Le norme incriminatrici contenute nel decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 4 febbraio 2020, n. 4772

Data udienza 10 dicembre 2019

Massima estrapolata:

Le norme incriminatrici contenute nel decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14 (codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Cci), che entreranno in vigore il 15 agosto 2020, sono in continuità normativa con le precedenti norme incriminatrici contenute nel Regio decreto 16 marzo 1942 n. 267 (affermazione resa relativamente al reato di cui all’articolo 223, comma 2, numero 1, del Regio decreto n. 267 del 1942, in relazione all’articolo 2621 del codice civile, rapportato al “nuovo” articolo 329, comma 2, lettera a), del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza).

Sentenza 4 febbraio 2020, n. 4772

Data udienza 10 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V – rel. Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/05/2019 del GIP TRIBUNALE di ROMA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO;
lette le conclusioni del PG, Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha chiesto l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, del 16 maggio 2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha applicato a (OMISSIS) la pena concordata fra le parti nella misura indicata in dispositivo, per i reati contestatigli ai sensi dell’articolo 110 c.p., articolo 223, comma 2, n. 1, in relazione all’articolo 2621 c.c., e L. Fall., articolo 219.
2. L’imputato ha proposto ricorso, a mezzo del difensore, deducendo, con l’unico motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla omessa applicazione del disposto dell’articolo 129 c.p.p. in quanto, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 14 del 2019, articoli 389 e 390, di riforma della legge fallimentare, si era verificata l’ipotesi di “abolitio criminis”, essendo mutata la legge extrapenale posta a fondamento delle norme penali incriminatrici.
3. Il Procuratore generale presso questa Corte, nella persona del sostituto Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, ha chiesto venga dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso non essendo gia’ entrata in vigore la normativa invocata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato e’ inammissibile, per una pluralita’ di motivi.
1. Innanzitutto perche’ le norme in base alle quali il Tribunale ha pronunciato la sentenza di patteggiamento risultano ancora in vigore posto le nuove norme incriminatrici contenute nel Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 – il “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155” entreranno in vigore, a norma dell’articolo 389 del medesimo decreto, solo decorsi diciotto mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 14 febbraio 2019, e, quindi il 15 agosto 2020.
In secondo luogo, perche’ le nuove norme appaiono in perfetta continuita’ normativa con le precedenti norme contenute del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Al prevenuto, in particolare, e’ stata ascritta la violazione, in concorso con gli altri amministratori, dell’articolo 223, comma 2, n. 1, del R.D., in relazione all’articolo 2621 c.c., avendo riportato, nei bilanci di esercizio della fallita (dichiarata tale con sentenza del (OMISSIS)) s.r.l. (OMISSIS) del 2009, 2010 e 2011, fatti non corrispondenti al vero, occultando perdite tali da annullare il patrimonio netto e cosi’ cagionando il dissesto della stessa.
La fattispecie astratta ascritta al prevenuto e’ pertanto la seguente:
“Art. 223.
Fatti di bancarotta fraudolenta.
1. Si applicano le pene stabilite nell’articolo 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di societa’ dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
2. Si applica alle persone suddette la pena prevista dalla L. Fall., articolo 216, comma 1, se:
1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della societa’, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c.;
Non diversamente, ed anzi riproducendo la lettera della precedente norma, nel “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 14 febbraio 2019, sotto l’identica rubrica “Fatti di bancarotta fraudolenta”, l’articolo 329 prevede che:
1. Si applicano le pene stabilite nell’articolo 322 (nei casi di “bancarotta fraudolenta” patrimoniale e documentale commessi dall’imprenditore dichiarato “in liquidazione giudiziale”, e, quindi, non piu’ “fallito”) agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di societa’ in liquidazione giudiziale, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
2. Si applicano alle persone suddette la pena prevista dall’articolo 322, comma 1, se:
a) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della societa’, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c..
Non vi e’ pertanto alcuna discontinuita’ del precetto penale (ne’ la risposta sanzionatoria risulta diversa) che subentrera’ all’attuale disciplina.
Ne’, nell’odierna fattispecie, si e’ fatta questione circa l’applicabilita’ della, questa si’ nuova, causa di non punibilita’ o, in alternativa (qualora non ricorra il danno di speciale tenuita’), circostanza attenuante, previste dall’articolo 25, comma 2, del Codice della crisi d’impresa, e peraltro riconducibili ad una iniziativa dell’imprenditore prevista solo dalle nuove norme.
2. Quanto alle modifiche introdotte nelle norme civilistiche che presiedono ai presupposti della liquidazione dell’impresa ed alla procedura da seguire, solo in minima parte gia’ entrate in vigore (in applicazione dell’articolo 389, comma 2 del decreto), sostituendo anche al “fallimento” la “liquidazione” della stessa non si ravvisano elementi concreti – e certo non possono esserlo la diversa distribuzione di compiti e poteri del giudice delegato, del curatore, dei creditori e del soggetto interessato e le diverse scansioni processuali – tali da mutare il presupposto, l'”insolvenza dell’impresa”, su cui si fondano le norme penali, che, difatti, sono rimaste immutate, tranne nell’aggiornamento del lessico dei nuovi presupposti di applicabilita’.
3. Il ricorso e’, pertanto come si e’ detto inammissibile anche perche’ l’articolo 448 c.p.p., comma 2 bis, lo consente contro la sentenza di patteggiamento “solo per motivi attinenti all’espressione della volonta’ dell’imputato, al difetto di correlazione fra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalita’ della pena o della misura di sicurezza”.
L’inammissibilita’ deve essere dichiarata de plano ai sensi dell’articolo 610 c.p.p., comma 5 bis, e comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, anche della somma di Euro 4.000 a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 4.000 a favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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