La non espellibilità di un apolide

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 19 giugno 2019, n. 16489.

La massima estrapolata:

L’art. 31 della convenzione di New York, che prevede la non espellibilità di un apolide se non nei casi di documentata sussistenza dei motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico, si estende in via analogica anche alle situazioni di apolidia di fatto e/o nelle more del procedimento per accertare lo stato di apolidia, quando la situazione del soggetto emerge chiaramente dalle informazioni o dalla documentazione delle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale può ravvisarsi un collegamento significativo con il soggetto interessato.

Sentenza 19 giugno 2019, n. 16489

Data udienza 27 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi riuniti proposti da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), rappresentato e difeso, per mandato a margine dei ricorsi, dagli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) (telefax n. (OMISSIS); p.e.c. (OMISSIS);
– ricorrente –
nei confronti di:
Ministero dell’Interno e Prefettura di Roma, rappresentati e difesi, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliati presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12 (p.e.c. (OMISSIS), fax (OMISSIS));
– controricorrenti –
avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Roma, emessa il 30 agosto 2016 e depositata il 1 settembre 2016, n. R.G. 20010/16 e avverso l’ordinanza emessa il 18 novembre 2016 e depositata il 22 novembre 2016, n. R.G. 39526/16;
sentita la relazione in camera di consiglio del cons. Dott. Giacinto Bisogni;
udite le conclusioni del P.G., cons. Luisa De Renzis, che ha chiesto accogliersi i ricorsi e pronunciare il seguente principio di diritto:
“Ai fini dell’espulsione di un apolide non e’ possibile procedere se non nella ipotesi contemplata dall’articolo 31 della Convenzione di New York, ovvero nei casi di documentata sussistenza dei motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico; tale normativa si estende, in via analogica, anche alle situazioni di apolidia di fatto e/o nelle more del procedimento per accertare lo stato di apolidia qualora la situazione del soggetto fosse gia’ emergente dalle informazioni e dalla documentazione delle Autorita’ pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale potesse ravvisarsi un collegamento significativo con il soggetto interessato”.

FATTO E DIRITTO

Sintesi dei due procedimenti.
Ricorso n. 24550/2016.
1. In data 18.2. 2016 e’ stato emesso nei confronti del sig. (OMISSIS) decreto prefettizio di espulsione che ha rilevato la mancata regolarizzazione della propria presenza sul territorio nazionale. Il decreto ha evidenziato la insussistenza delle condizioni per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari o altro titolo e la ricorrenza dei presupposti per considerare il (OMISSIS) come persona a rischio di fuga ai sensi dell’articolo 13, comma 4 bis del T.U.I. qualora gli venisse concesso un termine per la partenza volontaria, avendo dichiarato di non voler ritornare nel paese di origine, non avendo un documento utile all’espatrio, e avendo fornito diverse generalita’ in occasione di fermi per identificazione operati dalla polizia ed essendo privo di un alloggio stabile dove poter essere rintracciato.
2. Ha proposto opposizione il sig. (OMISSIS), con ricorso depositato il 17.3.2016, affermando di essere entrato in Italia nel 1986, quando era ancora cittadino jugoslavo, e di non essere mai rientrato nel corso di questo periodo in Jugoslavia e successivamente all’aprile del 1992 in Bosnia suo luogo di nascita. Aveva pertanto acquisito i presupposti per la dichiarazione di apolidia e tale situazione aveva impedito l’esecuzione di tre precedenti decreti di espulsione, l’ultimo dei quali era stato oggetto di opposizione, con ricorso del 21 gennaio 2014, accolta dal Giudice di pace di Roma che aveva riconosciuto la sua inespellibilita’.
3. Il Giudice di pace di Roma ha respinto l’impugnazione proposta dal sig. (OMISSIS) avverso il decreto prefettizio di espulsione del 18 febbraio 2016 rilevando in motivazione che l’opponente pur essendo in possesso dei requisiti per la dichiarazione di apolidia non ne aveva mai fatto richiesta nonostante il suo ingresso in Italia risalisse al 1986 (e pertanto rimanendo irrilevante come causa ostativa alla richiesta il recente periodo di detenzione conclusosi al momento della notifica del decreto di espulsione del 18 febbraio 2016); che aveva dimostrato di essere persona socialmente pericolosa; che la mancata traduzione del decreto in lingua conosciuta dallo straniero non comporta la nullita’ del decreto di espulsione tutte le volte in cui l’autorita’ amministrativa attesti le ragioni tecnico-organizzative per le quali la traduzione non sia possibile il che legittima la traduzione in una delle lingue veicolari predeterminate dall’articolo 13 del T.U.I..
4. Ricorre per cassazione (OMISSIS) affidandosi a tre motivi con i quali deduce: a) violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 2 e articolo 13, comma 2, lettera b, degli articoli 1 e 31 della Convenzione di New York del 28 settembre 1954 (ratificata con L. n. 306 del 1962) e articoli 2 e 3direttiva n. 115/2008 dell’Unione Europea in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3; b) violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 13, comma 2, lettera b e c in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3; c) violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 13, comma 7 in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
5. Con il primo motivo di ricorso il sig. (OMISSIS) rileva che la sua condizione di apolide impedisce l’espulsione dal territorio nazionale in assenza del presupposto della cd. pericolosita’ sociale che non e’ integrato dalla mancata regolarizzazione della sua posizione con l’accertamento formale dello status di apolide.
6. Con il secondo motivo il sig. (OMISSIS) rileva che il Giudice di pace ha illegittimamente integrato la motivazione del decreto di espulsione accertando una situazione di pericolosita’ che non risulta menzionata nel provvedimento prefettizio.
7. Con il terzo motivo il sig. (OMISSIS) deduce un ulteriore causa di invalidita’ del decreto derivante dalla mancata traduzione in lingua slava facilmente accessibile all’amministrazione procedente.
Ricorso n. 7258/2017:
8. In data 10 maggio 2016 e’ stato emesso, ai sensi dell’articolo 13 comma 2, lettera b) e dell’articolo 14 comma 5 ter del T.U.I., nei confronti del sig. (OMISSIS) decreto prefettizio di espulsione con il quale veniva rilevato che egli non aveva ottemperato all’ordine, emesso dal Questore di Roma in seguito al precedente decreto di espulsione del 18 febbraio 2016, di lasciare entro sette giorni il territorio nazionale mentre continuava a persistere l’insussistenza delle condizioni per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari o per altro titolo e la ricorrenza dei presupposti per considerare il (OMISSIS) come persona a rischio di fuga ai sensi dell’articolo 13, comma 4 bis del T.U.I. avendo dichiarato di non voler ritornare nel paese di origine, non avendo un documento utile all’espatrio, avendo fornito generalita’ diverse in occasione di differenti fermi per identificazione operati dalle forze di polizia ed essendo privo di un alloggio stabile dove poteva essere rintracciato.
9. Ha proposto opposizione al decreto il sig. (OMISSIS),
eccependo la sottoscrizione del decreto di espulsione da parte del vice prefetto aggiunto senza indicazione della delega prefettizia e affermando di essere entrato in Italia nel 1986, quando era ancora cittadino jugoslavo, e di non essere mai rientrato nel corso di questo periodo in Jugoslavia e successivamente in Bosnia suo luogo di nascita. Aveva pertanto acquisito i presupposti per la dichiarazione di apolidia e tale situazione aveva impedito, prima ancora della notifica del decreto di espulsione del 18 febbraio 2016, l’esecuzione di tre precedenti decreti di espulsione, l’ultimo dei quali era stato oggetto di opposizione, con ricorso del 21 gennaio 2014, accolta dal Giudice di pace di Roma che aveva riconosciuto la sua inespellibilita’.
10. Il Giudice di pace di Roma ha respinto l’impugnazione proposta dal sig. (OMISSIS) avverso il decreto prefettizio di espulsione del 10 maggio 2016 rilevando in motivazione che il decreto impugnato da’ atto dettagliatamente dei presupposti fondanti l’espulsione; che e’ citato nel testo del decreto il provvedimento prefettizio di delega; che l’asserito diritto dell’opponente a ottenere un permesso di soggiorno sul presupposto del suo stato di apolide e’ infondato “in assenza di adeguata prova dei requisiti fondanti tale censura e anzi di fronte alla esplicita ammissione, nel ricorso, di essere stato nell’impossibilita’ oggettiva di curare la procedura per il riconoscimento dell’apolidia”.
11. Ricorre per cassazione (OMISSIS) affidandosi a tre motivi con i quali deduce: a) violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 2 e articolo 13, comma 2, lettera b, degli articoli 1 e 31 della Convenzione di New York del 28 settembre 1954 (ratificata con L. n. 306 del 1962) e articoli 2 e 3direttiva n. 115/2008 dell’Unione Europea in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3; b) violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 13, comma 4 bis e articolo 14, comma 5 ter ex articolo 360 c.p.c., n. 3; c) violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 13, comma 2, lettera b) e dell’articolo 14, comma 5 ter in relazione agli articoli 4 e 14 della direttiva n. 115/2008, ex articolo 360 c.p.c., n. 3.
12. Con il primo motivo di ricorso il sig. (OMISSIS) rileva che la sua condizione di apolide impedisce l’espulsione dal territorio nazionale in assenza del presupposto della cd. pericolosita’ sociale che non e’ integrato dalla mancata regolarizzazione della sua posizione con l’accertamento formale dello status di apolide.
13. Con il secondo motivo il sig. (OMISSIS) rileva che il Giudice di pace ha illegittimamente ritenuto automatica l’insorgenza di una causa di espulsione per effetto del mancato allontanamento dal territorio nazionale senza considerare concretamente la sua condizione personale che impedisce la sua uscita volontaria o coatta dall’Italia. Allo stesso modo secondo il ricorrente il Giudice di pace ha reso una motivazione del tutto astratta sulla esistenza del rischio di fuga.
14. Con il terzo motivo il sig. (OMISSIS) lamenta che non e’ stata rilevata dal giudice di pace, la contrarieta’ del provvedimento espulsivo alla disciplina comunitaria in tema di rimpatri, disciplina che consente agli Stati membri la emanazione anche di misure coercitive intese a ottenere l’allontanamento dei soggetti presenti irregolarmente sul loro territorio ma impone il rispetto del principio di proporzionalita’ e di garanzia dei diritti umani fondamentali.
15. Relativamente ai due ricorsi si costituiscono e propongono controricorso il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Roma, in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore.
Ritenuto che:
16. I due ricorsi devono essere riuniti.
17. Come rileva il Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta “si tratta di un soggetto apolide di fatto, la cui condizione era stata recepita nel provvedimento in data 8.5.2013 emesso dal g.d.p. di Roma, che aveva annullato uno dei tanti procedimenti di espulsione ed aveva accertato, in via incidentale, la condizione di apolide originario del (OMISSIS). Ancora, il giudice di pace aveva constatato che i precedenti trattenimenti si erano conclusi con provvedimenti di dismissione per impossibilita’ di reperire la documentazione idonea al rimpatrio, a causa della mancata collaborazione della rappresentanza diplomatica in Italia della Bosnia Erzegovina, che non aveva riconosciuto come proprio connazionale l’odierno ricorrente. Tale circostanza non puo’ essere ignorata ed e’ alla base delle considerazioni relative alla illegittimita’ dei provvedimenti impugnati. Si tratta invero di persona gia’ espulsa quattro volte, una delle quali annullata dal g.d.p., ma le tre espulsioni precedenti erano state eseguite con altrettanti trattenimenti nel CIE di Ponte Galeria e tutte definite con atto di dismissione per decorrenza dei termini massimi, non essendo stato possibile procedere all’acquisizione della documentazione necessaria al rimpatrio”.
18. La condizione di apolide di fatto del sig. (OMISSIS) deriva dalla vicenda estintiva della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia avvenuta agli inizi degli anni 90, periodo nel quale il ricorrente si trovava gia’ sul territorio italiano. Fino a quel momento, la Costituzione dell’allora Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia prevedeva per i propri cittadini l’attribuzione di una doppia cittadinanza, quella nazionale jugoslava e quella di una delle sei Repubbliche da cui era composta la Federazione.
L’estinzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia ha comportato per tutti i cittadini di tale Stato la perdita automatica della cittadinanza jugoslava e l’irrilevanza sul piano internazionale della nazionalita’ della singola Repubblica di appartenenza facente parte della Federazione. Peraltro, in quel momento, la Bosnia-Erzegovina era priva tanto di una sovranita’ statale quanto di una legge nazionale sulla cittadinanza bosniaca.
La prima legge sulla cittadinanza della Bosnia Erzegovina e’ entrata in vigore solamente nel 1998 (e successivamente e’ stata modificata nel 1999) prevedendo l’acquisto della cittadinanza per origine, nascita, adozione, naturalizzazione e accordo internazionale (cfr. Cass. civ. VI-1, n. 4262 del 3 marzo 2015, che ha rilevato che l’articolo 6 della legge bosniaca in questione, per quanto riguarda l’acquisto della cittadinanza “per origine”, consente il riconoscimento soltanto a chi sia nato all’estero da almeno uno dei genitori bosniaci, dopo l’entrata in vigore della Costituzione del 1995). Il sig. (OMISSIS) non rientra in alcuno di questi casi. La stessa legge prevedeva, tuttavia, l’acquisto della cittadinanza per tutte le persone che erano cittadini della precedente Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia in due casi: a) coloro che tra l’aprile del 1992 e l’entrata in vigore della legge avessero preso la residenza permanente nel territorio e avessero mantenuto la residenza per due anni dopo l’entrata in vigore della legge; b) coloro che tra il 1 gennaio 1998 e il 31 dicembre 1998 avessero preso la residenza permanente nel territorio e la avessero mantenuta per un periodo continuato di tre anni. Neanche in base a questa normativa, dunque, il sig. (OMISSIS) poteva ottenere la cittadinanza dello Stato della Bosnia-Erzegovina, essendo lo stesso giunto in Italia nel 1986 dove e’ rimasto sino ad oggi.
In ogni caso e’ risolutivo rimarcare che la stessa rappresentanza diplomatica della Bosnia Erzegovina in Italia non ha riconosciuto come proprio connazionale l’odierno ricorrente, sicche’, di fatto, il sig. (OMISSIS) non risulta essere ne’ cittadino bosniaco ne’ cittadino italiano o di un altro Stato.
20. Alla luce dell’articolo 1 della Convenzione di New York, ratificata in Italia con la L. n. 306 del 1962, si considera apolide “una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino nell’applicazione della sua legislazione”. Le Sezioni Unite di questa Corte sulla base della definizione convenzionale, nella pronuncia n. 28873 del 9 dicembre 2008, hanno individuato la seguente nozione di apolide: “e’ apolide colui che si trova in un Paese di cui non e’ cittadino provenendo da altro Paese del quale ha perso formalmente o sostanzialmente la cittadinanza”.
21. Pertanto, ogni individuo che soddisfa i requisiti enunciati dalla Convenzione del 1954, cosi’ come delineati anche dalla giurisprudenza di questa Corte, e’ da considerarsi apolide. Non puo’ non sottolinearsi a tal fine la natura dichiarativa e non costitutiva del riconoscimento giudiziale dello status di apolide (cfr. Cass. civ. sez. I, n. 4823 del 4 maggio 2004). In questa prospettiva, anche quando lo status di apolide non sia stato ancora oggetto di accertamento giudiziale, ma i suoi presupposti sono inequivocamente emersi dalle verifiche amministrative e documentali svolte dalle Autorita’ competenti, non puo’ non riconoscersi rilievo alla condizione di un soggetto che, per citare ancora le Sezioni Unite, si trovi in un Paese di cui non e’ cittadino provenendo da altro Paese del quale ha perso la cittadinanza.
Nel caso in esame, seppur il sig. (OMISSIS) non abbia mai dato formale impulso al procedimento per il riconoscimento dello status di apolide, e’ emerso dagli accertamenti svolti dalle Autorita’ pubbliche competenti sia dello Stato italiano che dello Stato di origine una condizione di apolidia di fatto, rilevata e accertata incidentalmente anche dal giudice di pace di Roma nel provvedimento del 08.05.2013.
22. Accertata la ricorrenza della condizione di apolide di fatto, va verificata la percorribilita’ nei suoi confronti di un provvedimento di espulsione Decreto Legislativo n. 286 del 1998, ex articoli 13 e ss.. L’articolo 31 della Convenzione di New York del 1954 prevede un generale divieto di espulsione dell’apolide, facendo salva l’ipotesi in cui l’espulsione sia giustificata da motivi di sicurezza e di ordine pubblico. Si tratta di una disposizione che rivela una precisa intenzione degli Stati contraenti di limitare il potere loro riservato dal diritto internazionale di espellere in qualsiasi momento, sulla base della normativa interna, uno straniero precedentemente ammesso sul territorio nazionale. Tale limitazione e’ frutto del bilanciamento tra l’esigenza di tutelare la sovranita’ statale, e in particolare il potere di regolare l’accesso e la permanenza sul territorio nazionale, con il diritto dell’apolide di fruire di un territorio e di una comunita’ nazionale di accoglienza e di essere protetto dal potere di espulsione in tutti i casi in cui non ricorrano circostanze che giustifichino la prevalenza dell’interesse nazionale.
23. La norma di garanzia sancita dall’articolo 31 della Convenzione deve applicarsi, quindi, in via analogica anche a coloro i quali si trovano in una condizione di apolidia di fatto, poiche’, anche in mancanza del riconoscimento giuridico formale dello status di apolide, gia’ sussistono i presupposti fattuali e giuridici che determinano la condizione di apolidia. Ne’, come dimostra il caso in esame, la condizione di apolidia di fatto consente concretamente allo Stato in cui si trova l’apolide di fatto di dare esecuzione a un provvedimento di espulsione basato sull’inesistenza di titolo giuridico al soggiorno nel territorio nazionale dato che l’apolidia di fatto, alla pari dell’apolidia di diritto, condivide la non eseguibilita’ dei provvedimento di espulsione proprio a causa dell’impossibilita’ di qualsiasi ipotesi di rimpatrio. In entrambi i casi deve operare quindi la medesima ratio che sottosta’ al riconoscimento dello status di apolide nel diritto internazionale, cosi’ come recepito dal legislatore italiano, e cioe’ il riconoscimento del diritto della persona, che versa in una condizione sfavorevole di non appartenenza a nessuna comunita’ nazionale, alla tutela, sia in ambito internazionale che nei confronti dello Stato in cui si trova, secondo l’impostazione innovativa del diritto internazionale postbellico. Specularmente tale equiparazione della condizione di diritto a quella di fatto, ai fini della limitazione del potere di espulsione dell’apolide, trova un solido fondamento nel rilievo costituzionale attribuito alla tutela universalistica della persona umana.
24. Deve anche rilevarsi che nel caso in esame entrambi i provvedimenti espulsivi non sono stati emessi sulla base del riscontro, da parte dell’autorita’ prefettizia, della pericolosita’ sociale del sig. (OMISSIS) ma sul presupposto della irregolarita’ della presenza e permanenza nel territorio nazionale.
25. Al fine di dare corretta attuazione ai principi costituzionali e alle norme sovranazionali e di recepimento interno che regolano la materia, va accolta la richiesta del Procuratore Generale con l’affermazione di un principio di diritto secondo cui “l’articolo 31 della Convenzione di New York, che prevede la non espellibilita’ di un apolide se non nei casi di documentata sussistenza dei motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico, si estende in via analogica anche alle situazioni di apolidia di fatto e/o nelle more del procedimento per accertare lo stato di apolidia, quando la situazione del soggetto emerge chiaramente dalle informazioni o dalla documentazione delle Autorita’ pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale puo’ ravvisarsi un collegamento significativo con il soggetto interessato”.
26. I ricorsi riuniti devono pertanto essere accolti con conseguente cassazione dei provvedimenti impugnati e decisione nel merito di annullamento dei decreti di espulsione oggetto della presente controversia.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi li accoglie, cassa i provvedimenti impugnati e, decidendo nel merito, annulla i decreti di espulsione impugnati.
Condanna l’Amministrazione soccombente al pagamento in favore dell’Erario delle spese del giudizio di merito (liquidate in complessivi Euro 1.300 di cui 200 per spese) e di cassazione (liquidate in complessivi Euro 2.200 di cui 100 per spese).

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