La documentata stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato risalente agli ultimi mesi del 2015 non contrasta, di per se’, con la detenzione di somme di denaro nei mesi successivi pertanto, non opera nei confronti dell’indagato la confisca obbligatoria ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 11 aprile 2018, n. 16103.

La documentata stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato risalente agli ultimi mesi del 2015 non contrasta, di per se’, con la detenzione di somme di denaro nei mesi successivi pertanto, non opera nei confronti dell’indagato la confisca obbligatoria ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992, a mente del quale, in caso di condanna “per taluno dei diritti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e articolo 74 – e’ sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilita’ di cui il condannato non puo’ giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica risulta essere titolare o avere la disponibilita’ a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini della imposta sul reddito e alla propria attivita’ economica”.

Sentenza 11 aprile 2018, n. 16103
Data udienza 13 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere

Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il -27/10/1979 a ROMA-;

avverso la sentenza del 19/01/2017 della CORTE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. EUGENIA SERRAO;

udito il Sostituto Procuratore generale Dott. MARIA GIUSEPPINA FODARONI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia di condanna emessa, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, dal Tribunale di Roma il 10/05/2016 nei confronti di (OMISSIS), accusato di avere detenuto in Roma il 14 marzo 2016 a fini di spaccio gr.9,05 lordi di sostanza stupefacente del tipo cocaina con la recidiva specifica, reiterata infraquinquennale.

2. (OMISSIS) ricorre per cassazione censurando la sentenza per violazione di legge e vizio logico della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilita’ penale, ritenendo plausibile la tesi difensiva che gli operanti di polizia giudiziaria avessero sorpreso l’imputato in possesso della sostanza gia’ suddivisa in dosi in quanto appena acquistata e prima che la portasse nella sua abitazione per conservarla; secondo il ricorrente la sentenza di appello avrebbe contraddetto la sentenza di primo grado, negando che la difesa avesse provato lo stato di tossicodipendenza laddove il tribunale lo aveva ritenuto comunque ininfluente. Con un secondo motivo deduce violazione dell’articolo 133 c.p. e vizio di motivazione, evidenziando che era stata chiesta al giudice di appello una riduzione della pena base, considerata eccessiva, e che la Corte territoriale ha replicato spiegando le ragioni per le quali le circostanze attenuanti generiche non potessero considerarsi prevalenti sulla recidiva. Con un terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla confisca della somma sequestrata, posto che la difesa aveva prodotto un contratto di lavoro e che la Corte di Appello ha negato rilievo a tale documento affermando che l’attivita’ lavorativa svolta dall’imputato non fosse coeva ai fatti di causa, sebbene si trattasse di contratto di lavoro a tempo indeterminato stipulato negli ultimi mesi del 2015 e l’arresto fosse avvenuto pochi mesi dopo la stipula del contratto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile.

Nel giudizio di legittimita’ non e’ consentito valutare nuovamente gli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento e’ riservato in via esclusiva al giudice di merito, ne’ puo’ essere ammessa la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 20794501). E la, Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione puo’ esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimita’, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 23410901).

Pertanto, in sede di legittimita’, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.24418101). Delineato nei superiori termini l’orizzonte del presente scrutinio di legittimita’, si osserva che il ricorrente invoca, in realta’, una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio ed una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova, senza confrontarsi con la dovuta specificita’ con l’iter logico-giuridico seguito dal giudice di merito per affermare la sua responsabilita’ penale. La Corte di Appello ha condiviso il giudizio gia’ espresso dal Tribunale, che aveva riconosciuto valore probatorio della destinazione della sostanza stupefacente allo spaccio, con motivazione non manifestamente illogica ne’ contraddittoria, al fatto che l’imputato, accortosi della presenza di una pattuglia, avesse cambiato direzione di marcia a bordo del suo scooter e che, una volta fermato e mostratosi inizialmente collaborativo, alla notizia che sarebbe stato sottoposto a perquisizione si fosse dato alla fuga lanciando diversi involucri contenenti cocaina. A tale comportamento hanno dato riscontro, secondo i giudici di merito, altri elementi gravemente indiziari dai quali si desume la completezza della motivazione, ossia la detenzione di un quantitativo superiore a quello necessario per alcuni giorni ad un tossicodipendente, la suddivisione in dosi, la custodia all’interno degli slip e la frequentazione della pubblica via nel possesso delle dosi.

2. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile in quanto manifestamente infondato, posto che contrariamente a quanto dedotto nel ricorso e’ rinvenibile espressa motivazione circa la ritenuta congruita’ della pena base, in aggiunta alle ragioni che hanno indotto la Corte territoriale a negare il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti. I numerosi precedenti specifici, dunque la personalita’ dell’imputato, e la gravita’ del fatto hanno, nel caso concreto, costituito i criteri ai quali il giudice di merito ha dichiarato di essersi attenuto nell’irrogare una pena superiore alla media edittale, con giudizio discrezionale in questa sede insindacabile.

3. In merito alla misura della confisca del denaro in sequestro, il giudice ne’, ha escluso la legittima provenienza sulla base di una motivazione manifestamente illogica, posto che la documentata stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato risalente agli ultimi mesi del 2015 non contrasta, di per se’, con la detenzione di somme di denaro nei mesi successivi. Occorre, in diritto, ricordare che non opera nei confronti di (OMISSIS) la confisca obbligatoria ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992, (a mente del quale, in caso di condanna “per taluno dei diritti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e articolo 74 – e’ sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilita’ di cui il condannato non puo’ giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica risulta essere titolare o avere la disponibilita’ a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini della imposta sul reddito e alla propria attivita’ economica”); nel caso in esame, trattandosi di condotta qualificata ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, il giudice di merito e’ tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti indicati dall’articolo 240 c.p., ma la motivazione offerta non risulta, anche per tale profilo, satisfattiva.

4. Conclusivamente, dichiarata l’irrevocabilita’ dell’affermazione di responsabilita’ ai sensi dell’articolo 624 c.p.p., la sentenza impugnata dovra’ essere annullata limitatamente alla disposta confisca del denaro in sequestro, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca del denaro in sequestro e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

Rigetta il ricorso nel resto.

Visto l’articolo 624 c.p.p. dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato

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