Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|10 gennaio 2025| n. 711.
Leasing ed il tasso determinabile esternamente
Massima: In tema di leasing immobiliare, la mancata indicazione del “tasso leasing” nel contratto non contrasta con l’art. 1346 c.c. allorquando lo stesso sia determinabile per relationem mediante il rinvio a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, obiettivamente individuabili, senza alcun margine di incertezza, né di discrezionalità in capo alla società di leasing, così da salvaguardare il cliente sul piano della trasparenza in relazione ai termini economici dei costi, dei servizi e delle remunerazioni che il contratto programma. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la dichiarazione di nullità per indeterminabilità dell’oggetto della clausola di indicizzazione all’Euribor 3M ed al Libor 3M, stante la mancata indicazione in contratto della base temporale di riferimento, nonché della clausola “rischio cambio”, funzionalmente collegata con la prima).
Ordinanza|10 gennaio 2025| n. 711. Leasing ed il tasso determinabile esternamente
Integrale
Tag/parola chiave: Locazione – In genere (nozione, caratteri, distinzioni) leasing immobiliare – Mancata indicazione del ‘tasso leasing’ in contratto – Art. 1346 c.c. – Determinabilità per relationem dei tassi di interesse – Limiti di ammissibilità – Fondamento – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente
Dott. SIMONE Roberto – Consigliere Rel.
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere
Dott. AMBROSI Irene – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29640/2021 R.G.,
proposto da
JU.PO. Spa (già HY.AL. BANK Spa), in persona del direttore generale e procuratore generale Di.Fe., rappresentata e difesa dall’avv. Gi.So., elettivamente domiciliata in Roma alla via G.Pr., per procura su foglio separato allegato al ricorso
pec (Omissis);
– ricorrente –
contro
Da.Gi., rappresentato e difeso dall’avv. Ma.Bo. per procura su foglio separato allegato al controricorso,
pec (Omissis);
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 342/2021 della Corte d’Appello di Trieste pubblicata il 9.9.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 6.11.2024 dal Consigliere dott. Roberto Simone.
Leasing ed il tasso determinabile esternamente
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza n. 931/2019, pubblicata il 26.7.2019, il Tribunale di Udine sulle domande proposte da Da.Gi. nei confronti di HY.AL. BANK Spa, ora JU.PO. Spa (nel seguito indicata come Ju. Spa), in relazione al contratto di leasing immobiliare stipulato in data 9.6.2003: “a) dichiarò la nullità parziale del contratto limitatamente alle clausole di indicizzazione e di rischio cambio; b) condannò la convenuta alla restituzione in favore dell’attore di Euro 115.065,55, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo; c) condannò la convenuta al pagamento delle spese di lite; d) pose a definitivo carico della convenuta le spese di C.T.U.
2. La Corte d’Appello di Trieste con sentenza n. 342/2021, pubblicata il 9.9.2021, rigettato l’appello principale svolto da HY.AL. BANK Spa ed in parziale accoglimento dell’appello incidentale di Da.Gi., condannò l’appellante alla restituzione dell’importo di Euro 146.719,44, oltre gli interessi legali nella misura ex art. 1284, comma quarto, cod. civ. dalla domanda al saldo, confermando per il resto la sentenza impugnata e gravando l’appellante delle spese di fase.
Premesso che il Tribunale di Udine aveva dichiarato la nullità delle clausole di indicizzazione sia all’Euribor 3M sia al Libor 3M per indeterminabilità dell’oggetto a causa della mancata indicazione nel contratto della base temporale, non in quanto incerta la formula da applicare, ma per essere incerto il tasso di riferimento per l’adeguamento della rata, da ciò derivando la nullità anche della clausola “rischio cambio” Euro/CHF, la cui applicazione presupponeva l’univoca indicizzazione del tasso Libor 3M, la Corte d’Appello, nel ribadire che ai sensi dell’art. 1346 cod. civ. per la determinabilità dell’oggetto del contratto è necessario che il tasso di interesse sia desumibile dal contratto senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo al creditore, anche quando individuato per relationem, confermò la decisione del primo giudice in ordine alla propagazione della nullità della clausola relativa al tasso Libor 3M a quella “rischio cambio” atteso il collegamento funzionale tra le due.
La Corte d’Appello quanto alla clausola “rischio cambio” evidenziò, inoltre, che essa era nulla per “immeritevolezza” ex art. 1322, comma secondo, cod. civ., perché connotata da un profilo “eminentemente aleatorio e speculativo, del tutto eccentrico rispetto alle finalità proprie del contratto di leasing e dunque suscettibile di instaurare un rapporto ad esso parallelo, dotato di autonomia e causa propria”. La corte aggiunse che l’elemento di rischio introdotto nel contratto era allocato in modo sistematicamente squilibrato in favore dell’istituto concedente.
In ordine all’ambito della pretesa restitutoria, la Corte d’Appello, disattese domande ed eccezioni nuove formulate dall’appellante, accolse l’appello incidentale svolto da Da.Gi. relativo alla disposta compensazione tra l’importo di Euro 146.719,44 determinato dal C.T.U. e quello di Euro 31.653,89 per indennità di occupazione per il periodo dall’1.10.2016 (data scadenza del contratto) al 4.5.2017 (pagamento del prezzo per il riscatto). In particolare, escluso che il ritardo nella stipula del rogito notarile fosse imputabile alle parti, ma che la banca aveva determinato il “prezzo di riscatto” in Euro 87.769,33 in modo “globale” sulla base di “propri” conteggi, al cui pagamento seguì una quietanza liberatoria “senza riserva”, la Corte d’Appello condannò l’appellante alla restituzione della somma di Euro 146.719,44 oltre gli interessi al tasso ex art. 1284, comma quarto, cod. civ. dalla domanda saldo.
Quanto all’eccezione di prescrizione, rilevata la tardività di quella svolta in appello con riferimento alle somme per l’indicizzazione dei canoni al tasso Libor 3M, la Corte d’Appello notò che la pretesa restitutoria non andava oltre il decennio e riguardava quanto versato dopo l’introduzione nel luglio 2008 della clausola “rischio cambio”, rispetto alla quale la domanda svolta con citazione notificata il 19.10.2016 era tempestiva.
3. Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre Ju. Spa, sulla base di sette motivi. Risponde con controricorso Da.Gi.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380-bis.1. cod. proc. civ.
La ricorrente ha depositato memoria.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 e/o n. 5, cod. proc. civ., la “nullità della sentenza per apparente motivazione, con conseguente nullità della stessa ex art. 132 c.p.c. n. 4 ove pretermette totalmente la trattazione del primo motivo d’appello della Banca (exceptio doli generalis) e/o comunque omette di analizzare tale preliminare e decisiva eccezione oggetto di discussione tra le parti”.
Si duole dell’omesso esame da parte della Corte d’Appello del “tema” exceptio doli, oggetto di specifico motivo d’appello in quanto non trattato neanche dal Tribunale di Udine.
Il fatto sottostante la svolta eccezione, decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, sarebbe tale da paralizzare le domande svolte dall’attore.
Nella specie, Da.Gi., promotore finanziario e agente di HY.AL. Bank Spa, avrebbe costruito l’operazione di leasing in modo da tale da poter conseguire la proprietà dell’immobile pareggiando il costo della locazione finanziaria con la contestuale locazione del bene alla banca, che aveva lì collocato la filiale di R. L’utilizzatore aveva stipulato il contratto inizialmente in valuta Euribor 3M, pienamente consapevole della convenienza, dato il relativo andamento al momento della stipula, ma con l’opzione di poter convertire il contratto in altra valuta.
In seguito, consapevole del fatto che nel giugno 2008 l’indicizzazione al tasso Libor sarebbe stata più conveniente di quella al tasso Euribor, Da.Gi. aveva deciso di avvalersi dell’opzione di convertire il contratto in altra valuta. Sennonché, avvedutosi ex post degli svantaggi connessi alla clausola “rischio cambio”, che ben avrebbe potuto evitare riconvertendo nuovamente il contratto, l’attore aveva optato per l’instaurazione del giudizio e riscattato l’immobile, senza mettere in discussione gli introiti conseguiti per effetto della locazione intercorsa.
2. Sebbene nell’intitolazione del motivo si parli di apparenza della motivazione con invocazione dell’art. 132, secondo comma n. 4, cod. proc. civ., la doglianza prospetta in modo univoco una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per l’omesso esame della svolta eccezione.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, primo comma n. 6, cod. proc. civ.
Al fine del rispetto del principio di specificità, è necessario che il ricorso contenga l’indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il motivo e l’illustrazione del contenuto rilevante, provvedendo alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16 marzo 2012, n. 4220).
Infatti, sulla parte ricorrente grava l’obbligo di precisazione anche dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 4 marzo 2021, n. 5999; sez. un., 23 settembre 2019, nn. 23552 e 23553; Cass., 18 giugno 2020, n. 11892; 6 novembre 2012, n. 19157; 23 marzo 2010, n. 6937; 12 giugno 2008, n. 15808; 25 maggio 2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. 27 dicembre 2019, n. 34469; 19 aprile 2016, n. 7701), poiché il compito dei giudici della corte è quello di procedere a una “verifica degli atti stessi, non già alla loro ricerca” (v. Cass. 20 luglio 2021, n. 20753; 24 giugno 2020, n. 12498; 20 marzo 2017, n. 7048).
La ricorrente nel denunciare l’omesso esame da parte della Corte d’Appello del “tema” dell’exceptio doli non ha provveduto ad una compiuta descrizione di quanto dedotto nel corso del giudizio, non avendo specificato gli atti processuali ed i documenti sui quali si fonda il motivo né illustrato il loro contenuto rilevante. In particolare, precisando se l’eccezione fosse stata ribadita ancora nelle conclusioni in primo grado e in sede di appello.
Leasing ed il tasso determinabile esternamente
Tale descrizione manca tanto nella parte narrativa del ricorso, dove si legge “Si trattava, in buona sostanza, di un’operazione “baciata”, studiata ed architettata dal sig. Da.Gi. in modo da ottenere la proprietà dell’immobile pagando le rate di leasing con i canoni di locazione” (pag. 4 del ricorso), quanto nello sviluppo del motivo, nel quale si fa riferimento alla comparsa conclusionale dell’appellante ed alla memoria di replica dell’appellato e poi si aggiunge, dopo una esposizione dell’istituto dell’exceptio doli generalis in astratto, “(c)ome già evidenziato nel primo grado di giudizio e ribadito in appello, emerge con chiarezza dai documenti di causa e dalle circostanze fattuali non contestate, che l’operazione leasing di cui è causa è stata architettata dal sig. Da.Gi. in modo tale da poter ottenere la proprietà del bene, di fatto, a costo zero (si tratta, in buona sostanza, di un’operazione “baciata”)”, a cui non fa seguito la descrizione degli elementi fattuali a sostegno della svolta eccezione.
3. Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. e/o art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., “nullità della sentenza per apparente motivazione, con conseguente nullità della stessa ex art. 132 c.p.c. n. 4 ove rigetta i motivi sub b), c) e d) della Banca, ritenendo indeterminata la clausola “rischio tasso”; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 e ss c.c. in relazione alla clausola rischio tasso (cfr. pagg. 13-15 Sentenza)”.
La ricorrente lamenta l’apparenza della motivazione tale da rendere la sentenza nulla, nella parte in cui “afferma di rigettare il primo motivo di impugnazione della Banca, senza tuttavia specificare i motivi ed il percorso logico che l’hanno portata a rigettare ben tre motivi di appello della Banca, ma limitandosi a riportare alcuni passaggi della sentenza di primo grado (cfr. pagg. 13-18) e ad affermando semplicemente e tautologicamente di ritenerla pienamente condivisibile”. L’apparenza della motivazione non sarebbe supplita dal richiamo di Cass. 16907/2019, già valorizzata dal primo giudice, ma inconferente ai fini di causa, perché relativa ad un caso di indeterminatezza del criterio di calcolo dell’interesse. Al contrario, nella vicenda di causa lo stesso C.T.U. aveva riferito che “il piano finanziario era univocamente determinabile e che non vi era alcuna incertezza sulla formula da applicare”.
La sentenza, inoltre, è in contrasto con l’art. 1346 cod. civ. e con le regole di interpretazione della clausola “rischio tasso” resa dal diritto vivente, per il solo fatto che non sarebbe stata indicata in contratto la base temporale. Infatti, il dato era agevolmente ed oggettivamente conoscibile aliunde e nel corso del giudizio era emerso che: a) nei siti ufficiali i tassi Euribor e Libor sono espressi su base 360; b) nelle fatture inviate erano precisati i tassi di riferimento Euribor applicati.
La declaratoria di nullità della clausola “rischio tasso”, inoltre, contrasta con gli artt. 1367 e 1369 cod. civ., rispettivamente, in tema di conservazione degli effetti del contratto e di interpretazione di espressioni con più sensi. La Corte d’Appello avrebbe ignorato tutti i criteri interpretativi indicati con l’atto di impugnazione, preferendo appiattirsi, ma con motivazione apparente, sulla decisione del primo grado.
4. Con il terzo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., “erronea applicazione dell’art. 1362 e ss c.c., 1346 c.c. e 1418 e 1419 c.c. in relazione alla clausola di indicizzazione a rischio cambio ed alla asserita nullità per derivazione (cfr. pagg. 15-18 sentenza)”.
Ju. Spa si duole per l’affermata nullità della clausola “rischio cambio” per derivazione da quella “rischio tasso”. In base all’art. 1419 cod. civ. l’estensione della nullità parziale o di singole clausole si può verificare solo nel caso in cui la nullità si riferisca ad un elemento essenziale “ovvero se la pattuizione si trovi con le altre in un rapporto di interdipendenza o inscindibilità tale da non poter considerare l’una senza le altre”. La clausola “rischio cambio”, invece, sarebbe pienamente autosufficiente rispetto a quella “rischio tasso” in base al tenore in sé.
Inoltre, l’assunto secondo cui il canone non sarebbe conoscibile prima dell’indicizzazione del tasso è doppiamente errato, perché il meccanismo di indicizzazione del canone è perfettamente determinabile e la non conoscibilità è intrinseca al fenomeno indicizzazione. In altri termini, la non conoscibilità a priori di un dato elemento assunto nel contratto non confligge con l’art. 1346 cod. civ. quando la stima del valore, futuro ed incerto, avvenga sulla base di un requisito non arbitrario. Nella specie, la clausola assume un tasso di cambio iniziale (cambio storico) da confrontare con quello alle varie scadenze (cambio di scadenza) e conseguentemente, a seconda delle oscillazioni del cambio in positivo o negativo del cambio, è regolata la determinazione del canone.
5. I motivi, in quanto strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
6. Con particolare riferimento al secondo complesso motivo va osservato che la ricorrente non riporta, neppure in modo sintetico, i motivi d’appello che asseritamente disattesi, limitandosi a sostenere che “(la Corte d’Appello) afferma di rigettare il primo motivo di impugnazione della Banca, senza tuttavia specificare i motivi ed il percorso logico che l’hanno portata a rigettare ben tre motivi di appello della Banca”.
Per contro, la parte di motivazione censurata risulta indicata mediante il richiamo di quella da pagina 13 a pagina 18, ad avviso della ricorrente sostanziantesi nel mero rinvio a quella della sentenza di primo grado, dalla corte di merito ritenuta pienamente condivisibile, sì che l’ordito motivazionale è asseritamente del tutto mancante.
Detta censura si colloca al di fuori del perimetro segnato dalle Sezioni Unite di questa Corte in termini di riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile con ricorso per cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (cfr. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090).
La sentenza impugnata nello scrutinio della censura relativa alla determinabilità della “clausola rischio tasso” e della clausola “rischio cambio” ha richiamato ampi passi della sentenza del Tribunale di Udine, che ha condiviso e fatti propri, sul rilievo della corretta applicazione dei principi giurisprudenziali di questa Corte, per poi ampliare l’ambito della motivazione con l’esame ragionato di Cass., sez. III, 25 giugno 2019, n. 16907, che non è affatto eccentrica rispetto alla vicenda oggetto di causa, diversamente da quanto notato dalla ricorrente.
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Infatti, se nella vicenda trattata da tale ultima pronuncia era emerso all’esito della C.T.U. che erano praticabili diversi criteri (formule) per arrivare al risultato del calcolo e che il ricorso a ciascuno di essi portava a risultati diversi, mentre in quella esaminata dalla corte giuliana il problema dell’indeterminabilità nasceva dalla mancata specificazione in contratto della “base temporale” del Libor 3M, nondimeno in Cass. 16907/2019 è stato precisato che: “(…) come ritenuto da questa Corte in diverse occasioni, ciò che importa, onde ritenere sussistente il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto di cui all’art. 1346 cod. civ. è che il tasso d’interesse sia desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, anche quando individuato per relationem:
in quest’ultimo caso, mediante rinvio a dati che siano conoscibili a priori e siano dettati per eseguire un calcolo matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto. I dati ed il criterio di calcolo devono perciò essere facilmente individuabili in base a quanto previsto dalla clausola contrattuale, mentre non rilevano la difficoltà del calcolo che va fatto per pervenire al risultato finale né la perizia richiesta per la sua esecuzione (cfr. Cass. 8028/ 2018; Cass. 25205/ 2014; Cass. n. 2765/1992 e n. 7547/92; Cass. 22898/2005, Cass. n. 2317/2007, Cass. n. 17679/2009)”.
Pertanto, la motivazione, non è apparente, né tantomeno monca, risultando conforme allo standard ammesso di motivazione per relationem, “qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, posto che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive” (v. Cass., sez. un., 16 gennaio 2015, n. 642; Sez. 6 – 2, ord., 7 novembre 2016, n. 22562; sez. V., ord., 6 ottobre 2022, n. 29028).
6.1. Quanto al denunciato contrasto con l’art. 1346 cod. civ. e con le regole di interpretazione della clausola “rischio tasso” resa dal diritto vivente, per il solo fatto che non sarebbe stata indicata in contratto la base temporale, mette conto rimarcare come la sentenza abbia fatto piana applicazione dell’orientamento espresso da questa Corte in ordine al requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto.
6.2. La giurisprudenza di questa Corte, oltre alla già richiamata Cass. 16907/2019, ha avuto occasione di occuparsi della determinabilità del tasso di interesse in varie occasioni, stabilendo, nella pronuncia n. 8028 del 30 marzo 2018, che in tema di contratto di mutuo, affinché una clausola di determinazione degli interessi corrispettivi sulle rate di ammortamento scadute sia validamente stipulata, ai sensi dell’ art. 1346 c.c. , è sufficiente che la stessa – nel regime anteriore all’entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 154 – contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse.
A tal fine occorre che quest’ultimo sia desumibile dal contratto con l’ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, non rilevando la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale, né la perizia richiesta per la sua esecuzione.
Per Cass. 26 giugno 2019 n. 17110, nella vigenza del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 4, il tasso di interesse può essere determinato per relationem, con esclusione del rinvio agli usi, ma in tal caso il contratto deve richiamare criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, non devono essere determinati unilateralmente dalla società di leasing.
La Corte chiarisce che tale possibilità si desume in via indiretta dall’art. 117 T.U.B. – non avrebbe senso vietare il rinvio agli usi se non fosse possibile ammettere la determinazione per relationem alle altre condizioni del contratto attraverso fonti esterne, purché non dipendenti dalla unilaterale volontà della banca – oltre che dalla ratio della norma individuata nell’esigenza di salvaguardia del cliente sul piano della trasparenza e della eliminazione delle cosiddette asimmetrie informative. La prescrizione che fa obbligo di indicare nel contratto “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati” intende porre il cliente nelle condizioni di conoscere e apprezzare con chiarezza i termini economici dei costi, dei servizi e delle remunerazioni che il contratto programma.
È evidente, allora, che tale finalità possa essere perseguita, con riguardo alla determinazione dell’interesse, non solo attraverso l’indicazione numerica del tasso, ma anche col rinvio a elementi esterni obiettivamente individuabili, la cui materiale identificazione sia cioè suscettibile di attuarsi in modo inequivoco (cfr. anche Cass. 19 maggio 2010, n. 12276). La determinabilità per relationem del tasso di leasing escluderebbe dunque l’irrogazione della sanzione sostitutiva, riservata alle ipotesi nelle quali nel contratto manchi la relativa pattuizione (v. Cass. 26 giugno 2019 n. 17110; Cass. 26 giugno 2019, n. 16907; sempre con riferimento alla materia del leasing ed alla determinabilità del relativo tasso, v. Cass. 13 maggio 2021, n. 12889).
Tale indirizzo è stato ribadito ancora di recente: “Nei contratti bancari, l’obbligo di indicazione del tasso di interesse, previsto dall’art. 117, comma 4 e 7, t.u.b. ai fini della validità del contratto, non postula che il documento contrattuale contenga l’indicazione in cifre del tasso annuo nominale, ma s’intende assolto a norma dell’art. 1346 c.c. anche quando sia determinabile sulla scorta del tasso annuo effettivo globale e degli altri valori riportati nel contratto, oppure attraverso il rinvio a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché questi siano oggettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del tasso e non determinati unilateralmente dalla banca” (v. Cass. 27 febbraio 2024, n. 5151; 13 giugno 2024, n. 16456).
6.3. Nel caso di specie, come già detto, il Tribunale di Udine dichiarò la nullità della clausola di indicizzazione all’Euribor 3M ed al Libor 3M per indeterminabilità dell’oggetto sulla base della mancata indicazione nel contratto della base temporale, non in quanto incerta la formula da applicare, ma per essere incerto il tasso di riferimento per l’adeguamento della rata. Pertanto, la mancata indicazione nel contratto della “base temporale” non consentiva di determinare in modo “univoco” il valore dell’indicizzazione sia all’Euribor 3M sia al Libor 3M. Da ciò derivando, altresì, la nullità anche della clausola “rischio cambio” Euro/CHF, la cui applicazione presupponeva l’univoca indicizzazione del tasso Libor 3M.
A valle della richiamata motivazione del giudice di primo grado, la Corte d’Appello, nel ribadire che ai sensi dell’art. 1346 cod. civ. per la determinabilità dell’oggetto del contratto è necessario che il tasso di interesse sia desumibile dal contratto senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo al creditore, anche quando individuato per relationem, confermò la decisione del primo giudice in termini di propagazione della nullità della clausola relativa al tasso Libor 3M a quella “rischio cambio” atteso il collegamento funzionale tra le due.
Leasing ed il tasso determinabile esternamente
Né vale a confutazione della decisione l’affermazione fatta dalla ricorrente, a cui dire, il dato (quello della base temporale) era agevolmente conoscibile aliunde ed oggettivamente e nel corso del giudizio era emerso che: a) nei siti ufficiali i tassi Euribor e Libor sono espressi su base 360.; b) nelle fatture inviate erano precisati i tassi di riferimento Euribor applicati, posto che per questa via rimane confermato che il contratto non conteneva “un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse.
A tal fine occorre che quest’ultimo sia desumibile dal contratto con l’ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo” al creditore.
6.4. Da ultimo deve essere disattesa la doglianza afferente alla pretesa violazione delle norme di interpretazione del contratto.
A parte il rilievo che il sindacato di legittimità sull’interpretazione del contratto ha ad oggetto non già il risultato interpretativo in sé ma l’eventuale errore logico commesso dal giudice o la violazione di un canone di ermeneutica (tra le molte, v. Cass. 31 marzo 2006, n. 7597; 1 aprile 2011, n. 7557; 14 febbraio 2012, n. 2109; 10 febbraio 2015, n. 2465; 29 luglio 2016, n. 15763; 5 dicembre 2018, n. 31512; 12 maggio 2020, n. 8810; 2 luglio 2020, n. 13620; sez. un., 21 gennaio 2021, n. 2061), laddove l’odierna ricorrente si limita invero a dedurre, inammissibilmente in termini di mera contrapposizione, la propria tesi alla valutazione operata dalla corte di merito, va osservato che la questione in esame non attiene in realtà all’interpretazione delle clausole contrattuali, bensì alla determinabilità o meno dell’oggetto del contratto.
6.5. Con particolare riferimento al terso motivo va ulteriormente posto in rilievo che, a valle della richiamata motivazione del giudice di primo grado in ordine alla clausola “rischio tasso”, nel ribadire che ai sensi dell’art. 1346 cod. civ. per la determinabilità dell’oggetto del contratto è necessario che il tasso di interesse sia desumibile dal contratto senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo al creditore, anche quando individuato per relationem, la Corte d’Appello ha confermato la decisione del primo giudice anche in ordine alla propagazione della nullità della clausola relativa al tasso Libor 3M a quella “rischio cambio” atteso il collegamento funzionale tra le due.
Infatti, l’applicazione della clausola “rischio cambio” “presupponeva l’univoca determinazione dell’indicizzazione contrattuale della “base temporale di riferimento” valutato che il canone, a seguito dell’accordo di conversione del luglio 2008, una volta indicizzato con riferimento al tasso Libor, veniva aggiornato anche secondo un altro criterio, nella specie il rapporto di cambio tra Euro e il franco svizzero”.
Nel pervenire a tale affermazione il giudice del secondo grado si è uniformato a quanto affermato da Cass. 16907/2017, secondo cui: (…) nel ritenere che la clausola di cambio è nulla per derivazione dalla nullità della clausola Libor, la corte esclude che il suo contenuto possa dunque essere determinabile. La clausola Libor determina il contenuto della clausola cambio, nel senso che quest’ultima presuppone un calcolo previamente fatto con quella. Ed è corretto allora ritenere che l’indeterminatezza del contenuto dell’una rende indeterminabile anche l’altra. La nullità può derivare da un atto all’altro quando i due sono legati da un vincolo funzionale, e quando le parti intendono con tale collegamento realizzare un risultato economico unitario. Le due clausole, ed è pacifico, operano l’una in funzione dell’altra. La clausola di cambio opera solo dopo (da un punto di vista logico, non cronologico) l’applicazione di quella Libor, con lo scopo di ottenere il medesimo risultato di adeguamento del canone. Ed è in questa derivazione funzionale che sta la derivazione della nullità dell’una dall’altra clausola”.
Nella ravvisata interdipendenza delle clausole, operando l’una a valle dell’altra, si radica la derivazione della nullità anche della clausola “rischio cambio”, la quale, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente non può ritenersi “pienamente autosufficiente rispetto a quella “rischio tasso” in base al tenore in sé”, poiché l’una (“rischio tasso”) costituisce la base per l’applicazione dell’altra (“rischio cambio”).
L’argomento invocato dalla ricorrente che la non conoscibilità è intrinseca al fenomeno indicizzazione, è invero suggestivo ma mal posto, poiché la conoscenza (certa) ex ante, non invocabile in caso di indicizzazione, viene erroneamente intesa come possibilità di conoscenza realizzabile se predeterminata in modo univoco la base di calcolo.
La clausola assume un tasso di cambio iniziale (cambio storico) da confrontare con quello alle varie scadenze (cambio di scadenza) e conseguentemente, a seconda delle oscillazioni del cambio in positivo o negativo del cambio, è regolata la determinazione del canone.
Sennonché il calcolo delle variazioni del cambio ai fini della determinazione del canone è condizionato a monte da quello fatto mediante la clausola “rischio tasso”.
Con il che si spiega il meccanismo della nullità derivata a valle.
7. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. e/o dell’art. 1322 c.c. e nullità per apparente motivazione ex art. 132, comma 4 c.p.c. nella parte in cui la clausola di indicizzazione “rischio cambio” è stata ritenuta immeritevole di tutela (cfr. pagg. 18-22 Sentenza)”.
La ricorrente si duole per aver ritenuto la Corte d’Appello la clausola “rischio cambio” immeritevole ai sensi dell’art. 1322, comma secondo, cod. civ. in quanto connotata da un profilo “eminentemente aleatorio e speculativo, del tutto eccentrico rispetto alle finalità proprie del contratto di leasing e dunque suscettibile di instaurare un rapporto parallelo, dotato di autonomia e causa propria”. Tale notazione, tuttavia, poggia sull’erroneo presupposto della valutazione della clausola avulsa dal contratto e tale da assimilarla ad un derivato.
Erroneamente la Corte d’Appello a pagina 21, in violazione dell’art. 1362 cod. civ., in risposta ad un rilievo dell’appellante a proposito della funzione della clausola quale attuazione della volontà delle parti di “effettuare la provvista in valuta”, ha affermato che “il medesimo risultato poteva essere raggiunto con una operazione di conversione in valuta estera”: era stato il sig. Da.Gi. a chiedere la conversione, la quale presupponeva la vendita di valuta straniera per l’ammontare del capitale residuo del leasing. L’aggancio del contratto al Libor, di gran lunga inferiore all’Euribor, che dal momento della stipula del contratto aveva avuto un significativo incremento, aveva permesso all’utilizzatore un significativo risparmio, il quale, per fatto non imputabile alla banca, aveva subito la penalizzazione per l’andamento del cambio.
La clausola “rischio cambio” non si prestava allo scrutinio in termini di immeritevolezza per contrarietà ai principi di solidarietà, parità e non prevaricazione, poiché non era tale da determinare alcun vantaggio sproporzionato in favore della concedente: a) la pretesa maggiorazione degli interessi, nel caso di conguagli a favore della concedente, non era prevista; b) la maggiorazione dell’IVA aveva un’incidenza del tutto minimale e comportava un rischio lievemente maggiore per l’utilizzatore; c) il tasso di cambio convenzionale presentava una differenza infinitesimale rispetto a quello rilevato sul mercato il giorno del verbale di consegna e comunque si trattava di differenza a vantaggio dell’utilizzatore.
Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
In ordine alla clausola “rischio cambio”, in aggiunta a quanto riconosciuto dal giudice del primo grado (oggetto del secondo e del terzo motivo dell’odierno ricorso), la Corte d’Appello ha ravvisato la relativa nullità per “immeritevolezza” ex art. 1322, comma secondo, cod. civ., perché connotata da un profilo “eminentemente aleatorio e speculativo, del tutto eccentrico rispetto alle finalità proprie del contratto di leasing e dunque suscettibile di instaurare un rapporto ad esso parallelo, dotato di autonomia e causa propria”. Aggiunse la corte che l’elemento di rischio introdotto nel contratto era allocato in modo sistematicamente squilibrato in favore dell’istituto concedente.
8. Il tema posto dal quarto motivo è stato composto da Cass., sez. un., 23 febbraio 2023, n. 5657, la quale, proprio con riferimento all’indirizzo giurisprudenziale seguito dalla Corte d’Appello di Trieste ha enunciato il seguente principio di diritto: “Il giudizio di “immeritevolezza” di cui all’art. 1322 c.c., comma 2, va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, e non alla sua convenienza, né alla sua chiarezza, né alla sua aleatorietà”. Le Sezioni Unite hanno altresì formulato nell’interesse della legge ex art. 363 cod. proc. civ. un ulteriore principio di diritto, a mente del quale “La clausola inserita in un contratto di leasing, la quale preveda che: a) la misura del canone vari in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera; b) l’importo mensile del canone resti nominalmente invariato, e i rapporti di dare/avere tra le parti dipendenti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte; non è un patto immeritevole ex art. 1322 c.c., né costituisce uno “strumento finanziario derivato” implicito, e la relativa pattuizione non è soggetta alle previsioni del D.Lgs. n. 58 del 1998″.
Alla base di tali asserzioni, le Sezioni Unite hanno rimarcato come il giudizio di ‘meritevolezza’ di cui all’art. 1322, comma secondo, cod. civ., non coincida col giudizio di liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa. Secondo la Relazione al Codice civile, infatti, la meritevolezza è un giudizio che deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso avuto di mira dalle parti, cioè lo scopo pratico o causa concreta che dir si voglia (ex aliis, Cass., sez. un., 17 febbraio 2017, nn. 4222, 4223, 4224; sez. III, 28 aprile 2017, n. 10506). Il risultato del contratto dovrà dirsi immeritevole solo quando sia contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume od all’ordine pubblico (così la Relazione al Codice, par. 603, II capoverso).
Tale principio, se pur anteriore alla promulgazione della Carta costituzionale, è stato da questa ripreso e consacrato negli artt. 2, comma primo secondo periodo; 4, comma secondo, e 41, comma secondo Cost.
Un contratto, dunque, non può dirsi diretto a realizzare interessi ‘immeritevoli’ di tutela sol perché poco conveniente per una delle parti, tanto più che l’ordinamento garantisce il contraente il cui consenso sia stato stornato o prevaricato, ma non quello che, libero e informato, abbia compiuto scelte contrattuali non pienamente satisfattive dei propri interessi economici.
Affinché, dunque, un patto atipico possa dirsi diretto a realizzare interessi “immeritevoli”, ai sensi dell’art. 1322 c.c., è necessario accertare la contrarietà (non del patto, ma) del risultato cui esso mira con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati.
9. Successivamente alla ridetta pronuncia delle Sezioni Unite, il tema posto dal quarto motivo è stato reiteratamente esaminato da questa Corte (v. Cass., sez. III, 18 ottobre 2023, n. 28998; 30 ottobre 2023, n. 30063; 26 gennaio 2024, n. 2510; 26 settembre 2024, n. 25798) rinviando al giudice a quo al fine di provvedere al riesame del giudizio di “immeritevolezza” di cui all’art. 1322 c.c., comma secondo, cod. civ. avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, e non alla sua convenienza, né alla sua chiarezza, né alla sua aleatorietà.
Leasing ed il tasso determinabile esternamente
Nella vicenda oggi in esame, la Corte d’Appello, a proposito del giudizio di meritevolezza, ha richiamato un suo precedente (202/2018), nel quale si legge “…coerenza del regolamento negoziale rispetto alla tutela legale degli interessi in conflitto o la realizzazione di uno scambio economicamente apprezzabile. Il che, se manca, si risolve in un giudizio di invalidità della clausola che si caratterizza per lo squilibrio economico delle prestazioni e per l’inammissibile (anche oggettiva oltre che soggettiva) alea della pattuizione. Dunque, occorre che l’interesse concretamente perseguito mediante il contratto atipico corrisponda a finalità comunque considerabili degne di tutela, perché assimilabili a quelle ispiratrici degli schemi tipizzati dall’ordinamento giuridico”.
Più nel dettaglio, secondo la sentenza impugnata, “la clausola in oggetto introduce una componente anomala di rischio nel rapporto negoziale intercorrente tra le parti e ne realizza un’allocazione sistematicamente squilibrata a favore della banca concedente, attraverso la previsione di una diversa base di calcolo a seconda che la variazione tra il cambio storico e quello di scadenza del canone sia in aumento o in diminuzione”.
Infatti, in caso di variazione in aumento del cambio, “la base di calcolo è costituita dal canone maggiorato dell’IVA, mentre nell’ipotesi inversa essa è costituita dal solo canone imponibile, sicché gli importi dovuti in esecuzione della clausola di rischio cambio erano più onerosi di quelli dovuti da controparte al medesimo titolo” e poi ha concluso osservando “La previsione, in conclusione, di uno strumento finanziario e speculativo autonomo rispetto al contratto di leasing, caratterizzato da profili di spiccata aleatorietà, asimmetria delle prestazioni, eterogeneità e incoerenza rispetto ai fini del contratto, non può di certo dirsi finalizzato alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela e la relativa clausola è nulla ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c. (…)”.
Anche a voler prescindere dalla notazione in base alla quale “occorre che l’interesse concretamente perseguito mediante il contratto atipico corrisponda a finalità comunque considerabili degne di tutela, perché assimilabili a quelle ispiratrici degli schemi tipizzati dall’ordinamento giuridico”, comunque in contrasto con l’art. 1322, comma secondo, cod. civ., il quale prevede la valutazione dell’interesse perseguito con riferimento all’ordinamento giuridico e non ai contratti tipici già normati, del tutto inconsistente – sotto il profilo del giudizio di meritevolezza degli interessi disposti dalle parti- deve ritenersi la valutazione del giudice a quo circa la pretesa aleatorietà e lo squilibrio delle prestazioni.
Da un lato, infatti, non ogni contratto aleatorio è, per ciò solo, immeritevole di tutela ex art. 1322 cod. civ., dall’altro, deve escludersi che sia inibito alle parti stipulare contratti aleatori atipici.
Questa Corte, infatti, ha già affermato la liceità e la meritevolezza di contratti aleatori non espressamente previsti dalla legge: ad esempio, in materia di c.d. vitalizio atipico (ex multis, sez. II, 22 aprile 2016, n. 8209; sez. III, 27 aprile 1982, n. 2629).
Neppure è vietato inserire elementi di aleatorietà in un contratto commutativo.
Le parti d’un contratto infatti, nell’esercizio del loro potere di autonomia negoziale, ben possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienze che incidono o possono incidere sull’equilibrio delle prestazioni, ed assumerne, reciprocamente o unilateralmente, il rischio, modificando in tal modo lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l’effetto di escludere, nel caso di verificazione di tali sopravvenienze, l’applicabilità dei meccanismi riequilibratorii previsti nell’ordinaria disciplina del contratto (art. 1467 e 1664 cod. civ.).
L’assunzione del suddetto rischio, come già stabilito da questa Corte, può risultare anche per implicito dal regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro obbligazioni (sez. I, 26 gennaio 1993, n. 948; sez. II, 12 ottobre 2012, n. 17485; sez. III, 13 maggio 2020, n. 8881; sez. II, 4 febbraio 2021, n. 2622, non massimata sul punto, ma espressamente in motivazione; sez. un. 5657/2023, cit.).
Quanto al dedotto squilibrio delle prestazioni, vale sottolineare come la corte territoriale mostri implicitamente (ma inequivocabilmente) di ritenere che:
a) il concetto di “equilibrio delle prestazioni” di un contratto sinallagmatico consista in una paritaria e perfetta equipollenza tra le contrapposte obbligazioni;
b) ogni minimo disallineamento tra questa perfetta parità possa essere sindacato dal giudice, amputando parti del contratto per ricondurlo all’equità.
Entrambe tali asserzioni, tuttavia, devono ritenersi erronee, posto che:
a) ciascuna parte ha il diritto di pianificare in piena libertà le proprie strategie imprenditoriali e commerciali, come già ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, con ampiezza di motivazioni, sez. I, 21 gennaio 2020, n. 1184; nello stesso senso, sez. III, 14 ottobre 2021, n. 28022);
b) non è possibile far coincidere lo squilibrio delle prestazioni con la convenienza del contratto; chi ha fatto un cattivo affare non può pretendere di sciogliersi dal contratto invocando “lo squilibrio delle prestazioni”. L’intervento del giudice sul contratto non può che essere limitato a casi eccezionali, pena la violazione del fondamentale principio di libertà negoziale (così, ex multis, Sez. 6 – II, 25 novembre 2021, n. 36740);
c) l’evocabilità, in caso di squilibrio (economico) tra prestazioni, del rimedio della rescissione per lesione (ove lo squilibrio sia genetico) o della risoluzione per eccessiva onerosità (in caso di sopravvenienze), con la conseguenza che proprio l’esistenza di tali rimedi esclude la necessità stessa di ricorrere a fantasiose invenzioni circa l’immeritevolezza d’un contratto che preveda “prestazioni squilibrate” (sez. un., 5657/2023, cit.).
La Corte d’Appello ha invero erroneamente formulato un giudizio di “immeritevolezza” del contratto ex art. 1322, comma secondo, cod. civ., meramente in astratto, dopo avere accertato in facto circostanze irrilevanti ai fini del suddetto giudizio (aleatorietà, speculatività, distribuzione del rischio cambio sistematicamente sperequata in favore del creditore, eterogeneità e incoerenza rispetto ai fini del contratto).
Alla inidoneità delle giustificazioni poste a fondamento del giudizio espresso dal giudice a quo circa l’immeritevolezza di tutela della clausola di “rischio cambio” segue la corrispondente cassazione della sentenza impugnata con l’attribuzione, alla Corte d’Appello di Trieste, quale giudice del rinvio, del compito di procedere alla corretta riformulazione del giudizio di meritevolezza (ex art. 1322 c.c.) degli interessi delle odierne parti avuto riguardo alla tutela degli interessi dalle medesime in concreto perseguite attraverso le pattuizioni dalle medesime nella specie poste in essere, avendo cura di evidenziare gli aspetti eventualmente idonei a giustificare la negazione di tale meritevolezza sulla base di una valutazione da condurre “in concreto”, e non già puramente in astratto, degli scopi pratici (c.d. causa concreta) perseguiti dai contraenti.
10. Alla fondatezza nei suindicati termini e limiti del 4 motivo di ricorso, -assorbiti ogni diversa questione e differente profilo nonché il 5, il 6 e il 7 motivo, dichiarato inammissibile il primo motivo e rigettati il secondo e il terzo motivo, ed assorbiti i restanti motivi- consegue l’accoglimento e la cassazione in relazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, che in diversa composizione procederà a nuovo esame facendo del suindicato disatteso principio applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
Leasing ed il tasso determinabile esternamente
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso il 4 motivo nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbiti il 5, il 6 e il 7 motivo; dichiara inammissibile il 1 motivo; rigetta il 2 e il 3 motivo. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 6 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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