La disciplina dettata dal D.M. 1444 del 1968 dall’art. 9 cit. sostituisce “ipso iure” quella difforme contenuta nel regolamento

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 12562. 

La disciplina dettata dal D.M. 1444 del 1968 dall’art. 9 cit. sostituisce “ipso iure” quella difforme contenuta nel regolamento

Lo strumento urbanistico comunale che individui le zone territoriali omogenee di cui all’art. 2 del d. m. n. 1444 del 1968, deve osservare le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati previste, per ciascuna di dette zone, dal successivo art. 9, comma 1, avente immediata ed inderogabile efficacia precettiva. Ne consegue che, qualora nel regolamento comunale non sia stabilita alcuna distanza tra fabbricati relativamente ad una o più zone territoriali omogenee, o ne sia prevista una inferiore a quella minima prevista nel citato d.m., la disciplina dettata dall’art. 9 cit. sostituirà “ipso iure” quella difforme contenuta nel regolamento, così divenendone parte integrante e immediatamente applicabile ai rapporti tra privati.

Ordinanza|| n. 12562. La disciplina dettata dal D.M. 1444 del 1968 dall’art. 9 cit. sostituisce “ipso iure” quella difforme contenuta nel regolamento

Data udienza 17 aprile 2023

Integrale

Tag/parola chiave: EDILIZIA ED URBANISTICA – DISTANZE LEGALI

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. ROLFI Federico V.A. – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – rel. Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 29971/2018) proposto da:

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2078/2018, pubblicata il 20 luglio 2018, notificata il 20 luglio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 aprile 2023 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano.

FATTI DI CAUSA

1.- Con atto di citazione notificato il 12 gennaio 2011, (OMISSIS) conveniva, davanti al Tribunale di Belluno, (OMISSIS) e (OMISSIS), al fine di sentire condannare i convenuti alla demolizione e/o all’arretramento, in tutto o in parte, dell’immobile di loro comproprieta’, confinante con la proprieta’ dell’attrice.

Al riguardo, l’istante esponeva: che i convenuti, nel corso dei lavori di ristrutturazione effettuati dal 2 aprile 1994 al 5 agosto 1995, con parziale cambio di destinazione d’uso del bene di loro proprieta’, avevano, senza autorizzazione, innalzato l’immobile di circa cm. 65; che il fabbricato oggetto di sopraelevazione, con conseguente aumento della volumetria, era compreso nella zona B del Comune di Mel; che tale intervento ledeva la distanza dai confini prevista dall’articolo B 23 del regolamento edilizio comunale vigente all’epoca della ristrutturazione; che, infatti, l’edificio si trovava a distanza di circa ml. 2,20 dal confine e non alla distanza regolamentare di ml. 5,00.

Resistevano alla domanda (OMISSIS) e (OMISSIS) (a cui subentravano gli eredi (OMISSIS) e (OMISSIS)), i quali contestavano la lamentata sopraelevazione e, quindi, negavano la violazione della normativa sulle distanze legali.

Nel corso del giudizio erano escussi i testimoni ammessi ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 717/2016, depositata il 20 dicembre 2016, rigettava la proposta domanda di condanna alla demolizione e/o all’arretramento dell’edificio dei convenuti e condannava i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 2.328,00, a titolo di indennita’.

In proposito, la pronuncia deduceva: che, sebbene i convenuti avessero innalzato l’immobile di loro proprieta’ nel corso della ristrutturazione avvenuta negli anni 1994-1995, al fine evidente di conseguire un’altezza media del piano di ml. 2,40, utile affinche’ l’immobile potesse essere abitabile, l’intervento era comunque legittimo alla stregua della normativa sopravvenuta e segnatamente dell’emanazione delle leggi regionali del Veneto n. 14/2009 e n. 13/2011, relative al cosiddetto piano casa, come recepite dalla Delib. Consiglio comunale 22 ottobre 2011; che la demolizione dell’ampliamento sarebbe stata, in ogni caso, preclusa, a prescindere dall’emanazione delle suddette norme, poiche’ avrebbe comportato un pregiudizio alla statica dell’intero edificio; che spettava, in via equitativa, un’indennita’ per l’illegittima sopraelevazione medio tempore – nel periodo intercorso tra l’esecuzione e l’adozione della normativa sopravvenuta -, da determinarsi in Euro 12,00 mensili da settembre 1995 a ottobre 2011.

2.- Con atto di citazione notificato il 13 giugno 2017, proponeva appello (OMISSIS), la quale lamentava l’erronea applicazione nella fattispecie del piano casa, l’indebita esclusione della demolizione per l’asserito pregiudizio alla statica, la riduttiva quantificazione del danno perdurante sino all’attualita’.

Si costituivano nel giudizio di impugnazione (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali chiedevano il rigetto dell’appello principale e, in via incidentale, chiedevano che fosse esclusa a monte la ricorrenza di alcuna sopraelevazione in violazione della normativa edilizia e che fosse riformata la condanna al pagamento dell’indennita’ per vizio di extra-petizione.

Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, revocava la condanna al pagamento di un’indennita’.

A sostegno dell’adottata pronuncia il Giudice d’appello rilevava, per quanto interessa in questa sede: a) che le parti appellate avevano innalzato il loro immobile – difformemente dal titolo abilitativo -, conseguendo un’altezza media del piano di ml. 2,40, con un aumento di volumetria di oltre mc. 17,00; b) che, tuttavia, a seguito dell’emanazione delle leggi regionali n. 14/2009 e n. 13/2011, cosi’ come recepite dalla Delib. Consiglio comunale di Mel 28 ottobre 2011, n. 122 l’ampliamento era possibile, poiche’, nell’ambito dell’aumento di volumetria, non avrebbero piu’ operato le distanze dal confine stabilite dalle norme urbanistiche di natura regolamentare, ma quelle, meno restrittive, previste dal codice civile; c) che, sebbene all’epoca della ristrutturazione del fabbricato vigesse il programma di fabbricazione e il collegato regolamento edilizio, che all’articolo B 23 – per gli immobili inseriti in zona B (aree residenziali totalmente o parzialmente edificate), tra cui quello di specie – prescriveva la distanza dal confine di ml. 5,00, non poteva tenersi conto di tale parametro; d) che, infatti, a seguito dell’introduzione del nuovo piano regolatore generale – in vigore dal 1998 -, il fabbricato insisteva in zona A, dove non sarebbero stati possibili aumenti di volume, ne’ nuove costruzioni, e sarebbe stato altresi’ vietato ogni tipo di aggetto, sbalzo o sopraelevazione dal perimetro del fabbricato; e) che, non essendo prevista in zona A alcuna distanza tra costruzioni, si sarebbero applicate le prescrizioni del codice civile, che all’articolo 873 impone una distanza tra fabbricati di ml. 3,00, nella fattispecie rispettata, in quanto l’edificio distava dal confine ml. 3,25; f) che, in caso di successione nel tempo di norme edilizie, nell’ipotesi di nuove norme meno restrittive, il principio dell’immediata applicabilita’ dello ius superveniens trovava quale unico limite l’eventuale formazione del giudicato; g) che la contestazione dell’assunto secondo cui la demolizione sarebbe stata impossibile per pregiudizio alla statica dell’immobile era generica, a fronte delle conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio; h) che nessuna domanda era stata formulata in riferimento alla pretesa di un’indennita’ nel giudizio di primo grado, sicche’ la relativa condanna disposta dalla pronuncia impugnata violava il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, (OMISSIS). Hanno resistito con controricorso gli intimati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- In primo luogo, deve essere disattesa l’eccezione sollevata dai controricorrenti, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di autosufficienza.

Dall’esposizione delle doglianze articolate e’ possibile, invece, coglierne la ratio in ragione delle norme indicate come violate, in relazione alle argomentazioni esposte della pronuncia impugnata, con debita indicazione degli atti e documenti posti a fondamento di ogni censura.

2.- Tanto premesso, con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita’ della sentenza per motivazione del tutto assente e, in ogni caso, perplessa ed obiettivamente incomprensibile e comunque basata su mere ipotesi e non sulle risultanze processuali.

Ad avviso dell’istante, la Corte d’appello non avrebbe dato alcun conto delle obiezioni sollevate in ordine alla circostanza che le norme regionali citate sul cosiddetto piano casa non avrebbero potuto trovare applicazione in carenza della sanatoria giurisprudenziale e per difformita’ dal principio della doppia conformita’; e cio’ perche’ la sanatoria degli eventuali abusi attraverso il piano casa avrebbe operato solo nel caso di interventi realizzati dopo l’entrata in vigore della legge e purche’ conformi sia al testo normativo vigente al tempo della presentazione dell’istanza sia alla norma vigente al momento della commissione dell’abuso.

Soggiunge la ricorrente che la motivazione sarebbe incomprensibile e perplessa anche in relazione alla contestazione dell’affermata impossibilita’ di demolizione per pregiudizio alla statica dell’edificio, non avendo la pronuncia dato conto del rilievo secondo cui la mera ricostruzione del cordolo, con l’abbassamento del tetto, non avrebbe potuto compromettere la parte sottostante.

Ne’ la pronuncia avrebbe argomentato sul contestato difetto della presentazione di un’istanza ai sensi della normativa sul piano casa.

2.1.- Il motivo e’ infondato.

Ed infatti, la sentenza ha dato conto delle ragioni del rigetto della domanda, utilizzando la doppia ratio decidendi del consentito aumento di volumetrie, nei limiti del 20%, alla luce del sopravvenuto quadro normativo regionale, e del rispetto delle distanze prescritte dall’articolo 873 c.c., in ragione dell’intervenuto inserimento del fabbricato in zona A, a fronte della carenza di alcuna previsione sulle distanze nel nuovo strumento urbanistico vigente.

Quindi, ha confermato, in via subordinata, l’ineseguibilita’ della demolizione alla stregua della compromissione della statica dell’intero edificio, secondo la valutazione del consulente tecnico d’ufficio.

3.- Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione delle norme di cui alle leggi regionali Veneto Legge Regionale n. 14 del 2009 e Legge Regionale n. 13 del 2011 sul piano casa, per avere la Corte territoriale applicato la normativa di specie al fine di ritenere sanato un abuso commesso nel vigore della normativa precedente, in violazione dei principi sulla sanatoria giurisprudenziale e sulla doppia conformita’ alla normativa vigente, senza che fosse stata peraltro presentata all’autorita’ amministrativa apposita domanda.

In merito, l’istante adduce che il piano casa non avrebbe potuto essere invocato per ottenere la sanatoria di un abuso edilizio realizzato prima del luglio 2009, cioe’ prima della sua entrata in vigore, e che in ogni caso le distanze dei fabbricati dai confini non avrebbero potuto essere quelle indicate dal codice civile, solo perche’ il Piano regolatore generale del 1998 non indicava alcuna distanza dei fabbricati dal confine.

3.1.- Il motivo e’ fondato.

Ed invero, in primo luogo, la norma regionale – avendo introdotto una disciplina urbanistica di carattere speciale – e’ destinata ad operare per le sole costruzioni poste in essere successivamente alla loro entrata in vigore, risultando quindi inapplicabile al caso di specie, posto che i lavori sono stati realizzati tra il 2 aprile 1994 e il 5 agosto 1995 (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14275 del 24/05/2019).

In secondo luogo, e in via assorbente, la normativa invocata dai controricorrenti non e’ neppure pertinente rispetto alla fattispecie, posto che essa consente la deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti comunali al solo e limitato scopo di consentire l’ampliamento di edifici esistenti, mentre nel caso di specie e’ stata contestata la violazione delle distanze minime dal confine (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11686 del 14/05/2018).

4.- Con il terzo motivo la ricorrente censura, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli articoli 873 e ss. c.c., come integrati dall’articolo B 23 del regolamento edilizio vigente nel Comune di Mel dal 1975 al 1998 e dal regolamento edilizio vigente in detto Comune dal 28 giugno 1998 ad oggi, per avere la Corte di merito erroneamente considerato la normativa sul piano casa come ius superveniens rispetto agli strumenti edilizi vigenti nel Comune di Mel all’epoca del commesso abuso e per avere erroneamente ritenuto, di fatto, che il Piano regolatore generale del 1998 fosse norma edilizia meno restrittiva rispetto a quella precedente, giacche’ – a differenza della norma precedente – il Piano regolatore generale del 1998 non avrebbe previsto per i fabbricati distanze dai confini.

Senonche’ – aggiunge l’istante -, rientrando il fabbricato di proprieta’ (OMISSIS) in zona A (mentre prima insisteva in zona B), vi sarebbe stato un divieto assoluto di sopraelevazione, sicche’ la normativa edilizia del 1998 sarebbe stata ancora piu’ restrittiva di quella precedente, con la conseguenza che la mancanza di alcuna disciplina sulle distanze non avrebbe giustificato l’applicazione della previsione sulle distanze di cui all’articolo 873 c.c., non essendo piu’ permessa alcuna nuova costruzione.

4.1.- La doglianza e’ fondata.

Infatti, lo strumento urbanistico comunale che individui le zone territoriali omogenee di cui al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 2 deve osservare le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati previste, per ciascuna di dette zone, dall’articolo 9, comma 1, del medesimo decreto ministeriale, trattandosi di disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva. Ne consegue che, qualora nel regolamento comunale non sia stabilita alcuna distanza tra fabbricati relativamente ad una o piu’ zone territoriali omogenee, o ne sia prevista una inferiore a quella minima prevista nel citato D.M., la disciplina dettata dal citato articolo 9 sostituira’ ipso iure quella difforme contenuta in origine in tale regolamento, divenendone automaticamente parte integrante e da subito operante, senza che possano, invece, trovare applicazione l’articolo 873 c.c. e L. n. 765 del 1967, articolo 17, comma 1, (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 33754 del 16/11/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 1360 del 19/01/2018; Sez. 2, Sentenza n. 29732 del 12/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 14552 del 15/07/2016; Sez. 2, Sentenza n. 15458 del 26/07/2016; Sez. U, Sentenza n. 20354 del 05/09/2013).

Cio’ comporta dunque che, poiche’ la disciplina sulle distanze prevista da uno strumento urbanistico comunale deve osservare le prescrizioni di cui al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 1, che detta le distanze “minime” tra fabbricati per ciascuna zona territoriale omogenea, le medesime – una volta recepite dallo strumento urbanistico o inserite automaticamente nello stesso – hanno efficacia precettiva, in quanto norme integrative dell’articolo 873 c.c., anche nei rapporti tra privati.

Pertanto, la pronuncia impugnata non ha tenuto conto della circostanza in forza della quale l’inserzione automatica della disciplina delle distanze dettata dal Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9 nello strumento urbanistico comunale opera non solo quando lo strumento urbanistico stesso, individuando le zone territoriali omogenee, violi le distanze minime prescritte dallo stesso articolo 9 per ciascuna zona territoriale, prevedendo una distanza inferiore a quella minima prescritta, ma anche quando lo strumento urbanistico, dopo aver individuato le zone territoriali omogenee, nulla preveda sulle distanze legali relativamente ad esse (o ad una di esse), come risulta essere avvenuto nel caso di specie. Per l’effetto, se lo strumento urbanistico locale recepisca le prescrizioni in materia di distanze tra costruzioni dettate dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9 ovvero stabilisca distanze piu’ rigorose, si applicheranno le norme del regolamento comunale, ma se non osservi le prescrizioni del detto articolo 9, o in quanto preveda distanze minori ovvero in quanto non preveda affatto alcuna distanza tra i fabbricati, si determinera’ l’inserzione automatica delle prescrizioni dell’articolo 9 nello strumento urbanistico, divenendo cosi’ tali prescrizioni – a mezzo dello strumento urbanistico del quale entrano a far parte – immediatamente applicabili anche ai rapporti tra privati.

A tanto consegue che il vincolo di inedificabilita’ assoluta, conseguente all’inserimento del fabbricato in zona A (centro storico), impedisce in radice che possano trovare applicazione i criteri stabiliti dall’articolo 873 c.c., come richiamati dalla pronuncia impugnata.

Ora, dal fatto che gli immobili oggetto di causa sono stati collocati – successivamente alla realizzazione dell’intervento contestato – in zona A e che lo strumento urbanistico locale sopravvenuto nulla dispone in tema di distanze, deriva che e’ erronea l’affermazione contenuta nella sentenza d’appello circa l’applicazione dell’articolo 873 c.c..

4.2.- Ebbene, a fronte di un intervento edilizio realizzato – nel periodo compreso tra il 2 aprile 1994 e il 5 agosto 1995 – nella vigenza, dal 1975 al 1998, dell’articolo B 23 del regolamento edilizio del Comune di Mel – secondo cui nelle aree in cui era inserita la costruzione di specie, ossia in zona B (aree residenziali totalmente o parzialmente edificate), la distanza regolamentare prescritta dal confine avrebbe dovuto essere di ml. 5,00 – non avrebbe potuto trovare applicazione lo ius superveniens – ossia il regolamento edilizio vigente in detto Comune dal 28 giugno 1998 -, appunto perche’ esso, inserendo l’edificio in zona A (centro storico), ha stabilito una disciplina piu’ restrittiva, in ogni caso preclusiva dell’applicazione delle distanze di cui all’articolo 873 c.c..

Infatti, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 1, n. 1, in detta zona, sussistendo un vincolo di inedificabilita’ assoluta, per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25647 del 31/08/2022; Sez. 2, Sentenza n. 3739 del 15/02/2018; Sez. 2, Sentenza n. 1616 del 23/01/2018; Sez. 2, Sentenza n. 12767 del 20/05/2008; Sez. 2, Sentenza n. 879 del 03/02/1999; Sez. 2, Sentenza n. 4754 del 29/04/1995).

Come detto, la norma regolamentare, traendo la sua forza cogente dalla legge urbanistica L. n. 1150 del 1942, articolo 41-quinquies, commi 8 e 9, e’ quindi immediatamente idonea a incidere sui rapporti inter-privati e prevale su eventuali prescrizioni locali meno restrittive (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 624 del 15/01/2021; Sez. 2, Sentenza n. 29732 del 12/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 15458 del 26/07/2016; Sez. U, Sentenza n. 14953 del 07/07/2011).

E cio’ a prescindere dal disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 2-bis, comma 1-ter, nel testo risultante a seguito delle modificazioni introdotte dal Decreto Legge n. 76 del 2020, articolo 10, comma 1, lettera a), convertito, con modificazioni, in L. n. 120 del 2020, secondo cui possono rientrare nella nozione di ricostruzione anche opere che aumentano il volume o modificano la sagoma dell’opera da costruire, definizione che, in ogni caso, postula che l’intervento sia realizzato nel rispetto delle distanze preesistenti, cioe’ di quelle conformi alla normativa vigente al momento in cui e’ stato realizzato l’intervento originario (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20428 del 24/06/2022).

Senonche’, in materia di distanze tra costruzioni, solo qualora subentri una disposizione derogatoria piu’ favorevole al costruttore, si consolida – salvi gli effetti di un eventuale giudicato sull’illegittimita’ della costruzione – il diritto di quest’ultimo a mantenere l’opera alla distanza inferiore se, a quel tempo, la stessa sia gia’ ultimata, e non gia’ nel caso opposto, come nella vicenda di specie, in cui l’opera contestata sia stata realizzata nella vigenza di un regime meno restrittivo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24844 del 17/08/2022; Sez. 2, Sentenza n. 18119 del 26/07/2013).

Qualora, per converso, lo ius superveniens – come nella fattispecie – contenga prescrizioni piu’ restrittive, esso incontra la limitazione dei diritti quesiti e non trova applicazione con riferimento alle costruzioni che, al momento della sua entrata in vigore, possono considerarsi gia’ sorte, in ragione dell’avvenuta realizzazione delle strutture organiche, costituenti punti di riferimento essenziali per la misurazione delle distanze (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26886 del 23/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 20038 del 22/09/2010; Sez. 2, Sentenza n. 17160 del 24/06/2008).

4.3.- Dal ragionamento che precede deriva che erroneamente e’ stata fatta applicazione, peraltro mutandone l’effettiva portata precettiva, dello strumento urbanistico sopravvenuto, in quanto in realta’ piu’ restrittivo, a fronte di un’opera gia’ realizzata nella vigenza del pregresso strumento urbanistico.

Con specifico riferimento, poi, alla variazione delle forme e delle dimensioni del tetto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di distanze legali tra edifici, la modificazione del tetto di un fabbricato integra sopraelevazione e, come tale, una nuova costruzione soltanto se essa produce un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti, cosi’ incidendo sulla struttura e sul modo di essere della copertura; spetta al giudice di merito di volta in volta verificare, in concreto, se l’opera eseguita abbia le anzidette caratteristiche ovvero se, in ipotesi, avendo carattere ornamentale e funzioni meramente accessorie rispetto al fabbricato, vada esclusa dal calcolo delle distanze legali (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14883 del 11/05/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 4009 del 08/02/2022; Sez. 2, Sentenza n. 11845 del 18/06/2020; Sez. 2, Sentenza n. 14932 del 05/06/2008; Sez. 2, Sentenza n. 20786 del 25/09/2006).

5.- Con il quarto motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’articolo 1032 c.c., nella parte in cui e’ previsto che con la sentenza costitutiva di servitu’ sia determinata l’indennita’ dovuta a favore del fondo servente, nonche’ degli articoli 112 e 345 c.p.c., per avere la Corte distrettuale ritenuto che il diritto all’indennita’ dipendesse dalla formulazione di una specifica domanda, mentre tale diritto sarebbe conseguito all’affermazione dell’impossibilita’ di demolizione e avrebbe potuto essere quantificato in via equitativa dal giudice, con l’effetto che non sarebbe stato integrato alcun vizio di ultra-petizione.

Ed invero, secondo l’assunto della ricorrente, l’abuso conseguente alla sopraelevazione non sarebbe cessato nel 2011, ma avrebbe avuto natura permanente per l’imposizione di una servitu’ illegittima, secondo la Corte non eliminabile, con la conseguenza che l’ammontare dell’indennita’ non avrebbe potuto essere inferiore ad almeno Euro 50,00 mensili, fino alla eliminazione della servitu’ imposta, servitu’ che avrebbe importato un danno in re ipsa.

Inoltre, tale indennita’ si sarebbe dovuta commisurare ad un notevole aumento di valore dell’immobile sopraelevato, atteso che, per effetto di tale sopraelevazione, esso aveva raggiunto quel minimo di altezza necessario per ottenere l’abitabilita’ del piano, come evidenziato nella sentenza di primo grado.

5.1.- Il motivo – la cui proposizione e’ stata implicitamente subordinata al mancato accoglimento delle precedenti censure – e’ assorbito dall’accoglimento del secondo e del terzo motivo.

6.- In conclusione, il secondo e il terzo motivo del ricorso devono essere accolti, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo va rigettato e il quarto motivo e’ assorbito.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che decidera’ uniformandosi agli enunciati principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo e il terzo motivo del ricorso, rigetta il primo motivo e dichiara assorbito il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

 

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