Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 5 maggio 2016, n. 18728

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 06.10.2015, la Corte d’appello di Genova confermava la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Genova in data 27.04.2011 nei confronti di S.C. . Con detta pronuncia, era stata disposta la pubblicazione della sentenza, per estratto e per una sola volta a cura della cancelleria ed a spese dell’imputato sul quotidiano “(omissis) ” di (…).
2. Avverso detta pronuncia, nell’interesse di S.C. , viene proposto ricorso per cassazione per lamentare erronea applicazione dell’art. 36 cod. pen. avendo la Corte territoriale omesso di riformare sul punto la sentenza di primo grado applicando l’attuale versione dell’art. 36 cod. pen., che non contiene più alcun riferimento alla pubblicazione della sentenza di condanna su giornali cartacei ma, al contrario, consente oggi al giudice di ordinare la pubblicazione esclusivamente sul sito internet del Ministero della Giustizia.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.
2. Con lo stesso, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha riformato la statuizione di primo grado che aveva disposto la pubblicazione della sentenza di condanna su un quotidiano, pur in presenza dell’intervenuta modifica legislativa dell’art. 36 cod. pen. che aveva provveduto ad eliminare il riferimento alla pubblicazione della sentenza sulla carta stampata consentendo soltanto la pubblicazione della stessa sul sito del Ministero della Giustizia.
2.1. Come è noto, l’art. 36 cod. pen. ha subito – rispetto alla sua originaria formulazione che, nella specie, prevedeva che la sentenza di condanna fosse pubblicata, per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice (art. 36 cod. pen., comma 4) – talune modifiche che sono intervenute dopo la data del commesso reato.
Riservando l’analisi ai casi di pubblicazione della sentenza di condanna espressamente previsti dalla legge con riferimento quindi a reati diversi da quelli puniti con la pena dell’ergastolo in ordine ai quali la pubblicazione è sempre prevista, va detto che, in un primo momento, la norma, per effetto della novella di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 67 e alla L. 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, comma 216, prevedeva che la sentenza di condanna fosse pubblicata “per una sola volta in uno o più giornali designati dal giudice”, così come era originariamente contemplato, ma con la precisazione ulteriore (art. 36, comma 4) che “la pubblicazione nei giornali (…) doveva essere fatta unicamente mediante l’indicazione degli estremi della sentenza e dell’indirizzo internet del sito del ministero della Giustizia” e prevedeva, dunque, che la sentenza di condanna fosse anche pubblicata “nel sito internet del Ministero della Giustizia” per la durata stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni e, in mancanza di determinazione temporale, per la durata di quindici giorni.
2.2. Successivamente il legislatore, al dichiarato “fine di ridurre le spese di giustizia”, è nuovamente intervenuto con la novella di cui al D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 37, comma 18, convertito nella L. 15 luglio 2011, n. 111.
All’esito di tale ultimo intervento legislativo, è venuta meno la tradizionale modalità di pubblicazione sui giornali ed è stato modificato l’art. 36, comma 2, cod. pen., eliminando l’inciso “per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice”. Inoltre, è stata abolita l’ultima parte dell’art. 36, comma 4 – aggiunta dalla L. 23 dicembre 2009, n. 191 – che prevedeva l’inciso “salva la pubblicazione nei giornali, che è fatta unicamente mediante indicazione degli estremi della sentenza e dell’indirizzo internet del sito del Ministero della Giustizia”.
Dopo quest’ultima novella, la pubblicazione della sentenza avviene, quindi, solamente attraverso il sito internet del Ministero della Giustizia.
2.3. I fatti – in relazione ai quali è stata disposta la pena accessoria di cui si discute – risalgono al 13.02.2010 e, all’epoca, era solo prevista la pubblicazione sulla stampa della sentenza di condanna. Questa Corte ha reiteratamente affermato che il principio di legalità della pena e quello di applicazione, in caso di successione di leggi penali, della legge più favorevole, operano anche con riguardo alle pene accessorie (Sez. 3, sent. n. 48526 del 05/11/2009, dep. 18/12/2009, B., Rv. 245408) sicché la prima questione da risolvere è se, nella specie, si verta in tema di introduzione di una nuova pena accessoria ovvero della rimodulazione delle modalità esecutive della pena accessoria già prevista dal codice penale.
La prima tesi, che attesterebbe l’irretroattività dell’applicazione della pubblicazione telematica a fatti pregressi, era indubbiamente sostenibile sulla base della prima novella ex L. n. 191 del 2009, perché la pubblicazione telematica si aggiungeva a quella cartacea, sebbene quest’ultima ne usciva leggermente ridimensionata andando eseguita unicamente mediante indicazione degli estremi della sentenza e dell’indirizzo internet del sito del Ministero della Giustizia. Tuttavia, la L. 15 luglio 2011, n. 111, ha rimodulato il contenuto della pena accessoria, sostituendo alla tradizionale modalità di esecuzione della pubblicazione sul supporto cartaceo della stampa periodica, quella telematica abolendo il potere del giudice di selezionare lo strumento della pubblicazione, tanto che questa Corte ha affermato che la modifica apportata all’art. 36 cod. pen., dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 37, comma 18, convertito nella L. 15 luglio 2011, n. 111, non ha dato luogo ad una nuova sanzione accessoria, ma ne ha diversamente modulato il contenuto, sostituendo alla tradizionale forma di pubblicazione sulla stampa quella via internet, fatto che integra un fenomeno di successione di leggi nel tempo regolato dall’art. 2, comma 4, cod. pen. (Sez. 3, sent. n. 37840 del 08/05/2013, dep. 16/09/2013, RG. in proc. Giordano, Rv. 257218; Sez. 3, sent. n. 38935 del 09/07/2013, dep. 20/09/2013, P.G. in proc. Patricola, Rv. 256413).
La sostituzione del mezzo della pubblicazione attiene, infatti, alla definizione del contenuto della sanzione e comunque incide sulla relativa funzione afflittiva la cui cifra è data, da un lato, dalle spese della pubblicazione della sentenza di condanna che sono a carico del condannato e, dall’altro, dalla funzione di prevenzione e di difesa sociale della pena, posto che la ratio della pubblicazione della sentenza di condanna risponde all’esigenza di prevenzione generale e speciale che consegue alla dimostrazione, resa palese proprio dalla diffusione della notizia attraverso la pubblicazione, della repressione dell’illecito con il conseguente discredito gettato sul suo autore specie in un settore, come quello dell’evasione fiscale, dove il danno criminale sta nella sottrarre all’erario le risorse da destinare alle esigenze collettive e rende evidente, a parte rei, la disubbidienza al precetto costituzionale (art. 53 Cost.) che obbliga tutti a concorrere, senza sottrazione di risorse, alle spese pubbliche in rapporto alla propria capacità contributiva.
Peraltro, il dato riguardante l’afflittività delle spese a carico del condannato, che conseguono alla pubblicazione della sentenza di condanna, pare recessivo rispetto alle tradizionali ragioni che costituiscono il fondamento della pena accessoria de qua e ciò non soltanto perché si pongono come un effetto dell’applicazione della sanzione ma anche perché rappresentano un effetto solo eventuale, posto che, proprio le difficoltà sottese al recupero delle spese anticipate dall’erario per la pubblicazione della sentenza su supporto cartaceo, hanno determinato le modifiche normative dell’art. 36 cod. pen..
2.4. Ne deriva che, come questa Corte ha già affermato (cfr., Sez. 3, n. 38935 del 09/07/2013, cit., in motivazione; Sez. 2, sent. n. 4105 del 12/01/2016, dep. 01/02/2016, Diao), la pubblicazione telematica rafforza il carattere afflittivo della pena accessoria, poiché alla diminuzione o eliminazione della spesa per la pubblicazione corrispondono la capillare diffusione delle informazioni offerta dal sistema telematico in ragione del libero accesso ai documenti pubblicati ed alla loro indicizzazione da parte dei motori di ricerca e la tempestività della pubblicazione che le diverse forme cartacee certamente non assicurano.
2.5. Pertanto, la modifica apportata all’art. 36 cod. pen., dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 37, comma 18, convertito nella L. 15 luglio 2011, n. 111, non ha introdotto nel sistema penale una nuova pena accessoria, ma ne ha diversamente modulato il contenuto, sostituendo alla tradizionale forma di pubblicazione sulla stampa quella via internet, fatto che integra un fenomeno di successione di leggi nel tempo regolato dall’art. 2 cod. pen., comma 4, con la conseguenza che non è applicabile ai fatti pregressi la nuova disciplina, in quanto maggiormente afflittiva (Sez. 3, sent. n. 43298 del 02/07/2014, dep. 16/10/2014, Floris, Rv. 260979).
2.6. Sulla base di questi principi, appare evidente come il ricorso, relativamente al predetto motivo, sia privo del requisito dell’interesse avendo il ricorrente beneficiato di un trattamento sanzionatorio di minor rigore rispetto a quello di cui è stata invocata l’applicazione: da qui l’inammissibilità del ricorso.
3. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

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