Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 gennaio 2025| n. 353.
Interpretazione contrattuale ed i limiti in Cassazione
Massima: L’interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per erronea o insufficiente motivazione, ovvero per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, la quale deve dedursi con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia discostato dai suddetti canoni; altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si traduce nella mera proposta di un’interpretazione diversa da quella censurata, come tale inammissibile in sede di legittimità. (Nella specie, in applicazione di detto principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con cui – in una causa di risarcimento danni per inadempimento delle obbligazioni assunte da un professionista incaricato dell’isolamento termico di un edificio – si censurava l’interpretazione della Corte territoriale, che aveva escluso la natura novativa degli accordi conclusi tra le parti per l’eliminazione dei vizi, perché tale critica non si era articolata attraverso la prospettazione di un’obiettiva contrarietà al senso comune di quello attribuito al testo e al comportamento interpretato o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto, bensì mediante la mera indicazione dei motivi per cui la lettura interpretativa criticata non era ritenuta condivisibile, rispetto a quella considerata preferibile).
Ordinanza|8 gennaio 2025| n. 353. Interpretazione contrattuale ed i limiti in Cassazione
Integrale
Tag/parola chiave: Contratti in genere – Interpretazione – Accertamento del giudice di merito – Incensurabilita’ in cassazione questione relativa all’erronea interpretazione di clausole contrattuali – Ammissibilità – Limiti – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliera
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25418/2022 proposto da
Ro.Lu., rappresentato e difeso dall’avv. MA.BU. (Omissis);
– ricorrente –
contro
Ro.Fa. e Fe.Da., rappresentati e difesi dagli avv.ti AL.GA. (Omissis) e AN.PA. (Omissis);
– controricorrenti –
e
Ll. S.A., in persona del procuratore speciale del Rappresentante per l’Italia di Ll. s.a., rappresentata e difesa dall’avv. GI.FA. (Omissis);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1694/2022 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, depositata il 19/7/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2024 dal Consigliere dott. MARCO DELL’UTRI;
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RITENUTO CHE
con sentenza resa in data 19/7/2022, la Corte d’Appello di Venezia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato Ro.Lu. al risarcimento dei danni subiti da Ro.Fa. e Fe.Da. in conseguenza dell’inadempimento, da parte del Ro.Lu., delle obbligazioni concernenti le prestazioni di progettista e direttore dei lavori dallo stesso contratte nei confronti degli attori; inadempimento nella specie manifestatosi in conseguenza dell’emersione, a carico dell’immobile degli attori, di vizi e difformità rispetto al progetto iniziale;
con la stessa sentenza, la corte territoriale ha rigettato la domanda proposta dal Ro.Lu. al fine di essere manlevato dalla Ll. S.A. nel pagamento degli importi eventualmente dovuti a titolo risarcitorio in favore delle controparti;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come il Ro.Lu. dovesse ritenersi responsabili di tutti i vizi e le difformità presenti nell’immobile degli attori, avendo lo stesso costantemente conservato il ruolo primario di direttore dei lavori, con il conseguente impegno, nella specie disatteso, di controllare e verificare la bontà delle prestazioni professionali svolte anche da altri professionisti e, segnatamente, nella specie, dall’ing. Si., infondatamente indicato dal Ro.Lu. come unico responsabile dei vizi e dei difetti denunciati dagli attori; circostanza, peraltro, confermata da quanto emerso a seguito delle perizie che avevano verificato la responsabilità del Ro.Lu. in ordine alle scelte tecniche nella specie concretamente assunte;
ciò posto, escluso che l’accordo nelle more intercorso tra le parti potesse interpretarsi nel senso di aver definitivamente definito ogni ulteriore controversia tra le parti, la corte territoriale ha determinato gli importi dovuti dal Ro.Lu. in favore degli attori, sulla base delle indicazioni fatte proprie nella c.t.u. disposta nel corso del giudizio;
quanto alla domanda di manleva proposta nei confronti di Ll. S.A., la corte territoriale ha evidenziato come il Ro.Lu. avesse colpevolmente omesso di informare la compagnia assicuratrice delle contestazioni già ricevute dagli odierni controricorrenti prima della conclusione del contratto di assicurazione, in tal modo rendendo inefficace la polizza conclusa in conformità a quanto previsto dalle condizioni generali di assicurazione convenute tra le parti;
avverso la sentenza d’appello, Ro.Lu. propone ricorso per cassazione sulla base di otto motivi d’impugnazione;
Ro.Fa. e Fe.Da., da un lato, e Ll. S.A., dall’altro, resistono ciascuno con un proprio controricorso;
Ro.Lu., Ro.Fa. e Fe.Da. e Ll. S.A. hanno depositato memoria;
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CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente interpretato gli elementi di prova complessivamente acquisiti al
giudizio, dai quali era emerso l’affidamento dell’incarico di progettazione e di direzione dei lavori, con particolare riguardo all’isolamento termico dell’edificio degli attori, all’ing. Si., il quale aveva dunque affiancato il Ro.Lu. nell’assunzione delle funzioni di progettazione e di direzione dei lavori con specifico riguardo a quelle parti dell’intervento edilizio e del fabbricato cui si riferivano i vizi e i difetti denunciati dagli attori, con la conseguenza che la responsabilità per tali vizi e difetti doveva essere ascritta integralmente al solo Si.;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione della censura in esame, il ricorrente si sia limitato a prospettare una diversa lettura degli elementi di prova offerti dalle parti e della stessa consulenza tecnica d’ufficio, invocando una diversa ricostruzione dei fatti di causa e delle prove, secondo una prospettiva critica non consentita in questa sede;
in particolare, sostiene il ricorrente come, dall’esame degli elementi di prova acquisiti al giudizio, fosse emersa una paritaria posizione gerarchica nella direzione dei lavori tra il Si. e il Ro.Lu. (posizioni tra loro distinguibili solo per la diversità degli ambiti di competenza), là dove, al contrario, la corte territoriale ha attribuito all’odierno ricorrente una posizione di preminenza sul Si., cui avrebbe dovuto corrispondere un preciso dovere di controllo e di verifica del primo sul secondo (cfr. pagg. 15-16 della sentenza impugnata), con la conseguente responsabilità del Ro.Lu. anche sulle mancanze o gli errori imputabili al Si.;
ciò posto, è agevole riscontrare come la censura in esame, nel contrapporre una propria ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta propria dal giudice a quo, si traduca, con evidenza, in una doglianza avente ad oggetto un vizio di motivazione, e non già un vizio di violazione di legge (come, viceversa, si paventa), giacché la pretesa violazione dell’art. 115 c.p.c. in nessun caso può tradursi nella critica del modo attraverso il quale il giudice di merito ha letto e interpretato le fonti di prova emerse dal dibattito processuale;
ne deriva l’inammissibilità della censura, per l’impossibilità della prospettazione di una simile impostazione critica in questa sede di legittimità;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1218, 1228 e 2232 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente riconosciuto la responsabilità del Ro.Lu. per non aver controllato adeguatamente l’operato del Si., ritenendo erroneamente che l’odierno ricorrente avesse contrattualmente assunto tale compito di preminenza, di per sé suscettibile di giustificare l’esercizio di tali prerogative sull’altro direttore dei lavori, con la conseguenza che solo a quest’ultimo doveva essere attribuito ogni responsabilità nel settore dei lavori di sua competenza;
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il motivo è inammissibile;
anche in relazione alla censura in esame il ricorrente prospetta una diversa lettura degli elementi di prova offerti dalle parti e della stessa consulenza tecnica d’ufficio, invocando una diversa ricostruzione dei fatti di cause e delle prove, secondo una prospettiva critica non consentita in questa sede;
in particolare, il ricorrente sostiene che dall’esame degli elementi di prova sia emersa una paritaria posizione di direzione dei lavori del Si. e del Ro.Lu., tra loro distinguibili per diversi ambiti di competenza, là dove, al contrario, la corte territoriale ha attribuito all’odierno ricorrente una posizione di preminenza sul Si., cui avrebbe dovuto corrispondere un preciso dovere di controllo e di verifica del primo sul secondo (cfr. pagg. 15-16 della sentenza impugnata), con la conseguente responsabilità del Ro.Lu. anche sulle mancanze o gli errori imputabili al Si.;
ancora una volta, il ricorrente contrappone una propria ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta propria dal giudice a quo si tratta, con evidenza, di una censura avente come oggetto un vizio di motivazione e non già un vizio di violazione di legge (come si paventa), giacché la pretesa violazione delle norme di legge richiamate dal ricorrente in nessun caso può tradursi nella critica del modo attraverso il quale il giudice di merito ha letto e interpretato le fonti di prova emerse dal dibattito processuale;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1965, 1966, 1976 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che gli accordi conclusi tra le parti per l’eliminazione dei vizi consistenti nella formazione di muffe (tramite l’esecuzione di un intervento di maggiore isolamento del fabbricato) non avesse assunto natura novativa, giacché le parti non avevano disciplinato un nuovo contenuto negoziale sostitutivo del precedente e non avesse quindi comportato in alcun modo l’estinzione dell’azione esercitata in giudizio dai committenti, laddove, al contrario, detto accordo aveva assunto una piena natura transattiva;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione della censura in esame, l’odierno istante intenda rileggere interpretativamente gli accordi conclusi tra le parti (così come richiamati in ricorso) alla stregua di una transazione avente carattere novativo o, comunque, avente natura tale da assorbire la possibilità, per i committenti, di agire in giudizio per l’accertamento dell’inadempimento del Ro.Lu. e per il conseguente risarcimento del danno;
dal suo canto, la corte territoriale ha espressamente sottolineato come il Ro.Lu. avesse piuttosto “convenuto in questo accordo l’impegno a migliorare l’isolamento della parte del sottotetto adiacente la gronda e non può certo attribuirsi carattere novativo proprio perché le parti non hanno disciplinato un nuovo contenuto negoziale che sostituisse il precedente, ma hanno semplicemente dato atto della presenza di vizi sull’isolamento, individuando una possibile soluzione” (cfr. pag. 16 della sentenza d’appello);
ferme tali premesse, varrà considerare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.;
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in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);
nel caso di specie, l’odierno ricorrente si è limitato ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, il preteso tradimento, da parte dei giudici di merito, della volontà delle parti, nonché la scorrettezza dell’interpretazione complessiva attribuita ai termini dell’atto negoziale in violazione del principio della ragionevole estensione dell’indicazione esemplificativa (ex art. 1365 c.c.) e dei canoni interpretativi della buona fede (art. 1366 c.c.), orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito ai testi e ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto, bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex art. 360, n. 3, c.p.c.) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito;
sul punto, è appena il caso di rilevare come la corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione delle dichiarazioni negoziali in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, né spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà (sulla base di un’ipotetica lettura macroscopicamente contraria ai canoni della buona fede o della convenienza oggettiva), per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, e del tutto scevro da residue incertezze;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., nonché degli artt. 1218 e 1223 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di scorporare, dal complessivo importo indicato dal consulente tecnico quale costo di eliminazione del ponte termico in gronda e di ripristino delle tinteggiature, i costi che i committenti avrebbero dovuto comunque affrontare qualora l’intervento di isolamento fosse stato eseguito durante i lavori di ristrutturazione;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, a fronte della contestazione in sede d’appello, del mancato scorporo, dall’importo per l’eliminazione dei vizi, dei costi che i committenti avrebbero dovunque comunque affrontare, la Corte d’Appello si è limitata ad affermare “La statuizione in ordine alle spese per l’eliminazione dei vizi e difetti presenti nell’esecuzione delle opere è stata correttamente indicata dal CTU, il quale ha fatto riferimento agli ordinari prezzi di mercato. Quest’ultimo ha, inoltre, escluso qualsivoglia sovrastima dei costi per gli interventi edilizi e per le prestazioni professionali, i quali sono stati correttamente valutati secondo i valori di mercato. Le contestazioni che l’appellante ha effettuato palesando una sovrastima sono del tutto ultronee e non trovano fondamento, mancando del tutto la prova del loro sovraprezzo e come tali devono essere respinte” (cfr. pag. 17);
ciò posto, varrà considerare come, a fronte di una motivazione così compendiata, la contestazione del ricorrente avrebbe dovuto riguardare, non già la denuncia di una pretesa violazione di legge (non essendo emersa alcuna violazione della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate), bensì l’eventuale ricorso di un difetto di motivazione o dell’omesso esame di fatti decisivi controversi viceversa, nella misura in cui si contesta, non già l’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate, bensì l’errata ricognizione della fattispecie concreta mediata da una contestata valutazione degli elementi istruttori acquisiti al giudizio, dev’essere esclusa l’ammissibilità della censura in esame, sì come limitata alla mera contestazione di vizio formale di violazione di legge;
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con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’omesso esame e all’omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente, o comunque omessa, in relazione al punto concernente la mancata considerazione, ai fini della determinazione del danno, dello scorporo dei costi che i committenti avrebbero comunque dovuto affrontare all’epoca della ristrutturazione;
il motivo è fondato;
osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c., il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum;
infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;
in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);
in altre parole, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli un’obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020, Rv. 656925 – 02);
nel caso di specie, varrà rilevare come, a fronte della contestazione relativa a mancato scorporo, dal computo dei danni, dei costi che i committenti avrebbero comunque dovuto affrontare in sede di esecuzione dei lavori, la corte territoriale si sia laconicamente limitata ad escludere alcun sovrapprezzo o sovrastima dei costi stessi (“La statuizione in ordine alle spese per l’eliminazione dei vizi e difetti presenti nell’esecuzione delle opere è stata correttamente indicata dal CTU, il quale ha fatto riferimento agli ordinari prezzi di mercato. Quest’ultimo ha, inoltre, escluso qualsivoglia sovrastima dei costi per gli interventi edilizi e per le prestazioni professionali, i quali sono stati correttamente valutati secondo i valori di mercato. Le contestazioni che l’appellante ha effettuato palesando una sovrastima sono del tutto ultronee e non trovano fondamento, mancando del tutto la prova del loro sovraprezzo e come tali devono essere respinte” cfr. pag. 17);
ritiene il Collegio che un simile, elementare, sviluppo argomentativo non permetta in alcun modo di ricostruirne e comprenderne agevolmente l’effettivo percorso logico seguito al fine di escludere lo scorporo dei costi che i committenti avrebbero comunque dovuto affrontare all’epoca della ristrutturazione;
l’insufficiente iter argomentativo compendiato sul punto dal giudice a quo non è, pertanto, valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, risultando, come tale, inidoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1892 e 1893 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto insussistente la copertura assicurativa promessa dalla compagnia chiamata in giudizio sul presupposto della mancata comunicazione a quest’ultima delle contestazioni avanzate dai committenti in relazione alla vicenda oggetto dell’odierno giudizio, senza tener conto della circostanza costituita dall’avvenuta conclusione, prima della stipulazione del contratto di assicurazione, della transazione tra le parti del giudizio, con la conseguente insussistenza di alcun dolo o colpa grave del Ro.Lu. nel considerare del tutto prive di rilievo dette contestazioni, ritenute integralmente superate dalla previa conclusione degli accordi transattivi intercorsi tra le parti;
ciò posto, la corte territoriale avrebbe erroneamente trascurato di considerare come la compagnia assicuratrice avversaria non avesse esercitato alcuna delle facoltà alla stessa accordate dalla legge per l’annullamento del contratto o per il recesso dallo stesso, una volta venuta a conoscenza della richiesta risarcitoria formulata nei confronti del Ro.Lu.; richiesta risarcitoria del tutto incolpevolmente (o, al più, per sola colpa lieve) sottaciuta alla compagnia assicuratrice prima della conclusione del contratto di assicurazione;
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il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come il ricorrente abbia prospettato il motivo in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;
sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);
nella specie, la corte territoriale ha ritenuto che l’avvenuta mancata comunicazione, da parte del ricorrente, alla compagnia assicuratrice prima della conclusione del contratto di assicurazione, delle contestazioni allo stesso ricorrente rivolte dai committenti Ro.Fa.-Fe.Da., avesse integrato gli estremi di un fatto idoneo a escludere l’operatività della copertura assicurativa secondo quanto previsto dalle condizioni generali di assicurazione convenute tra le parti (“la domanda di manleva formulata nei confronti della compagnia assicurativa deve essere respinta, in quanto secondo le condizioni generali di assicurazione, la polizza deve ritenersi operativa lì dove l’assicurato denunzi il sinistro nel corso del periodo di efficacia della polizza di fatti precedenti, purché quest’ultimo ne abbia conoscenza o che comunque per essi non abbia già ricevuto reclamo. Tutte queste circostanze non state tenute nella dovuta considerazione dall’assicurato, proprio per difetto di informativa nei confronti della compagnia di assicurazione, la quale in ogni caso doveva essere informata della contestazione delle opere professionali svolte all’assicurato e della presenza di un accordo transattivo. Conseguentemente non può darsi luogo alla manleva richiesta proprio per difetto di comunicazione nei confronti dell’assicurazione, la quale doveva essere posta in condizione di controllare i fatti oggetto di contestazione da parte dei committenti” cfr. pagg. 17-18 della sentenza impugnata);
in questa sede, viceversa, il Ro.Lu. (del tutto trascurando tale decisiva argomentazione, omettendo di criticarla o di contestarla), ha viceversa limitato la propria argomentazione critica al tema della gravità della colpa del contraente e alle conseguenti misure esercitabili dall’assicuratore a norma del codice civile;
ciò posto, non avendo il ricorrente individuato le ragioni effettive della (pretesa) erroneità della sentenza impugnata, e non essendosi conseguentemente confrontato con i termini della decisione impugnata, il motivo in esame deve ritenersi di per sé inammissibile;
con il settimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione degli artt. 1892 e 1893 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale, indipendentemente da quanto esposto nel precedente motivo d’impugnazione, respinto la domanda di rivalsa nei confronti della compagnia assicuratrice avversaria anche in relazione a vizi e difformità dell’opera contestati all’odierno ricorrente per la prima volta dopo la stipulazione della polizza, da ritenersi fatti del tutto estranei all’eccezione di inoperatività della copertura sollevata dall’assicuratore;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come dalla lettura del testo della sentenza d’appello non emerga in nessun luogo l’avvenuta contestazione, da parte dell’odierno ricorrente (allora appellante), del rigetto della domanda di manleva pronunciato dal giudice di primo grado in relazione al particolare aspetto concernente i vizi e le difformità contestati successivamente alla stipulazione della polizza;
al riguardo, varrà considerare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di puntuale e completa allegazione del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. ex plurimis, Sez. 2 – , Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018, Rv. 649332 – 01);
il mancato assolvimento, da parte del ricorrente, degli indicati oneri di allegazione e produzione, comporta l’inevitabile rilievo dell’inammissibilità della censura per novità della questione;
con l’ottavo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 92 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente condannato l’odierno ricorrente al rimborso, in favore di entrambe le controparti, delle spese relative a tutti i gradi e le fasi del giudizio di merito, senza tener conto delle circostanze (analiticamente richiamate in ricorso) che avrebbero certamente giustificato il riconoscimento dell’integrale compensazione delle spese di lite;
l’accoglimento del quinto motivo di ricorso comporta l’assorbimento della rilevanza della censura in esame;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del quinto motivo, l’inammissibilità di tutti i restanti e l’assorbimento dell’ottavo motivo, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
Interpretazione contrattuale ed i limiti in Cassazione
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo; dichiara inammissibili i restanti; dichiara assorbito l’ottavo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 22 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria l’8 gennaio 2025.
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