Il reato di impossessamento illecito di beni culturali

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 2 settembre 2020, n. 24988.

Il reato di impossessamento illecito di beni culturali è configurabile anche laddove i beni siano stati rinvenuti da persona diversa dall’autore dell’impossessamento, di conseguenza è imprescindibile il rigoroso accertamento delle effettive modalità e dei tempi con cui l’indagato e i suoi danti causa sono venuti in possesso del bene. Per cui, l’impossessamento di “cose di antichità e d’arte, rinvenute fortuitamente” (così l’art. 67, primo comma, L. 1089/1939) costituisce da tempo reato. Fattispecie: sequestro probatorio di una statua in marmo riproducente un’aquila, già facente parte del complesso monumentale ubicato ad Ancona e dedicato all’imperatore Traiano, rinvenuta presso l’abitazione del ricorrente.

Sentenza 2 settembre 2020, n. 24988

Data udienza 16 luglio 2020

Tag – parola chiave: Beni culturali ed ambientali – Impossessamento illecito di beni culturali – Rinvenimento fortuito – Configurabilità del reato – Beni rinvenuti in persona diversa dall’autore dell’impossessamento – Accertamento delle effettive modalità e dei tempi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filip – rel. Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 04/02/2020 del Tribunale di Ancona
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere REYNAUD Gianni Filippo;
lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale CORASANITI Giuseppe, ai sensi del Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, comma 12-ter, conv., con modiff., dalla L. n. 27 del 2020, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
letta la memoria difensiva di replica depositata nell’interesse del ricorrente, con cui si e’ insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 4 febbraio 2020, il Tribunale di Ancona ha rigettato il riesame proposto dall’odierno ricorrente (OMISSIS) avverso il decreto con cui il pubblico ministero aveva disposto il sequestro probatorio di una statua in marmo riproducente un’aquila, rinvenuta presso l’abitazione del suddetto, sottoposto ad indagine per il reato di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 176, comma 1. Secondo la provvisoria imputazione, la statua, gia’ facente parte del complesso monumentale ubicato ad Ancona e dedicato all’imperatore Traiano, inaugurato nel 1934 e successivamente smantellato, sarebbe identificabile come bene culturale ai sensi dell’articolo 10 del citato Decreto Legislativo e apparterrebbe quindi allo Stato ai sensi del successivo articolo 91 e (OMISSIS) se ne sarebbe illecitamente impossessato.
2. Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore fiduciario l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con unico, articolato, motivo la violazione del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 176, comma 1, per insussistenza dell’elemento oggettivo e del dolo alla luce delle modalita’ con cui egli venne in possesso della statua, avallate dalla stessa Procura della Repubblica allorquando, in altro procedimento, iscritto per il reato di ricettazione, ebbe a richiedere ed ottenere dal g.i.p. l’archiviazione. Il ricorrente allega di aver ereditato dal padre, deceduto nel 2012, la statua in questione, al genitore regalata da un amico imprenditore che, su incarico del comune di Ancona, negli anni âEuroËœ70 aveva dragato il porto della citta’, ripescandola nel fondale unitamente ad altra identica. La statua, insieme alla seconda aquila in marmo e ad altre sculture, componeva l’opera monumentale, smantellata dal Comune di Ancona nel 1945 e gettata nel limitrofo mare “perche’ ritenuta di alcun interesse ed anzi evocativa di un periodo da “cancellare””, essendo stata donata alla citta’ da Benito Mussolini e inaugurata nel 1934. Difetterebbe, dunque, il fumus del reato ipotizzato, sia quanto alla condotta di “impossessamento” – non configurabile – sia quanto al dolo, essendo (OMISSIS) certamente in buona fede, come peraltro ipotizzato dallo stesso Tribunale del riesame.
2.1. L’ordinanza impugnata – secondo il ricorrente – e’ del pari illegittima nella parte in cui, prospettando la buona fede dell’indagato e l’assenza del reato, sostiene che la statua non potrebbe in ogni caso essergli restituita perche’ appartenente al patrimonio indisponibile del Comune di Ancona.
Al proposito il ricorrente rileva che:
– se non v’e’ fumus del reato e’ comunque illegittimo il sequestro probatorio;
essendo mancata la verifica dell’interesse culturale dell’opera, Decreto Legislativo n. 42 del 2004, ex articoli 12, 13 e 14, la statua non puo’ considerarsi “bene culturale” ai sensi del precedente articolo 10, sicche’, al di la’ della non configurabilita’ del reato ipotizzato anche per questa ragione, non puo’ essere ritenuta appartenente al Comune;
– il Comune di Ancona, del resto, se ne era disfatto nel 1945, sicche’, a seguito di tale rinuncia abdicativa, la statua era divenuta res nullius ed al momento del suo ritrovamento in fondo al mare, nel 1970, essa non era assoggettata al regime dell’allora vigente L. n. 1089 del 1939, in quanto non ancora decorsi 50 anni dalla sua esecuzione;
– neppure sarebbero applicabili gli articoli 826 e 822 c.c., non essendo bene appartenente al patrimonio artistico nazionale ne’ bene mobile, e tanto meno l’articolo 511 c.n., non trattandosi di cosa recuperata da parte di una nave.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va premesso che il procedimento e’ stato trattato benche’, in violazione dei termini previsti dal Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, comma 12-ter, conv., con modiff., dalla L. n. 27 del 2020, il Procuratore generale abbia trasmesso le sue richieste scritte alla cancelleria di questa Corte soltanto il giorno precedente a quello dell’udienza fissata, con conseguente, tardiva, comunicazione delle stesse, effettuata lo stesso giorno a mezzo p.e.c., alla difesa del ricorrente. Avendo il difensore del ricorrente a sua volta concluso, con memoria, senza alcunche’ contestare in ordine al mancato rispetto dei termini previsti dalla citata disposizione, cosi’ rinunciando ad eccepire la nullita’ ed accettando gli effetti dell’atto, avvalendosi peraltro delle facolta’ al cui esercizio la pur tardiva trasmissione era preordinata, la relativa nullita’ a regime intermedio, riconducibile al novero di quelle di cui all’articolo 178 c.p.p., lettera c, e’ stata sanata ai sensi dell’articolo 183 c.p.p..
2. L’ordinanza impugnata ha respinto il riesame, negando la restituzione del bene sequestrato, per due, alternative, ragioni: la necessita’ di effettuare accertamenti ai fini di chiarire la sussistenza del reato ipotizzato; l’assenza di legittimazione ad ottenerne la restituzione in capo a (OMISSIS), trattandosi di bene appartenente al patrimonio indisponibile del Comune di Ancona.
3. Con riguardo al primo profilo, in ricorso si lamenta soltanto l’insussistenza del fumus commissi delicti sulla base della ricostruzione operata circa i tempi e le modalita’ con cui l’indagato sarebbe venuto in possesso della statua. L’ordinanza impugnata, tuttavia, pur riconoscendo che detta ricostruzione e’ stata avallata dalla Procura della Repubblica nel distinto procedimento penale aperto per ricettazione ed allo stato conclusosi con provvedimento di archiviazione, osserva che trattasi di ricostruzione non corroborata da oggettivi elementi di prova e che risulterebbe contestata dalle dichiarazioni rese da tali (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente – si legge in ricorso – storico dell’arte locale e autore di una monografia e funzionario addetto all’Assessorato alla cultura del Comune di Ancona. Secondo l’ordinanza, il mantenimento del bene in sequestro sarebbe necessario anche per accertare i profili in questione.
Il ricorrente non si duole specificamente della ritenuta necessita’ del sequestro ai fini di prova nell’ottica da ultimo delineata, ma censura l’assunto del giudice di merito, sostenendo che i testimoni indicati non avrebbero in alcun modo “contestato” la ricostruzione della vicenda sostenuta dall’indagato, essendosi limitati a sostenere che la statua era effettivamente proveniente dal complesso monumentale sopra indicato.
Tale doglianza, tuttavia, attinendo alla logicita’ della motivazione – per travisamento della prova – non puo’ costituire motivo di ricorso per cassazione nella presente fase cautelare, giusta il consolidato principio secondo cui, in forza dell’articolo 325 c.p.p., essendo il ricorso per cassazione ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 251616) ed essendo quindi deducibile soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicita’ manifesta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119), il giudice di legittimita’ non puo’ procedere ad un penetrante vaglio sulla motivazione addotta nel provvedimento impugnato (v. gia’ Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692, secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e’ ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice).
4. Poiche’, pertanto, l’argomentazione di cui si e’ detto e’ sufficiente a giustificare il mantenimento del sequestro probatorio sulla statua e rivela l’infondatezza delle doglianze sulla sussistenza del fumus commissi delicti proposte in ricorso – in quanto basate su una ricostruzione della vicenda che il giudice della cautela reputa non certa, contestata e da verificare – le ulteriori doglianze sull’alternativa ratio decidendi addotta nell’ordinanza impugnata circa il difetto di legittimazione del ricorrente ad ottenere in restituzione il bene sono generiche e vanno ritenute inammissibili.
Ed invero, questa Corte ha ripetutamente affermato il difetto di specificita’, con violazione dell’articolo 581 c.p.p., del ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448; Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, Melis e Bimonte, non massimata) e, sotto altro angolo visuale, negli stessi casi, il difetto di concreto interesse ad impugnare, in quanto l’eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all’accoglimento del ricorso (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Koci, Rv. 254506).
5. Ci si limita soltanto ad osservare – con particolare riguardo al fatto che difetterebbe comunque il fumus commissi delicti, poiche’, in assenza della verifica dell’interesse culturale, la statua non potrebbe ritenersi tutelata ai sensi del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 10, – che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il reato di impossessamento illecito di beni culturali di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 176, non richiede, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l’accertamento del cosiddetto interesse culturale, ne’ che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la “culturalita’” sia desumibile da caratteristiche oggettive del bene (Sez. 2, n. 36111 del 18/07/2014, Medda, Rv. 260366; Sez. 3, n. 24344 del 15/05/2014, Rapisarda, Rv. 259305; Sez. 3, n. 41070 del 07/07/2011, Saccome e a., Rv. 251295). Del resto, “le cose indicate nell’articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non piu’ vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, se mobili…sono sottoposte alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2” (Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 12, comma 1, come modificato dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 175, lettera c, che ha elevato il termine in precedenza fissato in cinquanta anni), vale a dire la verifica della sussistenza di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.
Posto che alla data dell’accertamento del reato, secondo la ricostruzione del Tribunale, sussistevano i requisiti indicati dalla citata disposizione per ritenere, quantomeno a livello di fumus, che la statua sia ex lege da qualificarsi come bene culturale gia’ appartenente al Comune di Ancona – vale a dire l’essere l’opera risalente ad oltre cinquanta anni prima (1934), attribuibile ad artista defunto (lo scultore (OMISSIS)) e donata, appunto al Comune di Ancona – in difetto di verifica della correttezza della ricostruzione circa le modalita’ ed i tempi con cui l’indagato ne sarebbe venuto in possesso non si puo’ allo stato escludere il fumus del contestato reato di cui all’articolo 176, comma 1, del codice dei beni culturali e del paesaggio. Del resto, il reato di impossessamento illecito di beni culturali e’ configurabile anche laddove questi siano stati rinvenuti da persona diversa dall’autore dell’impossessamento (Sez. 3, n. 33977 del 22/06/2010, Bertasi, Rv. 248222), sicche’ e’ imprescindibile il rigoroso accertamento delle effettive modalita’ e dei tempi con cui l’indagato e i suoi danti causa sono venuti in possesso del bene.
La previsione incriminatrice, del resto, riproduce il disposto di cui al Decreto Legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, articolo 125, che, a sua volta, si poneva in linea di continuita’ con la L. 1 giugno 1939, n. 1089, articolo 67, (per quest’ultima affermazione, v. Sez. 3, n. 47922 del 25/11/2003, Petroni, Rv. 226869), sicche’ l’impossessamento di “cose di antichita’ e d’arte, rinvenute fortuitamente” (cosi’ la L. n. 1089 del 1939, articolo 67, comma 1) costituisce da tempo reato.
6. Il ricorso, complessivamente infondato, va pertanto rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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