La condotta del proprietario del bene che dopo averlo promesso in vendita a una persona lo venda successivamente a un terzo costituisce inadempimento contrattuale

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|10 febbraio 2023| n. 4142.

La condotta del proprietario del bene che dopo averlo promesso in vendita a una persona lo venda successivamente a un terzo costituisce inadempimento contrattuale

Con riguardo al contratto preliminare di vendita, poiché nella volontà espressa dal promittente venditore di trasferire al compratore, tramite il successivo contratto definitivo, la piena ed esclusiva disponibilità della cosa è implicito l’obbligo di non trasferire la stessa cosa ad altri, la condotta del proprietario del bene che, dopo averlo promesso in vendita a una persona, lo venda successivamente a un terzo costituisce inadempimento contrattuale, con il conseguente diritto del promissario acquirente alla risoluzione del contratto ed al risarcimento del danno, il cui termine di prescrizione decorre, secondo la regola generale, dal momento in cui il diritto può esser fatto valere, e dunque dal momento dell’inadempimento costituito dalla vendita del bene al terzo

Sentenza|10 febbraio 2023| n. 4142. La condotta del proprietario del bene che dopo averlo promesso in vendita a una persona lo venda successivamente a un terzo costituisce inadempimento contrattuale

Data udienza 24 gennaio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Vendita – Contratto preliminare – Inadempimento – Manifestazione della volontà di recesso da entrambe le parti – Domande di risoluzione contrapposte

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 23859-2018 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS) e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 38/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 11/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2023 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), per parte ricorrente, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

La condotta del proprietario del bene che dopo averlo promesso in vendita a una persona lo venda successivamente a un terzo costituisce inadempimento contrattuale

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 19.7.2007 (OMISSIS) evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Siracusa, sezione distaccata di (OMISSIS), la (OMISSIS), il primo in veste di agente immobiliare ed il secondo in qualita’ di proprietario, per sentir dichiarare il loro inadempimento alle obbligazioni nascenti a carico di ciascuno di essi dal contratto preliminare sottoscritto tra l’attore ed il (OMISSIS) in relazione alla compravendita di un immobile sito in (OMISSIS) e la loro condanna in solido al pagamento della somma di Euro 46.000, costituita da Euro 28.000 a titolo di doppio della caparra a suo tempo versata dal promissario acquirente alla firma del preliminare, e da Euro 18.000 quale danno ulteriore derivato all’attore, rappresentato dalla provvigione riconosciuta all’intermediario. A fondamento della domanda il (OMISSIS) esponeva di aver assegnato al promittente venditore (OMISSIS) un termine per la stipula del rogito definitivo di compravendita, previa la regolarizzazione dell’immobile sotto il profilo urbanistico ed edilizio, e che nella pendenza di detto termine il promittente venditore aveva ceduto il proprio bene a terzi, cosi’ ponendosi volontariamente nella condizione di non poter adempiere al preliminare sottoscritto con il (OMISSIS). Esponeva inoltre che il mediatore gli aveva sottaciuto la condizione dell’immobile, venendo cosi’ meno ai suoi obblighi di informativa e correttezza. Allegava, su tali basi, di aver comunicato legittimamente il proprio recesso dal preliminare di cui e’ causa. Si costituiva il solo agente immobiliare resistendo alla domanda, mentre rimaneva contumace il (OMISSIS).
Con sentenza n. 344/2013 il Tribunale accoglieva la domanda, dichiarando la legittimita’ del recesso comunicato dall’attore e condannando (OMISSIS) al pagamento di Euro 20.000 pari al doppio della caparra e l’agente immobiliare al pagamento di Euro 4.000.
Interponeva appello l’agente immobiliare e si costituivano in seconde cure sia il (OMISSIS) che il (OMISSIS).
Con la sentenza impugnata, n. 38/2018, la Corte di Appello di Catania accoglieva l’impugnazione, dichiarando il contratto preliminare risolto per volonta’ di ambo le parti, condannando il (OMISSIS) alla sola restituzione della caparra, pari ad Euro 14.000, e rigettando ogni altra domanda.
Propone ricorso per la cassazione di tale decisione (OMISSIS) affidandosi a cinque motivi.
Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva nel presente giudizio di legittimita’.
Il ricorso, chiamato una prima volta all’adunanza camerale del 9.1.2020 innanzi la sesta sezione di questa Corte, e’ stato rinviato, all’esito della camera di consiglio, a nuovo ruolo per la trattazione in udienza pubblica, con ordinanza interlocutoria n. 2287/2020.
Il P.G., nella persona del Sostituto Dott. Giovanni Battista Nardecchia, ha depositato conclusioni scritte invocando il rigetto dei primi due motivi di ricorso, l’accoglimento del terzo e l’assorbimento del quarto e quinto motivo.
In prossimita’ dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.

La condotta del proprietario del bene che dopo averlo promesso in vendita a una persona lo venda successivamente a un terzo costituisce inadempimento contrattuale

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 342, 327 e 333 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la difesa depositata dal (OMISSIS) in atti di seconde cure integrasse un appello incidentale. Ad avviso del ricorrente, il (OMISSIS) aveva semplicemente aderito all’impugnazione principale, proposta dall’agente immobiliare, invocando la riforma della decisione di prima istanza nella parte in cui lo aveva condannato al pagamento del doppio della caparra. Trattandosi dunque di distinte impugnazioni rivolte avverso diversi capi della sentenza del Tribunale, entrambe avrebbero dovuto essere proposte nella forma dell’appello principale, ed eventualmente riunite.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta invece la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perche’ la Corte distrettuale avrebbe omesso di esaminare l’eccezione di inammissibilita’ della domanda proposta dal (OMISSIS) con la comparsa di costituzione depositata in seconde cure.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
Va ribadito che “Nel sistema processuale vigente l’impugnazione proposta per prima determina la costituzione del rapporto processuale, nel quale devono confluire le eventuali impugnazioni di altri soccombenti, perche’ sia mantenuta l’unita’ del procedimento e sia resa possibile la decisione simultanea. Ne consegue che, in caso di appello, le impugnazioni successive alla prima assumono necessariamente carattere incidentale, anche se irritualmente avanzate nella forma dell’impugnazione principale, e debbono essere proposte nel termine previsto dall’articolo 343, comma 1, c.p.c., ovvero, per le controversie introdotte dopo il 30 aprile 1995, mediante comparsa di risposta da depositare in cancelleria almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1671 del 29/01/2015, Rv. 634063; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10124 del 30/04/2009, Rv. 608201; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21745 del 11/10/2006, Rv. 592772; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6242 del 04/06/1993, Rv. 482677).
La legittimazione ad impugnare, dunque, consegue alla soccombenza, totale o parziale, nel giudizio di primo grado, fermo restando che non e’ legittimata a proporre impugnazione incidentale la parte che abbia gia’ proposto appello principale, in funzione del principio di cd. consumazione del diritto di impugnare (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25925 del 29/11/2005, Rv. 583915 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 11660 del 18/05/2006, Rv. 589047).
In definitiva, tutte le impugnazioni proposte successivamente alla prima assumono carattere incidentale, siano esse tali in senso stretto -ossia totalmente autonome rispetto al contenuto dell’impugnazione principale, in quanto espressione di interessi contrastanti con quelli proposti dall’appellante principale- o meno – quando esse hanno un contenuto sostanzialmente adesivo rispetto all’appello principale, essendo dirette avverso capi della sentenza diversi, ma dipendenti, da quello oggetto dell’impugnazione principale stessa- (cfr.Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21829 del17/10/2007, Rv.599244; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15687 del12/12/2001, Rv.551063; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14167 del14/11/2001, Rv.550260; Cass. Sez. U, Sentenza n. 11219 del13/11/1997, Rv. 509833). Cio’ posto, nel caso di specie la Corte di Appello ha analiticamente esaminato la questione dell’ammissibilita’ dell’appello incidentale del (OMISSIS), dando atto (cfr. pagg. 6 e s. della sentenza impugnata) che, a fronte della citazione per l’udienza del 29.9.2014, vi era stato il differimento di una settimana con provvedimento del Presidente della sezione della Corte distrettuale del 19.5.2014, reso ai sensi di quanto previsto dall’articolo 168 bis c.p.c. Il (OMISSIS) si era costituito in seconda istanza in data 8.9.2014, e dunque entro il termine di decadenza di venti giorni prima della data indicata nell’atto di citazione in appello, ovvero di quella differita ai sensi dell’articolo 168 bis, comma 5, c.p.c., previsto dall’articolo 343, comma 1, c.p.c. Prendendo dunque a riferimento la data, differita, dell’8.9.2014, la costituzione era da ritenersi tempestiva.
Ne’ e’ fondato il secondo motivo proposto dalla parte ricorrente, dovendosi ribadire che, ai fini della proposizione della richiesta di riforma della decisione di prima istanza, non occorre l’adozione di alcuna formula sacramentale, essendo a tal fine sufficiente l’esplicitazione della domanda nel primo atto di costituzione depositato dalla parte nel giudizio di seconda istanza. Sul punto, va ribadito -proprio con riferimento alla proposizione dell’impugnazione incidentale- che “In tema di impugnazione, nel rito ordinario di cognizione la proposizione dell’appello incidentale della parte non totalmente vittoriosa in primo grado non richiede formule sacramentali o forme particolari, essendo sufficiente che dalla comparsa di costituzione risulti in modo non equivoco la volonta’ di ottenere la riforma della decisione, ne’ investe l’ufficio giudiziario dell’incombente di differire l’udienza per dare modo all’appellante principale di prendere posizione sull’impugnazione incidentale” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 4860 del 23/02/2021, Rv. 660709; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21615 del 15/11/2004, Rv. 578041).
Con il terzo motivo, invece, la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1454, 1455 e 1385 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello non avrebbe ravvisato il grave inadempimento del promittente venditore che, nella pendenza del termine fissato dal promissario acquirente per l’adempimento del contratto preliminare di compravendita immobiliare, aveva alienato a terzi l’immobile, rendendo in tal modo impossibile il raggiungimento dello scopo negoziale prefisso dalle parti all’atto della firma del contratto preliminare.
La censura e’ fondata.
Va ribadito, sul punto, che “Con riguardo al contratto preliminare di vendita, poiche’ nella volonta’ espressa dal promittente venditore di trasferire al compratore, tramite il successivo contratto definitivo, la piena ed esclusiva disponibilita’ della cosa e’ implicito l’obbligo di non trasferire la stessa cosa ad altri, la condotta del proprietario del bene che, dopo averlo promesso in vendita a una persona, lo venda successivamente a un terzo costituisce inadempimento contrattuale, con il conseguente diritto del promissario acquirente alla risoluzione del contratto ed al risarcimento del danno, il cui termine di prescrizione decorre, secondo la regola generale, dal momento in cui il diritto puo’ esser fatto valere, e dunque dal momento dell’inadempimento costituito dalla vendita del bene al terzo” (Cass. Sez.1, Sentenza n. 7066 del 14/04/2004, Rv. 572051; cfr. anche, in termini analoghi, Cass. Sez.2, Sentenza n. 11571 del 17/11/1998, Rv. 520767 e Cass. Sez.2, Sentenza n. 7314 del 22/03/2017, Rv. 643523).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha affermato che il contratto preliminare intercorso tra le parti si sarebbe risolto in quanto entrambe avrebbero comunicato la loro volonta’ di recedere dallo stesso, seppure attribuendo all’altra la responsabilita’ dell’inadempimento. Ha ritenuto, dunque, che le due volonta’, pur muovendo da premesse opposte e contrastanti, si sarebbero comunque indirizzate all’identico scopo di ottenere lo scioglimento del contratto, dal che deriverebbero i conseguenti obblighi restitutori, della cosa, da un lato, e dell’acconto versato dal promissario acquirente, dall’altro lato.
La Corte di merito ha poi dato atto dell’orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo cui, in presenza di contrapposte domande di risoluzione, il giudice non puo’ respingerle entrambi, ravvisando la risoluzione consensuale del rapporto, perche’ in tal modo violerebbe il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ma deve necessariamente accoglierne una rigettando l’altra. Tuttavia, ha ritenuto di aderire alla tesi minoritaria, ritenendola piu’ coerente con la condotta delle parti, che avevano in sostanza preso atto che non era piu’ possibile stipulare il definitivo.
In tal modo, la Corte di Appello ha sostanzialmente disapplicato i principi affermati da questa Corte di legittimita’, come sopra indicati. In presenza di due domande di risoluzione del contratto preliminare, tra loro contrapposte, e’ infatti necessario scrutinare la condotta complessiva tenuta dalle parti, per valutare se sussista, o meno, inadempimento grave imputabile, esclusivamente o prevalentemente, all’una o all’altra di esse. In tale ambito, la circostanza -pacifica- che il promittente venditore abbia alienato, medio tempore, il bene compromesso a terzi, rendendo cosi’ di fatto impossibile la stipulazione del definitivo, avrebbe dovuto essere considerate dal giudice di merito, in quanto essa si sostanzia in una condotta di fatto preclusiva della realizzazione del progetto negoziale.
La Corte distrettuale, invece, ha valorizzato, da un lato, il fatto che il promissario acquirente si fosse risolto a comprare un altro bene da un terzo; e, dall’altro lato, la circostanza che il promittente venditore avesse a sua volta venduto l’immobile compromesso a terzi. Da tali condotte, ha ricavato la prova della comune intenzione di non voler piu’ concludere l’affare ab origine ipotizzato con la firma del preliminare di cui e’ causa. In questo modo, tuttavia, le due condotte suindicate sono state apprezzate soltanto come fatti “neutri”, ovverosia a prescindere dalla loro incidenza sul sinallagma contrattuale. Ai fini dell’apprezzamento della sussistenza di un inadempimento grave, invece, esse non avrebbero dovuto essere valutate come meri accadimenti, ma prima di tutto come manifestazioni di precise scelte comportamentali delle parti. Sotto tale profilo, non v’e’ alcun dubbio che la scelta del promittente venditore, di trasferire il bene compromesso a terzi, rende impossibile la realizzazione del progetto negoziale prefisso dalle parti con la firma del preliminare, e dunque incide direttamente sul sinallagma contrattuale, investendo una delle obbligazioni principali che lo compongono. La scelta del promisssario acquirente di acquistare un immobile diverso da quello oggetto del contratto preliminare, invece, non spiega alcuna incidenza diretta sul sinallagma, da un lato in quanto essa non e’ necessariamente indice della volonta’ di non perseguire lo scopo negoziale prefisso con il preliminare, e dall’altro lato in quanto potrebbe ben rappresentare una semplice conseguenza, peraltro necessitata, della decisione del promittente venditore di vendere il cespite compromesso ad altro soggetto, nonostante l’esistenza del preliminare. La scelta del promissario acquirente di rivolgersi altrove per reperire un immobile da acquistare, dunque, costituisce conseguenza dell’inadempimento del promittente venditore, onde non e’ neppure possibile configurare una sostanziale equivalenza tra le due condotte delle parti.
Il quarto motivo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1759, 1175 e 1176 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe dovuto configurare l’inadempimento dell’agente immobiliare agli obblighi informativi verso le parti, in relazione alle condizioni dell’immobile, e’ assorbito dall’accoglimento della terza doglianza. Il giudice del rinvio, infatti, dovra’ operare una nuova valutazione della fattispecie, applicando i principi esposti in relazione allo scrutinio della terza censura, al fine di verificare se, alla luce del contenuto del sinallagma contrattuale derivante dalla sottoscrizione del contratto preliminare di cui e’ causa e della condotta serbata dalle parti, ed in particolare dal promittente venditore, sia configurabile un grave inadempimento a carico di quest’ultimo, traendone le conseguenze di legge, anche in relazione alla posizione del mediatore ed all’assolvimento, da parte di questi, dei doveri previsti dalla sua posizione e dal suo ruolo nell’affare.
Del pari assorbito e’ il quinto motivo, con il quale il ricorrente si duole della violazione dell’articolo 91 c.p.c., in relazione al governo delle spese operato dal giudice di merito.
In definitiva, vanno respinti i primi due motivi di ricorso, va accolto il terzo e vanno dichiarati assorbiti il quarto ed il quinto. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte di Appello di Firenze, in differente composizione.

PQM

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo e dichiara assorbiti il quarto ed il quinto. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte di Appello di Catania, in differente composizione.

 

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