, attestata da una sottoscrizione che (nell’opposta tesi di sua esclusiva rilevanza quale atto amministrativo) non avrebbe altrimenti avuto ragion d’essere alcuna.
Il nucleo fondante della decisione della corte di appello sta dunque nel fatto che le locatrici erano addivenute al rinnovo del contratto di locazione conoscendo – ed accettando – il fatto che l’amministrazione comunale avesse intrapreso i lavori di ristrutturazione dei locali di proprietà; e che, in considerazione delle “varie fasi per dare finiti e collaudati i lavori” (così la determina in esame), il Comune riservava a sé la facoltà di avvalersi della clausola di recesso. La circostanza che tutto ciò sia avvenuto in occasione del rinnovo del contratto di locazione, non già della sua stipula iniziale, non sposta in nulla i termini della fattispecie; dal momento che, come esattamente valutato dalla corte di appello, anche il momento del rinnovo è contrassegnato dalla esplicazione di una ulteriore volontà negoziale delle parti e, soprattutto, che “quel” particolare rinnovo (a differenza di altri precedentemente verificatisi) era reso peculiare proprio dalla attualità della “riserva” di recesso concordata dalle parti a favore del Comune in ragione del completamento dei lavori di ristrutturazione di altri locali di sua proprietà.
In altri termini, l’applicazione alla fattispecie di quelle stesse norme che si assumono violate in materia di formazione e di interpretazione del consenso negoziale depone qui univocamente a sostegno della decisione censurata; nei suoi risvolti sia formali, sia sostanziali.
Sotto il primo aspetto (formale), la circostanza che la determina dirigenziale sia stata richiamata ed allegata al contratto, senza essere in quest’ultimo materialmente trasfusa, non appare rilevante nel senso voluto dalle ricorrenti; atteso che i contorni fattuali della vicenda posti a fondamento della valutazione della corte di appello – non sindacabili in sede di legittimità – deponevano, stante l’avvenuta e non diversamente giustificabile sottoscrizione da parte delle locatrici, per il suo recepimento integrale (in special modo, per quanto concerneva la correlazione tra diritto di recesso del Comune ed ultimazione dei lavori di ristrutturazione) nel regolamento contrattuale di rinnovo. Va qui ricordato il principio per cui, anche nei contratti assoggettati a forma scritta, “non occorre che la volontà negoziale sia manifestata dai contraenti contestualmente e in un unico documento, dovendosi ritenere il contratto perfezionato anche qualora le sottoscrizioni siano contenute in documenti diversi, anche cronologicamente distinti, qualora, sulla base di una valutazione rimessa al giudice di merito, si accerti che il secondo documento è inscindibilmente collegato al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo”. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3088 del 13/02/2007, Rv. 595607).
Sotto il secondo aspetto (sostanziale), la natura di atto amministrativo della determina non escludeva di per sé la sua idoneità – una volta portata a conoscenza della parte locatrice, e richiamata ed allegata al contratto di locazione – a fungere da vera e propria proposta contrattuale; debitamente accettata per sottoscrizione dalle M. . Di tal che, una volta affermato che il regolamento negoziale complessivo tra le parti era dato dalla risultante del contratto di locazione stipulato in sede di rinnovo è dalla determina assunta quale fonte negoziale integrativa, doveva senz’altro escludersi, come i giudici di appello hanno escluso, che tale regolamento negoziale complessivo precludesse al Comune l’esercizio del diritto di recedere sulla base della circostanza (nota ad entrambe le parti, e da queste ultime come detto assunta ad elemento della disciplina pattizia del recesso) rappresentata dalla ultimazione dei lavori di ristrutturazione; a sua volta (implicitamente, ma non per questo non univocamente) ricondotta a basilari regole di corretta gestione delle risorse pubbliche e di buona amministrazione ex art. 97 Cost..
È d’altra parte significativo che nessuno dei motivi di ricorso qui in esame specifichi, nell’ambito delle norme codicistiche riportate, i parametri normativi in materia di conclusione del contratto e di interpretazione della volontà delle parti che si assumono in concreto violati nella fattispecie. Dal che si trae elemento ulteriore di insindacabilità della valutazione su tali aspetti operata dai giudici di appello.
Ciò vale anche per quanto concerne il criterio interpretativo del comportamento successivo delle parti, atteso che nella ricostruzione operata dalla corte di appello: a. Indipendentemente dall’apparentemente ondivago richiamo testuale (nella determina e nella comunicazione di recesso) ora all’articolo 4 ed ora all’articolo 27 l. 392/78, la volontà delle parti andava comunque individuata, sul piano degli effetti negoziali sostanzialmente perseguiti, proprio nell’attribuzione al Comune del diritto di recedere anticipatamente dal contratto di locazione rinnovato in correlazione con l’ultimazione dei lavori di ristrutturazione; b. Nella concretezza della fattispecie, una volta così ricostruita la volontà dei contraenti, il problema delle norme applicabili assumeva i contorni della qualificazione giuridica, sottratta in quanto tale alle parti: “(…) sarà sufficiente sottolineare che la scelta delle norme applicabili rientra nella piena facoltà del giudice, una volta che le parti abbiano definito la fattispecie concreta da sottoporre al giudicante” (sent., pag.6).
2.2 Con il quarto motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex articolo 360, 1^ co., n. 5) cpc, non avendo la corte di appello – a fronte delle puntuali contestazioni da esse ricorrenti mosse nei gradi di merito spiegato perché la firma da esse apposta sulla determina dirigenziale in oggetto fosse avvenuta “per accettazione”. Ai sensi dell’art.366 bis seconda parte cpc, viene dalle ricorrenti formulato il seguente momento di sintesi o quesito di fatto: “a. se di fronte all’esistenza di una puntuale contestazione in ordine all’efficacia vincolante della determinazione dirigenziale n. 467 del 21 ottobre 2002 del Comune di Oristano ed al valore della firma apposta sulla medesima da parte delle ricorrenti; b. in presenza di una puntuale contestazione delle ricorrenti in ordine al fatto che la determinazione in parola, pur sottoscritta, non fosse stata richiamata nell’ambito del contratto ad integrare il testo negoziale; c. a fronte della sicura rilevanza in causa del profilo, utile a determinare l’esistenza o meno di un diritto di recesso azionabile dal Comune di Oristano in ipotesi di realizzazione di edificio di funzioni corrispondenti a quello evocato; debba ritenersi omessa o apparente la motivazione addotta dalla corte di appello di Cagliari a fronte della mera affermazione che la sottoscrizione delle ricorrenti è avvenuta per accettazione”.
Nemmeno questa censura – che rappresenta a ben vedere la riedizione, sub specie del vizio motivazionale, di quelle testé considerate – può trovare accoglimento.
È principio consolidato che “la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo controllo, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione,insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 8718 del 27/04/2005, Rv. 581011; in termini: Cass. 27 aprile 2005, n. 8718 e molte altre).
Nel ragionamento logico-giuridico seguito dalla corte di appello non sono individuabili i vizi qui astrattamente rilevanti; trattandosi di ragionamento coerente e sufficientemente chiaro nel ricostruire la fattispecie concreta e nel ricondurla ad una determinata disciplina normativa.
In particolare, emerge con chiarezza e completezza il richiamo motivazionale al fatto che, in sede di rinnovo della locazione, le parti avevano consensualmente attribuito qualificante rilevanza – nella regolazione della facoltà di recesso – ai tempi di avanzamento ed ultimazione dei lavori di ristrutturazione dei locali di proprietà dell’amministrazione comunale. Si legge a pagina 6 della sentenza che: – il rinnovo era stato stipulato dopo la determina dirigenziale; – in tale determina, sottoscritta per accettazione dalle locatrici, “l’ente si era riservato di esercitare il diritto di recesso ai sensi del disposto dell’articolo 4 l.cit. una volta che fossero stati terminati i lavori di ripristino di un locale di sua proprietà ove avrebbero trovato sistemazione gli uffici ospitati nell’immobile condotto in locazione”; – “a riprova della serietà della previsione” le parti avevano altresì dato atto che, in relazione a tali lavori, “l’ente aveva ottenuto un finanziamento regionale”.
Si è dunque ben lontani dal vizio di omessa, carente o contraddittoria motivazione, così come disegnato dall’orientamento di legittimità su menzionato; risulta, al contrario, la congruità logica con la quale la corte di appello ha ritenuto di ravvisare nella fattispecie una volontà contrattuale nel senso indicato. E ciò anche nel dare conto di come, nell’insieme delle risultanze considerate (tenore della determina dirigenziale e sua collocazione temporale; sua allegazione e richiamo nel contratto; serietà circostanziata della condizione legittimante il recesso) alla avvenuta sottoscrizione della determina medesima da parte delle locatrici non potesse fondatamente attribuirsi altro valore che quello di accettazione contrattuale.
2.3 Nel quinto motivo di ricorso, si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, 1^ co., n.3) cpc con riferimento all’articolo 27 1.392/78, avendo il primo giudice erroneamente ravvisato nella fattispecie i gravi motivi di recesso ex art.27 cit., nonostante che la ristrutturazione dei locali di proprietà dell’ente pubblico non presentasse i requisiti di estraneità alla volontà del conduttore, di imprevedibilità e di sopravvenienza che, soltanto, legittimavano il ricorso al recesso medesimo. Il motivo si correda del seguente quesito: “se costituisca violazione dell’articolo 21, ultimo comma, l. 392/78 l’aver ritenuto che i gravi motivi posti dalla predetta norma a fondamento del recesso possono essere integrati da una circostanza (quella della realizzazione di un nuovo immobile avente la medesima funzionalità rispetto a quello condotto) non estranea alla volontà del conduttore, non imprevedibile ed anzi prevista dal conduttore e non sopravvenuta alla costituzione del rapporto”.
È vero che la corte cagliaritana ha preso in esame anche l’aspetto dei Sgravi motivi di recesso – sostenendone nella specie la ricorrenza – e tuttavia ciò è avvenuto dopo che la stessa corte di appello, nel prendere in esame il “primo aspetto” della questione (quello concernente la valenza negoziale assunta, nella volontà delle parti, dalla determina dirigenziale), aveva individuato una ratio decidendi diversa ed autosufficiente. Insita nel fatto che – proprio in forza di quella valenza negoziale – erano state le stesse parti a ritenere legittimo il recesso intimato dal Comune sulla base dell’ultimazione dei lavori di ristrutturazione dei diversi locali.
Nella ricostruzione dei passaggi fondamentali della decisione, in definitiva, l’inclusione di quest’ultima circostanza tra i gravi motivi legittimanti il recesso dell’articolo 27 cit. assume portata secondaria, ed anzi ultronea; dal momento che mediante il recepimento della determina dirigenziale all’interno del regolamento contrattuale di rinnovo, le parti – nella estrinsecazione di un’autonomia negoziale ricostruita dalla corte di appello con valutazione qui incensurabile – avevano ritenuto esse stesse legittimo un recesso fondato su tale circostanza. Tanto che, nella ricostruzione del giudice di appello – immune da vizi logici e giuridici – quello della possibilità di recesso anticipato da parte del Comune costituì un elemento essenziale e determinante del rinnovo medesimo; pur esso rientrante nella previsione di cui all’art. 27 l. cit..
Da questo punto di vista, in definitiva, la censura in oggetto non coglie nel segno; tanto che quand’anche essa venisse in ipotesi accolta, la decisione gravata resterebbe comunque ferma sotto il profilo che la facoltà di recesso in oggetto era resa legittima – anche indipendentemente dalla sua ricomprensione nella fattispecie legale dei “gravi motivi” – dal solo fatto di essere stata prevista come tale dalle parti.
2.4 Nel sesto motivo di ricorso – subordinato al mancato accoglimento dei motivi precedenti – si lamenta l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art.360 1^ co. n. 5 cpc, avendo la corte di appello erroneamente attribuito efficacia all’offerta informale di restituzione dell’immobile da parte dell’amministrazione comunale; con ciò respingendo la domanda volta ad ottenere la condanna di quest’ultima al pagamento dei canoni scaduti ed a scadere fino alla data in cui la consegna dell’immobile era stata accettata.
Con il settimo e correlato motivo, si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, 1^ co., n. 3) cpc con riferimento all’art. 1220 e 1591 cc, dal momento che l’offerta informale di restituzione dei locali da parte del conduttore poteva valere, al più, ad escludere la sua responsabilità per il maggior danno; non anche a sollevarlo dall’obbligo di pagare i canoni fino alla formalizzazione dell’offerta ovvero alla presa in consegna dei locali da parte del locatore. Quest’ultimo motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “se costituisca violazione dell’articolo 1220 e dell’articolo 1591 cc l’avere la corte di appello ritenuto che, per effetto dell’offerta non formale compiuta dal Comune conduttore, venisse a cessare in capo ad esso l’obbligo di pagamento dei canoni scaduti ed a scadere fino alla materiale riconsegna dell’immobile; dichiarare conseguentemente che il principio di diritto da ritenere corretto nel caso di specie è quello per cui l’effetto liberatorio del conduttore dall’obbligo di pagamento dei canoni di locazione possa conseguire soltanto all’effettuazione dell’offerta formale di restituzione della cosa locata, ovvero alla materiale accettazione della consegna da parte del locatore; pertanto affermando, contestualmente, l’erroneità della pronuncia di merito là dove ha escluso la persistenza del diritto a percepire i canoni in capo alle odierne ricorrenti, almeno fino alla data del 20 dicembre 2006, secondo quanto dimostrato in causa sulla data di accettazione della restituzione”.
I motivi in esame, entrambi basati sull’erronea attribuzione di effetto liberatorio all’offerta non formale di riconsegna dei locali, sono suscettibili di trattazione unitaria.
Essi sono infondati, considerandosi che è orientamento consolidato di legittimità che anche l’offerta non formale, pur non essendo idonea a costituire in mora il locatore, può tuttavia fondare la liberazione del conduttore dal pagamento dell’indennità di occupazione; a condizione che venga formulata in maniera seria, concreta ed efficiente rispetto allo scopo: Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 1337 del 20/01/2011 (Rv. 616461): “In tema di riconsegna dell’immobile locato, mentre l’adozione della complessa procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, secondo comma, cod. civ., costituita dall’intimazione al creditore di ricevere la cosa nelle forme stabilite per gli atti giudiziari, rappresenta l’unico mezzo per la costituzione in mora del creditore per provocarne i relativi effetti (art. 1207 cod. civ.), l’adozione da parte del conduttore di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 cod. civ.) – purché serie, concrete e tempestive e sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore – pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore nell’obbligo di adempiere la prestazione (costituita, nel caso esaminato, dal pagamento di un’indennità per occupazione dell’immobile ex art. 1591 cod. civ.). (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis, primo comma, cod. proc. civ.)”; ed ancora: “L’offerta non formale della prestazione è idonea ad escludere la mora del debitore soltanto se sia seria, tempestiva e completa, e consista nell’effettiva introduzione dell’oggetto integrale della prestazione dovuta nella disponibilità del creditore, nonché nella comunicazione di tale fatto al medesimo. Il parametro valutativo della sussistenza dei caratteri della serietà e della completezza è costituito dalla esaustività della posizione assunta dal debitore con l’offerta stessa, nel senso che il creditore deve potervi aderire senza ulteriori accordi ed ottenere la prestazione limitandosi semplicemente a riceverla, ovvero a porre il debitore nelle condizioni di poterla materialmente effettuare” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15352 del 06/07/2006, Rv. 591558).
È proprio in applicazione di tale orientamento che la corte di appello di Cagliari ha affermato (pag. 7) la rispondenza ai suddetti parametri dell’offerta di restituzione dei locali in concreto effettuata dal Comune: “quanto infine alle modalità di restituzione delle chiavi di accesso, va ricordato come il Comune appellato avesse comunicato che ad una certa data del mese di luglio 2006 avrebbe provveduto alla loro restituzione. La circostanza che la relativa comunicazione sia arrivata in ritardo al domicilio degli appellanti non costituisce giustificato motivo di doglianza, perché immediatamente dopo lo scadere nel predetto termine, il Comune avvisò le appellanti che le predette chiavi erano a loro disposizione presso gli uffici del proprio economato, si che le germane M. , ove avessero rispettato i canoni della buona fede che sempre debbono permeare i comportamenti delle parti in tutte le fasi contrattuali, avrebbero agevolmente potuto rientrarne in possesso”.
È dunque evidente che la decisione oggetto di censura deve ritenersi: – non in contrasto con le norme evidenziate, così come costantemente interpretate da questa corte; – adeguatamente motivata sull’idoneità delle concrete modalità di riconsegna offerte dal Comune conduttore, anche nei risvolti della buona fede con la quale parte locatrice avrebbe dovuto darvi seguito; sorretta, in quest’ultimo giudizio, da considerazioni puramente fattuali, per loro natura non deducibili in sede di legittimità.
Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate, come in dispositivo, ai sensi del DM Giustizia 20.7.2012 n.140.

P.Q.M.

La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3700,00, di cui Euro 3500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi; oltre accessori di legge.

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