Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|26 settembre 2024| n. 25767.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
In tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., la segnalazione di pericolo, a cui è tenuto l’ente proprietario della strada ex art. 14 cod. strada, va correlata alla specifica fonte pericolosa, con la conseguenza che, qualora venga segnalata una diversa situazione di pericolo priva di concreto rilievo nell’accaduto, è configurabile una responsabilità colposa dell’ente. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che ha escluso la colpa generica dell’ente per la mancata collocazione di barriere laterali idonee alla prevenzione del pericolo di scavalcamento della vettura, in ragione della segnalazione di una situazione di pericolo – percorrenza di tratto di strada in caso di vento – priva di concreto rilievo nell’accaduto, stante, altresì, l’assenza di dette condizioni metereologiche).
Ordinanza|26 settembre 2024| n. 25767. La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
Data udienza 5 giugno 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Responsabilita’ civile – Amministrazione pubblica – Opere pubbliche – Strade obbligo dell’ente proprietario ai sensi dell’art. 14 cod. strada – Dovere di segnalazione del pericolo in concreto – Sussistenza – Segnalazione di altra specifica situazione di pericolo – Responsabilità colposa – Configurabilità – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso N. 22640/2022 R.G. proposto da:
Ba.Ro., Ge.Fr. e Ge.Ag.,
domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentati e difesi dagli avv.ti Pi.Ma. e An.Be. come da procura allegata al ricorso, domicilio digitale: (Omissis); (Omissis);
– ricorrenti –
contro
AN. Spa, in persona del procuratore Ru.Ni., elettivamente domiciliata in Roma, Via De.Mo., presso lo studio dell’avv. Fr.Ta., che la rappresenta e difende come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale: (Omissis)
– controricorrente –
e contro
Sa.Pi., elettivamente domiciliato in Roma, Via La.Di., presso lo studio dell’avv. Cl.Co., che lo rappresenta e difende come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale: (Omissis)
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1217/2022 della Corte d’Appello di Catania, depositata il 6.6.2022;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 5.6.2024 dal Consigliere relatore dr. Salvatore Saija.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
FATTI DI CAUSA
In data 5.1.2010, alle ore 21.30 circa, il giovane Ba.Gi., alla guida dell’autovettura Lancia Y targata (Omissis), con a bordo, quale passeggera, Pu.Al., percorreva la tangenziale di Catania nella direzione Catania/Siracusa, quando, giunto nei pressi del Km. 9,500, all’altezza dello svincolo di (Omissis), si spostava a sinistra nella corsia di sorpasso, collidendo contro il guardrail sormontante l’aiuola spartitraffico; a seguito di tale collisione, il Ba.Gi. perdeva il controllo dell’auto, impattando con il guardrail di destra, che, deformandosi, non impediva all’auto lo scavalcamento della barriera; l’auto, infatti, precipitava nella scarpata, atterrando sulla sottostante corsia di marcia dello svincolo. A seguito del sinistro, Ba.Gi. e la passeggera, Pu.Al., decedevano. Venne conseguentemente avviato procedimento penale iscritto al n. 1345/10 R.G.N.R. Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania, nei confronti di Sa.Pi., rappresentante dell’area tecnica di esercizio dell’AN. della Provincia di Catania, nei cui confronti era stato chiesto il rinvio a giudizio, con la contestazione del reato di cui all’art. 589 c.p., “perché nella qualità di rappresentante dell’Area Tecnica di esercizio dell’AN. provincia di Catania, per colpa consistente in negligenza, imprudenza e imperizia, segnatamente omettendo di predisporre l’adozione di opere di manutenzione segnatamente l’adeguamento in altezza di opere di sicurezza quali barriere guardrail ai margini della carreggiata di tipo H2 (sostituendoli a quelle esistenti di tipo H1) necessarie alla luce della tipologia della strada e della presenza di scarpata sottostante l’arteria viaria, cagionava il decesso di Ba.Gi. che, alla guida della vettura Lancia Y targata (Omissis), percorreva la tangenziale di Catania direzione ME-SR ed, a cagione della velocità sostenuta e non consona alla tipologia della strada, perdeva il controllo dell’auto che non controllata dalle barriere precipitava nella sottostante scarpata”. Nel procedimento si costituirono parte civile Ba.Ro. e Ge.Fr., pacificamente indicati quali genitori di Ba.Gi., nonché l’altra sua congiunta Ge.Ag., chiedendo la condanna dell’imputato alle pene di legge nonché al risarcimento, in solido col responsabile civile AN. Spa, di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Con sentenza n. 1995/17, il Tribunale monocratico di Catania mandò assolto Sa.Pi. dalle imputazioni ascrittegli, in pregiudizio di Ba.Gi. perché il fatto non sussiste ed in pregiudizio di Pu.Al. per non aver commesso il fatto.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
Ciò perché, alla luce del D.M. n. 223/1992 e delle pertinenti normative tecniche, non poteva ritenersi sussistere l’obbligo per l’ente gestore di sostituire le preesistenti barriere e perché, in ogni caso, il Sa.Pi., che aveva assunto il ruolo nel corso dell’anno 2009, non avrebbe potuto dare corso all’intervento, qualificato di manutenzione straordinaria, in quanto non approvato e finanziato, né questo poteva essere deliberato nel 2010, prima del verificarsi del sinistro. Il Tribunale, infine, escluse la ricorrenza di una condotta trasgressiva di regole di diligenza, prudenza e perizia da parte dell’imputato. I (Omissis) proposero gravame, che la Corte d’Appello di Catania, con sentenza n. 2450/19, rigettò, confermando la prima decisione. Le parti civili proposero quindi ricorso per cassazione, che venne accolto da questa Corte di legittimità, IV Sezione Penale, con sentenza n. 37780/2020, resa il 17.9.2020 e depositata in data 30.12.2020, nei seguenti testuali termini: “Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità”. I (Omissis) introdussero quindi il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. dinanzi alla Corte d’Appello civile di Catania, chiedendo accertarsi la responsabilità del sinistro in capo al Sa.Pi. e all’AN. Spa, ai sensi degli artt. 2049 e 2051 o, in subordine, 2043 c.c.; costituitisi i convenuti, Sa.Pi. e AN. Spa, con la sentenza in epigrafe il giudice d’appello rigettò le domande attoree, regolando le spese di lite.
Osservò la Corte etnea – dopo aver effettuato una ricognizione circa i propri poteri (anche istruttori) ex art. 622 c.p.p., al lume della giurisprudenza di legittimità – che la domanda attorea risultava infondata in relazione ad ogni profilo agitato, giacché: a) non v’era alcun obbligo giuridico di sostituire i guard-rail dal tipo H1 ad H2 nel tratto di tangenziale ove s’era verificato il sinistro, in quanto l’art. 2 del D.M. n. 223/1992 prevede tale adeguamento solo per i tronchi di nuova costruzione ed altre ipotesi di cui il C.T. del P.M., ing. To., aveva escluso la ricorrenza nella specie, donde la non configurabilità della colpa specifica in capo ai convenuti; b) neppure era configurabile la colpa generica – sub specie di obbligo di segnalazione e rimozione del pericolo ai fini della messa in sicurezza dell’arteria stradale – giacché in loco vigeva (seppure in caso di raffiche di vento) il limite di 80 km/h, il che valeva a richiamare gli utenti ad adottare comunque una maggiore diligenza nell’affrontare tale tratto di strada; c) del resto, il sinistro s’era verificato per colpa esclusiva del Ba.Gi., a causa della sua “abnorme condotta di guida”, caratterizzata da eccesso di velocità (non inferiore a 140 km/h), che non gli aveva consentito il controllo del mezzo, che aveva impattato con il guard-rail con un angolo di circa 80 ad una velocità stimata di 70 km/h, mentre le barriere di tipo H1 erano in grado di resistere ad un urto pari a 127kj, ossia all’impatto di un autocarro di 10 tonnellate alla velocità di 70 km/h e con angolo d’urto di 15; d) nessun addebito era ascrivibile al Sa.Pi. a titolo di responsabilità aquiliana, circa l’omessa esecuzione di lavori di manutenzione in ordine alla pretesa anomala infissione del palo di sostegno della barriera di tipo H1 nel tratto di strada d’interesse, sia perché infisso in terreno vegetale, sia perché ad altezza inferiore a quella prescritta, e ciò in relazione alla pretesa causa del decesso, individuata nell’impatto del giovane Ba.Gi. con una superficie rigida, dunque non con il guard-rail, ma con la sede stradale sottostante: ciò perché, anzitutto, non v’era alcuna prova che il palo non fosse infisso correttamente, ed inoltre perché, in base agli accertamenti eseguiti dal C.T. del P.M., risultava che l’abbattimento era stato causato dall’urto del veicolo ad alta velocità e con angolo d’impatto di circa 80, sicché poteva ritenersi che la causa della morte dovesse individuarsi proprio nell’impatto col guard-rail, non essendovi prova che ciò potesse essere dipeso dalla precipitazione nella scarpata: da tanto, dunque, discendeva l’infondatezza dell’assunto per cui, ove si fosse provveduto per tempo alla sostituzione con guard-rail di tipo H2, il sinistro non si sarebbe verificato, anche in applicazione del principio del “più probabile che non”; e) la dinamica dell’incidente, come ricostruita dal C.T. del P.M., consentiva di escludere anche la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 2051 c.c., posto che la responsabilità del sinistro era da ascrivere esclusivamente alla spericolata condotta di guida del Ba.Gi., non sussistendo concorrenti cause dotate di efficacia eziologica nell’accaduto.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione Ba.Ro., Ge.Fr. e Ge.Ag., sulla scorta di dieci motivi, cui resistono con autonomi controricorsi Sa.Pi. e l’AN. Spa Tutte le parti hanno depositato memoria. Ai sensi dell’art. 380-bis.1, comma 2, c.p.c., il Collegio ha riservato il deposito entro sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 – Con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per aver il giudice di rinvio disatteso quanto stabilito nella sentenza rescindente, al fine di una nuova valutazione della esigibilità dell’adempimento dal Sa.Pi., della incidenza dell’errata installazione del palo di sostegno e delle cause del decesso di Ba.Gi. accertate nella consulenza medico-legale come conseguenti alla precipitazione con caduta nella scarpata. In particolare, la Corte etnea non avrebbe effettuato una nuova valutazione dei fatti acquisiti nel rispetto di quanto stabilito dalla Corte di cassazione penale, procedendo ad una frammentaria e disattenta trascrizione della relazione del C.T. del P.M., ing. To., negando apoditticamente l’esistenza della prova della non corretta infissione del palo, invece sussistente (come da dichiarazioni del C.T.P. ing. Pa. e da dichiarazioni testimoniali dello stesso ing. To.) e omettendo pure di valutare quegli ulteriori elementi probatori acquisiti circa la necessità di sostituire le barriere, in quanto inadeguate rispetto al tratto di strada in questione. Considerazioni analoghe vengono svolte circa la causa del decesso del Ba.Gi., illogicamente ascritta all’impatto col guard-rail anziché con il suolo della sottostante strada, ove l’auto era precipitata, ancora in contrasto con le indicazioni della Corte di cassazione penale, con conseguente violazione della norma in rubrica.
1.2 – Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., sul dato probatorio decisivo, indicato nella sentenza rescindente nella scorretta installazione del palo di sostegno della barriera, nonché sull’accertamento da parte dei consulenti medico-legali delle cause del decesso e di conseguenza sulla verifica eziologica della omissione di un intervento sul palo e sul giudizio controfattuale, essendosi utilizzati gli stessi argomenti della sentenza penale d’appello annullata dalla S.C. La Corte etnea, in particolare, avrebbe puramente e semplicemente ignorato gli accertamenti fattuali circa la non corretta infissione del palo di sostegno, lasciando irrisolto il profilo della errata installazione anche solo sulla gravità dell’esito dell’incidente. Sarebbe dunque mancata (o sarebbe comunque inadeguata) l’emissione del giudizio controfattuale richiesto dalla Corte di cassazione penale, sia in ordine alla non corretta installazione del palo, sia dei meccanismi traumatici condizionati dalla caduta nella scarpata e dal conseguente urto contro il sottostante manto stradale.
1.3 – Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere il giudice del rinvio richiamato le conclusioni empiricamente raggiunte dal consulente tecnico del P.M. ing. To., sull’angolo di impatto, senza ulteriori specificazioni e senza rispondere alle censure mosse alla consulenza dal proprio consulente di parte, ing. Pa., e per avere altresì travisato quanto ipotizzato dallo stesso ing. To. circa la velocità di guida del Ba.Gi.
1.4 – Con il quarto motivo si lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver il giudice del rinvio: a) attribuito alla consulenza medico-legale un significato diverso dal dato testuale ivi enunciato in ordine alle cause del decesso; b) considerato quale elemento facente piena prova, recependolo senza apprezzamento critico, la misurazione dell’angolo di impatto indicata in 80 dal C.T. del P.M., ing. To., su basi meramente empiriche; c) ritenuto una velocità di guida del Ba.Gi. non inferiore a 140 km/h, travisando l’accertamento del C.T. del P.M., ing. To., sul punto, che invece ipotizza una velocità di 100-120 km/h.
1.5 – Con il quinto motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., nonché degli artt. 2043 c.c. e 14 D.Lgs. n. 285/1992 (c.d.s.), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in ordine alla valutazione negativa della colpa generica. Sul punto, sostengono i ricorrenti, la Corte etnea non solo si sottrae alla verifica eziologica della mancata sostituzione delle barriere, da H1 ad H2 (il che, in tesi, avrebbe comunque evitato il precipitare dell’auto nella scarpata sottostante), ma individua quale elemento idoneo a neutralizzare il rischio di eventi dannosi l’esistenza di un segnale di pericolo (limite di velocità in caso di raffiche di vento) senza neppure esaminare se fosse necessario un intervento di sostituzione quantomeno in corrispondenza della scarpata di 4 metri, l’apposizione di un segnale di pericolo specifico, la limitazione della velocità proprio per tale specifica ragione; né si è considerato che la funzione del guard-rail è quella di contenere i veicoli anche in caso di condotte di guida negligenti. Anche sotto tale profilo, dunque, risulterebbe eluso lo schema imposto dalla sentenza rescindente, giacché la sentenza qui impugnata è appiattita sulle stesse motivazioni adottate dal giudice penale d’appello.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
1.6 – Con il sesto motivo si lamenta la violazione degli artt. 2043 c.c. e 14 c.d.s., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in ordine alla valutazione negativa della colpa generica. Le doglianze mosse col motivo precedente configurano anche violazioni delle disposizioni in rubrica, giacché l’AN. – da quando prese in consegna la tangenziale di Catania, nel 1999 – e il Sa.Pi. per il periodo in cui assunse il ruolo apicale di quel compartimento, hanno omesso di verificare la efficienza tecnica della barriera e di intervenire, anche solo provvisoriamente, sul palo di sostegno. La Corte etnea, sul punto, avrebbe dunque violato le disposizioni in rubrica, non avendo preso in considerazione le omissioni, le violazioni degli obblighi di legge, di regole tecniche o dei criteri di comune prudenza da parte del custode della strada, rilevanti già ai sensi dell’art. 2043 c.c.
1.7 – Con il settimo motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in ordine alla valutazione negativa della colpa specifica, ancora in riferimento alla mancata sostituzione delle barriere H1 con quelle di tipo H2, essendosi replicata la motivazione del giudice d’appello penale, senza tener conto del materiale istruttorio (deposizioni testimoniali) che deponevano nel senso che, anche con impatto a 70 km/h e con angolo d’urto di 80, l’auto non sarebbe caduta nella scarpata sottostante.
1.8 – Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2051, 1227, comma 1, nonché 2697 c.c. ed ancora dell’art. 14 c.d.s., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere il giudice del rinvio escluso la ricorrenza del danno cagionato dalla cosa e omesso di valutare la condotta dell’utente in termini di solo concorso. In particolare, sostengono i ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe escluso la responsabilità dei convenuti anche in relazione alla custodia della res, senza prendere in considerazione le circostanze indicate nella sentenza rescindente (scorretta installazione del palo, morte da caduta da precipitazione), unitamente ad altre (oggettiva pericolosità, mancanza di segnali di pericolo per la scarpata, velocità ed angolo d’impatto) che invece denotavano, quantomeno, per una corresponsabilità dei convenuti stessi nell’accaduto, giacché il comportamento della vittima non era idoneo a interrompere il nesso causale tra le condizioni della strada e l’evento, stante la non visibilità oggettiva e la non prevedibilità soggettiva, della situazione di pericolo. Né la Corte etnea ha valutato, proseguono i ricorrenti, se i convenuti avessero fornito la prova del caso fortuito, onde andare esenti da responsabilità ex art. 2051 c.c.
1.9 – Con il nono motivo si lamenta la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in ordine alla ritenuta insussistenza della responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c. Sul punto, la Corte territoriale avrebbe ancora eluso lo schema delineato dalla Corte di cassazione penale, negando apoditticamente l’esistenza di elementi da questa indicati e già non presi in considerazione dalla sentenza penale d’appello, poi annullata. Essa avrebbe infatti omesso di valutare la possibilità di identificare un ruolo nella eziologia dell’evento alla stessa res in custodia, addebitando la esclusiva responsabilità ad un elemento – il comportamento del conducente – che, al più, poteva assumere valenza concorrente, ma non esclusiva, nelle condizioni date.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
1.10 – Con il decimo motivo, infine, si lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., sul regolamento delle spese di cassazione e del giudizio di rinvio, che avrebbero dovuto porsi integralmente – stante la fondatezza della domanda – a carico dei convenuti, o al più essere integralmente compensate.
2.1 – Occorre anzitutto disattendere la – invero generica – eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’AN., per preteso difetto di autosufficienza. Infatti, il ricorso è senz’altro confezionato in linea con i dettami dell’art. 366, comma 1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, contenendo una adeguata esposizione dei fatti sostanziali e processuali, nonché specifiche censure alla decisione impugnata, con correlativo assoggettamento a critica ed esplicazione delle censure mosse (salvo quanto eventualmente si dirà nello scrutinio di ciascun motivo), recando anche specifico riferimento ai documenti cui ogni singolo mezzo si riferisce, pure riguardo alla collocazione processuale degli stessi.
3.1 – Ciò posto e prima di entrare in medias res, richiamati i capisaldi del percorso decisorio seguito dalla Corte etnea (v. supra, parte narrativa), pare opportuno procedere all’inquadramento generale dei poteri del giudice d’appello in sede di rinvio, ex art. 622 c.p.p., anche al lume della più recente giurisprudenza di legittimità.
3.2.1 – La Corte d’Appello di Catania, competente per valore, ha disegnato il perimetro dei propri poteri ai sensi dell’art. 622 c.p.p., specificamente richiamando l’insegnamento di Cass. n. 517/2020, che – tra l’altro – ha dettato i seguenti principi: “La decisione della Corte di cassazione ex art. 622 c.p.p. determina una sostanziale “translatio iudicii” dinanzi al giudice civile, sicché la corte di appello competente per valore, cui sia stato rimesso il procedimento ai soli effetti civili, deve applicare le regole, processuali e sostanziali, del giudizio civile; ne consegue, oltre alla possibilità di formulare nuove conclusioni sorte in conseguenza di quanto rilevato dalla sentenza di cassazione penale, anche la legittimità della modificazione della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile, sia pure nel limite delle preclusioni fissato dall’art. 183 c.p.c., come interpretato dalla giurisprudenza, e tenuto conto della domanda formulata con l’originaria costituzione di parte civile secondo modalità contenutistiche e formali sostanzialmente omologhe a quelle previste per la citazione” (Rv. 656811-01); e ancora:
il giudice d’appello “competente per valore, (al) quale la Corte di cassazione in sede penale abbia rinviato il procedimento ai soli effetti civili, può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte nel precedente giudizio penale e ricavate direttamente dalla sentenza rescindente, richiamando gli elementi di fatto già acquisiti in quella sede per sottoporli ad una autonoma valutazione e ritenerli idonei ad integrare la responsabilità civile del soggetto agente, poiché tale sentenza non crea alcun vincolo in capo al giudice di cui all’art. 622 c.p.p., assumendo natura di prova atipica rimessa al suo prudente apprezzamento” (Rv. 656811-03).
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
Detto insegnamento si pone dichiaratamente in linea con una serie di importanti pronunce sostanzialmente coeve, emesse nel corso del 2019 (Cass., nn. 15859, 16916, 22515 e 22516 del 2019), con cui questa Sezione ha delineato – confermando l’orientamento già espresso da Cass. n. 9358/2017 e discostandosi dal contrario opinamento dalle Sezioni penali di questa stessa Corte – i poteri del giudice del rinvio ex art. 622 c.p.p.
In particolare, sulla comune premessa per cui nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. si determina una piena translatio del giudizio sulla domanda civile, sicché il giudice d’appello competente per valore, cui la Corte di cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, applica le regole processuali e probatorie proprie del processo civile, si è affermato che: a) il giudice del rinvio “adotta, in tema di nesso eziologico tra condotta ed evento di danno, il criterio causale del “più probabile che non” e non quello penalistico dell’alto grado di probabilità logica, anche a prescindere dalle contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale di rinvio” (Cass. n. 15859/2019, Rv. 654290-01); b) nelle suddette ipotesi, “non è consentita l'”utilizzazione”, alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa sentita quale testimone nel corso del processo penale, dovendo trovare applicazione, viceversa, il divieto sancito dall’art. 246 c.p.c. di assumere come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio, fermo restando che le medesime dichiarazioni, potendo costituire fonte di convincimento ai fini della decisione, sono liberamente valutabili dal giudice, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti nell’ambito delle complessive risultanze istruttorie” (Cass. n. 16916/2019, Rv. 654433-01);
c) “la valutazione della colpa dev’essere effettuata alla stregua non già del canone penalistico, imperniato sulla dimensione soggettiva di rimproverabilità della condotta (coerente con il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.), bensì di quello civilistico “oggettivato”, riferito a un modello “standard” di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c. parametrato sul cd. agente modello” (Cass. n. 22515/2019, Rv. 667789-01); d) infine, per il giudizio di rinvio, “seppur tecnicamente regolato dagli artt. 392-394 c.p.c., non è affatto ipotizzabile un vincolo come quello che consegue all’enunciazione di un principio di diritto ai sensi dell’art. 384, secondo comma, c.p.c. Pertanto, la Corte di appello civile… è tenuta a seguire le regole, processuali e sostanziali, proprie del giudizio civile, vertendo il giudizio di rinvio su azione civile che si svolge in autonomia rispetto alla fase penale che, rimasta ormai priva di qualsivoglia interesse, si è definitivamente esaurita a seguito della pronuncia emessa dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 622 c.p.p.” (Cass. n. 22516/2019, non massimata).
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
3.2.2 – Detta impostazione può dirsi assolutamente consolidata nella attuale giurisprudenza di questa Corte, ad essa essendosi ispirate ed attenute numerose successive pronunce (tra le tante, Cass. n. 30946/2022; Cass. n. 36524/2023; Cass. n. 15290/2024).
Anzi, come pure evidenziato da Cass. n. 32761/2023, non massimata, il più recente orientamento propugnato da questa Sezione ha ricevuto l’autorevole avallo di Cass., Sez. Un. pen. 28 gennaio-4 giugno 2021 n. 22065, Cremonini, che – rivedendo il contrario opinamento manifestato da alcune pronunce delle Sezioni penali di questa Corte ed in conformità con Corte cost. n. 233/2003 e n. 18/2021 – ha affermato che, “In caso di annullamento agli effetti civili della sentenza che, in accoglimento dell’appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l’imputato al risarcimento dei danni senza procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, il rinvio per il nuovo giudizio va disposto dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello”, traendone importanti conseguenze quanto alla morfologia di quest’ultimo.
Nel rinviare – al riguardo – alla motivazione della citata Cass. n. 32761/2023, può dunque dirsi che, anche nella prospettiva delle Sezioni unite penali, “la definitività e l’intangibilità della decisione adottata in ordine alla responsabilità penale dell’imputato, determinate dalla pronuncia con cui la Corte di cassazione annulla le sole disposizioni o i soli capi che riguardano l’azione civile (promossa in seno al processo penale), ovvero accoglie il ricorso della parte civile avverso il proscioglimento dell’imputato, provoca il definitivo dissolvimento delle ragioni che avevano originariamente giustificato, a seguito della costituzione della parte civile nel procedimento penale, le deroghe alle modalità di istruzione e di giudizio dell’azione civile, imponendone i condizionamenti del processo penale, funzionali alle esigenze di speditezza del procedimento. Con l’esaurimento della fase penale, essendo ormai intervenuto un giudicato agli effetti penali ed essendo venuta meno la ragione stessa dell’attrazione dell’illecito civile nell’ambito della competenza del giudice penale, risulta coerente con l’assetto normativo interdisciplinare sopra descritto che la domanda risarcitoria venga esaminata secondo le regole dell’illecito aquiliano, dirette alla individuazione del soggetto responsabile ai fini civili su cui far gravare le conseguenze risarcitorie del danno verificatosi nella sfera della vittima. L’annullamento e il conseguente rinvio al giudice civile competente comporta, in caso di riassunzione, l’assunzione della veste di attore-danneggiato della parte civile e di convenuto-danneggiante da parte di colui che nel processo penale rivestiva il ruolo di imputato.” (così la citata Cass., Sez. Un. pen., n. 22065/2021, in motivazione).
3.3.1 – Ciò chiarito, occorre ora evidenziare che Cass. pen. n. 37780/2020 – accogliendo per quanto di ragione i primi due motivi di ricorso dei prossimi congiunti di Ba.Gi. avverso la sentenza della Corte d’Appello penale di Catania n. 2450/2019 – ha cassato detta pronuncia e disposto il rinvio ex art. 622 c.p.p., riscontrando il difetto di motivazione su due aspetti dirimenti: 1) mancata considerazione del rilievo del C.T.P. ing. Pa. circa la non corretta infissione del paletto del guardrail al suolo, in quanto effettuata su terreno vegetale; 2) mancata considerazione della causa della morte nell’impatto con ostacoli resistenti (suolo).
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
In particolare, sul primo profilo, la sentenza rescindente ha evidenziato che “effettivamente, a fronte di una censura dell’appellante che giustapponeva alla affermazione del Tribunale (secondo il quale non era possibile desumere dalla relazione del C.T. del P.M. ing. To. che le barriere erano state montate in modo non corretto – n.d.e.) la dichiarazione del Pa. (C.T. dei prossimi congiunti del Ba.Gi., che aveva invece affermato che il paletto era infisso in modo irregolare su terreno vegetale e, dunque, inidoneo alla sua funzione – n.d.e.), la corte distrettuale è venuta meno al dovere di rendere esplicite le ragioni per le quali ha reputato di confermare quel primo giudizio pur a fronte della valutazione esperta di segno contrario. In particolare in merito al profilo della scorretta installazione della barriera, in quanto infissa in terreno vegetale. La mancata considerazione di tale elemento di prova dissolve l’intero impianto argomentativo, avendo incidenza sia sui lineamenti di una possibile condotta colposa sia sulla relazione causale. Inoltre, si tratta di un profilo che assume effettivo rilievo anche nella prospettiva della valutazione della esigibilità dell’adempimento dal Sa.Pi., esclusa dalla Corte di appello sulla base di premesse fattuali che non considerano la semplice necessità di intervenire sul palo in questione… Come già accennato, in tal modo si è lasciato irrisolto il profilo della incidenza della errata installazione della barriera anche solo sulla gravità dell’esito dell’incidente”.
In relazione al secondo profilo, la citata Cass. pen. n. 37780/2020 ha invece evidenziato che la Corte d’Appello etnea, affermando che non sarebbe possibile accertare se la morte degli occupanti del veicolo sia avvenuta nell’impatto con la barriera o a seguito della precipitazione, non ha tenuto conto del dato evincibile dalla espletata consulenza medico-legale, che “fa riferimento a meccanismi traumatici condizionati dalla caduta e dal conseguente urto contro ostacoli resistenti. Si tratta di un passo che non appare considerato dalla sentenza, nonostante fosse necessario esplicarne i significati, diversamente risultando manifesta illogica l’affermazione fatta dalla Corte di appello. Anche a tal fine avrebbe dovuto essere tenuta in considerazione la circostanza introdotta dall’Ing. Pa., di un palo infisso in terreno cedevole, potendo essa incidere sulla misura della resistenza della barriera e quindi sull’ipotesi concernente la causa più prossima della morte”.
3.3.2 – La Corte catanese del rinvio in sede civile ha così affrontato entrambe le suddette questioni, esaminando la domanda risarcitoria nell’ottica della responsabilità aquiliana (quindi, ex art. 2043 c.c.), con riguardo alla colpa generica (ma con evidenti riflessi sull’intera decisione).
Quanto alla prima questione, la Corte ha evidenziato come non v’è “prova in atti dell’assunto per cui il palo della barriera H1 fosse installato in maniera non corretta, atteso che l’accertamento sui pali, come precisato in udienza dall’Ing. To., è avvenuto in epoca successiva ai fatti (sei mesi dopo) e non ha mai avuto ad oggetto il palo interessato dal sinistro, bensì altri pali posti nelle vicinanze, atteso che il segmento di guard-rail ed i pali interessati dal sinistro sono stati dismessi e sostituiti dall’AN. con altri analoghi… Non v’è prova, quindi, che l’abbattimento della barriera e la conseguente caduta dell’auto nella sottostante scarpata sia stata causata dalla non corretta installazione del palo, su cui alcun accertamento è stato svolto in relazione alla sua installazione”.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
Quanto alla seconda questione, si è osservato che “parimenti non v’è prova che la morte del Ba.Gi. e della passeggera Pu.Al. sia stata provocata dalla precipitazione dell’autovettura nella scarpata, come sostenuto, invece, nell’atto riassuntivo sulla scorta della relazione tecnica eseguita dai CC.TT. del PM dott. G. Ragazzi e prof. Ve.. Giova, al riguardo, rilevare che la relazione tecnica dei CC.TT. del PM dott. G. Ragazzi e prof. Ve., in atti, riguarda Pu.Al. ed è stata espletata al solo fine di verificare eventuali profili di colpa medica dei professionisti che ebbero la giovane in cura subito dopo l’intervento del 118. Per quanto concerne Ba.Gi. non è stata acquisita agli atti del processo penale alcuna documentazione riguardante la causa del suo decesso, dovendosi, per tal guisa, ritenere non provato l’asserito nesso eziologico tra il trauma conseguente alla caduta nella scarpata e l’evento letale.
In altri termini, non vi sono in atti elementi da cui trarre la conclusione che la morte del Ba.Gi. sia conseguita alla caduta nella sottostante scarpata, piuttosto che al violento urto contro la barriera, discendendone che infondato si appalesa l’assunto secondo cui, ove si fosse provveduto alla sostituzione della barriera esistente con quella del tipo H2, l’evento letale non si sarebbe verificato.
E tanto vale anche in applicazione dell’invocato principio civilistico del più probabile che non, considerato che tutt’altro che inverosimile appare la possibilità che l’evento morte si sia verificato a seguito dell’urto contro la barriera, atteso che il veicolo ha abbattuto una barriera in grado di resistere all’energia cinetica sprigionata da un autocarro avente massa di dieci tonnellate che impatti ad una velocità di 70 km/h con angolo d’urto di 15”.
4.1 – Può ora procedersi all’esame dei singoli motivi di impugnazione.
Il primo motivo è infondato.
Per quanto prima evidenziato (in particolare, parr. 3.2.1 e 3.2.2), risulta evidente come la regola di cui all’art. 384, comma 2, c.p.c. – secondo cui, quando la Corte cassa la sentenza impugnata, rinviando ad altro giudice, questi è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto affermato e comunque a quanto statuito dalla Corte – non sia applicabile al giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p.
Questo è, nella forma, regolato dalle disposizioni di cui agli artt. 392-394 c.p.c., ma non coincide né si identifica, dal punto di vista sostanziale, con il giudizio susseguente alla cassazione con rinvio nell’ambito del giudizio civile tout court: il giudice d’appello civile competente per valore, dunque, non resta vincolato alle statuizioni del giudice di legittimità in sede penale, dovendo procedere ex novo mediante applicazione delle regole, processuali e sostanziali, che governano il giudizio civile (si veda, in particolare, la citata Cass. n. 22516/2019, cui si rinvia per brevità).
Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, dunque, sul giudice catanese del rinvio non gravava alcun dovere di procedere “ad una nuova valutazione dei fatti acquisiti in relazione alle direttive espresse dalla Corte di Cassazione penale in ordine agli specifici elementi da prendere in considerazione” – nei termini dettati dall’art. 384, comma 2, c.p.c. -, proprio perché non è configurabile alcun vincolo diretto e specifico derivante dalla sentenza di annullamento in sede penale, come più volte evidenziato (e salvo quanto si dirà nel paragrafo successivo). Non è casuale, del resto, che tutti i precedenti di legittimità invocati dai ricorrenti, sul punto, attengano al giudizio di rinvio susseguente alla cassazione disposta nell’ambito del giudizio civile tout court, non già a quello ex art. 622 c.p.p.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
5.1.1 – Il secondo motivo è invece fondato, nei termini di cui appresso.
La sentenza della Corte d’Appello penale è stata cassata dalla più volte citata Cass. pen. n. 37780/2020 perché:
a) ha del tutto omesso di considerare la questione della non corretta installazione del guard-rail (principalmente argomentata dal C.T.P dei (Omissis), ing. Pa.), e perché b) ha ritenuto di non poter evincere dalla consulenza medico-legale indicazioni dirimenti nel senso di poter affermare o escludere che il decesso del Ba.Gi. fosse derivato dall’impatto contro il guard-rail o contro il suolo della sottostante sede stradale.
La Corte d’Appello civile, con la sentenza qui impugnata, ha affrontato entrambi i profili su cui era intervenuta la pronuncia penale rescindente, rilevando che:
aa) nessuna prova poteva dirsi sussistente quanto alla pretesa irregolare infissione del paletto di sostegno del guard-rail su terreno vegetale (non avendo potuto riscontrare alcunché di specifico il C.T. del P.M. all’atto del proprio sopralluogo, giacché frattanto l’intero tratto di guard-rail era stato interamente sostituito) e che bb) nessuna prova poteva trarsi dalla consulenza medico-legale circa le specifiche cause del decesso di Ba.Gi., giacché l’accertamento era stato eseguito sul solo corpo della passeggera della Y10, Pu.Al., il che deponeva – anche secondo la regola della preponderanza dell’evidenza – per una probabile individuazione della causa stessa nell’impatto dell’autovettura con il guard-rail, anziché con il manto stradale sottostante al piano viario, dopo il sorvolo dell’auto nella scarpata.
5.1.2 – Ritiene la Corte che la censura in esame, complessivamente interpretata, colga nel segno.
Infatti, pur nell’egida del più recente orientamento affermatosi dal 2019 sul tema del rapporto tra giudizio penale e giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., questa Corte ha condivisibilmente affermato che “Qualora la Corte di cassazione annulli la sentenza penale, limitatamente alle disposizioni civili, per soli vizi di motivazione, il giudice civile del rinvio conserva tutte le facoltà che gli competono quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio d’appello, egli è tenuto, nonostante l’istituzionale indipendenza dei giudizi e delle relative discipline della responsabilità, a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati” (Cass. n. 28011/2021; conf. Cass. n. 8997/2022).
In buona sostanza, l’istituzionale autonomia dei due giudizi (penale e civile) non rende priva di rilevanza l’argomentazione del giudice penale e, pertanto, non esime il giudice civile da una attenta considerazione degli stessi snodi motivazionali ritenuti carenti da quello penale, dedicando ad essi una particolare attenzione, sia pure in relazione alle diverse finalità ed esigenze della ricostruzione dei fatti nei due processi (tendenti ad un accertamento oltre ogni ragionevole dubbio per il penale; da accertarsi, specie sul piano della causalità, secondo la regola della preponderanza dell’evidenza per il civile) ed alla diversa ampiezza dei vizi deducibili nell’uno e nell’altro in ordine alla relativa motivazione.
Non sfugge, infatti, che il perimetro del vizio motivazionale denunciabile per cassazione nell’ambito del giudizio penale e del giudizio civile non coincide, giacché per il primo l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., ne individua l’essenza nella “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione” (formula sostanzialmente corrispondente per il giudizio civile – mutatis mutandis – al previgente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), mentre per il secondo – a seguito della modifica apportata a tale ultima disposizione dall’art. 54 del D.L. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012 – si esige che la denuncia attenga alla contestata violazione del “minimo costituzionale” ex art. 111, comma 6, Cost. (si veda, al riguardo e per tutte, Cass., Sez. Un., n. 8053/2014): dunque, alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, alla “motivazione apparente”, al “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e alla “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Quanto precede, ferma la denunciabilità per cassazione del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, secondo la nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
Se, dunque, il medesimo snodo motivazionale eventualmente adottato dal giudice penale d’appello e dal giudice civile del rinvio circa la ricostruzione della fattispecie è certamente suscettibile di essere diversamente valutato, già sul piano astratto dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, a seconda della prospettiva penalistica o civilistica da cui muova l’interprete, occorre però considerare che il preesistente vaglio operato dalla Corte di cassazione penale circa la rilevanza di uno o più profili non debitamente trasposti nella motivazione dal giudice d’appello penale non consente al giudice del rinvio ex art. 622 c.p.p. di replicare il ragionamento già ritenuto lato sensu carente, pena la grave violazione del diritto di difesa costituzionalmente rilevante, ex art. 24 Cost., nonché la stessa inutilità (in ipotesi) dell’appendice civilistica:
ognun vede che, ove al giudice civile del rinvio fosse consentito replicare puramente e semplicemente il medesimo ragionamento in facto già censurato in sede penale, verrebbe meno lo stesso interesse ad impugnare, sul punto, la sentenza penale in capo alla parte civile e ad ottenerne la cassazione. Un simile interesse, a seguire il ragionamento criticato, potrebbe infatti configurarsi solo se il vizio motivazionale della sentenza penale di assoluzione dell’imputato dovesse ascendere al rango della violazione del “minimo costituzionale”, in termini esattamente corrispondenti e sovrapponibili, tra giudizio penale e giudizio civile. Ciò, però, significherebbe limitare l’utilità dell’impugnazione della parte civile e implicherebbe sostanzialmente – quanto al vizio motivazionale – la parziale interpretatio abrogans dello stesso art. 622 c.p.p. e delle disposizioni in tema di diritto di impugnare della parte civile. Il che, ovviamente, non è per nulla sostenibile.
Risulta quindi inevitabile ritenere che la previa negativa valutazione di uno o più passaggi motivazionali, operata dalla Corte di cassazione penale, determina di regola, quale corollario di una considerazione sistematica del rapporto tra i due giudizi civili (quello svolto in sede penale fino alla sentenza di annullamento e quello poi proseguito in sede di rinvio), un onere di aggravamento della motivazione da parte del giudice del rinvio ex art. 622 c.p.p., proprio in relazione a detti passaggi. Pertanto, i parametri cui correlare la rispondenza o meno della motivazione al “minimo costituzionale”, ex art. 111, comma 6, Cost. (v. supra), in siffatte ipotesi, si colorano dei profili già esaminati in sede penale, non apparendo di giustizia che la ricostruzione dei fatti possa prescinderne: in tal guisa, le circostanze del caso consentono di ricondurre le doglianze sulla motivazione penalistica, accolte dalla Corte di cassazione penale, ai medesimi vizi denunciabili in sede civile, ricorrendone i presupposti. Quale ulteriore corollario, come pure correttamente evidenziato dalla citata Cass. n. 28011/2021, se il giudice del rinvio incorre negli stessi vizi che erano stati individuati (con riferimento alla sentenza del giudice penale) dalla sentenza rescindente, reiterando gli errori ivi censurati, resta conclamata una sostanziale apparenza della motivazione sui punti in discussione, poiché le argomentazioni svolte nella sentenza rescindente implicano un onere di confutazione specifico, evidentemente inadempiuto con la reiterazione dei medesimi vizi.
5.1.3 – Ciò chiarito, ritiene la Corte che effettivamente la sentenza impugnata rechi – sui punti in discussione – una motivazione meramente apparente o comunque gravemente carente (ben oltre la mera sua insufficienza e, pertanto, tale da rilevare anche ai fini del novellato art. 360 c.p.c.), nei termini prima evidenziati.
5.1.4 – Anzitutto, occorre osservare che la sentenza rescindente aveva annullato la sentenza d’appello penale perché “a fronte di una censura dell’appellante che giustapponeva alla affermazione del Tribunale la dichiarazione del Pa. la corte distrettuale è venuta meno al dovere di rendere esplicite le ragioni per le quali ha reputato di confermare quel primo giudizio pur a fronte della valutazione esperta di segno contrario. In particolare in merito al profilo della scorretta installazione della barriera, in quanto infissa in terreno vegetale” (v. amplius, par. 3.3.1; enfasi aggiunta).
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
Dalla lettura della motivazione della sentenza qui impugnata, risulta invece estremamente agevole constatare che, di tale valutazione “esperta di segno contrario”, la Corte etnea non ha minimamente tenuto conto, neppure citandola per evidenziarne la non condivisibilità e/o l’erroneità sul piano tecnico-metodologico, trincerandosi dietro l’affermazione del C.T. del P.M. di non aver potuto effettuare alcun riscontro sul paletto perché frattanto sostituito e smaltito dall’ente proprietario della tangenziale (dato di per sé inidoneo, giacché le regole che governano l’istruzione probatoria, anche nel processo civile, ben consentono al giudice di risalire al fatto ignoto dall’esame di altri fatti noti – a partire dall’accertamento sugli “altri pali posti nelle vicinanze”, cui pure la motivazione fa cenno – , secondo il tipico ragionamento inferenziale; e, comunque, avendo il giudice civile l’onere di prendere in considerazione le contrarie argomentazioni svolte dalla parte, viepiù, come detto, una volta riscontrata una lacuna argomentativa sul punto da parte del giudice penale); per poi concludere che, dagli stessi accertamenti eseguiti dal C.T. del P.M., risultava che l’abbattimento del guard-rail era stato causato dall’urto della vettura ad una velocità di circa 70 km/h con angolo d’impatto di circa 80, giacché la barriera di tipo H1, esistente in loco, non era stata progettata per resistere a simile impatto. Ciò sebbene la Corte abbia pure dato atto che lo stesso C.T. del P.M. aveva riferito che l’intero tratto di guard-rail collocato nelle vicinanze del luogo ove era avvenuto l’incidente si trovasse ad un’altezza inferiore al minimo di quanto previsto dalla normativa secondaria di settore (70 cm.), benché di poco (1-1,5 cm.), e pretermettendo ogni ulteriore valutazione sugli altri elementi fattuali acquisiti nel processo penale e liberamente utilizzabili, tenuto anche conto della ripartizione degli oneri probatori gravanti sulle parti, in relazione alle azioni civili alternativamente e/o subordinatamente esercitate dagli odierni ricorrenti.
Anche in sede civile – rendendo così viziata la pronuncia oggi gravata – tale percorso motivazionale, per usare le parole della ripetuta Cass. pen. n. 37780/2020, “dissolve l’intero impianto argomentativo, avendo incidenza sia sui lineamenti di una possibile condotta colposa sia sulla relazione causale…. in tal modo si è lasciato irrisolto il profilo della incidenza della errata installazione della barriera anche solo sulla gravità dell’esito dell’incidente”.
5.1.5 – Considerazioni non dissimili possono svolgersi anche riguardo alla seconda questione in parola, ossia quella dell’eziologia del decesso del giovane Ba.Gi.
Anche qui, la sentenza rescindente aveva cassato la sentenza penale d’appello perché l’affermazione secondo cui non era possibile accertare se il predetto fosse deceduto a causa dell’impatto col guard-rail, oppure col suolo sottostante alla scarpata, risultava gravemente illogica, non tenendo conto dei riferimenti, operati dalla consulenza medico-legale, “a meccanismi traumatici condizionati dalla caduta e dal conseguente urto contro ostacoli resistenti… Anche a tal fine avrebbe dovuto essere tenuta in considerazione la circostanza introdotta dall’Ing. Pa., di un palo infisso in terreno cedevole, potendo essa incidere sulla misura della resistenza della barriera e quindi sull’ipotesi concernente la causa più prossima della morte” (v. amplius, par. 3.3.1).
Sul punto, la Corte etnea ha ritenuto decisiva la circostanza che la relazione di consulenza medico-legale disposta dal P.M. sia stata espletata sulla sola passeggera Pu.Al. (con la conclusione che il suo decesso è derivato dall’impatto della vettura col suolo sottostante, posto a 4 m. dal piano viario della tangenziale), nulla invece risultando riguardo alla specifica posizione di Ba.Gi. E ha concluso, in proposito, che anche secondo la regola del “più probabile che non”, risulta tutt’altro che inverosimile che il Ba.Gi. sia deceduto già a seguito dell’urto con il guard-rail, “atteso che il veicolo ha abbattuto una barriera in grado di resistere all’energia cinetica sprigionata da un autocarro avente massa di dieci tonnellate che impatti ad una velocità di 70 km/h con angolo d’urto di 15”.
In proposito, a parte la considerazione che tale ultima affermazione dà per scontata una circostanza (la corretta infissione del paletto di sostegno e, più in generale, la corretta collocazione del guard-rail) che scontata non è (v. par. precedente), la motivazione così adottata in sede civile è affetta dal medesimo vizio poc’anzi evidenziato, perché si sofferma sulla (ritenuta) esclusiva efficienza distruttiva del mezzo condotto dal Ba.Gi., senza però tenere nel dovuto conto il fatto che il guard-rail, non resistendo all’impatto, aveva manifestato la sua cedevolezza (quale che ne sia stata la causa, qui non importa), così non impedendo lo scavalcamento della vettura dello stesso Ba.Gi. e la sua caduta sul piano sottostante: questione su cui – non a caso – la Corte di cassazione penale aveva specificamente censurato la sentenza d’appello. Pertanto, l’affermazione della Corte territoriale per cui la specifica causa del decesso del Ba.Gi. vada più probabilmente ascritta al violento impatto con la barriera (che si è totalmente deformata, fungendo da trampolino – o “scivola”, nell’idioma catanese, come pure risulta talvolta in atti – per l’autovettura), anziché all’urto col suolo, come certamente avvenuto per la passeggera Pu.Al., è anch’essa espressione di motivazione apparente, se non anche apodittica e gravemente illogica.
In altre parole, la Corte etnea, indagando sulla causa del decesso del Ba.Gi. e in assenza di specifiche evidenze sul punto, ha ritenuto più plausibile – nell’alternativa tra un impatto del veicolo alla velocità di circa 70 km/h e con angolo di circa 80 contro la barriera, che ha ceduto e ha fatto da trampolino per l’autovettura, e l’impatto da caduta contro il suolo sottostante a 4 m. di altezza – l’urto contro l’ostacolo cedevole, anziché contro l’ostacolo resistente, senza affatto spiegarne le ragioni; ciò, proprio al lume della sentenza rescindente, che infatti aveva puntualmente colto il profilo in esame, evidenziando il deficit motivazionale della sentenza penale d’appello sul punto, in relazione alle risultanze della consulenza medico-legale, e ribadendo la necessità di approfondire – anche a tal riguardo – le argomentazioni introdotte dall’Ing. Pa. sulle modalità di infissione del paletto di sostegno, questione quest’ultima già ampiamente illustrata.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
5.1.6 – Non senza dire che la questione appena cennata ridonda direttamente anche sull’azione ex art. 2051 c.c. pure esercitata dagli odierni ricorrenti.
Infatti, posto che – fatto salvo quanto si dirà nel prosieguo – la modalità dell’incidente per cui è processo è incontroversa nei suoi elementi essenziali (perdita del controllo del mezzo per condotta comunque imprudente del conducente, impatto col guard-rail, mancato contenimento del mezzo sulla sede viaria e caduta nella scarpata sottostante), l’accertamento circa la corretta o non corretta collocazione della barriera ha indubbio valore dirimente. Pertanto, una volta (e se) eventualmente stabilita con accettabile grado di certezza la riconducibilità eziologica dell’evento, così come supra essenzialmente descritto, alla inidoneità del guard-rail rispetto alla sua funzione (che è quella di evitare l’uscita dei veicoli dalla sede stradale, pur a fronte di comportamenti lato sensu imprudenti degli utenti), l’accertamento della specifica causa del decesso del Ba.Gi. (impatto contro il guard-rail o contro il suolo sottostante) diviene a tal punto irrilevante, giacché la causa ignota del danno, ossia quella rimasta in concreto non dimostrata, grava comunque sul custode (da ultimo, ex multis, Cass. n. 7789/2024). E tanto senza considerare che è mancata, proprio ai fini della formulazione di un giudizio di preponderanza probabilistica, una valutazione comparativa tra l’evenienza dell’esclusiva efficienza causale dell’impatto con il guard-rail e di quello con il suolo a diversi metri di dislivello.
Il giudice del rinvio è dunque chiamato a rinnovare il giudizio d’appello, anzitutto rendendo una motivazione che tenga conto di tutto quanto fin qui esposto: beninteso, impregiudicato restandone lo sviluppo e l’esito, ma, appunto, espressamente considerati gli elementi illegittimamente tralasciati.
6.1 – Il terzo e il quarto motivo possono esaminarsi congiuntamente, stante l’evidente connessione. Essi sono fondati, per quanto di ragione.
Come più volte evidenziato, la Corte etnea ha ritenuto di poter ricostruire la dinamica del sinistro sulla scorta delle risultanze del C.T. del P.M., ing. To.: secondo il tecnico, la vettura del Ba.Gi., condotta ad una velocità non inferiore a 140 Km/h (il preteso travisamento propugnato dai ricorrenti, sul punto, costituisce un fuor d’opera, per le ragioni spiegate dall’AN.
specialmente a p. 21 del controricorso), dopo aver urtato contro la barriera spartitraffico di sinistra, si è “imbardata” per circa 28 m., finalmente impattando contro il guard-rail di destra ad una velocità di circa 70 km/h, con angolo di circa 80.
Ebbene, la Corte d’Appello ha recepito tali elementi come dati assiomatici, senza neppure aver cura di manifestare esplicitamente la loro condivisione, né le ragioni di tanto, quasi a ritenerle ammantate da certezza, benché le stesse fossero state sottoposte a serrata critica dagli odierni ricorrenti, per il tramite del loro C.T.P, ing. Pa., secondo il quale – sulla base di valutazioni di natura tecnica, sviluppate nella propria relazione di consulenza, in atti – la velocità di percorrenza era comunque inferiore ai 140 km/h e l’angolo d’impatto fu pari a circa 44, dunque compatibile con il potere di contenimento di barriere anche del tipo H1, se correttamente infisse al suolo: di tali critiche, addirittura, non v’è traccia nella motivazione, già sul piano grafico.
Se, dunque, “l’omessa valutazione da parte del giudice di merito dei rilievi tecnici mossi alla C.T.U. è deducibile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., se la motivazione, pur aderendo alle conclusioni rassegnate dal consulente d’ufficio, omette qualsivoglia menzione delle osservazioni a quelle svolte” (così la recentissima Cass. n. 9925/2024, ribadendo un principio consolidato), ciò non può non valere a maggior ragione rispetto ad una consulenza di parte (benché pubblica), quale è quella disposta dal P.M. nel procedimento penale.
La motivazione adottata dalla Corte etnea sul punto, dunque, è nulla perché non spiega le ragioni per cui la ricostruzione dell’incidente operata dall’Ing. To. sia preferibile rispetto a quella propugnata dall’Ing. Pa.. Inoltre, nel mostrare di dare preferenza alla prima, la Corte finisce col conferire valore di prova legale ad una serie di elementi istruttori (compendiati nelle relazioni dell’Ing. To.) invece soggetti a necessaria valutazione critica, così incorrendo anche nella violazione dell’art. 116 c.p.c. (v. Cass., Sez. Un., n. 20867/2020, Rv. 659037-02).
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
Naturalmente, incontestata essendo la velocità di 70 km/h al momento dell’urto, la questione della misurazione dell’angolo d’impatto rimette in gioco tutta la dinamica del sinistro; una volta correttamente accertata tale misura, il giudizio controfattuale che il giudice del rinvio è chiamato ad operare, anche in relazione ai profili esaminati nello scrutinio del secondo motivo, deve quindi porsi nei seguenti termini: con il dato angolo X di impatto alla velocità di 70 km/h, il guard-rail di tipo H1, se correttamente infisso al suolo, avrebbe impedito il sorvolo dell’auto condotta da Ba.Gi. nella sottostante scarpata?
6.2 – I profili di censura attinenti alle risultanze della consulenza medico-legale restano assorbiti dall’accoglimento del secondo motivo.
7.1 – Il quinto motivo e il sesto motivo possono esaminarsi congiuntamente, perché connessi. Essi sono fondati, nei limiti di cui appresso.
La Corte catanese ha negato la sussistenza della colpa generica in capo ai convenuti (relativa alla mancata segnalazione e rimozione del pericolo, consistente – in tesi – nella collocazione di barriera di tipo H1, comunque non adeguata in considerazione della profondità della scarpata sottostante al punto di impatto del veicolo), perché il limite di velocità segnalato in loco era pari a 80 Km/h, benché in caso di vento; aggiunge la Corte che – a prescindere dalla ricorrenza di un simile fenomeno atmosferico – tanto fosse sufficiente a richiamare gli automobilisti ad una maggiore prudenza, nel percorrere il tratto di strada in parola.
Tuttavia, così facendo, la Corte d’Appello ha ritenuto assolto il dovere di segnalazione del concreto pericolo in rilievo da parte dell’ente proprietario della tangenziale (id est, percorrenza di tratto di strada con scarpata sottostante) mediante segnalazione di altra specifica situazione di pericolo (id est, percorrenza di tratto di strada in caso di vento), tuttavia priva di concreto rilievo nell’accaduto, non risultando che, in occasione del sinistro per cui è processo, sussistessero dette condizioni meteorologiche: pertanto, è fuor di dubbio che, nella specie, mancava la specifica segnalazione del pericolo di cui si discute. Non a caso, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “L’infrazione di una norma sulla circolazione stradale, pur potendo importare responsabilità ad altro titolo, non può di per sé dar luogo a responsabilità civile per un evento dannoso che non sia con essa in rapporto di causa ed effetto” (Cass. n. 14885/2019; ma v. anche Cass. n. 5729/2019).
In altre parole, la segnalazione di pericolo, cui è tenuto l’ente proprietario della strada ex art. 14 c.d.s., va correlata rispetto alla specifica fonte pericolosa in discussione e non ha copertura omnicomprensiva: non basta, dunque, collocare un segnale di pericolo quale che sia, per andare esente da colpa nella causazione dell’evento (v. in particolare la recentissima Cass. n. 13921/2024, non massimata, anche per richiami).
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
In questo, dunque, i ricorrenti colgono nel segno, perché – in definitiva – l’accertamento sul presupposto della colpa generica in capo ai convenuti per la mancata collocazione di barriere laterali idonee alla prevenzione del pericolo di scavalcamento della vettura (v. Cass. n. 10916/2017, Rv. 644015-02) è mancato del tutto ed è comunque gravemente illogico.
7.2 – Non appare superfluo a tal punto evidenziare (benché la specifica questione sia stata agitata in seno al secondo mezzo, peraltro accolto) che, non risultando che la notte dell’incidente vi fossero condizioni di vento, la assolutezza della valutazione della Corte d’Appello circa l’abnormità della condotta di guida del Ba.Gi. a cagione dell’eccesso di velocità (ritenuta non inferiore a 140 km/h, rispetto ad un limite esistente di 80 km/h) deve essere senz’altro riveduta, al lume del nuovo accertamento richiesto al giudice del rinvio sia quanto alla velocità stessa (v. supra, par. 6.1), sia al limite di velocità effettivamente esistente in loco, che i ricorrenti indicano in 110 km/h, ma che certamente è stato erroneamente apprezzato dalla Corte etnea: si tratta di profili, entrambi, rimessi alla prudente valutazione del giudice del merito, nel prosieguo del giudizio.
Tutto ciò fermo restando – a scanso di equivoci – che, nella valutazione circa l’imprudenza nella condotta di guida del Ba.Gi., occorre comunque tener conto della pacifica circostanza per cui egli era intento a superare anche sulla corsia di destra le autovetture di alcuni amici, in uno sconsiderato gioco poi rivelatosi fatale, come neppure gli odierni ricorrenti non disconoscono.
8.1 – Il settimo motivo non può considerarsi assorbito dall’accoglimento dei precedenti, dovendo invece qualificarsi infondato.
La Corte etnea, richiamando le considerazioni svolte dal C.T. del P.M., ing. To., ha adeguatamente spiegato perché non fosse configurabile la colpa specifica in capo ai convenuti, giacché, in forza della previsione dell’art. 2 del D.M. n. 223/1992, non poteva dirsi sussistente un obbligo giuridico di immediato adeguamento delle barriere in loco, con la sostituzione del guard-rail di tipo H1 con quello di tipo H2.
La motivazione, dunque, risponde certamente al “minimo costituzionale” (v. la già citata Cass., Sez. Un., n. 8053/2014), perché rende chiaramente intellegibile il percorso decisorio seguito dal giudice del merito.
È poi dirimente osservare, per coerenziare la conclusione con quella sulle altre apparentemente consimili doglianze appena accolte, che non vale in tal caso – come tentano di fare i ricorrenti – invocare una sostanziale similitudine decisoria rispetto alla sentenza penale d’appello, perché detta ultima decisione, sul punto, non è stata cassata dalla citata Cass. pen. n. 37780/2020, che infatti ha dichiarato l’inammissibilità del terzo motivo del ricorso, che detta questione agitava; sicché non vi è alcuna statuizione di vizi motivazionali del giudice del merito penale.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
Né sulla questione stessa incide quanto indicato dagli odierni ricorrenti circa l’idoneità delle barriere del tipo H2 ad evitare con certezza l’evento, così come verificatosi, anche a considerare come dimostrate – benché oggetto di contestazione – la velocità di percorrenza del veicolo (140 km/h) e l’angolo di impatto col guard-rail (80): la questione, al più, può essere valutata nell’ambito della disamina della colpa generica (ossia, come parametro di valutazione del comportamento esigibile da parte dei convenuti, onde evitare l’evento dannoso), non anche della colpa specifica, proprio perché gli stessi ricorrenti neppure individuano la norma, primaria o secondaria, che avrebbe indefettibilmente imposto la sostituzione delle barriere, nel senso esposto.
9.1 – Dall’accoglimento dei motivi dal secondo al sesto discende, de plano, la fondatezza dell’ottavo e del nono motivo, per quanto di ragione, da esaminarsi congiuntamente perché connessi, in quanto involgenti i profili dell’azione ex art. 2051 c.c.
Infatti, la Corte territoriale ha ritenuto infondata la relativa domanda giacché ha valutato la condotta di guida del Ba.Gi. quale causa esclusiva dell’evento dannoso. Ora, fermo restando che – come già pure evidenziato (v, par. 7.2) – compete al giudice del merito valutare l’efficienza causale dell’imprudenza della condotta complessivamente tenuta dal Ba.Gi., non v’è dubbio che le circostanze fattuali pure apprezzate dalla Corte d’Appello nello scrutinio dell’azione ex art. 2051 c.c. ai fini dell’esclusione della responsabilità del custode non hanno resistito al controllo di legittimità che occupa, per le ragioni già ampiamente spiegate, e sono dunque da considerarsi tuttora sub iudice.
Ne consegue che il giudizio sulla responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c. deve essere inevitabilmente rinnovato dal giudice del rinvio, una volta ricostruita la dinamica del sinistro secondo quanto disposto da questa Corte con la presente decisione; non senza evidenziare, però, che la valutazione del comportamento del Ba.Gi., ai fini di quanto previsto dall’art. 1227, comma 1, c.c., circa la valutazione sul piano eziologico quale causa esclusiva o concorrente del fatto dannoso, non può prescindere dalle concrete modalità del sinistro. Occorre cioè considerare che il veicolo dallo stesso condotto non è stato contenuto sulla sede stradale dal guard-rail ed è andato ad urtare il sottostante piano viario, sicché risulta decisivo stabilire, anche al fine cui s’è fatto cenno, se la barriera, quale porzione della cosa custodita e fonte pertanto di responsabilità, fosse stata collocata regolarmente o meno (anche in relazione alla causa occulta del decesso, su cui v. supra, par. 5.1.6) e cioè, secondo la complessiva giurisprudenza di questa Corte ormai consolidata, posta e tenuta in condizioni tali da prevenire quanto potesse prevedersi, secondo un criterio di regolarità causale obiettivato, quale conseguenza di una interazione con la cosa stessa di una condotta umana normalmente prudente in relazione alle circostanze del caso (benché, al riguardo, sia riconosciuta la sufficienza, per l’esclusione della responsabilità, della mera colpa del soggetto danneggiato: Cass. n. 21675/2023, Cass. n. 2376/2024 e successive). È appena il caso di ricordare che, però, i titoli di responsabilità invocati a carico dei convenuti originari non si esauriscono in quello disciplinato dall’art. 2051 c.c. e che, quindi, l’incidenza della condotta colposa del terzo sarà suscettibile di diversa valutazione, anche ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., per i differenti titoli comunque oggetto di accertamento.
La segnalazione di pericolo e l’ente proprietario della strada
10.1 – Il decimo motivo, concernente le spese di lite, resta conseguentemente assorbito.
11.1 – In definitiva, il primo e il settimo motivo sono rigettati e il decimo è assorbito; sono invece accolti gli altri motivi, vale a dire il secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, ottavo e nono. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, che si atterrà ai superiori principi, procedendo anche ad un nuovo esame delle
domande degli odierni ricorrenti e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.
In relazione alla causa petendi, va inoltre disposto l’oscuramento dei dati dei ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e il settimo motivo di ricorso e dichiara assorbito il decimo; accoglie i restanti motivi, cassa in relazione e rinvia alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi dei ricorrenti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno 5 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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