La transazione non dedotta in giudizio è travolta dal giudicato

Corte di Cassazione, sezione sesta (terza) civile, Ordinanza 31 ottobre 2019, n. 28170.

La massima estrapolata:

Il principio generale secondo cui la transazione – stipulata nel corso di una lite – non dedotta in giudizio è travolta dal giudicato è applicabile solo nel caso in cui essa abbia ad oggetto il diritto controverso, laddove, nell’ipotesi in cui le parti si siano limitate a concordare, rispettivamente, l’una la rinuncia agli atti del giudizio e l’altra la rinuncia alle spese già liquidate in proprio favore, la transazione è valida anche se stipulata anteriormente alla sentenza di condanna, trattandosi di un tipico “pactum de non petendo” (per le spese da liquidare) o “de non exequendo” (per le spese già liquidate). (In applicazione del predetto principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di gravame con il quale una delle parti lamentava di essere stata condannata, pur dopo la transazione, al pagamento in favore dell’altra delle spese del giudizio di appello, ritenendo che, poiché l’accordo transattivo restava valido e non travolto dal giudicato, la parte ricorrente non aveva giuridico interesse ex art. 100 c.p.c. a rimuovere detta pronuncia).

Ordinanza 31 ottobre 2019, n. 28170

Data udienza 13 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 26887-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
COMUNE DI SILVI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE DI TERAMO;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1130/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 20/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI MARCO.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2006 (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Teramo, sezione di Atri, il Comune di Silvi e l’Azienda Sanitaria Locale di Teramo, esponendo che il 6 maggio 2005 era stato aggredito nel Comune di Silvi da un cane randagio; che l’animale l’aveva morso al polpaccio sinistro mentre era alla guida di un motociclo; che in conseguenza dell’aggressione aveva patito lesioni personali.
Il Comune di Silvi si costitui’ ed eccepi’ che l’animale dal quale l’attore era stato aggredito non era un randagio, ma apparteneva ad una persona ben determinata.
2. Con sentenza 7 gennaio 2010 il Tribunale di Teramo rigetto’ la domanda nei confronti di ambedue i convenuti.
La sentenza venne appellata dal soccombente.
Con sentenza 20 giugno 2017 n. 1130 la Corte d’appello de L’Aquila rigetto’ il gravame e condanno’ l’appellante alla rifusione delle spese in favore di ciascuna delle amministrazioni appellate.
La Corte d’appello motivo’ la propria decisione affermando che il cane dal quale era stato aggredito l’attore non era un randagio, e dei danni da esso causati doveva percio’ rispondere il proprietario.
3. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS), con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.
Ha resistito con controricorso il Comune di Silvi, anch’esso depositando memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 91, 306 e 310 c.p.c..
Deduce che, nel corso del giudizio, egli stipulo’ una transazione con la ASL convenuta. Per effetto di tale transazione si era obbligato a rinunciare alla domanda nei confronti della ASL e quest’ultima si era obbligata a rinunciare a qualsiasi pretesa in ordine alle spese dell’intero giudizio, ivi comprese quelle gia’ liquidate in suo favore dal Tribunale con la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado. Precisa che tale circostanza era stata portata a conoscenza della Corte d’appello sia nell’udienza di precisazione delle conclusioni, sia nelle memorie conclusive, e che pertanto la Corte d’appello non avrebbe dovuto condannarlo alla rifusione delle spese in favore della ASL, ma avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere, o addirittura estinto il giudizio.
1.2. Il motivo e’ inammissibile, per due indipendenti ragioni.
In primo luogo e’ inammissibile per difetto di specificita’.
Il ricorrente dichiara risultare “per tabulas” che egli avesse transatto la lite con la ASL, ed aggiunge di avere dichiarato tale circostanza sia nel precisare le conclusioni, sia nella comparsa conclusionale d’appello. Tuttavia il ricorso non indica ne’ la data della transazione, ne’ il momento in cui venne depositata in giudizio.
Tale mancanza rende inammissibile il motivo: sia perche’ irrispettosa dell’onere imposto, giustappunto a pena di inammissibilita’, dall’articolo 366 c.p.c., n. 6 (non e’ infatti dubbio che la transazione era l’atto sul quale il primo motivo di ricorso “si fonda”, per usare le parole della legge); sia perche’, se la transazione fosse stata stipulata prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni (come parrebbe dalle difese del Comune), l’esistenza di essa non poteva essere fatta constare che in tale udienza, la quale segna il limite ultimo per l’introduzione in giudizio dei fatti rilevanti ai fini del decidere, se gia’ avvenuti.
1.3. In secondo luogo il motivo e’ inammissibile per difetto di interesse. Il ricorrente assume di avere transatto la lite con la ASL; che per effetto di tale accordo la ASL ha rinunciato ad esigere le spese del primo e del secondo grado di giudizio; che nondimeno la Corte d’appello l’ha condannato (dopo la stipula della transazione) a rifondere alla ASL le spese del grado di appello.
Ma se quella transazione fu effettivamente stipulata e sia valida ed efficace per la ASL, la pronuncia della Corte d’appello in punto di regolazione delle spese di lite e’ insuscettibile di recare pregiudizio all’odierno ricorrente, il quale non ha quindi giuridico interesse, ex articolo 100 c.p.c., a rimuoverla.
Infatti il contenuto della transazione, per come riferito dal ricorrente, consisteva in un pactum de non exequendo (per le spese gia’ liquidate) e de non petendo (per le spese da liquidare), patto che resta valido ed efficace anche dopo la pronuncia della sentenza d’appello.
Infatti se e’ vero che, in generale, la transazione non dedotta in giudizio e’ travolta dal giudicato, salva la facolta’ per il transigente non inadempiente di proporre un’azione di adempimento in forma specifica degli obblighi assunti con la stessa transazione (Sez. 2, Sentenza n. 2155 del 14/02/2012, Rv. 621495 – 01), e’ anche vero che tale principio riguarda l’ipotesi in cui la transazione abbia ad oggetto il diritto controverso.
Nel caso di specie, invece, (OMISSIS) e la ASL si erano limitati a concordare che il primo rinunciasse alla domanda, e la seconda alle spese gia’ maturate: si trattava, dunque, d’un tipico pactum de non petendo o de non exequendo: un patto valido, anche se stipulato anteriormente alla sentenza di condanna (Sez. 3, Sentenza n. 8774 del 12/08/1991, Rv. 473493 – 01), per effetto del quale le parti – come e’ loro facolta’ rinunciano ad avvalersi del futuro giudicato (Sez. U, Sentenza n. 1457 del 20/05/1952, Rv. 881487 – 01).
Ne consegue che, per effetto di tale patto e della rinuncia preventiva in esso contenuta, la ASL si e’ obbligata a non mettere in esecuzione la sentenza d’appello; e cio’ priva il ricorrente di interesse all’accoglimento del ricorso; e la prova dell’esistenza di tale mancanza di interesse e’ corroborata dalla indefensio della ASL nel presente giudizio di legittimita’.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta (formalmente prospettando i vizi di cui all’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5,), la violazione dell’articolo 2697 c.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo.
Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto di proprieta’ di un privato il cane autore dell’aggressione. Sostiene che dagli atti risultava che il cane era di proprieta’ del Comune di Silvi; che nessuna prova, per contro, era stata raccolta dell’appartenenza del cane a privati; che la Corte d’appello, per pervenire a conclusioni opposte, si era fondata unicamente sulle dichiarazioni rese proprio dall’odierno ricorrente, ma travisandole.
2.2. Il motivo e’ inammissibile.
La Corte d’appello non ha affatto omesso di esaminare “fatti decisivi”, dal momento che si era interrogata sulla dinamica del fatto e sulla proprieta’ dell’animale; la circostanza, poi, che abbia privilegiato alcune fonti di prova e trascurato altre non costituisce, di per se’, il vizio di “omesso esame”, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nemmeno puo’ dirsi che la corte d’appello abbia violato l’articolo 2697 c.c., dal momento che in tema di fatti illeciti e’ onere dell’attore provare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di danno.
In realta’, col motivo in esame il ricorrente non fa che censurare, inammissibilmente, il modo in cui il giudice di merito ha ricostruito i fatti e valutato le prove: ma una censura di questo tipo cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non e’ consentita in sede di legittimita’ una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e cosi’ via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermo’ il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioe’ che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte e’ incensurabile in Cassazione”).
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo il ricorrente denuncia, formalmente invocando l’articolo 360 c.p.c., n. 5, il “vizio di motivazione”; nonche’ “l’ulteriore violazione dell’articolo 2697 c.c.”.
Nella illustrazione del motivo passa in rassegna le prove raccolte nel giudizio di merito, per giungere alla conclusione che esse sono state fraintese e malamente interpretate dalla Corte d’appello.
3.2. Il motivo e’ inammissibile, per le medesime ragioni gia’ indicate con riferimento al secondo motivo di ricorso.
4. Le spese.
4.1. Le spese del presente giudizio di legittimita’ vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di Comune di Silvi delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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