La convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 ottobre 2024| n. 27043.

La convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge

Massima: Ai fini della revoca dell’assegno divorzile, la convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge che ne sia beneficiario, può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche e reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, gravando l’onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all’assegno.

 

Ordinanza|18 ottobre 2024| n. 27043. La convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge

Data udienza 14 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Famiglia – Separazione e divorzio – Assegno divorzile – Convivenza more uxorio del beneficiario – Revoca strumento

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere – Rel.

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. RUSSO Rita Elvira Anna – Consigliere

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9533/2023 R.G. proposto da:

Po.Er., rappresentato e difeso dall’avvocato AU.DA. (omissis) che lo rappresenta e difende per procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Gr.An., elettivamente domiciliata in ROMA, VI.GI., presso lo studio dell’avvocato MO.MA. (omissis) che la rappresenta e difende per procura speciale allegata al controricorso;

– controricorrente –

avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di ROMA R.G. n. 50700/2020 depositato il 28/02/2023;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2024 dal Consigliere CLOTILDE PARISE.

La convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 1979/2020 il Tribunale di Velletri accoglieva il ricorso ex art. 9 L. n. 898/1970 proposto da Po.Er., che chiedeva la revoca dell’assegno divorzile di Euro 1.000 disposto a suo carico e in favore dell’ex moglie Gr.An. dalla sentenza n. 247/15, pubblicata il 27.01.15, emessa nel giudizio divorzile dal Tribunale di Velletri.

2. La Corte di Appello di Roma, con decreto n. 519/2023 del 28.02.2023, in parziale accoglimento del reclamo proposto da Gr.An., ha parzialmente modificato le condizioni del divorzio stabilite dal Tribunale di Velletri con la predetta sentenza n. 247/2015, riducendo l’assegno divorzile a far data dal 22 giugno 2017 ad Euro 500,00 e compensando integralmente tra le parti le spese di lite dei due gradi di giudizio.

3. Avverso questo decreto Po.Er. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi e resistito con controricorso da Gr.An.

4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis 1, cod. proc. civ. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

La convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso sono così rubricati: “I. Violazione di legge ex art. 360 n. 3) c.p.c. in ordine al significato di “convivenza”, omessa applicazione dell’art. 1, commi 37 e 53 L. 76/2016; Falsa applicazione di principi di diritto ex art. 360 n. 3) c.p.c. in relazione all’art. 5 legge 898/1970 secondo l’interpretazione fornita da Cass. n. 14151/2022, Cass. 9178/2018, 7128/2013″; II. Violazione del principio della necessità di una valutazione globale degli indizi ex art. 360 n. 3) in ordine alla falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c., 116, c.p.c. per individuare la formazione di una “famiglia di fatto” (cfr. Cass. n. 14151/2022,, Cass. 9178/2018, 17453/2018, 7303/2012, 26022/2011, 12022/2017, 5374/2017)”; III. Violazione di legge ex art. 360, n. 2, c.p.c., e/o falsa applicazione degli artt. 163, comma 3, n. 4), c.p.c.; 167, comma 1, c.p.c.; art. 2697 c.c.; 115, comma 1, c.p.c.; principio di “non contestazione””. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, che la Corte di merito, dopo aver correttamente ritenuto che costituisse un fatto nuovo la relazione more uxorio della Gr.An., perché non emersa nel precedente giudizio divorzile, benché già da allora esistente, ha di seguito valorizzato solo ed esclusivamente la mancanza di coabitazione per escludere che vi fosse una famiglia di fatto e stabile convivenza more uxorio con progetto di vita e comunanza di affetti. Deduce, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, che ben può esistere una famiglia di fatto o una stabile convivenza anche se i due partner abbiano residenze diverse, persistendo comunque una comunanza di vita e di affetti, in un luogo diverso rispetto a quello in cui uno dei due conviventi lavori o debba, per suoi impegni di cura e assistenza, o per suoi interessi personali o patrimoniali, trascorrere gran parte della settimana o del mese, senza che per questo venga meno la famiglia. Lamenta inoltre la mancata valutazione dei plurimi elementi indiziari a dimostrazione della famiglia di fatto (secondo motivo) e la violazione del principio di non contestazione (terzo motivo), rilevando che la relazione dell’ex moglie risaliva al 2010. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale correttamente aveva accolto il suo ricorso, revocando l’assegno divorzile in favore dell’ex moglie, sul rilievo che quest’ultima non aveva adeguatamente contestato, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., la relazione stabile more uxorio che ella intratteneva con tale Ce.Ma., ed anzi aveva dedotto nei propri scritti difensivi che tale relazione non era un fatto nuovo e sopravvenuto (trattandosi di circostanza che risulterebbe dal “non allegato” doc. n. 5 alla memoria integrativa divorzio, richiamata da parte resistente nelle note autorizzate del 29.5.2018) ed aveva peraltro chiesto di provare (cfr. cap. 28 note autorizzate del 29.5.2018, pagg. 5 – 6) che Ce.Ma. le versava mensilmente la somma di Euro 600/700 (DOC. 5). Il Tribunale aveva quindi sostenuto che, poiché l’ex moglie aveva una stabile relazione sentimentale con il Ce.Ma., oramai da 5 anni, tanto da consentirle di ottenere prestiti mensili da parte di quest’ultimo di importo rilevante (Euro 600/700 mensili), fosse stato reciso e definitivamente cessato il rapporto post-matrimoniale con il ricorrente, con il conseguente venir meno dei doveri di solidarietà, a nulla rilevando la mancanza di coabitazione.

La convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge

2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili.

Secondo il più recente orientamento di questa Corte, invero, l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensativa (Cass. S.U. 32198/2021; Cass. 14256/2022). Infatti, alla luce delle Sezioni Unite n. 18287/2018 e n. 32198/2021, la ricostruzione dell’assegno divorzile sulla base di un criterio non più soltanto assistenziale, ma anche compensativo-perequativo comporta un temperamento del principio della perdita “automatica ed integrale” del diritto all’intero assegno di divorzio all’instaurarsi di una nuova convivenza.

È stato altresì precisato che, ai fini della revoca dell’assegno divorzile, la convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge che ne sia beneficiario può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche e reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, gravando l’onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023). Si è affermato che il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. 14151/2022).

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La coabitazione, dunque, ai fini che qui interessano, assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo”. Occorre, comunque, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’articolo 2729 c.c.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729 c.c. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche e, come si è detto, il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023 citata).

2.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello si è attenuta ai suesposti principi e, con motivazione congrua (Cass. S.U. 8053/2014), ha accertato che “gli elementi emersi, pacificamente assente la stabile convivenza (Ce.Ma. peraltro vive a R e non a P), non documentano con sufficiente certezza la formazione di una famiglia di fatto, non essendo prova sufficiente di una sostanziale comunione e condivisione di vita e di impegni economici i viaggi e le vacanze estive della coppia, la frequentazione domestica, documentata occasionalmente, né la dazione di somme di denaro nel periodo (marzo 2010 – 2018) in cui Po.Er. non le versava gli assegni (circostanza che aveva indotto la controparte ad iniziare azioni esecutive sulle quote delle società di famiglia del Po.Er., abbandonate dopo il pagamento da questi effettuato con denari provenienti da una eredità pervenutagli dalla madre), e che dopo tale pagamento la Gr.An. ha iniziato a parzialmente restituire come da documentazione prodotta già in primo grado”.

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Dunque, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di merito non ha valorizzato solo la mancata coabitazione, ma ha valutato il compendio probatorio complessivo, pervenendo alla conclusione della mancata dimostrazione in causa della “famiglia di fatto”. Va ribadito che è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza, o della non ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass. 1216/2006; Cass. 15219/2007; Cass. 656/2014; Cass. 1792/2017, che ha affermato come il risultato dell’ accertamento in merito alla valida prova presuntiva, se adeguatamente e coerentemente motivato, “si sottrae al sindacato di legittimità, che è invece ammissibile quando nella motivazione siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, una oggettiva portata indiziante”; Cass. 19987/2018; Cass. 1234/2019, ove si è ribadito che il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.). È stato altresì chiarito, a tale riguardo, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. per violazione della norma dell’art. 2729 c.c., la critica non può svolgersi mediante argomentazioni dirette ad infirmare la plausibilità della ricostruzione del fatto da parte del giudice di merito (Cass. 18611/2021), come, invece, è nella specie, poiché il ricorrente in buona sostanza si limita a criticare la valutazione degli elementi probatori effettuata dalla Corte di merito (secondo motivo).

Neppure coglie nel segno la censura sulla violazione del principio di non contestazione (terzo motivo), sia perché genericamente espressa, senza specifica e compiuta indicazione degli elementi fattuali di riferimento asseritamente “non contestati”, sia perché la deduzione di mancanza di contestazione concerne l’esistenza di una “relazione sentimentale” (così pag. 9 ricorso, di seguito definita genericamente stabile), non anche un effettivo progetto di vita comune tra l’ex coniuge e il terzo, nel senso precisato. In definitiva, i motivi di ricorso sono impropriamente diretti ad ottenere una rivisitazione del merito perché, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (tra le tante Cass. Sez. U. 34476/2019; Cass. 5987/2021).

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3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 2.600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge.

Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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