La produzione con il ricorso monitorio di una fattura unitamente ad un assegno non implica la rinuncia implicita al beneficio della dispensa dall’onere di provare il rapporto fondamentale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|27 febbraio 2023| n. 5827.

La produzione con il ricorso monitorio di una fattura unitamente ad un assegno non implica la rinuncia implicita al beneficio della dispensa dall’onere di provare il rapporto fondamentale

In tema di promessa di pagamento, la produzione, con il ricorso monitorio, di una fattura unitamente ad un assegno non implica la rinuncia implicita al beneficio della dispensa dall’onere di provare il rapporto fondamentale, poiché la volontà abdicativa deve essere espressa in modo inequivoco, mentre la fattura, pur essendo documento idoneo “ex lege” all’emissione del decreto ingiuntivo, non costituisce prova, in senso proprio, del credito nel successivo giudizio di opposizione.

Ordinanza|27 febbraio 2023| n. 5827. La produzione con il ricorso monitorio di una fattura unitamente ad un assegno non implica la rinuncia implicita al beneficio della dispensa dall’onere di provare il rapporto fondamentale

Data udienza 12 ottobre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Mandato – Assegno bancario – Promessa di pagamento – Allegazione al ricorso monitorio di fattura commerciale – Rinuncia implicita alla dispensa dalla dispensa dall’onere probatorio – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 3460-2022 proposto da:
(OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), nella qualita’ di titolare dell’impresa (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 2106-7021 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 09/11/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/10/2022 dal Consigliere Relatore Dott. Stefano Giaime Guizzi.

La produzione con il ricorso monitorio di una fattura unitamente ad un assegno non implica la rinuncia implicita al beneficio della dispensa dall’onere di provare il rapporto fondamentale

Ritenuto in fatto

– che (OMISSIS) ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 2106-21, del 9 novembre 2021, della Corte di Appello di Catania, che – accogliendo il gravame esperito da (OMISSIS), nella qualita’ di titolare dell’agenzia denominata ” (OMISSIS)”, avverso la sentenza n. 776-20, del 26 agosto 2020, del Tribunale di Siracusa – lo ha condannato a corrispondere al predetto (OMISSIS) la somma di Euro. 5.124,00;
– che, in punto di fatto, l’odierno ricorrente riferisce essergli stato notificato un provvedimento monitorio che gli ingiungeva il pagamento di tale importo, oltre Iva, in favore del (OMISSIS), e cio’ a titolo di provvigione per l’attivita’ di intermediazione che costui avrebbe svolto e culminata nella conclusione di un contratto con cui il (OMISSIS) aveva acquistato un immobile da terzi;
– che a fondamento del ricorso ex articolo 633 c. p. c. il creditore ingiungente aveva allegato, oltre ad una fattura attestante l’espletamento dell’attivita’ di intermediazione immobiliare, un assegno bancario emesso dal (OMISSIS), dell’importo di 5.124,00, tratto sulla (OMISSIS), filiale di (OMISSIS), titolo risultato insoluto;
– che il giudice di prime cure accoglieva la proposta opposizione, qualificando il rapporto come “mediazione atipica”, e dunque ritenendo che il mediatore fosse stato incaricato dai soli venditori;
– che il gravame esperito dall’opposto veniva accolto dal giudice di Appello
– che a tale esito essa perveniva sul rilievo che il (OMISSIS) avesse “dedotto la sussistenza di una promessa di pagamento (ancorche’ con l’indicazione, da parte dello stesso (OMISSIS), del rapporto causale), promessa insita nell’assegno bancario (rimasto insoluto) di Euro 5.124,00 emesso in suo favore, il (OMISSIS), dal (OMISSIS)”, rilevando come la predetta cifra corrispondesse “al 3% (usuale provvigione per mediazione immobiliare) dell’indicato prezzo (curo 140.000,00) della vendita”, e come esso trovasse “riscontro nella fattura n. (OMISSIS), emessa dal (OMISSIS) (lo stesso giorno della conclusione di tale vendita e per la stessa somma poi portata dall’assegno bancario) nei confronti del (OMISSIS) “per intermediazione immobiliare atto del 13 febbraio 2015 Immobile sito in (OMISSIS)”;
– che avverso la sentenza della Corte etnea ricorre per cassazione il (OMISSIS), sulla base – come detto – di quattro motivi;
– che il primo motivo denuncia, ai sensi dell’articolo 360, comma l, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 634 c.p.c. e degli articoli 2697 e 1988 c.c.;
– che esso censura la sentenza impugnata per aver escluso che il (OMISSIS) avesse rinunciato, implicitamente, al vantaggio della dispensa dell’onere della prova del rapporto sottostante alla promessa di pagamento, ricorrendo, invece, detta evenienza quando il beneficiano della promessa, nell’azionare il credito, deduca – oltre alla promessa stessa – il rapporto ad essa sottostante, chiedendo “sua sponte” di provarlo come sarebbe accaduto nel caso di specie attraverso la produzione della fattura;
– che il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n.3 c. p. c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 9697 c.c., per avere la sentenza attribuito valore probatorio ad un atto, la fattura, che non puo’ fungere, nel giudizio di opposizione, da prova del credito;
– che il terzo motivo denuncia – ex articolo 360 comma 1, n. 5), c.p.c. – vizio di motivazione, con riferimento all’omesso esame dell’atto pubblico di compravendita rogato dal notaio (OMISSIS), che comproverebbe come le parti contraenti non ebbero, in realta’, ad avvalersi di alcun mediatore, avendo reso dichiarazione in tal senso, recepita nel rogito;
– che il quarto motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’articolo 2729 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che “la asserita vicinanza temporale della fattura, dell’assegno e dell’atto pubblico di compravendita”, deporrebbero per l’avvenuto espletamento dell’incarico, da parte del mediatore, anche per conto dell’acquirente (OMISSIS), e non dei soli venditori;
– che, per contro, secondo il ricorrente, una valutazione complessiva degli elementi presuntivi (assegno e fattura) raffrontati con il contenuto dell’atto pubblico citato, non possono tra loro ritenersi concordanti essendo oggettivai-Acute escluso che la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva nel senso prospettato in motivazione”;
– che il (OMISSIS) e’ rimasto solo intimato;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata al ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 12 ottobre 2022;
– che il ricorrente ha depositato memoria.

La produzione con il ricorso monitorio di una fattura unitamente ad un assegno non implica la rinuncia implicita al beneficio della dispensa dall’onere di provare il rapporto fondamentale

Considerato in diritto

– che il ricorso va rigettato;
– che ritiene, infatti, questo collegio che le conclusioni in tal senso rassegnate nella proposta del consigliere relatore non siano state superate dai rilievi svolti dal ricorrente nella memoria ex articolo 380-bis, comma 2, c.p.c.;
– che il primo motivo di ricorso e’ infondato;
– che esso assume che il (OMISSIS), mediante la produzione – in occasione del deposito del ricorso ex articolo 633 c.p.c. – non del solo assegno rilasciatogli dal (OMISSIS), ma anche della fattura attestante lo svolgimento dell’attivita’ di intermediazione in suo favore, essendosi, in tal modo offerto, di provare il rapporto sottostante all’emissione del titolo, avrebbe implicitamente rinunciato al beneficio della dispensa dall’onere della prova del rapporto fondamentale, derivante dall’effetto di astrazione processuale prodotto dalla promessa di pagamento ai sensi dell’articolo 1988 c.c.;
– che nella disamina di tale questione occorre prendere le mosse dal rilievo espresso da tempo da questa Corte, che la promessa di pagamento, pura o titolata che sia, “non e’ valida senza che esista un rapporto fondamentale che dia vita all’obbligazione; tuttavia essa determina una presunzione di esistenza di tale rapporto ed una inversione dell’onere probatorio, per cui spetta al promittente provare la insussistenza o l’estinzione del rapporto fondamentale” (cosi’ gia’ Cas Sez. 3, sent. 12 luglio 1965, n. 1447, Rv. 312749-01);
– che, nella successiva giurisprudenza di legittimita’ si e’ venuta meglio precisando tale nozione, chiarendo come “l’astrazione della causa debendi, che l’articolo 1988 cod. civ. riconnette a tale istituto”, sia “meramente processuale”, comportando “per colui a favore del quale avvenga la promessa, una relevatio ab onere probandi che si traduce nell’imposizione a carico del promittente dell’onere di provare l’inesistenza o l’invalidita’ o l’estinzione del rapporto fondamentale, sia esso menzionato o no nella promessa unilaterale (rispettivamente “titolata” o “pura”)” (cosi’ gia’ Cass. Sez. 3, sent. 8 aprile 1981, n. 2002, Rv. 412711-01), sicche’ la promessa “non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale” (Cass. Sez. 3, sent. 8 luglio 1983, n. 4618, Rv. 429493-01; Cass. Sez. 3, sent. 19 gennaio 1999, n. 12833, Rv. 53129641; Cass. Sez. 3, seni. 11 dicembre 2000, n. 15575, Rv. 542562-01; Cass. Sez. 3, sent. 11 agosto 2002, n. 11426, Rv. 556492 -01; Cass. Sez. 2, sent. 22 agosto 2006, n. 18259, Rv. 591853-01; Cass. Sez. Lay., sent. 8 luglio 2007, n. 17423, Rv. 599638-01);
– che, peraltro, la stessa distinzione tra promessa “pura” e “titolata”, che nell’originaria, tradizionale, impostazione di questa Corte andava intesa – in ciò cogliendo nel segno l’osservazione formulata dal ricorrente, nella propria memoria – dal punto di vista del promittente (essendosi, invero, affermato che quando il “contenuto della dichiarazione negoziale unilaterale è soltanto la promessa di adempiere un’obbligazione, la promessa unilaterale e’ pura o non titolata”, mentre, se “e’ anche menzionata la causa debendi, cioe’ e’ menzionato 11 rapporto giuridico elle sta a fondamento della promessa, quel rapporto di cui l’obbligazione e un elemento strutturale, la promessa unilaterale di pagamento e’ titolata”; cosi’ Cass. Sez. 3, sent. 2 febbraio 1974, n. 3929, Rv. 379488-01), ha finito con l’assumere, tuttavia, un significato traslato;
– che, difatti, in taluni piu’ recenti arresti di questa Corte di leggittimitàrelativi tra l’altro, a vicende processuali concernenti proprio assegni bancari, vale a dire promesse, per definizione, prive di alcuna menzione della “causa debendi”, e dunque “pure” secondo l’impostazione tradizionale sopra illustrata – si e’ venuta delineando una diversa nozione di “promessa titolata” (quanto dogmaticamente corretta, non e questa la sede per stabilirlo), che correla la stessa all’indicazione che, non il promittente, bensi’ il promissario, faccia del rapporto ad essa sottostante (cfr., in tal senso, tutte in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. -19 maggio 2006, n. 11775, Rv. 590847-01, nonche’ Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2010, n. 10466, Rv. 613643-01);
– che e’ proprio con riferimento a simili casi, nei quali il promissario faccia seguire alla mera indicazione del rapporto sottostante – necessaria in ragione del fatto che, per potersi avvalere della “relevatio ad onere probandi” conseguente all’astrazione della promessa di pagamento, egli e’ tenuto “comunque ad allegare il rapporto sottostante, essendo solo assolto dall’onere di provarlo” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 14 aprile 2010, n. 8891, Rv. 612995-0’11) – anche un’offerta di prova dello stesso, che Si pone il problema di stabilire se, o per meglio dire a quali condizioni, ricorra la rinuncia al beneficio della dispensa dall’onere della prova, con conseguente riespansione della regola generale secondo cui, chi pretenda l’adempimento di un’obbligazione contrattuale, ha l’onere di dimostrare il titolo della stessa (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 30 ottobre 2001, n. 13533, Rv. 549956-01);
– che, tuttavia, in relazione a tale tema, che forma oggetto del primo motivo di ricorso, la soluzione offerta dalla giurisprudenza di legittimita’ – contrariamente a quanto sostiene (e ribadisce nella propria memoria) l’odierno ricorrente, che pretenderebbe di ricostruirla in termini di assoluta univocita’ – si presenta, per vero, assai piu’ variegata;
che infatti, secondo un primo orientamento. “pur essendo rinunciabile anche implicitamente il vantaggio dell’inversione dell’onere della prova di un rapporto fondamentale derivante dalla titolarita’ di una promessa di pagamento (articolo 1988 c.c.), non e’ ravvisabile tale rinuncia, se il promissario si – come ha ritenuto anche la sentenza oggetto della presente impugnazione – “ad indicare il rapporto fondamentale (cosiddetta promessa titolata)”, giacche’, se “l’inversione dell’onere della prova, puo’ risultare dal comportamento processuale della parte, affinche’ tale effetto si verifichi, occorre che la parte sulla quale non grava il suddetto onere, manifesti in modo non equivoco di voler rinunciare ai benefici ed ai vantaggi che le derivano dalla regola sulla distribuzione dell’onere stesso e di subire le conseguenze dell’eventuale fallimento della prova dedotta od offerta”, essendosi, inoltre, escluso che “la richiesta di provare tale rapporto con successiva ammissione e assunzione della prova” rientri nel novero delle situazioni suscettibili di determinare “rinuncia implicita al beneficio dell’inversione dell’onere della prova” (cosi’, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, seni. 9 giugno 2016, n. 11790, Rv. 64017’2 1; in senso conforme anche Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19994, Rv. 645362-01, che ribadisce come, ai fini della configurazione di detta rinuncia, non risulti “sufficiente che la parte sollevata dall’onere di provare il rapporto fondamentale ne offra egualmente la prova”);
– che introducono un temperamento a tale affermazione di recenti pronunce di questa Corte, richiamate dall’odierno ricorrente (ma un precedente conforme e’ pure Cass. Sez. 1, sent. 11 luglio 1985, n. 4121, “v. 441647-01), secondo cui è da escludere tale rinuncia implicita solo “nella condotta del creditore che chieda di provare il rapporto sottostante in via di eccezione e non in via d’azione, per reagire alle eccezioni del convenuto promittente”, ma non anche quando il promissario, assunta la veste di attore, “nell’atto di citazione”, abbia non solo “dedotto di essere in possesso della promessa di pagamento”, ma pure “indicato il rapporto sottostante e domandato di provarlo” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 22 agosto 2018, n. 20899, Rv. 650439-01), fattispecie, questa, alla quale e’ stata ritenuta “sovrapponibile” quella in cui, “trattandosi di opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal debitore promittente”, l’offerta di prova venga dal creditore promissario, dato che nel giudizio ex articolo 645 c.p.c. “le posizioni processuali, come e’ noto, sono invertite” (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 30 maggio 2019, n. 14773, Rv. 65428401);
– che la questione oggetto del primo motivo di ricorso deve essere, per l’appunto, decisa tenendo conto di tale complessivo (e, come detto, variegato) indirizzo, verificando quale delle diverse pronunce qui citate si adatti alla peculiarita’ della presente fattispecie;
– che, in disparte il rilievo per cui, anche l’orientamento invocato dall’odierno ricorrente incline a ravvisare con maggiore elasticita’ l’ipotesi della rinuncia implicita alla dispensa dalla “relevatio ab onere probandi-” esige, comunque, che siffatta volonta’ abdicativa sia “espressa in modo inequivoco, deve rilevarsi che, anche in base ad esso, risulta comunque corretta la decisione della Corte etnea che esclude esservi stata, nel caso in esame, non la semplice allegazione, bensi’ l’offerta “di prova”, del rapporto sottostante alla promessa;
– che, infatti, con affermazione all’evidenza contraddittoria (anzi, propriamente ossimorica), l’odierno ricorrente pretende di ravvisare nell’avvenuta produzione, in occasione del deposito del ricorso ex articolo 633 c.p.c., oltre che dell’assegno anche di una fattura commerciale, quel contegno del promissario che “deduca e chieda sua sponte di provare il rapporto sottostante” alla promessa (per riprendere le parole di Cass. Sez. 3, sent. 20899 del 2018, ai.);
– che tuttavia, e in cio’ sta l’ossimoro, l’offerta di “prova” si sostanzierebbe, nel caso di specie, nella produzione di un documento, idoneo “ex lege” a consentire l’emissione del provvedimento monitorio, ma non invece a fungere da “prova”, in senso proprio, del credito nel successivo giudizio di cognizione ex articolo 645 c.p.c. (cfr., da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 6-3, ord. 11 marzo 2011, n. 5915, Rv. 617411-01), tanto che pure di tale inidoneita’ si duole il ricorrente, in particolare con il suo secondo motivo di impugnazione;
– che, sul punto, non sembra ozioso rammentare, sulla scorta di quanto osservato da parte di una certa dottrina, come i codificatori italiani del 1940, nel disciplinare il procedimento monitorio, operarono una scelta di compromesso;
– che un primo modello che essi avrebbero potuto accogliere era quello di un procedimento per ingiunzione “puro”, sull’archetipo della legge austriaca del 27 aprile 1873, n. 67, “Gesetz uber das Mahnverfhren”, basato sulla semplice richiesta, anche orale, del creditore, controbilanciata dalla possibilita’ di un’opposizione senza bisogno di motivi, in forza della quale l’emesso ordine di pagamento, sospensivamente condizionato all’assenza di opposizione, perdeva ogni sua forza, cosi’ spettando al creditore avviare un procedimento di cognizione piena per far accertare l’esistenza del suo diritto;
– che, in alternativa, i codificatori avrebbero potuto optare per un procedimento “documentale”, subordinato alla sussistenza di una prova particolarmente qualificata e caratterizzato dal fatto che l’opposizione del debitore non toglieva efficacia al provvedimento, dando, invece, luogo ad un giudizio a contraddittorio pieno ad esito del quale l’ingiunzione sarebbe stata confermata o meno (modello, questo ha trovato, sempre in Austria, il suo antecedente, nel Mandatsverfabren di cui ai 548 della ZPO, nella sua versione originaria);
– che quello introdotto nel vigente codice di rito civile – il codice del 1865 non prevedeva, infatti, un modello generale, contemplando soltanto, all’articolo 279, un procedimento per la riscossione delle spese giudiziali e dei crediti dei difensori nei confronti dei propri mandanti e clienti – ha trovato, invece, il suo antecedente nella disciplina di cui al regio decreto 24 luglio 1922, n. 1036;
– che essa, nel conferire al ricorso per ingiunzione un generale ambito di applicazione a tutela dei diritti di credito pecuniario, di ogni natura, purche’ fondati su prove scritte, se inizialmente pretese che queste dovessero coincidere con quelle efficaci ai sensi del codice civile e del codice di commercio, nei testo emendato dai Regio Decreto 21 agosto 1936, n. 1531, diede vita, invece, un sistema sostanzialmente affine a quello poi recepito dal codice di procedura civile del 1940;
– che in base ad esso, infatti, quello ex ari. 033 c.p.c., e’ un procedimento “sommario”, non solo perche’ caratterizzato dall’iniziale assenza del contraddittorio, ma anche – come osservato da un’ormai classica dottrina da una “cognizione superficiale”, in quanto basata su una “prova scritta”, ex articolo 633, comma 1, n. -1), c.p.c., la cui nozione non coincide, in senso proprio, con quella di prova documentale rilevante nel giudizio di cognizione;
– che, difatti, la giurisprudenza di questa Corte e’ sempre stata costante nell’affermare che la “prova richiesta dalla legge (articolo 633, primo comma, e 634 cod. proc. ci -v.) per l’emissione del decreto ingiuntivo e’ quella che dei fatti giuridici costitutivi di un diritto di credito puo’ trarsi da qualsiasi documento meritevole di fede quanto all’autenticità, e quindi, una simile prova puo’ anche non avere una efficacia probatoria assoluta quanto all’esistenza e validita’ dei fatti giuridici che nel documento si trovano asseriti” (cosi’ gia’ Cass. Sez. 1, sent. 14 ottobre 1973, n. 2731, Rv. 264219-01);
– che, difatti, “la prova scritta idonea a legittimare la concessione del decreto ingiuntivo non deve essere una prova sotto ogni aspetto completa”, potendo eventualmente desumersi persino sulla base di elementi presuntivi tratti da documentazione unilaterale proveniente dello stesso creditore (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 24 giugno 1968, n. 2112, Rv. 334268-01), visto, oltretutto, che “la completezza o meno della documentazione esibita dal richiedente va accertata nel giudizio di opposizione, nel quale egli, per la pienezza d’indagine da cui tale giudizio, al pari di quello ordinario di cognizione, e’ caratterizzato, ha il potere di fornire nuove prove, che integrino con efficacia retroattiva quelle prodotte nella fase monitoria” (Cass. Sez. 1, seni. 25 marzo 1971, n. 845, Rv. 350702-01; Cass. Sez. 2, sent. 23 luglio 1994, n. 6879, Rv. 487485-01);
– che, in conclusione, la “prova scritta di cui all’articolo 6’3:3 c.p.c.” ha finito con l’identificarsi con “qualsiasi documento proveniente dal debitore o da un terzo che abbia intrinseca legalita’, purche’ idoneo a dimostrare:1 diritto fatto -valere.” (Cass. Sez. 1, sent. 14 marzo 1995, n. 2924, Rv. 491133-01);
– che risulta, dunque, confermato come nel caso di specie la produzione – in fase monitoria – della fattura attestante lo svolgimento dell’attivita’ di intermediazione immobiliare non potesse intendersi come offerta di “prova” del rapporto sottostante alla promessa, e quindi come “inequivoca” manifestazione della volonta’ di rinuncia all’astrazione processuale e alla (conseguente) dispensa dal beneficio della “relevatio ab onere probandi”;
– che del resto, e’ significativo come la stessa pronuncia di questa Corte, piu’ volte invocata dal ricorrente (si tratta di Cass. Sez. 3, sent. n. 14773 del 2019, che equipara – alla condizione del promissario, il quale in via di azione (e non di eccezione) si offra di fornire prova del rapporto sottostante alla promessa – quella del creditore che abbia conseguito il provvedimento monitorio, giacche’ egli resta pur sempre “attore in senso sostanziale” (principio affermato da questa Corte, al suo massimo livello nomofilattico, ancora, in motivazione, da Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2010, n. 26128, Rv. 6-15487-01, e ovviamente da ribadirsi in questa sede, visto che “l’opposizione prevista dall’articolo 645 c.p.c. “non e’ un’actio nullitatis o un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma e’ un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio”, e che si pone “come fase ulteriore”, sebbene eventuale, âEuroËœdei procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo; cfr., di recente, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 13 gennaio 2022, n. 927, Rv. 663586-02), concerneva, non casualmente, un’ipotesi in cui l’offerta di prova era stata effettuata nel giudizio di opposizione, ovvero nella sede in cui vanno integrate le “prove”, o meglio “i documenti”, gia’ allegati al ricorso monitorio;
– che in conclusione il primo motivo è pertanto infondato;
– che il secondo motivo e’ inammissibile, atteso che la sentenza impugnata, dopo aver preso atto che non vi era stata alcuna rinuncia alla “relevatio ab oner probandi” da parte del (OMISSIS) non ha affatto attribuito valore di prova, nel giudizio ex articolo 645 c.p.c., alla fattura emessa dallo stesso;
– che la Corte etnea ha, invece, accolto la domanda di pagamento della provvigione proposta dal promissario, sul presupposto che, rilasciato dal (OMISSIS) un assegno rivelatosi privo di copertura (ma valevole come promessa ex articolo 1988 cod. proc. civ.), il medesimo emittente il titolo non avesse provveduto a dimostrare l’insussistenza, o l’estinzione, dell’obbligazione, oppure l’imputazione del titolo ad una diversa “causa adquirendi”;
– che essa ha, cosi’, utilizzato la fattura solo per corroborare tale conclusione in ordine al fallimento dell’onere probatorio gravante – ex articolo 2697, comma 2, c.c. – sul promittente, in particolare di fornire una diversa giustificazione causale al pagamento, attribuendo, in tal modo, alla fattura valore puramente indiziario, come consentito da questa Corte (Cass. Sez. 2, cent. 12 gennaio 2016, n. 299, Rv. 63845101);
– che i motivi terzo e quarto – da scrutinare congiuntamente, come da richiesta del ricorrente nella memoria depositata a norma dell’articolo 380-bis, comma 2, c.p.c. – sono anch’essi inammissibili;
– che secondo il ricorrente, infatti, -nessun elemento posto a fonte di prova da parte del giudice di seconde cure e’ da solo sufficiente a supportare la decisione censurata sotto il profilo della presunzione semplice” del rapporto contrattuale, del quale, quindi, dovrebbe escludersi la sussistenza;
– che – si legge, in particolare, nella memoria del (OMISSIS) – “a fronte della avvenuta dichiarazione assistita da fede privilegiata ex articolo 2700 c.c. effettuata anche dai venditori davanti al notaio che ne ha riportato il contenuto nell’atto pubblico di compravendita, secondo cui non era intervenuto alcun mediatore, l’assegno e la fattura emessa dal (OMISSIS) considerati sia congiuntamente che singolarmente, non trovano alcun oggettivo e positivo riscontro”;
– che tale assunto in disparte 11 rilievo che esso e’ stato svolto, per la prima volta, solo nella memoria ex articolo 380-bis, comma 2, c.p.c., sicche’, almeno nella misura in cui pretenderebbe di veicolare una censura di violazione dell’articolo 2700 c.c., risulta inammissibile, giacche’ la memoria “de qua” ha solo funzione illustrativa di censure gia’ proposte (Cass. Sez. 6-3, ord. 27 agosto 2020, n. 17893, Rv. 65875701) – non trova, in realta’, riscontro nella stessa giurisprudenza invocata dal ricorrente a supporto della propria impostazione;
– che non e, infatti, corretto il rilievo del (OMISSIS) secondo cui siffatta “dichiarazione congiunta ed univoca, essendo contenuta in un atto pubblico fa piena prova ex articolo 2700 c.c. fino a querela di falso delle dichiarazioni delle parti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza”, avendo questa Corte, invece, affermato che “l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dai pubblico ufficiale che lo ha formato, nonche’ delle dichiarazioni delle parti o degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza, ma non prova la veridicita’ e l’esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti, le quali possono essere contrastate ed accertate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, senza ricorrere alla querela di falso” (Cass. Sez. 2, ord. 29 settembre 2017, n. 22903, Rv. 645568-01; Cass. Sez. 6-1, ord. 15 luglio 2019, n. 20214, Rv. 654964- 01);
– che, in conclusione, il ricorso va rigettato;
– che nulla è dovuto in relazione alle spese del presente giudizio di legittimita’, essendo rimasto il (OMISSIS) solo intimato;
– che in ragione del rigetto del ricorso va dato atto – ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., cent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma – bis dello stesso articolo 13.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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