Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 ottobre 2024| n. 27032.
La valutazione della gravità dell’inadempimento
Massima: In materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.
Ordinanza|18 ottobre 2024| n. 27032. La valutazione della gravità dell’inadempimento
Data udienza 17 settembre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Contratto – Scioglimento del contratto – Risoluzione del contratto per inadempimento – Importanza dell’inadempimento – Accertamento – Criteri – Apprezzamento di fatto – Censurabilità in cassazione – Limiti – Fattispecie in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. VARRONE Luca – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere – Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5209/2022 R.G. proposto da:
Bo.Ug., rappresentato e difeso dall’avv. Ni.Ma. e dall’avv. Gi.Br., domiciliato presso il loro recapito digitale con indirizzo pec: (omissis);
– ricorrente –
contro
Di.An., rappresentato e difeso dall’avv. Be.Pa., domiciliato presso il suo recapito digitale con indirizzo pec: (omissis);
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto n. 413/2021, depositata il 9 dicembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre 2024 dal Consigliere Gianluca Grasso.
La valutazione della gravità dell’inadempimento
FATTI DI CAUSA
1. – Con atto notificato a mezzo del servizio postale il 18 novembre 2014, Di.An. ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Taranto, Bo.Ug. e l’agenzia Ro.Du. Srl esponendo di aver stipulato in data 31 maggio 2013 un contratto preliminare con il quale aveva promesso di acquistare dal Bo.Ug. un immobile sito nel Comune di L. Il prezzo pattuito era di Euro 210.000,00, dei quali Euro 40.000,00 corrisposti alla sottoscrizione del preliminare a titolo di caparra confirmatoria, mentre il saldo avrebbe dovuto corrispondersi al rogito del definitivo da stipularsi entro il 10 ottobre 2013. Precisava che nel preliminare la parte promittente venditrice aveva dichiarato che il fabbricato oggetto della promessa di vendita era stato edificato in conformità alla licenza edilizia rilasciata dal Comune di L. e ne aveva garantito la regolarità urbanistica. Nel suo atto di citazione, il Di.An. si doleva che entro la data prevista non aveva potuto essere stipulato il contratto definitivo perché non era stata fornita la documentazione inerente la regolarità urbanistico-edilizia del vano deposito e del locale autorimessa, esponendo di aver contestato tale inadempimento al promittente alienante con lettera raccomandata del 21 ottobre 2013. Deduceva, altresì, che il Bo.Ug. gli aveva notificato in data 11 dicembre 2013 un atto di diffida ad adempiere, invitandolo a comparire dinanzi al notaio designato per procedere al rogito in data 24 gennaio 2014 e di aver contestato tale diffida con successiva lettera raccomandata nella quale ribadiva il suo recesso per inadempimento del promittente venditore. Il Di.An. concludeva chiedendo al Tribunale in via principale di accertare la legittimità del suo recesso con la condanna del convenuto alla restituzione del doppio della caparra versata oltre interessi. In via subordinata di (a) pronunciare la risoluzione del preliminare per impossibilità sopravvenuta, con la condanna del Bo.Ug. alla restituzione del doppio della caparra, ovvero, in ulteriore subordine, (b) dichiarare la nullità del preliminare condannando il Bo.Ug. alla restituzione della caparra e al risarcimento del danno in misura pari all’importo della caparra, ovvero ancora, in via ulteriormente gravata, (c) annullare il contratto preliminare per dolo o per errore essenziale, sempre con la condanna del Bo.Ug. alla restituzione della caparra ed al risarcimento del danno, ovvero, in via ancora ulteriormente gradata, (d) ridurre il prezzo pattuito per la compravendita. Il Di.An. chiedeva, altresì, per l’ipotesi di nullità e/o annullamento del preliminare, di condannare l’altra convenuta, la Ro.Du. Srl, alla restituzione della somma percepita a titolo di provvigione in solido con il Bo.Ug.
La valutazione della gravità dell’inadempimento
Bo.Ug. si costituiva in giudizio spiegando a sua volta domanda riconvenzionale. In particolare, esponeva che il promissario acquirente aveva omesso di presentarsi alla data fissata per il rogito, né aveva mai offerto di eseguire la prestazione del pagamento del saldo pattuito. Il Bo.Ug. insisteva per la validità ed efficacia del preliminare anche perché per le due piccolissime particelle era stata presentata istanza di condono edilizio.
Il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 2614 depositata il 22 ottobre 2019, dichiarava legittimo il recesso dell’attore e condannava il convenuto al pagamento del doppio della caparra, oltre interessi legali dalla costituzione in mora al saldo, nonché al pagamento delle spese di lite; dichiarava assorbite le altre domande proposte dall’attore e rigettava le domande riconvenzionali; dichiarava compensate le spese di lite fra il convenuto e la società Ro.Du. Srl
2. – Avverso la sentenza ha interposto appello Bo.Ug. perché, in riforma della stessa, fossero rigettate tutte le domande proposte dal Di.An., con conseguente accoglimento della domanda riconvenzionale.
Si costituiva il Di.An. chiedendo il rigetto dell’appello e insistendo, altresì, sulle domande formulate in via subordinata.
La valutazione della gravità dell’inadempimento
La Ro.Du. Srl rimaneva contumace.
La Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza n. 413/2021, depositata il 9 dicembre 2021, ha rigettato l’impugnazione, condannando l’appellante alla rifusione delle spese di lite.
3. – Bo.Ug. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Di.An. ha resistito con controricorso.
4. – A seguito della proposta di definizione ex art. 380-bis cod. proc. civ. del Consigliere delegato, il ricorrente ha chiesto la decisione.
Parte ricorrente ha depositato una memoria ex art. 380-bis 1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli art. 1375, 1385, 1455 e 1460 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3) cod. proc. civ. per avere la corte territoriale errato nell’applicazione delle norme riguardo alla valutazione del presupposto della gravità dell’inadempimento del promittente venditore ai fini della declaratoria della legittimità del recesso del promittente acquirente. Parte ricorrente evidenzia che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che la non rilevanza dell’assenza del certificato di abitabilità per l’abitazione “non cambia l’esito del giudizio, essendo rilevante al fine del legittimo recesso la sola irregolarità edilizia delle pertinenze”. La Corte di appello, infatti, nel ricondurre alla violazione delle obbligazioni principali ed essenziali della vendita immobiliare promessa fra le parti l’asserito inadempimento relativo al piccolo vano deposito ed al locale autorimessa, ha condotto il giudizio in ordine alla gravità dell’inadempimento, riferito sia alle suddette pertinenze che alla conformità del comportamento dei contraenti al canone di correttezza e buona fede, rispetto all’obbligazione principale avente a oggetto la vendita di una casa di sei ampi vani catastali con pertinenziale terreno, senza tener conto della minima incidenza del valore dei due vani ritenuti non sanabili, peraltro acquisiti non in piena proprietà, ma in proprietà comune e indivisa al cinquanta per cento con altro comproprietario, rispetto al complessivo prezzo di vendita convenuto in Euro 210.000,00. Tale decisione contrasterebbe con l’orientamento ormai consolidato della S.C. (Cass. civ., Sez. II, Ord. 23 – 11 – 2020, n. 26558; Cass. civ., Sez. 6 – 2, Ord. 22 – 7 – 2021, n. 21152; Cass. civ., Sez. II, 27 – 3 – 2013, n. 7759). La valutazione che il giudice di merito è tenuto a condurre non può prescindere dalla verifica della sussistenza di un preciso requisito oggettivo: l’inadempimento deve incidere in modo significativo sul sinallagma contrattuale, alterandone l’equilibrio in modo apprezzabile. In assenza di una condotta inadempiente in grado di alterare in modo significativo il sinallagma contrattuale, dunque, non è possibile configurare un inadempimento grave. Nel caso di specie, l’assenza di documentazione attestante la regolarità urbanistica delle piccole pertinenze non costituiva alcuna alterazione significativa del sinallagma contrattuale, ma, come rilevato anche dalla Corte di appello nella gravata sentenza, è stata solo un pretesto “afferrato al volo” dal Di.An., il quale non era più interessato all’acquisto per tutt’altre ragioni “secondo la testimonianza precisa e circostanziata del teste Ia., la cui qualità di collaboratore dell’agenzia non può automaticamente rendere non attendibile la sua deposizione”.
La valutazione della gravità dell’inadempimento
Questi, infatti, udito come teste in primo grado di giudizio alla udienza del 24 novembre 2016, ha testualmente dichiarato: “confermo che il Sig. Di.An. venne in agenzia dicendo che non voleva più stipulare il definitivo avendo problemi di liquidità… Disse che non aveva la liquidità necessaria per poter dar seguito all’acquisto dell’immobile e alla sua ristrutturazione”.
Con il secondo motivo di ricorso, speculare al primo, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1375, 1385, 1455 e 1460 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3) cod. proc. civ. per avere la corte territoriale errato nell’escludere la gravità dell’inadempimento del promissario acquirente, che ha rifiutato la stipula del definitivo, ai fini della declaratoria di legittimità del recesso del promittente venditore. La Corte di appello, in conseguenza dell’errore denunciato con il primo motivo di ricorso, avrebbe anche errato nel non ritenere la legittimità del recesso operato dal promittente venditore a seguito della mancata comparizione del promissario acquirente dinanzi al notaio per la stipula del definitivo, nonostante l’espressa diffida. In mancanza di un grave inadempimento in grado di alterare in modo significativo il sinallagma contrattuale, il rifiuto opposto dal promissario acquirente sarebbe del tutto ingiustificato e, di conseguenza, pienamente legittimo era da ritenersi il recesso del promittente venditore, con il riconoscimento in suo favore del diritto a ritenere la somma versata a titolo di caparra confirmatoria.
La valutazione della gravità dell’inadempimento
1.1. – Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, presentano profili di inammissibilità ed infondatezza.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass., Sez. 6 – 2, 22 giugno 2020, n. 12182; Cass., Sez. III, 30 marzo 2015, n. 6401; Cass., Sez. III, 28 giugno 2006, n. 14974).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha puntualmente considerato gli elementi che hanno condotto a considerare la gravità dell’inadempimento (silenzio-rifiuto definitivo quanto alla procedura per la sanatoria; violazione della clausola contenuta nel preliminare con la quale il promittente venditore aveva garantito la regolarità edilizia dei beni compravenduti; assenza di riferimento alle pertinenze nella vendita del 2015; valutazione del rifiuto alla stipula del promissario acquirente a fronte delle irregolarità accertate), per cui alcuna censura è ammissibile in sede di legittimità. Parimenti inammissibile è la contestazione in merito all’omesso esame di fatti decisivi, in ragione della doppia conforme, non essendo state indicate le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. III, 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass., Sez. 6 – 2, 15 marzo 2022, n. 8320; Cass., Sez. L., 6 agosto 2019, n. 20994).
Alcun rilievo infine assume la giurisprudenza riferita all’ipotesi che il vizio di regolarità urbanistica non oltrepassi la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione (Cass., Sez. II, 2 gennaio 2024, n. 34; Cass., Sez. II, 14 maggio 2018, n. 11659; Cass., Sez. II, 7 aprile 2014, n. 8081; Cass., Sez. II, 18 settembre 2009, n. 20258), attenendo all’emettibilità di pronuncia ex art. 2932 cod. civ. Nel caso di specie, la gravità dell’inadempimento e la legittimità del relativo recesso sono state considerate alla luce della clausola che garantiva la regolarità edilizia dell’intero compendio oggetto del contratto.
La valutazione della gravità dell’inadempimento
2. – Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Essendo la decisione resa nell’ambito del procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (novellato dal D.Lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96 commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in d Datapubblicazione 1 (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Condanna altresì parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di Euro 2.500,00 equitativamente determinata, nonché – ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. – al pagamento della somma di Euro 2.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 17 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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