Interpretazione della domanda

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 ottobre 2021| n. 27573.

In tema d’interpretazione della domanda, il giudice di merito è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa alla luce dei fatti dedotti in giudizio ed a prescindere dalle formule adottate; da ciò consegue che è necessario, a questo fine, tener conto anche delle domande che risultino implicitamente proposte o necessariamente presupposte, in modo da ricostruire il contenuto e l’ampiezza della pretesa secondo criteri logici che permettano di rilevare l’effettiva volontà della parte in relazione alle finalità concretamente perseguite dalla stessa. In particolare, il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere (“petitum” sostanziale), sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante; in particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche un’istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il “petitum” e la “causa petendi” (Nel caso di specie, in cui in sede di gravame la corte territoriale aveva confermato la pronuncia del giudice di prime cure che aveva respinto la domanda proposta dal ricorrente per conseguire la conversione in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, di una serie di contratti a termine stipulati, con gli effetti risarcitori connessi alla nullità del termine apposto, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha in particolare censurato la statuizione di rigetto della domanda di risarcimento del cosiddetto “danno comunitario” in quanto formulata per la prima volta in sede di gravame, nonostante il ricorrente avesse proposto domanda risarcitoria, da parametrare all’ammontare delle retribuzioni rivendicate dalla scadenza dell’ultimo contratto sino alla riammissione in servizio). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile L, sentenza 26 settembre 2011, n. 19630; Cassazione, sezione civile L, sentenza 10 febbraio 2010, n. 3012).

Ordinanza|11 ottobre 2021| n. 27573. Interpretazione della domanda

Data udienza 12 maggio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Società “in house” – Reclutamento del personale – Necessità di seguire il procedimento di evidenza pubblica – Contratti a termine – Esclusione della conversione in contratti a tempo indeterminato – Risarcimento del danno in caso di abusiva reiterazione – Annullamento con rinvio – Domanda giudiziale – Ricostruzione del contenuto e dell’ampiezza della pretesa – Criteri logici

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 4599-2017 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DILLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) – (OMISSIS) S.P.A., in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 721/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 05/08/2016 R.G.N. 1520/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/05/2021 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

Interpretazione della domanda

RILEVATO

CHE:
La Corte d’appello di Palermo confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a volta a conseguire la conversione in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, di una serie di contratti a termine stipulati nel periodo febbraio 2008-maggio 2012, con gli effetti risarcitori connessi alla nullita’ del termine apposto;
il giudice di seconda istanza convalidava l’iter motivazionale che innervava la sentenza impugnata, in estrema sintesi, alla stregua delle seguenti considerazioni:
infondato era l’assunto del ricorrente relativo alla applicabilita’ alla fattispecie della Legge Regionale 5 dicembre 2006, n. 21, articolo 7 secondo cui per l’attuazione e nei limiti del piano industriale dell’ (OMISSIS) non si applicava la L. 26 marzo 2002, n. 2, articolo 33, comma 2 (che cosi’ recita: Ferme restando le disposizioni di cui al Decreto Legge 30 ottobre 1984, n. 726, articolo 3, comma 11, convertito con modificazioni nella L. 19 dicembre 1984, n. 863, e’ fatto divieto, all’ (OMISSIS) e alle aziende collegate, fino alla completa attuazione delle disposizioni del presente articolo, di procedere a nuove assunzioni);
l’articolo 7, infatti, testualmente cosi’ prevedeva:
1. Per l’attuazione e nei limiti del piano industriale dell’ (OMISSIS) non si applica la Legge Regionale 26 marzo 2002, n. 2, articolo 33, comma 2.
2. Nel caso di assunzione di nuovo personale, l’ (OMISSIS) procede nel rispetto del proprio piano industriale e con procedure di evidenza pubblica svolte dalla stessa azienda.
3. Al fine di garantire il regolare esercizio dei servizi affidati, l’ (OMISSIS), nell’ambito del medesimo piano industriale, procede, in sede di prima applicazione della presente legge, alla trasformazione dei vigenti contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato;
detta disposizione aveva introdotto per l’ (OMISSIS) una deroga limitata al divieto di procedere a nuove assunzioni, subordinandola a due requisiti: il rispetto del piano industriale e l’utilizzo di procedure di evidenza pubblica per la selezione dei lavoratori da assumere; in tale prospettiva l’osservanza delle modalita’ di assunzione secondo il procedimento prescritto, si atteggiava quale requisito indefettibile per la realizzazione dell’effetto della conversione del contratto, in coerenza col principio sancito dall’articolo 97 Cost. applicabile anche ad un societa’ di diritto privato a partecipazione pubblica;
la carenza di tale requisito integrava fattore ostativo all’accoglimento della istanza;
del pari inaccoglibile era la domanda di risarcimento del “danno comunitario” perche’ formulata per la prima volta in sede di gravame; il rimedio risarcitorio volto ad assicurare una riparazione onnicomprensiva dei nocumenti derivanti dalla mancata conversione del contratto a termine, presentava, infatti, una ratio del tutto diversa dalla misura dettata dalla L. n. 183 del 2010, articolo 32 che risultava oggetto della domanda formulata in prime cure dal ricorrente con riferimento alle retribuzioni non percepite dalla data di scadenza dell’ultimo contratto fino alla riammissione in servizio;
avverso tale decisione (OMISSIS) interpone ricorso per cassazione affidato a sei motivi;
resiste con controricorso la societa’ intimata.

 

Interpretazione della domanda

CONSIDERATO

CHE:
1. con il primo motivo si denuncia violazione della Legge Regionale Sicilia 26 marzo 2002, n. 2, articolo 33 e della Legge Regionale Sicilia 5 dicembre 2006, n. 21, articolo 7 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
si deduce che la Legge Regionale del 2006, applicabile alla fattispecie ratione temporis (nel gennaio 2006 si era completato il processo di trasformazione della azienda da societa’ di trasporto pubblico in s.p.a. con socio unico la Regione Sicilia ed i contratti a termine si erano protratti dal 2008 al 2012) non aveva reintrodotto alcun blocco delle assunzioni ed aveva espressamente previsto la possibilita’ di convertire i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, in sintonia con il nuovo assetto societario;
2. il secondo motivo prospetta violazione dell’articolo 415, 416 e 112 c.p.c. nonche’ dell’articolo 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
si deduce che gli approdi ai quali e’ pervenuta la Corte di merito sono infondati, giacche’ la conversione del contratto a termine e’ conseguenza della sua nullita’, “mentre attengono ad elementi impeditivi del diritto le circostanze quali il mancato rispetto del piano industriale o la mancata adozione di procedure ad evidenza pubblica” poste dalla Corte d’appello ex officio a fondamento della decisione resa, con statuizione che incorre in vizio di ultrapetizione;
3. con il terzo motivo e’ denunciata violazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articoli 35-36 e degli articoli 1418 e 1419 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si deduce che l’ (OMISSIS) al momento della stipula del primo contratto aveva natura giuridica privata ed in quanto tale era sottratta alla applicazione della normativa speciale istitutiva del divieto di conversione dei contratti a termine sanciti dalle disposizioni del Decreto Legislativo n. 165 del 2001 e della Legge Regionale n. 10 del 2000; quest’ultima, all’articolo 23, ribadiva il divieto di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato per le Pubbliche Amministrazioni e non per gli enti pubblici economici; la Regione Sicilia, recependo la normativa nazionale in materia di divieto di trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, individuava il discrimine nella natura giuridica dell’ente datoriale; nello specifico l’ (OMISSIS) s.p.a. non aveva natura di Pubblica Amministrazione sicche’ non era obbligata ad espletare alcun concorso pubblico per assumere personale;

 

Interpretazione della domanda

4. con il quarto motivo si denuncia violazione della Legge Regionale 26 marzo 2002, n. 2, articolo 233, Legge Regionale 5 dicembre 2006, n. 21, articolo 7 Legge Regionale n. 10 del 2000, articoli 1 e 23, Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articoli 35 e 36, articoli 1418, 1419 e 2325 c.c., Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 27;
si deduce che la (OMISSIS) s.p.a. dal gennaio 2006 era una societa’ di capitali e come tale era soggetta quanto ai rapporti di lavoro dei propri dipendenti alle norme generali di diritto privato; dalla detenzione del capitale sociale da parte della Regione Sicilia, non poteva statuirsi la disapplicazione del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 27.
5. la quinta censura attiene alla violazione degli articoli 41 e 117 Cost., R.Decreto Legge n. 455 del 1946, articolo 14, lettera P. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
si deduce che la Regione Sicilia non aveva alcuna potesta’ di disciplinare i rapporti fra soggetti privati e di impedire la conversione dei contratti di lavoro in caso di somministrazione irregolare; lo statuto regionale conferisce alla assemblea della Regione la legislazione esclusiva in materia di ordinamento degli uffici e degli enti regionali, fra i quali non possono farsi rientrare le societa’ private quali le s.p.a. anche se a totale partecipazione della Regione Siciliana;

 

Interpretazione della domanda

6. i motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono privi di fondamento;
questa Corte ha tracciato la linea ermeneutica da percorrere per la risoluzione della delibata questione inerente alla conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, con riferimento a fattispecie di reclutamento del personale nell’ambito delle societa’ cd. “in house” (vedi Cass. 12/3/2019 n. 7050);
si tratta di pronuncia, correttamente richiamata a fondamento del decisum dai giudici di seconda istanza, specificamente attinente alla domanda di conversione di vari contratti a termine, a progetto e di somministrazione, conclusi con una societa’ a capitale pubblico della regione Abruzzo;

 

Interpretazione della domanda

in tale occasione questa Corte ha congruamente rimarcato che la necessita’ di seguire il procedimento di evidenza pubblica e’ corroborata dal necessario riferimento alla sentenza n. 29/2006 della C.Cost., con la quale e’ stata esclusa l’illegittimita’ costituzionale della Legge Regionale Abruzzo n. 23 del 2004, articolo 7, comma 4, lettera f) ritenendo corretto, specie per le societa’ (cd. in house) a capitale interamente pubblico, l’obbligo del rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte anche agli enti locali per l’assunzione di personale; in essa si legge chiaramente che la disposizione in esame non e’ volta a porre limitazioni alla capacita’ di agire delle persone giuridiche private, bensi’ a dare applicazione al principio di cui all’articolo 97 Cost. rispetto ad una societa’ che, per essere a capitale interamente pubblico, ancorche’ formalmente privata, puo’ essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici;
e’ infatti ormai principio giurisprudenziale consolidato, quello in base al quale fra gli organismi di diritto pubblico possono essere annoverati anche enti soggettivamente connotati dalla forma privatistica che svolgono un servizio pubblico di interesse generale, in quanto la mera forma non puo’, di per se’, essere idonea ad escludere la sostanziale ed oggettiva natura pubblicistica di un ente (vedi Cass. 30/9/2019 n. 24375);
a convalidare i ricordati approdi, sulla base della distinzione fra privatizzazione formale e privatizzazione sostanziale, e dunque con riferimento al suindicato principio, soccorre altresi’ il riconoscimento della legittimita’ della sottoposizione al controllo della Corte dei conti degli enti pubblici trasformati in societa’ per azioni a capitale totalmente pubblico, come nella specie (in tal senso cfr. la successiva giurisprudenza di legittimita’, Cass. sez. un. ord. n. 22409/18 secondo cui detti controlli vanno esercitati sulle societa’ “in house providing”, per la configurazione delle quali e’ necessario sussistano i seguenti requisiti: a) il capitale sociale deve essere integralmente detenuto da uno o piu’ enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi e lo statuto deve vietare la cessione delle partecipazioni a soci privati; b) la societa’ deve esplicare statutariamente la propria attivita’ prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l’eventuale attivita’ accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; c) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici);

 

Interpretazione della domanda

con ulteriori arresti si e’ anche evidenziato che nella Regione Sicilia “l’amministrazione regionale, le aziende ed enti dalla stessa dipendenti o comunque sottoposti a controllo, tutela e vigilanza, gli enti locali territoriali e/o istituzionali, le aziende sanitarie locali, nonche’ gli enti da essi dipendenti e comunque sottoposti a controllo, tutela e vigilanza” (Legge Regionale Sicilia n. 15 del 2004, articolo 49), ossia tutti gli enti pubblici economici e non economici operanti sul territorio regionale, sono tenuti, dopo l’entrata in vigore della Legge Regionale n. 15 del 2004, al rispetto della regola della concorsualita’, qualificata o semplificata, che opera anche per i profili professionali di minore rilievo, (vedi Cass. 12/11/2020 n. 25625);
le statuizioni della pronuncia della Corte di merito oggetto delle formulate censure, si collocano, dunque, nel solco del ricordato orientamento, nel cui ambito vanno valorizzate le pronunce con le quali sono stati richiamati i principi affermati dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 5072/2016), dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 89/2003) e dalla Corte di Giustizia (sentenza 7.9.2006 causa C-53/04 Marrosu e Sardino) per escludere profili di illegittimita’ costituzionale e di contrarieta’ al diritto dell’Unione del divieto di conversione dei contratti a termine;
principi che hanno rinvenuto ulteriore avallo nella piu’ recente giurisprudenza del Giudice delle leggi (Corte Cost. n. 248/2018) e della Corte di Lussemburgo (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C-494/16, Santoro), che hanno riaffermato il principio in base a quale la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE non osta ad una normativa nazionale che vieta la trasformazione del rapporto, purche’ sia prevista altra misura adeguata ed effettiva, finalizzata ad evitare e se del caso a sanzionare il ricorso abusivo alla reiterazione del contratto a termine (vedi Cass. 11/2/2021 n. 3558 in motivazione);
per le ricordate ragioni, la pronuncia impugnata, conforme a diritto per quanto sinora detto, resiste alle censure all’esame;

 

Interpretazione della domanda

6. con il sesto motivo si denuncia violazione degli articoli 112 c.p.c. e del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
si critica la statuizione con la quale il giudice del gravame ha denegato riconoscimento al risarcimento del danno comunitario ritenendo la domanda non ritualmente proposta in primo grado; si osserva in contrario, che la domanda risarcitoria era da reputare implicita nella istanza di conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e comunque sin dal ricorso introduttivo, era stata formulata istanza di condanna della societa’ al risarcimento del danno pari alle retribuzioni non percepite per i periodi non lavorati e dalla data di scadenza dell’ultimo contratto fino alla effettiva ripresa del servizio; in ogni caso si argomenta che l’indennita’ forfetizzata ed onnicomprensiva per i danni causati da nullita’ del termine di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5 si applica d’ufficio anche riguardo al rapporto intercorso con una pubblica amministrazione nella quantificazione del risarcimento del danno Decreto Legislativo n. 165 del 2001, ex articolo 36, comma 5;
7. il motivo e’ fondato e meritevole di accoglimento, entro i termini che si vanno ad esporre;
va infatti rimarcato in via di premessa, che, secondo l’insegnamento di questa Corte al quale va data continuita’, in tema d’interpretazione della domanda, il giudice di merito e’ tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa alla luce dei fatti dedotti in giudizio e a prescindere dalle formule adottate; da cio’ consegue che e’ necessario, a questo fine, tener conto anche delle domande che risultino implicitamente proposte o necessariamente presupposte, in modo da ricostruire il contenuto e l’ampiezza della pretesa secondo criteri logici che permettano di rilevare l’effettiva volonta’ della parte in relazione alle finalita’ concretamente perseguite dalla stessa (vedi Cass. 26/9/2011 n. 19630);
nell’ottica descritta e’ stato congruamente affermato che il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non e’ tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere (petitum sostanziale), si’ come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante; in particolare, il giudice non potendo prescindere dal considerare che anche un’istanza non espressa puo’ ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il “petitum” e la “causa petendi” (vedi Cass. 10/2/2010 n. 3012);

 

Interpretazione della domanda

in tale prospettiva non puo’, allora, sottacersi, che la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria non sia conforme a diritto, non tanto per la prospettata violazione del principio di continenza, quanto per l’omessa applicazione dei summenzionati principi in tema di interpretazione della domanda;
il ricorrente aveva infatti proposto domanda risarcitoria, da parametrare all’ammontare delle retribuzioni rivendicate dalla scadenza dell’ultimo contratto sino alla riammissione in servizio;
si tratta di domanda che non si discosta dal paradigma di riferimento del cd. danno comunitario, come definito dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, comma 5, va interpretata in conformita’ al canone di effettivita’ della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicche’, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, puo’ farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennita’ forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito.” (Cass. S.U. 15/3/2016 n. 5072);

 

Interpretazione della domanda

poiche’ la conversione e’ impedita dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36 attuativo del precetto costituzionale dettato dall’articolo 97 Cost., il danno risarcibile, derivante dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A, consiste di norma nella perdita di chance di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’articolo 1223 c.c.; peraltro, poiche’ la prova di detto danno non sempre e’ agevole, e’ necessario fare ricorso ad un’interpretazione orientata alla compatibilita’ comunitaria, che secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia richiede un’adeguata reazione dell’ordinamento volta ad assicurare effettivita’ alla tutela del lavoratore, si’ che quest’ultimo non sia gravato da un onere probatorio difficile da assolvere;

 

Interpretazione della domanda

si tratta di principi che hanno rinvenuto ulteriore conforto da piu’ recenti approdi della Corte di Lussemburgo che, chiamata a pronunciare sulla conformita’ al diritto dell’Unione, del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36 come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, ha evidenziato che “la clausola 5 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennita’ volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensi’, dall’altro, prevede la concessione di un’indennita’ compresa tra 2,5 e 12 mensilita’ dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilita’, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno” anche facendo ricorso, quanto alla prova, a presunzioni (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C – 494/16 Santoro); i richiamati dicta rinvengono una applicazione generalizzata, anche nei casi in cui la conversione non possa operare in presenza di una norma di legge speciale che, anche a prescindere dall’applicabilita’ della disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, impedisca, direttamente o indirettamente, la conversione (cfr. Cass. nn. 5229 e 6413 del 2017; Cass. n. 23945/2018; Cass. 12876/2010), in quanto il divieto discende sempre dalla natura sostanzialmente pubblica del datore;

 

Interpretazione della domanda

le norme di diritto interno vanno dunque, e conclusivamente, interpretate in modo da assicurare il rispetto dell’articolo 97 Cost., ma salvaguardando al contempo il canone di effettivita’ della tutela, come affermato dalla Corte di Giustizia UE nell’ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13 e ribadito nelle successive pronunce (vedi Cass. 12/11/2020 n. 25625), senza trascurare che il sistema di tutele cosi’ definito dalle disposizioni richiamate risponde al principio – di recente ribadito da questa Corte – alla cui stregua l’abusiva reiterazione di contratti a termine con il medesimo lavoratore in quanto produttiva di una situazione di incertezza sulla stabilita’ occupazionale, definito danno cd. da precarizzazione, lede la dignita’ della persona, quale diritto inviolabile, di cui e’ proiezione anche il diritto al lavoro in quanto tale, riconosciuto nel diritto interno dagli articoli 2 e 4 Cost., e nel diritto Eurounitario dagli articoli 1 e 15 della cd. Carta di Nizza (cfr. Cass. 9/6/2020 n. 10999);
in definitiva, alla luce delle argomentazioni sinora esposte, assorbenti di ogni formulata doglianza, il ricorso va accolto limitatamente a tale ultimo motivo con rinvio alla Corte designata in parte dispositiva la quale, nello scrutinare la vicenda delibata, si atterra’ ai principi innanzi enunciati, provvedendo anche al governo delle spese inerenti al presente giudizio di legittimita’.

 

Interpretazione della domanda

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi cinque motivi di ricorso, accoglie il sesto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

 

Interpretazione della domanda

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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