Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|17 ottobre 2024| n. 26951.

Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

Massima: Nell’azione di divisione ereditaria è insita la petizione dell’eredità, ove si chieda la ricostruzione dell’asse relitto e l’inclusione in esso di beni sottratti da altro erede o da un terzo, tanto più che la sentenza di assegnazione dei beni ai condividenti costituisce titolo esecutivo, idoneo a consentire a ciascuno di essi di acquistare la piena proprietà dei cespiti rientranti nella quota, nonché il potere di esercitare le relative azioni, inclusa quella per il rilascio dei beni rispetto ai quali gli altri condividenti, per effetto dello scioglimento della comunione ereditaria, non hanno più titolo per proseguire la loro detenzione.

 

Sentenza|17 ottobre 2024| n. 26951. Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

Data udienza 3 ottobre 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Divisione – Divisione giudiziale – In genere azione di scioglimento di comunione ereditaria – Rapporto di continenza rispetto alla petizione di eredità – Condizioni – Natura di titolo esecutivo della relativa sentenza.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta da

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22179/2022 R.G. proposto da Ca.Ra.o, rappresentato e difeso dall’avv. Ca.Mi. ed elettivamente domiciliati in R, via Co, n. (omissis), presso lo studio dell’avv. Ma.Ca.;

– ricorrente-

contro

Ca.Lu., Ca.An. e Ca.Al., rappresentati e difesi dall’avv. Ca.Co., nel cui studio in C, via Vi, n. (omissis), sono elettivamente domiciliati;

– controricorrenti –

Nonché

Ca.An. e Ca.An., rappresentate e difese dall’avv. Sa.Co. ed elettivamente domiciliate in R, via Pr, n. (omissis), presso lo studio dell’avv. Lu.Pa.

-controricorrenti-

Ca.Ni.,

-intimato-

avverso la sentenza n. 2977/2022 emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, depositata 27/6/2022 e notificata il 12/7/2022.

Udita la relazione svolta dal consigliere dott.ssa Valeria Pirari nella pubblica udienza del 3/10/2024;

lette le conclusioni scritte della Procura generale, in persona del sostituto procuratore generale Aldo Ceniccola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

FATTI DI CAUSA

1. Ca.Lu., Ca.An. e @Ca.Al., quali eredi testamentari di Ca.Ag., deceduta l’11/10/2007, agirono in giudizio nei confronti dei coeredi Ca.Ro., Ca.Ni., Ca.An. e Ca.An., onde ottenere l’accertamento e la declaratoria di validità delle tre schede testamentarie redatte dalla de cuius, l’accertamento e la declaratoria di apertura della successione testamentaria della predetta e lo scioglimento della comunione ereditaria, con formazione del progetto divisionale e attribuzione ai singoli partecipanti della quota ad ognuno spettante, evidenziando che Ca.Fr., in qualità di esecutore testamentario, aveva svincolato i buoni fruttiferi relitti per l’ammontare di Euro 396.977,96 e utilizzato, lo stesso giorno, le relative somme, maggiorate degli interessi, per pagare il premio unico della polizza Poste Vita, denominata “Po.Fu.”, indicando come beneficiario non già gli eredi di Ca.Ag., ma i suoi stessi eredi, che, al suo decesso avvenuto il (omissis), il nipote Ca.Ro., quale suo unico erede per testamento, aveva annullato nel mese di ottobre 2013 la polizza “Fu.Fo.” e posto nella sua disponibilità la relativa liquidazione pari a Euro 432.000,00, stipulando, contestualmente, una nuova polizza in data 23/10/2013 e intestandola a sé stesso, sicchè la relativa somma, in quanto derivante dall’eredità di Ca.Ag., avrebbe dovuto a essere restituita alla massa ereditaria e divisa tra gli eredi.

Con sentenza n. 218 del 2020, pubblicata il 25/06/2020, il Tribunale di Benevento statuì sulle predette domande, stabilendo che il patrimonio mobiliare relitto fosse diviso secondo le quote indicate nel supplemento della c.t.u. e, dunque, mediante attribuzione a Ca.Ro.nio della somma di Euro 418.750,75 per sorte capitale ed Euro 11.539,17 per interessi, a Ca.Lu., Ca.An. e Ca.Al. della somma di Euro 418.750,75 per sorte capitale ed Euro 26.671,41 ciascuno per interessi, a Ca.Ni. della somma di Euro 418.750,75 per sorte capitale, a Ca.Al., Ca.An. e Ca.An. la somma di Euro 23.671,41 ciascuno per interessi, rigettando la domanda avanzata in via riconvenzionale da Ca.Ro. di intervenuto acquisto per usucapione degli immobili e quella di divisione dei beni immobili e disponendo ex art. 643 cod. civ. che l’amministrazione di questi ultimi venisse affidata allo stesso Ca.Ro., persona vivente il cui nascituro non ancora concepito era stato istituito erede testamentario.

Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

Il giudizio di gravame, avviato da Ca.Ro.nio con atto di citazione notificato il 27/07/2020, si concluse, nella resistenza di Ca.Lu., Ca.An. e Ca.Al., nonché di Ca.Ni., Ca.An. e Ca.An., con la sentenza 2977/2022, pubblicata il 27 giugno 2022, con la quale la Corte d’Appello di Napoli rigettò l’appello.

2. Avverso questa sentenza, Ca.Ro.nio ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a cinque motivi,

illustrati anche con memoria, mentre Ca.Lu., Ca.An. e Ca.Al., Ca.An. e Ca.An. si sono difesi con due distinti controricorsi, illustrati anche con memoria. E’ rimasto invece intimato Ca.Ni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo e documentazione oggetto di contestazione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che la sorte capitale facente parte del lascito di Ca.Ag., in assenza di specifica disposizione testamentaria sulla sua ripartizione, dovesse essere divisa tra tutti gli eredi secondo i criteri della successione legittima. Ad avviso del ricorrente, i giudici di merito non avevano attribuito rilevanza ad una inequivocabile disposizione testamentaria, rinvenibile nella scheda olografa del 04/07/2006, mai revocata con il successivi testamenti, né incompatibile con gli stessi, con la quale veniva disposta la ripartizione tra gli eredi della sorte capitale, stabilendo che quando fosse venuto a mancare il nipote Ca.Lu., i soldi sarebbero stati divisi per una metà a Ca.Ro. e per l’altra metà tra i figli della sorella Ca.Fa. e per l’altra metà tra i figli del fratello Ca.Ni., circostanza questa che, se valutata, avrebbe imposto di dividere il capitale non già sulla base dei criteri della successione legittima, come accaduto, ma in consonanza con le volontà della de cuius, che, in quanto dedita al commercio e in grado di gestire autonomamente e per decenni un’attività produttiva molto redditizia, conosceva la differenza tra i termini “interessi”, “somme” e “soldi”, utilizzati non come sinonimi, ma come locuzioni aventi distinti significati. Ne costituiva prova quanto contenuto nel testamento olografo del 04/07/2006, col quale la medesima aveva disposto degli “interessi” sui buoni fruttiferi, attribuendoli al fratello Ca.Fr. per tutta la vita con l’onere di dare alla sorella Ca.Fa. una quarta parte degli interessi e di provvedere al sostentamento del fratello Ca.Ni., e aveva stabilito che, alla morte di Ca.Fr., i “soldi” sarebbero stati amministrati dal nipote Ca.Lu., figlio di Ca.Ca. e della sorella Ca.Fa., con l’onere di dare al nipote Ca.Ro., figlio del fratello Ca.Ni., metà degli “interessi” e altra metà da dividersi tra sé stesso e gli altri figli della sorella Ca.Fa. e del fratello Ca.Ni.

Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

Peraltro, sebbene con testamento del 11/07/2006 la de cuius avesse chiaramente detto che nulla sarebbe spettato al fratello Ca.Ni., il progetto di divisione contemplava Ca.Ni. tra i condividenti nella misura del 33% della sorte capitale, oltreché degli interessi.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza per motivazione meramente apparente e, comunque, al di sotto del cosiddetto minimo costituzionale, in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., nonché dell’art. 342 cod. proc. civ., ovvero per irriducibile illogicità e contraddittorietà, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto manifestamente inammissibile, per difetto di specificità, il quarto motivo d’appello, col quale era stata chiesta la riforma della sentenza di primo grado in ragione della carenza motivazionale cui era in corso il giudice di primo grado e dell’errata interpretazione della volontà testamentaria di Ca.Ag., concludendo per una differente ripartizione degli interessi e per l’attribuzione del 50% del capitale all’appellante e del restante 50% agli altri eredi, con esclusione di Ca.Ni., senza adeguatamente motivare. Infatti, nonostante la censura fosse stata sviluppata in conformità col nuovo testo dell’art. 342 cod. proc. civ. e fosse da porsi in correlazione, peraltro, con la grave carenza motivazionale della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello si era limitata ad evidenziare come l’impugnante non avesse affiancato alla parte volitiva del motivo, una parte argomentativa tesa a confutare e contrastare le ragioni perpetuamente addotte dal primo giudice a supporto delle opzioni ermeneutiche prescelte, restando sul punto completamente silente.

Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

3. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., nonché dell’art. 116 cod. proc. civ., per motivazione illogica e/o contraddittoria, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto esente da censure la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva considerato elemento di prova della provenienza della somma di Euro 396.900,00, reinvestita dall’appellante nella stipula della polizza “Fu.Fo. 4”, il provvedimento del 20/10/2014, con cui era stata rigettata la richiesta di sequestro di quest’ultimo bene avanzata dai Caruso, in quanto non aveva considerato che il Tribunale non aveva fatto ricorso alle prove raccolte nel giudizio cautelare, ma aveva richiamato tout court, come fonte di prova, il decreto di rigetto della richiesta di sequestro giudiziario, in tal modo ponendosi in contrasto con l’art. 669-octies cod. proc. civ. e, in definitiva, con l’art. 116 cod. proc. civ.. Peraltro, i giudici di merito avevano erroneamente recuperato alla massa e ripartito i frutti maturati quale provvista realizzata per interessi che costituivano, invece, compendio esclusivo attribuito al fratello Ca.Fr. Ca.Ni., nominato esecutore testamentario, rendendo sul punto una motivazione carente, illogica e contraddittoria e pretermettendo la considerazione corretta delle disposizioni testamentarie dell’8/12/2006, che confermavano, per l’appunto, il predetto incarico a favore del solo fratello Ca.Ni., attribuendogli la provvista realizzata sui depositi per interessi maturati.

4. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. , cod. proc. civ., per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto infondato il primo motivo d’appello, col quale era stata eccepita la violazione dell’art. 112 cod. civ. e la conseguente nullità della sentenza di primo grado, siccome viziata da ultra petizione per avere il Tribunale ricondotto alla massa attiva la somma di Euro 396.900,00, che l’appellante aveva ricevuto in eredità dallo zio Ca.Ni., in assenza di specifica apposita domanda degli attori e in considerazione del fatto che non poteva procedersi né a una riunione fittizia, né a collazione, mancandone i rispettivi presupposti, atteso che non era stata formulata alcuna richiesta di condanna alla restituzione di tali somme, né alcuna statuizione in tal senso vi era stata.

5.Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., 75 disp. att. cod. proc. civ., in relazione al valore della causa, determinato ex art. 15 cod. proc. civ. e in base al D.M. n. 55 del 2014, per avere i giudici di merito liquidato le spese in base allo scaglione da Euro 1.000.000,00 a Euro 2.000.000,00, benché il valore della controversia fosse indeterminabile.

6. Il quarto motivo, logicamente prioritario rispetto ai precedenti, è infondato, anche se deve modificarsi la motivazione sul punto della sentenza.

Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

I principi della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ. e del tantum devolutum quantum appellatum, lamentati dal ricorrente, implicano, invero, il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto (petitum mediato) oppure di emettere qualsiasi pronuncia su domanda nuova, quanto a causa petendi, ma non gli impediscono di rendere la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, o in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi e, in genere, all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (Cass., Sez. L, 12/5/2006, n. 11039; Cass., Sez. L, 11/7/2007, n. 15496; Cass., Sez. 6-L, 11/1/2019, n. 513), o in base a ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, attraverso l’evidenziazione, nella motivazione, di elementi di fatto risultanti dagli atti, ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice, purché si resti nell’ambito del petitum e della causa petendi (Cass., Sez. 6-L, 11/1/2019, n. 513; Cass., Sez. 3, 25/9/2009, n. 20652). Il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ. riguarda, in definitiva, soltanto l’ambito oggettivo della pronuncia, e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass. Sez. 2, 26/1/2021, n. 1616).

Orbene, la questione proposta attiene, nella specie, agli effetti che conseguono alla proposizione di una domanda di scioglimento della comunione ereditaria e alla configurabilità dell’efficacia recuperatoria della stessa in assenza di relativa domanda, posto che, secondo il ricorrente, i giudici di merito non avrebbero potuto includere nella massa dividenda una somma di denaro in assenza di domanda di condanna e, correlatamente, di pronuncia in tal senso. A ben vedere, però, questa ricostruzione degli istituti non convince, poiché si pone in contrasto con il significato stesso del giudizio di divisione ereditaria e gli effetti da esso scaturenti. E’ ben noto, invero, che il recupero, da parte dell’erede, dei beni ereditari di cui sia nel possesso un terzo, sia in qualità di erede, sia senza titolo, avviene con l’esercizio dell’azione di petizione ereditaria ex art. 533 cod. civ., la quale, oltre ad avere natura reale e non contrattuale, è fondata sull’allegazione della qualità di erede con la finalità, giustappunto, di conseguire il rilascio dei beni compresi nell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione da chi li possiede senza titolo o in base a titolo successorio che non gli compete, ma non quelli che, al momento dell’apertura della successione del de cuius, erano già fuoriusciti dal suo patrimonio e che, in ragione di ciò, non possono essere considerati quali beni ereditari (in tal senso, Cass., Sez. 2, 4/4/2024, n. 8942).

Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

Orbene, la petizione dell’eredità, che consente, ai sensi dell’art. 533 cod. civ., di chiedere sia la quota dell’asse ereditario sia il suo valore, potendo così assumere tanto natura di azione di accertamento o funzione recuperatoria (Cass., Sez. 6-2, 24/9/2020, n. 20024), quanto di condanna al rilascio dei beni ereditari posseduti dal convenuto a titolo di erede (Cass., Sez. 2, 19/1/1980, n. 461), si configura anche quando sia proposta domanda di divisione dell’asse ereditario, in quanto quest’ultima, al pari della prima, postula l’accertamento dell’esistenza, nell’attivo ereditario, del credito di cui il de cuius era titolare nei confronti di altro coerede per le somme da questi illegittimamente prelevate dal conto cointestato prima della sua morte (Cass., Sez. 6-2, 24/9/2020, n. 20024; Cass., Sez. 2, 2004, n. 24034). Ciò comporta che nell’azione di scioglimento della comunione ereditaria può dirsi insita l’azione di petizione ereditaria allorché si chieda la ricostruzione dell’asse relitto e l’inclusione, in esso, di beni sottratti da altro erede o da un terzo, ivi compresi, dunque, i crediti vantati dal de cuius o le somme di denaro illecitamente prelevate da altro erede, come nella specie, tanto più che la sentenza contenente l’assegnazione dei beni ai condividenti costituisce titolo esecutivo, idoneo a consentire a ciascuno di costoro di acquistare non soltanto la piena proprietà dei beni facenti parte della quota toccatagli, ma anche la potestà di esercitare tutte le azioni inerenti al godimento del relativo dominio, ivi compresa quella diretta ad ottenere, in via esecutiva, il rilascio dei beni in essa inclusi, rispetto ai quali gli altri condividenti non hanno più alcun titolo giustificativo per protrarre ulteriormente la detenzione proprio per effetto della compiuta divisione (sull’efficacia di titolo esecutivo dello scioglimento della comunione vedi Cass., Sez. 2, 22/8/2018, n. 20961; Cass., Sez. 2, 27/12/2013, n. 28697).

E’ allora evidente come nessuna ultrapetizione possa dirsi verificata nella specie, derivando dall’accertamento dell’esatta consistenza del patrimonio relitto prima e dall’attribuzione delle quote poi, presupponente evidentemente l’accertamento della qualità di erede, gli stessi effetti sostanziali che derivano dalla petizione ereditaria, che, in ragione di ciò, può dirsi insita nella domanda di scioglimento della comunione.

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Consegue da quanto detto l’infondatezza della censura.

Il terzo motivo è inammissibile.

I motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata devono, infatti, avere i caratteri non solo della specificità e della completezza, ma anche della riferibilità alla decisione stessa (Cass., Sez. 3, 2/8/2002, n. 11530), aspetti questi del tutto disattesi nella specie.

La censura non attinge, infatti, la ratio decidendi risultante dalla motivazione della sentenza impugnata, nella quale i giudici di merito non hanno affatto detto che, ad avviso del giudice di primo grado, costituisse argomento di prova il decreto di sequestro, approvando una siffatta argomentazione, ma hanno evidenziato come costituissero elementi di prova gli accertamenti che erano stati svolti in quella sede, da valutarsi alla stregua di fonti di prova atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, le quali, come peraltro costantemente affermato da questa Corte, possono contribuire a formare il convincimento del giudice (sul punto vedi Cass., Sez. 1, 10/10/2018, n. 25067; Cass., Sez. 3, 20/1/2015, n. 840).

A tal riguardo, sono stati citati, dunque, sia i documenti esaminati in quella sede, peraltro prodotti anche nel presente giudizio, che avevano consentito di dimostrare i movimenti delle somme di denaro contese e, dunque, il versamento dell’importo di Euro 396.977,96 su libretto di risparmio postale intestato a Ca.Fr. del 28/11/2008 e la copia dalla polizza vita dal medesimo stipulata in pari data con indicazione, quali beneficiari, dei suoi eredi legittimi e testamentari, sia le dichiarazioni rese dalla direttrice dell’ufficio postale di G, la quale, ascoltata come informatrice, aveva confermato che i buoni postali intestati ad Ca.Ag. erano stati liquidati da Ca.Fr. e reinvestiti in denaro ricavato nella polizza vita. Tali argomentazioni non soltanto consentono di escludere il dedotto difetto di motivazione, avendo i giudici dato ampio conto delle ragioni del rigetto della censura nei termini sopra indicati, ma anche la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., la cui violazione intanto è ammissibile, in quanto si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U, 30/9/2020, n. 20867; Cass., Sez. 5, 9/6/2021, n. 16016), che, come detto, devono ritenersi insussistenti nella specie.

Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

8. Il primo motivo è inammissibile.

Nell’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del D.L. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994).

Ebbene, nonostante l’applicabilità della suddetta disposizione al caso di specie, essendo stato l’atto di citazione in appello notificato il 27/7/2020, il ricorrente non ha adempiuto all’incombente sopra descritto, con conseguente inammissibilità della censura.

9. Il secondo motivo è, invece, fondato.

Come sostenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 342 cod. proc. civ., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, nella versione antecedente alla riforma introdotta con il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in virtù del quale “la motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”, va interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae e non di novum iudicium del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass., Sez. U, 16/11/2017, n. 27199; in termini anche Cass., Sez. 6-3, 30/5/2018; Cass., Sez. U, 13/12/2022, n. 36481), sicché è necessario che al giudice siano indicate, oltre ai punti e ai capi della decisione investiti dal gravame, anche le ragioni, correlate ed alternative rispetto a quelle che sorreggono la pronuncia, in base alle quali è chiesta la riforma (Cass., Sez. U, 27/5/2015, n. 10878) e dunque sia svolta una chiara ed inequivoca indicazione delle censure mosse alla pronuncia appellata, sia in punto di ricostruzione del fatto che di valutazione giuridica, con precisazione degli argomenti che si intendono contrapporre a quelli indicati dal primo giudice (Cass., Sez. 5/5/2017, n. 10916), onde consentire di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum (Cass., Sez. U, 27/5/2015, n. 10878, cit.).

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Orbene, ove la parte censuri la sentenza con la quale il giudice di merito ha affermato l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi, come nella specie, oggetto del giudizio di legittimità non è la sola argomentazione della decisione impugnata, bensì sempre e direttamente l’invalidità denunciata e la decisione che ne dipenda, anche quando se ne censuri la non congruità della motivazione; di talché in tali casi spetta al giudice di legittimità accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass., Sez. 5, 1/2/2020, n. 27368; Cass., Sez. 1, 10/9/2012, n. 15071).

Ciò comporta che, pur potendosi affermare adeguata la motivazione offerta, nella specie, dai giudici di secondo grado al fine di considerare l’inammissibilità della quarta censura, anche alla luce dei criteri dettati dalla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che circoscrive il sindacato di legittimità alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940), avendo essi affermato che l’appellante si era limitato a proporre un diverso progetto di riparto, senza in alcun modo attingere le specifiche rationes decidendi in punto di interpretazione delle schede testamentarie e di individuazione della disciplina applicabile, poste dal primo giudice a fondamento della pronuncia, così proponendo un motivo carente sotto il profilo censorio attraverso l’indicazione delle ragioni idonee a disvelare l’eventuale erroneità dell’iter logico seguito dal giudice di primo grado, è proprio alla quarta censura in appello che occorre far riferimento al fine di verificare la fondatezza del motivo in esame.

2.3 Come si legge nell’atto d’appello, con tale motivo era stata, in particolare, contestata la sentenza di primo grado per “Omessa e/o insufficiente motivazione- erronea interpretazione delle schede testamentarie”, in quanto aveva affidato il giudizio di esclusione della sorte capitale dalla ripartizione testamentaria, per essere applicabili le regole della successione legittima, all’affermazione secondo cui “Questo giudicante, alla luce dei criteri interpretativi indicati, ritiene maggiormente aderente alla volontà della defunta -quale espressa e ribadita nelle tre schede testamentarie in atti- che la divisione dei soli interessi avvenga secondo i dettami di cui all’atto di ultima volontà mentre per il capitale che lo stesso debba essere diviso in base alle regole della successione legittima. Ed invero in nessuna parte del testamento si fa espressa menzione delle modalità mediante le quali procedere alla divisione tra i coeredi della sorte capitale, si parla sempre e soltanto degli interessi, quindi, applicare i criteri previsti per questi ultimi anche alla sorte capitale, in mancanza di elementi anche estrinseci alla scheda testamentaria che possono sorreggere una siffatta interpretazione, non può essere soluzione condivisibile”. L’appellante aveva sul punto evidenziato come il giudice di primo grado avesse fatto mal governo delle norme sull’interpretazione del testamento, che, improntate alla necessità di rispettare massimamente la volontà del testatore, richiedevano di andare “oltre il significato letterale delle espressioni adoperate (logicamente non avrebbe senso pensare che il de cuius sia sempre un tecnico del diritto da cui si possa pretendere l’uso, con cognizione di causa, del linguaggio giuridico)” e di “valorizzare, riconoscendo all’interprete ampia libertà d’indagine, una valutazione globale della volontà del de cuius, tenendo conto di elementi di carattere sia testuale che extratestuale”, come “la cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore medesimo”. Ed è alla stregua di questi elementi che l’appellante ha rappresentato una diversa lettura delle schede testamentarie che tenesse conto, per un verso, del particolare rapporto, anche lavorativo, che lo legava alla de cuius, come emergente dagli stessi lasciti in suo favore, e, per altro verso, della modesta cultura di quest’ultima, che avrebbe imposto di tener conto delle espressioni usate non secondo il loro significato tecnico, ma secondo quello che l’autrice aveva voluto ad esse attribuire.

Divisione ereditaria e la petizione dell’eredità

Dalla lettura della censura appaiono per vero rispettati i principi affermati da questa Corte e, in specie, da Sez. Un, 16/11/2017, n. 27199, avendo l’appellante chiaramente enucleato, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata e con essi le relative doglianze, tutte incentrate sulla erroneità della lettura delle schede testamentarie effettuata alla stregua del solo dato letterale, senza alcuna ricerca altresì della volontà della testatrice per il tramite dei dati extratestuali, tratti dai suoi rapporti col nipote, come evincibili dalle stesse disposizioni di ultima volontà, e dal suo livello culturale. Pertanto, essendo stato esaurientemente circoscritto, alla luce di quanto evidenziato, il quantum appellatum, deve ritenersi la fondatezza della censura.

10. Il quinto motivo è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.

11. In conclusione, dichiarata l’inammissibilità del primo e terzo motivo, l’infondatezza del quarto e quinto e la fondatezza del secondo, il ricorso deve essere accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2024.

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