L’ipotesi del deposito temporaneo di rifiuti

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 2 settembre 2020, n. 24989.

In assenza delle condizioni prescritte dall’art. 183, comma 1, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, non ricorre l’ipotesi del deposito temporaneo di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, posto che, in difetto anche di uno dei requisiti indicati da tale norma, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come “deposito preliminare” (se il collocamento di rifiuti è prodromico ad un’operazione di smaltimento), come “messa in riserva” (se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero), come “abbandono” (quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero) o come “discarica abusiva”, nell’ipotesi di abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi. (Amb. Dir.)

Sentenza 2 settembre 2020, n. 24989

Data udienza 16 luglio 2020

Tag – parola chiave: Rifiuti – Raccolta di indumenti usati – Nozione di deposito temporaneo, preliminare e messa in riserva – Assenza dei presupposti di legge – Casi di configurabilità dell’abbandono o discarica abusiva – Artt. 183 e 256, d.lgs. 152/2006

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filip – rel. Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 26/11/2019 del Tribunale di Prato;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere REYNAUD Gianni Filippo;
lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale CORASANITI Giuseppe, ai sensi del Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, comma 12-ter, conv., con modiff., dalla L. n. 27 del 2020, che “ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
letta la memoria difensiva di replica depositata nell’interesse del ricorrente, con cui si e’ insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 26 novembre 2019, il Tribunale di Prato ha respinto la richiesta di riesame proposta dall’odierno ricorrente avverso il decreto con cui il G.i.p., ravvisando il fumus del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a), aveva disposto il sequestro preventivo di due rimorchi telonati appartenenti alla ditta dell’indagato e di cassonetti parimenti di sua proprieta’, destinati alla raccolta di indumenti usati.
2. Avverso detta ordinanza, (OMISSIS), per il tramite del difensore fiduciario, ha proposto ricorso per cassazione deducendo plurime violazioni di legge ed in particolare, con i primi tre motivi, relativi al sequestro dei cassonetti, rispettivamente:
1) – l’assoluta assenza di motivazione rispetto alle doglianze proposte con il gravame;
2) – l’insussistenza del fumus commissi delicti, essendo l’indagato titolare di autorizzazione alla raccolta di indumenti usati;
3) – l’insussistenza del periculum, come si ricava dalla (contraddittoria) autorizzazione, resa dal g.i.p. pochi giorni dopo il sequestro, all’uso dei cassonetti per la prosecuzione dell’attivita’.
Con particolare riguardo al sequestro dei rimorchi telonati, con i successivi quattro motivi, si deducono le seguenti violazioni di legge:
4) – l’omessa motivazione sulla dedotta carenza di periculum argomentata in relazione all’ampio lasso temporale (circa un anno e mezzo) tra l’ipotizzata commissione del reato e l’adozione della misura cautelare;
5) – la carenza del fumus commissi delicti (estesa anche al sequestro dei cassonetti), per aver l’ordinanza impugnata riconosciuto che la L. n. 166 del 2016 aveva reso obbligatoria l’igienizzazione soltanto se e quando necessaria per il rispetto dei limiti microbiologici imposti dal regolamento, la cui prova di superamento spetta all’accusa, con conseguente insussistenza della violazione del Decreto Ministeriale 5 febbraio 1998, ipotizzata nel capo d’accusa:
6) – l’incoerente ed irragionevole argomentazione, fondata su una mera congettura e tale da rendere incomprensibile l’itinerario logico della decisione, che il superamento dei limiti si fosse tuttavia verificato per il solo fatto che i rimorchi pieni di indumenti avevano stazionato all’aperto;
7) – la violazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, comma 1, lettera bb), per non aver riconosciuto l’ipotesi del deposito temporaneo di rifiuti da essa previsto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va premesso che il procedimento e’ stato trattato benche’, in violazione dei termini previsti dal Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, comma 12-ter, conv., con modiff., dalla L. n. 27 del 2020, il Procuratore generale abbia trasmesso le sue richieste scritte alla cancelleria di questa Corte soltanto il giorno precedente a quello dell’udienza fissata, con conseguente, tardiva, comunicazione delle stesse, effettuata lo stesso giorno a mezzo p.e.c., alla difesa del ricorrente. Avendo il difensore del ricorrente a sua volta concluso, con memoria, senza alcunche’ contestare in ordine al mancato rispetto dei termini previsti dalla citata disposizione, cosi’ rinunciando ad eccepire la nullita’ ed accettando gli effetti dell’atto, avvalendosi peraltro delle facolta’ al cui esercizio la pur tardiva trasmissione era preordinata, la relativa nullita’ a regime intermedio, riconducibile al novero di quelle di cui all’articolo 178 c.p.p., lettera c e’ stata sanata ai sensi dell’articolo 183 c.p.p..
2. Dagli atti processuali allegati al ricorso si comprende che con provvedimento genetico datato 11 marzo 2019, in accoglimento della richiesta avanzata dal pubblico ministero e datata 9 gennaio 2019, il g.i.p. ha disposto il sequestro preventivo dei beni di cui in questa sede si richiede la restituzione, ravvisando il fumus di due distinti reati ascritti all’indagato.
Da un lato (capo B della provvisoria imputazione), si contesta all’indagato il reato di Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a), per aver effettuato, senza autorizzazione, attivita’ di deposito e gestione non autorizzata di rifiuti speciali non pericolosi con riguardo al ricovero degli indumenti usati oggetto dell’attivita’ di raccolta svolta da (OMISSIS) nei due rimorchi sequestrati; parcheggiati per mesi in prossimita’ dello stabilimento del cliente finale (OMISSIS), dove poi la merce veniva consegnata senza essere sottoposta ad un alcun procedimento di recupero, essendo la ditta del ricorrente bensi’ autorizzata all’attivita’ di stoccaggio e recupero degli indumenti, ma presso altri siti, allo stato inutilizzabili ed inutilizzati.
D’altro lato (capo A della provvisoria imputazione), viene contestata la violazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a), e comma 4, per aver effettuato, in concorso con il titolare ed il gestore della (OMISSIS), attivita’ di gestione dei medesimi rifiuti speciali senza effettuare attivita’ di recupero mediante cernita, selezione, eventuale igienizzazione – come invece previsto dalle autorizzazioni rilasciate e, comunque, in assenza di autorizzazione.
3. L’ordinanza impugnata ha confermato il provvedimento genetico dando atto che, nell’impossibilita’ per la (OMISSIS) di utilizzare i propri siti autorizzati, i rimorchi sequestrati venivano illecitamente impiegati, in modo strutturale ed incauto (“lasciando alle intemperie, alla umidita’ ed alle conseguenti nocive situazioni di degrado, la merce ivi collocata…nella carenza di igienizzazione”), come “ricovero non temporaneo” dei rifiuti speciali oggetto dell’attivita’ di raccolta di indumenti che la ditta effettua a mezzo di propri cassonetti ubicati sul territorio, del pari sequestrati per “interrompere senza dilazioni” il “permanente degrado ambientale che ne consegue”.
4. Cio’ premesso, con riguardo ai primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, lo stesso ricorrente, pur a fronte di mancata specifica considerazione dei cassonetti nel contesto dell’ordinanza, mostra di aver ben compreso che il sequestro degli stessi e’ stato ritenuto funzionale all’esigenza di interrompere le illecite attivita’ di gestione dei rifiuti originati dalla raccolta di indumenti dismessi effettuata da (OMISSIS), sicche’, alla luce di quanto sopra esposto sub §. 2, sono infondate le doglianze di mancanza di specifica motivazione sul punto e sul fumus commissi delicti.
5. Quanto al terzo motivo di ricorso, nella memoria contenente motivi nuovi presentata all’udienza di discussione avanti al tribunale del riesame (v. pag. 2), l’odierno ricorrente aveva in effetti devoluto la questione circa il fatto che il sequestro dei cassonetti, disposto ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 1, per evitare che la loro libera disponibilita’ potesse agevolare la commissione di altri reati, appariva contraddittoria con l’ampia facolta’ d’uso degli stessi concessa dal g.i.p. con provvedimento del 5 luglio 2019, allegato al ricorso.
Sul punto l’ordinanza nulla dice, ma la doglianza e’ da ritenersi infondata.
Ed invero, per quanto detto, l’ordinanza impugnata ha correttamente ricostruito il periculum che giustifica la misura anche con riguardo ai cassonetti e la contraddizione – obiettivamente riscontrabile – tra vincolo disposto ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 1 e l’ampia facolta’ per il loro utilizzo concessa all’odierno ricorrente con il successivo provvedimento del g.i.p. potrebbe, semmai, condurre a dubitare della legittimita’ di quest’ultimo che, tuttavia, non e’ stato impugnato dal pubblico ministero (il quale, per contro, aveva dato parere favorevole all’utilizzo a condizione che fosse nominato un amministratore giudiziario per vigilare sulla corretta gestione dei cassonetti e della fase immediatamente successiva alla raccolta degli abiti usati).
6. Il quarto motivo di ricorso e’ generico e manifestamente infondato. L’ordinanza da’ atto che proprio lo sviluppo delle indagini ha consentito di verificare la sussistenza dei presupposti per procedere al sequestro preventivo dei rimorchi, che – a causa dell’impossibilita’ per l’azienda dell’imputato di utilizzare i depositi della (OMISSIS) autorizzati per il ricovero degli indumenti e per lo svolgimento delle attivita’ di gestione e recupero – venivano illecitamente impiegati per depositare gli indumenti, per lunghi periodi di tempo, in prossimita’ dello stabilimento del cliente finale destinatario della merce. La cronologia degli eventi quale in ricorso esposta non inficia la correttezza di questa conclusione, posto che il sequestro – eseguito il (OMISSIS) in funzione probatoria e successivamente trasformatosi in preventivo – ha all’evidenza interrotto un’attivita’ illecita che era in itinere e che, per le ragioni piu’ sopra richiamate, sarebbe verosimilmente proseguita con le medesime modalita’.
7. Il quinto ed il sesto motivo di ricorso sono inammissibili per genericita’ e, quanto a quest’ultimo, anche perche’ afferente a doglianza non proponibile in questa sede di legittimita’.
7.1. Quanto al primo aspetto, basta leggere il provvisorio capo A di incolpazione – piu’ sopra riassunto – ed i provvedimenti dei giudici cautelari per comprendere come la mancata igienizzazione degli indumenti sia soltanto una delle contestazioni mosse all’odierno ricorrente (ed agli altri due indagati in concorso), senza che la sua eventuale infondatezza faccia venir meno il fumus, come la stessa ordinanza impugnata chiaramente attesta.
7.2. In ogni caso, con l’ordinanza (pag. 2) si sostiene che le condizioni per richiedere l’igienizzazione degli indumenti raccolti, se non presenti ab origine, si erano ragionevolmente verificate a causa delle incaute condizioni dell’illecito deposito e questa argomentazione, che in ricorso viene ritenuta “incoerente” ed “irragionevole”, attiene, semmai, ad un profilo di illogicita’ della motivazione che non puo’ essere in questa sede sindacato. Ed invero, in forza dell’articolo 325 c.p.p., nei procedimenti relativi a misure cautelari reali il ricorso per cassazione e’ ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 251616), sicche’, con riferimento alla violazione dell’articolo 125 c.p.p., e’ deducibile soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicita’ manifesta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119).
8. L’ultimo motivo di ricorso e’ inammissibile per genericita’ e manifesta infondatezza.
Anche per la non disponibilita’ dei depositi autorizzati – non inficiata dal generico riferimento contenuto in ricorso, in nota 2 – l’ordinanza impugnata reputa fondata la presunzione che si trattasse di ricovero di rifiuti non temporaneo (la richiesta di applicazione misura allegata al ricorso attesta che dalle indagini era emerso che i due rimorchi si trovavano sul posto, alla data del sequestro probatorio dell’11 dicembre 2018, quantomeno da oltre quattro mesi, vale a dire almeno dal precedente 25 luglio).
Del resto, la dedotta violazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, comma 1, lettera bb), e’ soltanto genericamente invocata ed all’evidenza cozza, a tacer d’altro, con il requisito, previsto dalla norma, secondo cui il deposito temporaneo e’ il “raggruppamento dei rifiuti…prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti”. Va ribadito, al proposito, che, in assenza delle condizioni prescritte dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, comma 1, lettera bb), non ricorre l’ipotesi del deposito temporaneo di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, posto che, in difetto anche di uno dei requisiti indicati da tale norma, il deposito non puo’ ritenersi temporaneo, ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come “deposito preliminare” (se il collocamento di rifiuti e’ prodromico ad un’operazione di smaltimento), come “messa in riserva” (se il materiale e’ in attesa di un’operazione di recupero), come “abbandono” (quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero) o come “discarica abusiva”, nell’ipotesi di abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi (Sez. 3, n. 38676 del 20/05/2014, Rodolfi, Rv. 260384; Sez. 3, n. 49911 del 10/11/2009, Manni, Rv. 245865).
9. Il ricorso, complessivamente infondato, dev’essere pertanto rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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