Corte di Cassazione, civile, Sentenza|18 ottobre 2024| n. 27124.
La finzione di avveramento della condizione
Massima: La finzione di avveramento della condizione di cui all’art. 1359 cod. civ. non si applica alle condizioni potestative semplici o improprie, anche nell’ipotesi in cui si tratti di condizione di adempimento.
Sentenza|18 ottobre 2024| n. 27124. La finzione di avveramento della condizione
Data udienza 19 settembre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Contratto – Formazione ed elementi del contratto – Condizione – Condizione di adempimento – Finzione di avveramento – Applicabilità – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14847/2019) proposto da:
Ma.Ra. (C.F.: (Omissis)), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. Ri.Se., con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
– ricorrente –
contro
Ca.Da. (C.F.: (Omissis)), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. Du.Co., con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
– controricorrente –
e
Bo.Ma. e Bo.Ma.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 2533/2018, pubblicata il 2 novembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19 settembre 2024 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;
viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal P.M. ex art. 378, primo comma, c.p.c., in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Fulvio Troncone, che ha chiesto l’accoglimento del primo e secondo motivo, con l’assorbimento dei rimanenti motivi; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
sentito, in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’Avv. Ri.Se. per il ricorrente.
La finzione di avveramento della condizione
FATTI DI CAUSA
1.- Bo.Ma. e Bo.Ma. convenivano, davanti al Tribunale di Siena, Ma.Ra., chiedendo che, previo accertamento del grave inadempimento contrattuale del convenuto promissario acquirente, a fronte del preliminare di cessione di quote sociali stipulato il 14 luglio 2009, integrato con scrittura privata del 23 ottobre 2009, fosse accertata la legittimità del recesso esercitato dai promittenti alienanti, con il conseguente riconoscimento del loro diritto di trattenere la caparra confirmatoria ricevuta per l’importo complessivo di Euro 200.000,00 e con la disposizione della condanna del convenuto al pagamento della penale, stabilita convenzionalmente nella misura di Euro 100.000,00.
Si costituiva in giudizio Ma.Ra., il quale – in via preliminare – eccepiva l’incompetenza territoriale dell’adito Tribunale, essendo competente, per continenza di cause, il Tribunale di Pistoia, davanti al quale lo stesso aveva preventivamente incardinato, nei confronti di Bo.Ma., Bo.Ma., Bo.St. e Ca.Da., un giudizio di nullità, annullamento e/o risoluzione del medesimo contratto preliminare per inadempimento dei promittenti alienanti, con le consequenziali richieste restitutorie, e – nel merito – concludeva, previa istanza di chiamata in causa di Bo.St. e Ca.Da., per il rigetto delle domande avversarie e, in via riconvenzionale, per la declaratoria di nullità del preliminare per insussistenza dell’oggetto del contratto, in ragione dell’inesistenza della società le cui quote erano state promesse in vendita, o per l’annullamento del contratto per dolo o per la risoluzione del preliminare per il mancato verificarsi degli eventi dedotti nelle condizioni apposte al contratto, in mancanza dell’ottenimento della liberatoria dei promittenti venditori e del loro genitore da ogni fideiussione prestata a favore della società e in difetto della concessione del finanziamento richiesto, con le conseguenti domande restitutorie e risarcitorie.
La finzione di avveramento della condizione
Il convenuto dava corso alla sola chiamata in causa di Bo.St., il quale si costituiva prospettando l’inammissibilità o l’infondatezza della chiamata e negando che avesse promesso finanziamenti al Ma.Ra. e che fosse stato beneficiario della caparra da costui versata.
Nelle more il Tribunale di Pistoia, adito da Ma.Ra., dichiarava la continenza delle cause, fissando il termine per la riassunzione del giudizio davanti al Tribunale di Siena, quale giudice preventivamente adito.
A seguito della riassunzione della causa si generava un nuovo procedimento, che veniva riunito alla causa già pendente.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 405/2012, depositata il 3 dicembre 2012: 1) rigettava la domanda proposta da Ma.Ra. verso Ca.Da. e Bo.St.; 2) dichiarava l’avvenuta risoluzione del contratto preliminare per il mancato verificarsi degli eventi dedotti nella condizione sospensiva apposta; 3) condannava Bo.Ma. e Bo.Ma. alla restituzione, in favore di Ma.Ra., della somma di Euro 200.000,00, oltre interessi legali dal 26 marzo 2010 al saldo; 4) condannava Ma.Ra. alla refusione delle spese di lite in favore del terzo chiamato Bo.St. mentre compensava le spese nei confronti di Ca.Da..
2.- Proponevano appello avverso tale pronuncia Bo.Ma. e Bo.Ma., i quali lamentavano: 1) l’erronea decisione dell’intera causa, benché il giudice avesse rimesso la causa in decisione per definire le sole questioni preliminari, nonché l’indebito modello decisorio utilizzato; 2) l’errata interpretazione della condizione sospensiva apposta nel contratto preliminare, nella parte in cui il giudice aveva considerato che l’impegno di ottenere il finanziamento e di liberare i promittenti venditori e il loro genitore dalle fideiussioni rilasciate in favore degli istituti di credito per i debiti della società rappresentasse un onere ad esclusivo carico del promissario acquirente; 3) l’omessa valutazione del comportamento negligente di Ma.Ra. nel mancato avveramento della condizione, con la conseguente erronea disapplicazione del principio di finzione dell’avveramento della condizione; 4) l’erronea valutazione delle risultanze documentali e l’erronea e immotivata reiezione delle istanze di ammissione dei mezzi istruttori costituendi; 5) l’omessa pronuncia sulla richiesta di pagamento della penale contemplata nella scrittura privata integrativa.
La finzione di avveramento della condizione
Proponeva separato gravame anche Ca.Da., il quale deduceva l’illegittima e immotivata disposizione, nei suoi confronti, della compensazione delle spese di lite e l’omessa pronuncia sulla richiesta di condanna per responsabilità processuale aggravata.
Si costituiva in entrambi i giudizi di impugnazione Ma.Ra., il quale instava per il rigetto degli appelli.
Gli appelli erano riuniti.
Decidendo sui gravami interposti, la Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva gli appelli e, per l’effetto, in parziale riforma della pronuncia impugnata: accertava il grave inadempimento di Ma.Ra.; dichiarava la legittimità del recesso dal preliminare esercitato da Bo.Ma. e Bo.Ma. e il conseguente loro diritto di trattenere la caparra confirmatoria ricevuta; condannava Ma.Ra. al pagamento, in favore di Bo.Ma. e Bo.Ma., della penale contrattualmente stabilita nella misura di Euro 100.000,00; condannava Ma.Ra. al pagamento, in favore di Ca.Da., della somma equitativamente determinata di Euro 2.000,00, a titolo di responsabilità processuale aggravata, nonché alla refusione delle spese processuali compensate in primo grado.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che dal dato testuale delle predette scritture private emergeva che i contraenti avevano inteso espressamente regolamentare, sia la liberazione dalle fideiussioni dei promittenti venditori e del loro genitore, sia il versamento del prezzo di acquisto delle quote anche per mezzo del pagamento dei debiti sociali; b) che, mentre la liberazione dalle fideiussioni integrava una condizione sospensiva, il pagamento del prezzo delle quote sociali, anche – se possibile – attraverso la concessione di un finanziamento bancario, costituiva una modalità di esecuzione della prestazione dovuta dal promissario acquirente, stante che, nel caso di mancato reperimento del finanziamento, era prevista la risoluzione del contratto e il diritto dei promittenti venditori a trattenere la caparra ricevuta a titolo di indennizzo; c) che la liberazione dalle fideiussioni poteva attuarsi solo attraverso un comportamento ascrivibile al Ma.Ra., sicché, essendo state tali fideiussioni rilasciate per debiti della società verso le banche – debiti che il Ma.Ra. si era accollato integralmente con il preliminare -, tutta l’attività necessaria per consentire tale liberazione gravava sul promissario acquirente; d) che l’inattività del promissario acquirente nel provvedere a tale liberazione rappresentava una palese violazione degli obblighi contrattuali, come emergeva dai documenti in atti; e) che, pur essendosi il Ma.Ra. attivato per ottenere gli auspicati finanziamenti bancari, tale condotta non era sufficiente a dimostrare che fosse stato assolto il suo onere di liberare i promittenti venditori dalle fideiussioni; f) che, nella specie, il convenuto non aveva neppure allegato di aver fatto tutto il possibile per liberare i promittenti venditori dalle fideiussioni, sicché la condizione doveva considerarsi avverata, in quanto il suo mancato avveramento entro il termine pattuito doveva ascriversi alla condotta inerte del Ma.Ra.; g) che, peraltro, la liberazione dei promittenti venditori e del loro genitore dalle fideiussioni prestate non era affatto una condizione in senso tecnico, bensì un evento costituente uno specifico obbligo contrattuale del Ma.Ra., essendo costui l’unico soggetto che avrebbe potuto – e quindi dovuto – attivarsi per questo scopo, con il conseguente suo grave inadempimento contrattuale; h) che doveva essere accolta altresì la richiesta di condanna al pagamento della penale per la mancata stipulazione del definitivo entro il termine previsto per fatto imputabile al promissario acquirente; i) che, essendo il Ma.Ra. totalmente soccombente nei confronti del Ca.Da., non sussisteva alcun motivo per disporre l’integrale compensazione delle spese tra dette parti, non avendo il convenuto fornito alcuna prova dei presunti raggiri posti in essere ai suoi danni dal terzo chiamato, il quale si era limitato a svolgere il ruolo di intermediario, avvicinando le parti per la conclusione del contratto, e non doveva prestare alcuna assistenza nella stipula; l) che era fondata anche la domanda di condanna per l’instaurazione di una lite temeraria verso il Ca.Da., già avanzata in primo grado e su cui il Tribunale aveva omesso di provvedere.
La finzione di avveramento della condizione
3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, Ma.Ra.
Ha resistito, con controricorso, Ca.Da.
Sono rimasti intimati Bo.Ma. e Bo.Ma..
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex art. 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.
All’esito, le parti hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione sollevata dal ricorrente nella memoria illustrativa, quanto alla carenza di ius postulandi del controricorrente per difetto di specialità della procura, in mancanza dell’indicazione della data e del luogo di rilascio.
Infatti, essa fa comunque espresso riferimento alla resistenza avverso il ricorso in cassazione proposto contro la sentenza d’appello debitamente indicata e vi è materiale congiunzione (c.d. “collocazione topografica”) – realizzata dall’avvocato, ex art. 83, terzo comma, c.p.c. – tra la procura rilasciata su foglio separato con firma autenticata e l’atto cui si riferisce (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 8334 del 27/03/2024; Sez. U, Sentenza n. 2075 del 19/01/2024).
2.- Tanto premesso, con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1359 c.c., per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie la finzione di avveramento della condizione sospensiva e, in particolare, per avere erroneamente individuato il soggetto che aveva interesse contrario all’avveramento, con l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Obietta l’istante che il promissario acquirente non aveva un interesse contrario all’avveramento dell’evento dedotto in condizione – ossia la liberazione dalle fideiussioni -, ma un interesse comune all’avveramento, unitamente ai promittenti alienanti, poiché altrimenti non avrebbe sottoscritto il contratto preliminare.
La finzione di avveramento della condizione
Né i promittenti venditori avevano provato che il Ma.Ra. aveva sottoscritto il preliminare già sapendo di non poterlo onorare attraverso la liberazione dalle fideiussioni.
3.- Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1359 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie la finzione di avveramento della condizione sospensiva e, in particolare, per avere erroneamente accertato l’inadempienza ad un obbligo di agire imposto dal contratto.
Osserva l’istante che, pur ammettendo che vi fosse un obbligo di liberazione dalle fideiussioni imposto dal contratto, doveva essere escluso – come osservato dalle stesse controparti – che il promissario acquirente non si fosse attivato, avendo questi richiesto il finanziamento propedeutico alla liberazione delle fideiussioni.
Sicché doveva essere esclusa la colpa del promissario acquirente, poiché l’esclusione dell’inerzia era incompatibile con la sua colpa, a meno che non fosse stato dimostrato che la sua attivazione era stata intenzionalmente maldestra o comunque negligente, imprudente ed imperita, prova nella fattispecie carente.
E ciò con la conseguenza che non sarebbe spettato ai promittenti alienanti trattenere la caparra confirmatoria, né sarebbe stata dovuta la penale.
La finzione di avveramento della condizione
4.- I primi due motivi – che possono essere scrutinati congiuntamente, attesa la loro connessione logica e giuridica – sono fondati.
4.1.- Si premette che l’art. 1359 c.c. prevede una finzione di avveramento della condizione quando essa sia mancata per causa ascrivibile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento. Si tratta, a ben vedere, di una specificazione del dovere di comportarsi secondo buona fede.
Essa trova applicazione alla condizione, sospensiva o risolutiva, positiva o negativa, casuale o mista. Se la condizione è negativa l’avveramento si verifica quando l’evento negativo non si realizza definitivamente o è ragionevolmente certo che non si potrà realizzare per il contegno ascrivibile alla parte controinteressata.
Non si applica, invece, alle condizioni potestative semplici o improprie (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 25698 del 27/10/2017; Sez. L, Sentenza n. 8172 del 04/04/2013; Sez. 2, Sentenza n. 8584 del 11/08/1999; Sez. L, Sentenza n. 5243 del 05/06/1996; Sez. 2, Sentenza n. 702 del 25/01/1983; Sez. 1, Sentenza n. 1733 del 17/05/1976; Sez. 3, Sentenza n. 1453 del 18/05/1973; Sez. 3, Sentenza n. 3141 del 26/09/1969; Sez. 3, Sentenza n. 685 del 03/03/1969).
E ciò perché, in questa ipotesi, sin dall’inizio (ossia già nella contemplazione di cui al negozio), le parti rimettono alla scelta (recte alla libertà di azione) di una delle parti di condizionare l’efficacia del contratto all’assunzione di una propria condotta impegnativa, che – proprio perché oggetto di un’iniziativa rimessa alla parte – non si presta all’applicazione della fictio nel caso in cui la parte decida di non adottare quella condotta.
La natura potestativa della condizione, infatti, esclude il sindacato sulla condotta della parte obbligata: un’eventuale limitazione alla discrezionalità del contraente importerebbe una contraddizione in termini sul piano giuridico, poiché non è giustificabile, da un lato, concedere libertà di agire al fine di determinare l’avveramento dell’evento futuro e incerto e, dall’altro, circoscrivere tale libertà, prevedendo la finzione di avveramento nel caso in cui la parte non adotti quel contegno.
Né si applica al segmento delle condizioni miste riconducibile all’elemento potestativo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25085 del 22/08/2022; Sez. 2, Sentenza n. 24325 del 18/11/2011; Sez. 3, Sentenza n. 23824 del 22/12/2004; Sez. 2, Sentenza n. 10074 del 18/11/1996; Sez. 2, Sentenza n. 9 del 05/01/1983; Sez. 3, Sentenza n. 1453 del 18/05/1973; Sez. 1, Sentenza n. 862 del 05/05/1967; Sez. 1, Sentenza n. 1655 del 20/07/1965; contra Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29641 del 28/12/2020; Sez. 1, Sentenza n. 7405 del 28/03/2014; Sez. 1, Sentenza n. 12 del 02/01/2014; Sez. 2, Sentenza n. 23014 del 14/12/2012; Sez. 1, Sentenza n. 5492 del 08/03/2010; Sez. U, Sentenza n. 18450 del 19/09/2005; Sez. 1, Sentenza n. 14198 del 28/07/2004; Sez. 1, Sentenza n. 140 del 14/01/1967).
La finzione di avveramento della condizione
Orbene, l’omissione di un’attività, in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, ma la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5976 del 06/03/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 17919 del 22/06/2023; Sez. 2, Sentenza n. 22046 del 11/09/2018).
Inoltre, la finzione di avveramento non si applica alle condizioni bilaterali (Cass. Sez. L, Sentenza n. 18512 del 26/07/2017; Sez. 1, Sentenza n. 16620 del 03/07/2013; Sez. 3, Sentenza n. 419 del 12/01/2006; Sez. 3, Sentenza n. 23824 del 22/12/2004; Sez. 1, Sentenza n. 6423 del 22/04/2003; Sez. 2, Sentenza n. 3936 del 08/06/1983), ossia nell’ipotesi in cui la parte tenuta in via condizionata all’esecuzione di una prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5975 del 19/05/1992). A tal fine, la condizione può ritenersi apposta nell’interesse di uno solo dei contraenti solo in presenza di una clausola espressa in tal senso o di elementi che inducano a ritenere che l’altra parte non abbia alcun interesse al suo verificarsi, tenuto conto della situazione al momento della conclusione del contratto (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 31728 del 04/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 7004 del 23/05/2001; Sez. 2, Sentenza n. 7973 del 12/06/2000; Sez. 2, Sentenza n. 4178 del 23/04/1998).
L’onere di provare l’avveramento della condizione grava su colui che afferma il suo verificarsi, anche nell’ipotesi della fictio (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 31728 del 04/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 23417 del 19/09/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 10844 del 18/04/2019; Sez. 1, Sentenza n. 5492 del 08/03/2010; Sez. 3, Sentenza n. 3905 del 06/12/1968).
Secondo la lettera della disposizione, la norma trova applicazione quando l’evento dedotto in condizione non si verifichi per causa imputabile alla parte avente interesse contrario all’avveramento. Sicché la finzione di avveramento postula che la parte che ha interesse a che la condizione non si verifichi si sia attivata per consentire o agevolare la non verificazione.
La parte avente interesse contrario all’avveramento della condizione deve essere individuata avuto riguardo alla natura del negozio condizionato e alla posizione in esso assunta dalle parti, non rilevando che una di esse tragga vantaggio immediato e diretto dal verificarsi dell’evento dedotto in condizione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5360 del 05/11/1985). Sicché l’esistenza di un interesse contrario all’avveramento della condizione non va valutata in termini astratti, ma valorizzando l’effettivo interesse delle parti all’epoca in cui si è verificato il fatto o il comportamento che ha reso impossibile l’avverarsi della condizione, conseguendone che spetta alla parte interessata la prova che l’altra parte abbia impedito il verificarsi della condizione, in quanto, qualora l’acquisto di un diritto dipenda da un evento futuro e incerto rimesso al comportamento volontario di una delle parti, il suo adempimento è elemento costitutivo della fattispecie negoziale attributiva del diritto (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 31728 del 04/11/2021; Sez. 3, Sentenza n. 25597 del 14/12/2016).
La finzione di avveramento della condizione
Affinché la finzione di avveramento possa operare è necessario che il contegno della parte avente un interesse contrario all’avveramento della condizione abbia determinati requisiti oggettivi e soggettivi.
Sul piano oggettivo deve trattarsi, in linea di principio, di comportamento attivo (Cass. Sez. L, Sentenza n. 8843 del 11/04/2013; Sez. L, Sentenza n. 8363 del 26/05/2003; Sez. 2, Sentenza n. 2464 del 13/04/1985; Sez. 2, Sentenza n. 1680 del 07/03/1983; Sez. 2, Sentenza n. 2223 del 20/04/1979). Infatti, il comportamento inattivo non integra gli estremi di cui alla norma, salvo che questo costituisca violazione di un obbligo di agire imposto alla parte dalla legge o dal contratto.
Deve ricorrere altresì un nesso di causalità tra detto comportamento e il mancato avveramento della condizione.
Sul piano soggettivo deve sussistere il dolo o la colpa della parte che ha interesse contrario all’avveramento della condizione (Cass. Sez. L, Sentenza n. 8843 del 11/04/2013; Sez. 1, Sentenza n. 5492 del 08/03/2010; Sez. 2, Sentenza n. 9388 del 06/09/1991; Sez. 3, Sentenza n. 5291 del 17/09/1980).
Si ha mancato avveramento della condizione quando è esclusa la possibilità che il fatto dedotto si realizzi. Tale valutazione deve essere svolta tenendo conto delle concezioni e delle conoscenze presenti in un determinato contesto sociale ed in un determinato momento storico.
La norma prevede che, nel caso in cui il mancato avveramento della condizione sia imputabile alla parte avente interesse contrario al suo avveramento, la condizione si considera avverata; e ciò appunto attraverso una fictio.
Si tratta di un rimedio risarcitorio in forma specifica (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5291 del 17/09/1980; Sez. 2, Sentenza n. 2224 del 20/04/1979), diretto a riparare le conseguenze dannose del comportamento scorretto di uno dei contraenti. Siffatto rimedio contribuisce a far acquistare al contratto un elemento del suo iter attuativo, modificato illegittimamente da una delle parti. Può altresì essere chiesto il risarcimento dei danni per equivalente, con riferimento all’inadempienza della parte che, con il suo comportamento, ha determinato il mancato avveramento della condizione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1204 del 04/04/1975).
4.2.- Alla luce di tali coordinate, nella fattispecie, secondo la stessa ricostruzione del fatto operata dal giudice di merito, non ricorrevano i presupposti per l’applicazione della fictio.
La finzione di avveramento della condizione
E tanto perché il riferimento alla “condizione” della liberazione dei fideiussori era rimesso all’iniziativa esclusiva del promissario acquirente tenuto. Tanto più che avrebbe configurato, sempre secondo la tesi della sentenza impugnata, un “obbligo” cui questi era tenuto, esclusivamente rimesso alla sua condotta (cui era subordinata l’efficacia del contratto).
Ed invero, nel corpo della motivazione, la Corte d’Appello espressamente ha affermato che la liberazione dalle fideiussioni poteva attuarsi solo attraverso un contegno ascrivibile al Ma.Ra., sicché, essendo state tali fideiussioni rilasciate per debiti della società verso le banche – debiti che il Ma.Ra. si era accollato integralmente con il preliminare – tutta l’attività necessaria per consentire tale liberazione gravava sul promissario acquirente.
Dopodiché la pronuncia ha rilevato che l’inattività del promissario acquirente nel provvedere a tale liberazione rappresentava una palese violazione degli obblighi contrattuali, come emergeva dai documenti in atti. Con la conseguenza che la condizione avrebbe dovuto considerarsi avverata, in quanto il suo mancato avveramento entro il termine pattuito doveva ascriversi alla condotta inerte del Ma.Ra.
Infine, la Corte distrettuale ha sostenuto che, peraltro, la liberazione dei promittenti venditori e del loro genitore dalle fideiussioni prestate non sarebbe stata affatto una condizione in senso tecnico, bensì un evento costituente uno specifico obbligo contrattuale del Ma.Ra., essendo costui l’unico soggetto che avrebbe potuto – e quindi dovuto – attivarsi per questo scopo, con il conseguente suo grave inadempimento contrattuale.
A fronte di questa impostazione, la condizione emarginata avrebbe dovuto configurarsi come potestativa semplice o impropria, il che avrebbe precluso l’applicazione della finzione di avveramento, non integrando la rimessione alla volontà della parte della realizzazione di un evento determinato un obbligo giuridico.
Rientra, infatti, nel concetto di condizione potestativa semplice o impropria la realizzazione di un evento futuro e incerto rimessa al comportamento volontario e impegnativo di una delle parti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25597 del 14/12/2016).
Segnatamente, nella condizione potestativa semplice la determinazione volitiva è legata a criteri obiettivi, quali possono essere le regole di comune correttezza, di correttezza professionale, di equità, ragionevolezza ecc., controllabili dall’altra parte e ai quali la parte deve adeguarsi; nella condizione meramente potestativa o propria (si volam) l’evento è un puro e semplice fatto volontario di una parte, che, tuttavia, non deve essere in contraddizione con la dichiarazione negoziale stessa.
La finzione di avveramento della condizione
Sicché la condizione è meramente potestativa ex art. 1355 c.c. quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l’assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica potestativa quando l’evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 30143 del 20/11/2019; Sez. 3, Sentenza n. 18239 del 26/08/2014; Sez. 2, Sentenza n. 11774 del 21/05/2007; Sez. 3, Sentenza n. 728 del 16/01/2006; Sez. 1, Sentenza n. 20290 del 20/10/2005; Sez. 2, Sentenza n. 8390 del 20/06/2000; Sez. 3, Sentenza n. 1432 del 24/02/1983; Sez. 3, Sentenza n. 1747 del 15/03/1980; Sez. 3, Sentenza n. 624 del 08/03/1974; Sez. 3, Sentenza n. 2203 del 27/06/1972; Sez. 3, Sentenza n. 2602 del 02/09/1971; Sez. 1, Sentenza n. 532 del 21/02/1966; Sez. 1, Sentenza n. 2570 del 19/07/1954).
4.3.- Nel caso in esame la sentenza impugnata allude espressamente alla possibilità che l’evento dedotto in condizione – ossia la liberazione dei fideiussori – si potesse verificare o attraverso il pagamento delle banche o attraverso la concessione di altre garanzie di pari valore rispetto a quelle originariamente prestate, ossia attraverso contegni impegnativi per la parte, che avrebbero richiesto il concorso di fattori estrinseci.
E dunque la condizione sospensiva in tesi apposta atteneva allo “adempimento” dell’impegno assunto dal promissario acquirente di liberazione dei promittenti alienanti e di un terzo dalle garanzie personali assunte con le banche per far fronte ai debiti societari (ossia della società le cui quote avevano costituito oggetto della promessa di cessione).
Ora, è ammissibile, in quanto risponde ad apprezzabili interessi dei contraenti senza pregiudizio per quelli dei terzi, la “condizione di adempimento” apposta ad un contratto, la quale non è meramente potestativa, dato che la scelta di adempiere (o meno) non dipende dal mero arbitrio del debitore, ma è l’esito di una ponderazione di vantaggi e svantaggi. In tal caso l’efficacia del contratto è subordinata ad un evento incerto (l’adempimento, inteso come fatto, non già quale obbligo), atteso che la parte obbligata ad adempiere potrebbe comunque decidere di restare inadempiente; detta evenienza non incide sul momento programmatico del contratto ma su quello esecutivo, giacché il negozio, perfezionato ed efficace nel suo contenuto, è soggetto a condizione solo rispetto alla sua esecuzione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6535 del 12/03/2024; Sez. 2, Sentenza n. 8164 del 22/03/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 35524 del 19/11/2021, Sez. 2, Sentenza n. 24299 del 15/11/2006; Sez. 2, Sentenza n. 17859 del 24/11/2003; Sez. 1, Sentenza n. 4364 del 25/03/2003; Sez. 2, Sentenza n. 8051 del 08/08/1990; Sez. 3, Sentenza n. 1432 del 24/02/1983; Sez. L, Sentenza n. 1181 del 16/02/1983; Sez. 1, Sentenza n. 192 del 17/01/1978; Sez. 1, Sentenza n. 4159 del 29/09/1977; Sez. 1, Sentenza n. 3229 del 10/10/1975).
La finzione di avveramento della condizione
Tuttavia, rispetto a questa ipotesi di condizione, nella quale l’efficacia del contratto è subordinata all’attuazione di una condotta adempiente rimessa all’iniziativa della parte tenuta, non opera la finzione di avveramento di cui all’art. 1359 c.c. per le ragioni innanzi esposte.
In proposito, la deduzione in condizione dello stesso oggetto dell’obbligazione del contratto concluso tra le parti, ma non ancora esecutivo, implica che la mancata assunzione della condotta rimessa alla parte non si identifica con la fattispecie di “inadempimento colposo” dell’obbligazione ex contractu, ex art. 1218 c.c., stante l’attuale improduttività dell’efficacia del vincolo obbligatorio assunto con il contratto: diversamente opinando si sovrapporrebbe totalmente il mancato avveramento della condizione potestativa semplice (che prescinde del tutto dall’elemento soggettivo della colpa) con la violazione del dovere di diligenza nell’esecuzione dell’obbligazione contrattuale.
E ciò conformemente al brocardo latino secondo cui condicio non est in obligatione, in quanto la clausola condizionale, in sé considerata, si presenta pur sempre, non come uno degli effetti (finali) del contratto, bensì come particolare meccanismo di regolazione dell’effetto negoziale del medesimo.
In conseguenza, la mancata attivazione della parte cui è rimessa l’attuazione della prestazione (ossia l’avveramento della condizione sospensiva potestativa impropria) non può considerarsi attività vincolata da un obbligo legale o negoziale suscettibile di essere violato, come prospettato dalla pronuncia impugnata.
Peraltro, a fronte della deduzione in condizione delle stesse prestazioni che formano oggetto del negozio condizionale, come osservato dalla Corte di merito, la “finzione” di avveramento opererebbe contro la parte interessata all’avveramento, giacché l’interesse di questa verte proprio sulla “realtà” dell’avveramento dell’evento contemplato in condizione (ossia, sull’effettivo pagamento della prestazione dedotta in condizione e, nella fattispecie, sull’effettiva liberazione dalle fideiussioni), pur restando applicabile il principio di buona fede di cui all’art. 1358 c.c.
La finzione di avveramento della condizione
4.4.- D’altronde, la subordinata (e incompatibile) ricostruzione – secondo cui la liberazione da dette garanzie personali rilasciate avrebbe costituito, non già una “condizione in senso tecnico”, bensì un obbligo a carico del promissario acquirente, rimasto inadempiuto -, a fortiori, avrebbe comunque escluso l’applicabilità della finzione di avveramento, alla stregua della riconduzione di tale impegno ad una prestazione dovuta dalla parte, influente sull’adempimento del contratto (e non sulla sua efficacia).
5.- Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con motivazione apparente sul ruolo svolto dall’intermediario Ca.Da. e con totale assenza di argomentazioni intellegibili per giustificare la riforma sul punto della sentenza di prime cure.
Ad avviso dell’istante, nel caso in esame, il Ca.Da., quale mediatore, non si sarebbe limitato a mettere in contatto la domanda con l’offerta, ma avrebbe svolto le funzioni di intermediario, cioè di facilitatore, sicché, anche sotto questo profilo, la compensazione delle spese appariva equa.
5.1.- Il motivo è inammissibile.
E tanto perché la decisione in sede di gravame di riformare il capo della sentenza di prime cure che aveva disposto la compensazione delle spese nel rapporto processuale tra il soccombente Ma.Ra. e il vincitore Ca.Da. non può essere sindacata in sede di legittimità, neanche per un vizio di omesso esame di fatto decisivo.
Ora, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25178 del 19/09/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 24755 del 16/09/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 24380 del 11/09/2024; Sez. 6-3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019; Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013; Sez. 1, Sentenza n. 14964 del 02/07/2007; Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005).
Nella fattispecie la riforma della disposta compensazione in prime cure è stata debitamente motivata, alla stregua del ruolo di mero intermediario del Ca.Da., che aveva messo in contatto le parti, senza che avesse prestato alcun ruolo nella definizione delle clausole negoziali.
E ciò senza che risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
6.- In conseguenza delle considerazioni esposte, il primo e il secondo motivo del ricorso devono essere accolti, nei sensi di cui in motivazione, mentre il terzo motivo va disatteso.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
“La finzione di avveramento della condizione di cui all’art. 1359 c.c. non si applica alle condizioni potestative semplici o improprie, anche nell’ipotesi in cui si tratti di condizione di adempimento”.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso, nei sensi di cui in motivazione, rigetta il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 19 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2024.
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