La responsabilita’ della banca per fatto illecito dei propri dipendenti scatta ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile all’attivita’ lavorativa del dipendente

Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 23 marzo 2018, n. 7241.

La responsabilita’ della banca per fatto illecito dei propri dipendenti scatta ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile all’attivita’ lavorativa del dipendente, e quindi anche se questi abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del suo datore di lavoro, sempre che sia rimasto comunque nell’ambito dell’incarico affidatogli. Pertanto, la responsabilita’ dell’istituto per lo svolgimento delle incombenze affidate ai dipendenti sussiste allorche’ il fatto illecito sia legato da un nesso di occasionalita’ necessaria con l’esercizio delle mansioni cui sia adibito, sicche’ il comportamento doloso (anche di rilevanza penale) del preposto interrompe il nesso causale fra l’esercizio delle incombenze e il danno nell’ipotesi di condotta del risparmiatore “anomala”, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di incauta ed avventata acquiescenza alla violazione delle regole. Il relativo accertamento, si ribadisce, compete insindacabilmente al giudice di merito.

Ordinanza 23 marzo 2018, n. 7241
Data udienza 12 settembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 12477-2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del procuratore e legale rappresentante pro tempore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1622/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 27/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MISTRI CORRADO, che ha chiesto la parziale inammissibilita’ e comunque il rigetto del ricorso;
RILEVATO
che:
il Tribunale di Chiavari, con sentenza del 9 febbraio 2009, in parziale accoglimento della domanda risarcitoria proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS) condannava in solido i convenuti (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) alla corresponsione della meta’ delle somme che gli attori assumevano di avere consegnato al dipendente della (OMISSIS) s.p.a, (OMISSIS), per operazioni di investimento, somme mai restituite, negando il ristoro della restante meta’ per il riconoscimento del concorso del fatto colposo dei danneggiati, ai sensi dell’articolo 1227 c.c. Accoglieva anche la domanda di garanzia proposta dalla (OMISSIS) s.p.a. nei confronti di (OMISSIS), condannandolo a tenere indenne l’Istituto di credito di quanto dovuto agli attori;
avverso tale decisione proponeva appello la societa’ (OMISSIS) s.p.a. deducendo l’insussistenza dei presupposti previsti all’articolo 2049 c.c., per l’assenza del rapporto di occasionalita’ necessaria tra le incombenze dell’ausiliario e il comportamento illecito e l’insussistenza della prova della dazione del denaro. Costituitisi gli appellanti (OMISSIS) e (OMISSIS) congiuntamente, spiegavano appello incidentale avverso il riconoscimento di un concorso di colpa e, nella contumacia di (OMISSIS), la Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 27 dicembre 2014, in riforma della decisione impugnata respingeva le domande degli originari attori, (OMISSIS) e (OMISSIS), laddove proposte nei confronti della convenuta (OMISSIS) s.p.a, respingeva l’appello incidentale e compensava le spese del doppio grado di giudizio;
avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di quattro motivi. Resiste in giudizio (OMISSIS) s.p.a. con controricorso. I ricorrenti depositano memorie ex articolo 378 c.p.c. Il Procuratore Generale conclude per la declaratoria di inammissibilita’ o comunque di rigetto del ricorso.
CONSIDERATO
che:
La motivazione viene redatta in forma semplificata in adempimento di quanto previsto dal decreto n. 136-2016 del Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione, non avendo il presente provvedimento alcun valore nomofilattico;
con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 116, 214, 215, 216, 232 e 324 c.p.c., nonche’ degli articoli 2697, 2732, 2729 e 2909 c.c., nonche’ omesso esame di un fatto controverso ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. In particolare, censurano la decisione nella parte in cui ha ritenuto non opponibili alla (OMISSIS) s.p.a. i quattro moduli bancari che gli attori assumono sottoscritti dal convenuto (OMISSIS). Al contrario, tali documenti regolarmente firmati da Bruno Podesta’ devono ritenersi opponibili a quest’ultimo ai sensi degli articoli 215 e 232 c.p.c. (attesa la posizione di contumace di (OMISSIS), che non si e’ presentato a rendere l’interrogatorio formale). Trattandosi di azione risarcitoria la Corte territoriale non ha considerato la rilevanza del comportamento illecito di (OMISSIS) che aveva indotto con l’inganno gli attori a consegnargli somme assolutamente rilevanti per espletare presunti investimenti bancari. Quanto alla posizione di (OMISSIS) s.p.a. la decisione e’ censurabile nella parte in cui attribuisce valore al disconoscimento delle sottoscrizioni da parte dell’Istituto di credito mentre tale facolta’ spetta esclusivamente all’autore del documento. Inoltre, se e’ vero che la condotta confessoria di (OMISSIS) produce effetti solo nei confronti di quest’ultimo, tale comportamento e’ liberamente apprezzabile dal giudice nell’ipotesi di litisconsorzio facoltativo. Infine, ulteriore elemento probatorio e’ costituito dal rapporto ispettivo interno della banca nel quale (OMISSIS) riconosce come proprie le sigle apposte sul modulo;
con il secondo motivo deducono violazione degli articoli 2049 e 1228 c.c. oltre all’omessa valutazione di un fatto decisivo ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per avere erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazione di tali disposizioni. La Corte territoriale ha sminuito il profilo dell’occasionalita’ necessaria valorizzando erroneamente la circostanza che (OMISSIS) era addetto al servizio Prestitempo, del tutto distinto dall’attivita’ di raccolta di ordini di investimento e ritenendo rilevanti una serie di circostanze di fatto (i ricorrenti non erano correntisti della filiale, avevano conosciuto (OMISSIS) in luoghi diversi dagli sportelli bancari, le somme sarebbero state versate all’esterno dell’Istituto di credito, eccetera). Tali valutazioni non sarebbero in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ che si limita a richiedere la sussistenza di una situazione che possa agevolare o rendere possibile il fatto illecito anche nell’ipotesi in cui il dipendente abbia operato oltre i limiti delle proprie incombenze, purche’ nell’ambito dell’incarico affidatogli;
con il terzo motivo denunziano la violazione dell’articolo 2043, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 attesa la responsabilita’ dell’Istituto di credito che non avrebbe vigilato adeguatamente sui comportamenti del proprio dipendente, pur essendo a conoscenza dell’attivita’ di intermediazione svolta. Nonostante la copiosa allegazione di elementi di fatto (pagine 49-55 del ricorso) la Corte d’Appello avrebbe valorizzato altri profili relativi alle regole di competenza interna della banca, oltre alla circostanza che il dipendente sarebbe stato licenziato in tronco;
con il quarto motivo deducono la violazione dell’articolo 2043 c.c. e articolo 1227 c.c., comma 4, oltre all’omesso esame di un fatto controverso decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 rilevando che la Corte avrebbe erroneamente escluso la sussistenza della responsabilita’ extracontrattuale in difetto della prova della consegna delle somme a (OMISSIS) e per la accertata sussistenza di una condotta estremamente imprudente e avventata da parte degli attori. Sotto tale profilo vengono ribadite le censure in fatto oggetto di precedenti motivi rilevando che il comportamento truffaldino di (OMISSIS) aveva interessato numerosissimi utenti bancari;
i motivi di ricorso sono tutti caratterizzati da un profilo di inammissibilita’ poiche’ sotto l’apparente formulazione di censura relativa alla violazione di legge o all’omessa considerazione di fatti rilevanti i ricorrenti censurano le valutazioni svolte dalla Corte territoriale con riferimento ai fatti di causa ed agli elementi probatori acquisiti al giudizio, richiedendo a questa Corte di legittimita’ di rivedere valutazioni e apprezzamenti di esclusiva competenza del giudice di merito. Alla Corte di cassazione non compete la nuova valutazione delle risultanze di fatto emerse nei precedenti gradi del procedimento e la revisione del valore probatorio dell’attivita’ istruttoria espletata, poiche’ cio’ trasformerebbe il giudizio di legittimita’ in un terzo grado di merito nel quale riesaminare il contenuto dei fatti storici e il valore degli elementi probatori al fine di individuare la ricostruzione fattuale ritenuta maggiormente attendibile (Cass. 12 settembre 2012, n. 15523 e Cass. 10 febbraio 2015, n. 2469);
motivazioni supplementari specifiche.
con specifico riferimento al primo, quarto e quinto motivo le censure sono caratterizzate da mescolanza di mezzi di impugnazione eterogenei ed incompatibili, come la violazione di legge, la nullita’ per errores in procedendo e il vizio motivazionale implicante indissolubilmente sia l’interpretazione, spettante al giudice di merito e riguardante gli effetti processuali delle condotte delle parti, sia la valutazione degli elementi probatori, la congruita’ della motivazione ed il giudizio di comparazione tra i diversi elementi di prova (Sez. 3 -, Sentenza n. 3554 del 10/02/2017, Rv. 642860 – 01);
inoltre, relativamente al primo motivo, le doglianze che accomunano la violazione di numerose norme processuali all’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, in realta’ non esaminano in alcun modo le ragioni per le quali le citate disposizioni di legge sarebbero state violate, ma si occupano della differente ricostruzione dei fatti di causa, alla luce degli elementi di prova in atti. In ogni caso, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio che limita il valore legale della confessione giudiziale al solo confidente, relegando al prudente apprezzamento del giudice la valutazione del valore probatorio delle dichiarazioni rese da uno dei litisconsorti nei confronti degli altri. Nel processo con pluralita’ di parti l’interrogatorio formale non puo’ riguardare fatti che si risolvano a svantaggio dell’altra parte processuale. Pertanto, nell’ipotesi di rapporto processuale scindibile, la non contestazione sara’ apprezzata con riferimento alla posizione del soggetto che non rendere l’interrogatorio, mentre nell’ipotesi di rapporto processuale inscindibile il comportamento processuale sara’ liberamente valutabile dal giudice, fermo restando l’onere di fornire la prova del fatto che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto insussistente. Inoltre, i ricorrenti censurano la decisione impugnata perche’ il giudice di secondo grado avrebbe dovuto trarre argomenti di prova a carico di (OMISSIS) s.p.a. dal complesso degli elementi istruttori acquisiti. Sotto tale profilo la censura, come detto in premessa, e’ inammissibile poiche’ la valutazione delle prove e il contegno delle parti nel processo costituisce prerogativa esclusiva del giudice di merito e le censure concernenti il vizio di motivazione, secondo il testo precedente a quello in vigore (articolo 360, n. 5) non possono risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella svolta dal giudice di merito, dovendosi peraltro ribadire che l’omesso esame di elementi istruttori non integra l’ipotesi lamentata dai ricorrenti, quando il fatto storico sia stato comunque presente considerazione dal giudice di merito che, come nel caso di specie, abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie rilevanti (Cass. Sezioni Unite, 7 aprile 2014 n. 8053). In ogni caso le censure sono destituite di fondamento confondendo la legittimazione a disconoscere l’autografia del documento con quella, spettante all’istituto di credito, tesa a contestare l’ascrivibilita’ della sottoscrizione a soggetto dotato di poteri rappresentativi ed omettendo di considerare la motivazione della Corte territoriale riguardo alla mancanza di prova – nei rapporti con l’istituto di credito – della dazione di denaro e la riconducibilita’ dei moduli bancari a quelli relativi alle operazioni di investimento;
il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi poiche’ le censure riguardano il profilo risarcitorio disciplinato dagli articoli 2049 e 2043 c.c., con riferimento agli articoli 1227 e 1228 medesimo codice. Anche in questo caso, oltre ai profili di inammissibilita’ di carattere generale e a quelli specifici segnalati rispetto al terzo e quarto motivo, i ricorrenti apparentemente censurano l’ipotesi di violazione di legge, mentre i motivi non contengono alcuna contestazione in ordine alla ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge, risolvendosi le censure in una richiesta di interpretazione alternativa della norma che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito. I ricorrenti contestano il valore probatorio attribuito dai giudici di merito alle risultanze processuali censurando, nello specifico, la valutazione delle risultanze di causa, ritenendo che la Corte territoriale avrebbe valorizzato eccessivamente alcuni profili (il versamento in contanti di somme ingentissime, l’espletamento di attivita’ al di fuori delle mansioni dell’ausiliario, il divieto di dilatare la responsabilita’ dell’imprenditore agli atti compiuti al di fuori della struttura lavorativa e degli orari), senza adeguatamente considerare la ricostruzione alternativa prospettata dai ricorrenti. Analoghe considerazioni riguardano l’applicazione dell’articolo 1227 c.c., comma 2;
puo’ solo aggiungersi che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia, secondo cui la responsabilita’ della banca per fatto illecito dei propri dipendenti scatta ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile all’attivita’ lavorativa del dipendente, e quindi anche se questi abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del suo datore di lavoro, sempre che sia rimasto comunque nell’ambito dell’incarico affidatogli (Sez. 3, Sentenza n. 8210 del 04/04/2013, Rv. 625668 – 01). Pertanto, la responsabilita’ dell’istituto per lo svolgimento delle incombenze affidate ai dipendenti sussiste allorche’ il fatto illecito sia legato da un nesso di occasionalita’ necessaria con l’esercizio delle mansioni cui sia adibito, sicche’ il comportamento doloso (anche di rilevanza penale) del preposto interrompe il nesso causale fra l’esercizio delle incombenze e il danno nell’ipotesi di condotta del risparmiatore “anomala”, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di incauta ed avventata acquiescenza alla violazione delle regole. Il relativo accertamento, si ribadisce, compete insindacabilmente al giudice di merito (Sez. 1, Sentenza n. 22956 del 10/11/2015, Rv. 637646 01) ed e’ stato operato in questi termini;
Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, e’ respinta integralmente o e’ dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta e’ tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis.
Il giudice da’ atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 14.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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