L’applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 16 settembre 2020, n. 26082.

L’applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità prevista dall’art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990, non consegue automaticamente al ricorrere dei presupposti legali, bensì è oggetto di una valutazione discrezionale del giudice in ordine alla meritevolezza dell’imputato ad ottenerla. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la sentenza che aveva respinto la richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva alla luce delle modalità di detenzione della sostanza stupefacente, della capacità di intessere e mantenere relazioni nel mondo dei fornitori e degli assuntori di sostanze stupefacenti, nonché dell’assenza di dati concreti da cui desumere una seria prospettiva per l’imputato di rescindere tali relazioni).

Sentenza 16 settembre 2020, n. 26082

Data udienza 22 luglio 2020

Tag – parola chiave: Stupefacenti – Ammissione al lavoro di pubblica utilità – Presupposti di legge ex art. 73 comma 5 bis dpr n. 309/90 – Ulteriore discrezionalità del giudice – Diniego – Motivazione congrua

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 04/04/2019 della Corte d’appello di Caltanissetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere CORBO Antonio;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale DI NARDO Marilia, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 4 aprile 2019, la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Enna, che aveva dichiarato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) per il reato di illecita detenzione di di cocaina e marijuana, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, accertato in data 8 giugno 2013, e gli aveva irrogato la pena di due anni di reclusione e di 3.000,00
Euro di multa, con diniego delle circostanze attenuanti generiche ed esclusione della recidiva.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto sottoscritto dall’avvocato (OMISSIS), quale difensore di fiducia dell’imputato, articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla affermazione della penale responsabilita’.
Si deduce che, in modo manifestamente illogico, la sentenza impugnata ha valorizzato, ai fini della pronuncia di colpevolezza, l’esistenza di rapporti tra il ricorrente ed altri tossicodipendenti, senza pero’ specificare chi fossero, ne’ quale fosse il contenuto di tali contatti. Si aggiunge che la decisione e’ anche gravemente lacunosa perche’ non ha tenuto conto ne’ della modestia del quantitativo di stupefacente (0,9 grammi di cocaina e 11 grammi di marijuana) e delle somme di denaro (350,00 Euro) sequestrati, ne’ della qualita’ di tossicodipendente dell’imputato.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo al diniego dell’ammissione al lavoro di pubblica utilita’, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5-bis.
Si deduce che la mancata ammissione al lavoro di pubblica utilita’ e’ stata decisa senza l’esposizione di alcuna reale giustificazione, ed assumendo apoditticamente la capacita’ di ricorrente di mantenere relazioni nel modo del commercio di droga.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 133 c.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla determinazione della pena.
Si deduce che i quantitativi di droga e di denaro rinvenuti sono particolarmente modesti, per cui una pena pari alla meta’ del massimo edittale e’ palesemente sproporzionata.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si deduce che il diniego e’ fondato sulla “particolare dimestichezza (del ricorrente) con le condotte di approvvigionamento e spaccio”, senza che pero’ sia indicato quali siano queste condotte, e senza considerare la modestia del quantitativo di droga detenuto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’, nel complesso, infondato, per le regioni di seguito precisate.
2. Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, e che contestano l’affermazione della penale responsabilita’, deducendo l’incongruenza degli elementi addotti a fondamento della dichiarazione di colpevolezza.
E’ utile premettere che, secondo l’insegnamento consolidato della giurisprudenza, in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimita’ soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicita’ della motivazione (cosi’, tra le altre, Sez. 4, n. 7191 del 11/01/2018, Gjoka, Rv. 272463-01, e Sez. 6, n. 44419 del 13/11/2018, Perrone, Rv. 241604-01).
La sentenza impugnata rappresenta, a base della condanna, che: a) l’imputato mentre era all’interno di un’autovettura da lui condotta, e sottoposto a controllo da parte della Polizia, non appena si accorgeva della presenza degli operanti, apriva lo sportello e si disfaceva di un involucro in cellophane, chiuso con nastro adesivo, disperdendo la sostanza stupefacente in esso contenuta; b) le perquisizioni sulla persona dell’odierno ricorrente e all’interno dell’autovettura consentivano di recuperare altri due involucri contenenti cocaina per complessivi 0,9 grammi, nonche’ 11,4 grammi di marijuana; c) la perquisizione domiciliare nell’abitazione dell’uomo faceva infine rinvenire un bilancio di precisione perfettamente funzionante, nastro adesivo e banconote di piccolo taglio; d) l’accusato non ha fornito alcuna spiegazione alternativa in ordine alla droga rinvenuta per effetto delle indicate perquisizioni; e) sono emersi contatti tra il medesimo e vari soggetti tossicodipendenti.
In considerazione dei principi giuridici applicabili e degli elementi indicati dalla Corte d’appello – in particolare: la diversita’ delle sostanze droganti detenute, il frazionamento della cocaina in tre involucri di modesto peso, l’attivita’ di dispersione del contenuto di una di queste confezioni sull’asfalto all’atto del controllo, la disponibilita’ di un bilancino di precisione funzionante, l’assenza di spiegazioni alternative da parte dell’imputato -la conclusione circa l’illiceita’ della detenzione dello stupefacente rinvenuto, e la destinazione dello stesso ad un uso non personale, non puo’ ritenersi manifestamente illogica o lacunosa.
3. Infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo, e che criticano il rigetto della richiesta di ammissione al lavoro di pubblica utilita’, proposta a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5-bis.
3.1. Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5-bis, primo periodo, recita: “Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 c.p.p., su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale, puo’ applicare, anziche’ le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilita’ di cui al Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 54, secondo le modalita’ ivi previste”.
In giurisprudenza, piu’ decisioni hanno affermato che l’applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilita’ prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5-bis, non consegue automaticamente al ricorrere dei presupposti legali, bensi’ e’ oggetto di una valutazione discrezionale del giudice in ordine alla meritevolezza dell’imputato ad ottenerla (cfr.: Sez. 4, n. 39022 del 15/03/2016, Belotti, Rv. 26777401; Sez. 3, n. 6876 del 27/01/2011, Bartoluccio, Rv. 249542-01; Sez. 6, n. 38110 del 18/06/2009, Barieri, Rv. 244554-01). A fondamento della conclusione secondo cui l’applicazione della pena alternativa non consegue automaticamente al ricorrere dei presupposti legali, ma presuppone una valutazione giudiziale di meritevolezza di natura discrezionale, si richiama la formulazione testuale della disposizione citata, in particolare laddove recita: “Il giudice (…) puo’ applicare” (cosi’, specificamente, Sez. 6, n. 38110 del 2009, cit.). Si aggiunge che un elemento particolarmente significativo ai fini di tale giudizio e’ costituito dalla personalita’ dell’imputato (cfr. ancora Sez. 6, n. 38110 del 2009, cit., ma anche Sez. 3, n. 6876 del 2011, cit.), anche perche’ l’istituto presuppone una valutazione circa la idoneita’ della misura a tendere alla rieducazione del condannato (per questo rilievo, v., specificamente, Sez. 3, n. 6876 del 2011, cit.).
Il Collegio concorda con questo indirizzo interpretativo, oltre che per le ragioni testuali gia’ evidenziate, anche per considerazioni di coerenza sistematica.
Invero, nel sistema delle sanzioni applicabili dal giudice di pace di cui al Decreto Legislativo n. 274 del 2000, espressamente richiamato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5-bis, l’irrogazione di quella del lavoro di pubblica utilita’ segue sempre ad una valutazione discrezionale del giudice, sia perche’ il legislatore usa il verbo “puo'” (Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 54, comma 1), sia perche’ e’ sempre possibile la scelta di irrogare altra misura, e cioe’ la permanenza domiciliare o la pena pecuniaria. Inoltre, anche nel sistema delle sanzioni del codice della strada, che, al Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 186, comma 9-bis, e succ. modif., contiene una previsione analoga a quella di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5-bis, l’applicazione della misura di cui al Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 54, in sostituzione della pena detentiva e pecuniaria e’ ormai, secondo l’indirizzo ormai ampiamente prevalente, rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, da compiersi secondo i criteri dettati dall’articolo 133 c.p. (cosi’, tra le altre, Sez. 4, n. 13466 del 17/01/2017, Pacchioli, Rv. 269396-01, nonche’ Sez. 4, n. 15018 del 13/12/2013, dep. 2014, Cereghino, Rv. 261560-01; l’ultima decisione massimata nel senso della soluzione contraria e’ Sez. 3, n. 20726 del 07/11/2012, dep. 2013, Cinciripini, Rv. 254998-01).
Sembra significativo aggiungere che le esposte conclusioni, sebbene incidentalmente, risultano condivise anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Questa, infatti, pur pronunciandosi specificamente in tema di reati previsti dal Decreto Legislativo n. 285 del 1992 e succ. modif., ha pero’ precisato che “analogamente a quanto avviene per le sanzioni sostitutive previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, articoli 53 e seguenti, e per quella stessa del lavoro di pubblica utilita’, prevista in rapporto a taluni reati in materia di stupefacenti dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5-bis, il potere di sostituzione rientra nel piu’ generale potere discrezionale di determinazione della pena in concreto per il fatto oggetto di giudizio, spettante al giudice che pronuncia il decreto penale o la sentenza di condanna”, e che “come risulta dall’impiego della voce verbale “puo'”, l’applicazione della pena sostitutiva in questione non costituisce, infatti, oggetto di un diritto dell’imputato, ma e’ disposta discrezionalmente dal giudice sulla base di una valutazione di meritevolezza che ha quali parametri i criteri enunciati dall’articolo 133 c.p., – cosi’ come, del resto, e’ espressamente stabilito dalla L. n. 689 del 1981, articolo 58 – oltre che sulla base di una prognosi di positivo svolgimento del lavoro” (cosi’ Corte Cost., n. 43 del 2013).
3.2. Posta la discrezionalita’ dell’applicazione della misura del lavoro di pubblica utilita’ e la valorizzabilita’, ai fini del diniego, di tutti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p., ivi compreso quello concernente i precedenti penali, in una prospettiva diretta ad apprezzare l’idoneita’ della misura ai fini della rieducazione del condannato, la sentenza impugnata risulta immune da vizi.
La Corte d’appello ha ritenuto di non poter concedere la sostituzione della pena detentiva con la misura dell’ammissione al lavoro di pubblica utilita’, in ragione delle modalita’ del fatto e della personalita’ dell’imputato, gravato di plurimi e specifici precedenti penali. In particolare, sono richiamate le modalita’ della detenzione della sostanza stupefacente, la capacita’ di intessere e mantenere relazioni nel mondo dei fornitori e degli assuntori di sostanze stupefacenti, l’assenza di dati concreti da cui desumere una seria prospettiva per l’imputato di rescindere tali relazioni.
Gli elementi indicati rendono non manifestamente illogico il giudizio negativo circa l’idoneita’ della misura ai fini della rieducazione del condannato.
4. Manifestamente infondate sono le censure enunciate nel terzo e nel quarto motivo, e che lamentano, la prima, l’eccessiva della pena, e la seconda, il diniego delle circostanze attenuanti generiche, assumendo l’apoditticita’ delle motivazioni addotte dalla sentenza impugnata.
4.1. Per quanto concerne il promo ordine di doglianze, va rilevato che, in giurisprudenza e’ costante l’insegnamento secondo cui non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (cosi’, tra le tante, Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288-01, e Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283-01).
Tenendo questo di questo principio, nella specie, deve ritenersi che la determinazione della pena sia stata effettuata in modo immune da vizi: invero, la stessa e’ stata fissata in due anni di reclusione, ossia in misura piu’ vicina al minimo che al massimo edittale (rispettivamente: sei mesi e quattro anni) ed e’ stata ritenuta congrua in ragione anche dei numerosi contatti tra l’imputato e vari assuntori di sostanze stupefacenti.
4.2. Relativamente al secondo ordine di doglianze, costituisce insegnamento consolidato quello secondo cui, ai fini dell’applicazione del beneficio, il giudice di merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (cfr, ad esempio, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01, la quale ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Inoltre, e risolutivamente, occorre richiamare il principio, anch’esso ampiamente condiviso, in forza del quale il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo, in quanto le stesse hanno lo scopo di estendere le possibilita’ di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entita’ del reato e della capacita’ a delinquere del reo (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, Villani, Rv. 275640-01, nonche’ Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315-01).
5. Alla complessiva infondatezza dei motivi segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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