Interdizione temporanea dai pubblici uffici

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|28 ottobre 2021| n. 39004.

Interdizione temporanea dai pubblici uffici.

L’esecuzione della pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici non decorre, in via automatica, dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ma richiede un atto di impulso del pubblico ministero ai sensi dell’art. 662 cod. proc. pen., in quanto l’astensione dal compimento delle attività inibite non può essere rimessa alla sola iniziativa del condannato.

Sentenza|28 ottobre 2021| n. 39004. Interdizione temporanea dai pubblici uffici

Data udienza 6 ottobre 2021

Integrale

Tag – parola: Esecuzione – Reati ex artt. 81, 629 e 609 bis, c.p. – Sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici – Durata – Sanzione non estinta – Esecuzione delle pene accessorie – Disciplina – Art. 662 c.p.p.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. MANCUSO Luigi F. A. – Consigliere

Dott. BONI Monica – rel. Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

Dott. GUERRA Mariaemanuela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 10/03/2021 della CORTE APPELLO di CAGLIARI;
udita la relazione svolta dal Consigliere MONICA BONI;
lette le conclusioni del PG BALDI Fulvio che ha chiesto l’annullamento con invio dell’ordinanza.

Interdizione temporanea dai pubblici uffici

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 10 marzo 2021 la Corte di appello di Cagliari, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, accoglieva parzialmente la richiesta avanza da (OMISSIS), giudicato con sentenza della medesima Corte dell’1 luglio 2013, irrevocabile 11 luglio 2014, e condannato alla pena complessiva di anni cinque e mesi quattro di reclusione per i delitti di cui agli articoli 81 cpv., 629 e 609 bis c.p., e, per l’effetto, revocava la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici e la sostituiva con l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque ai sensi dell’articolo 29 c.p.. Respingeva, invece, la richiesta volta ad ottenere la declaratoria di estinzione della predetta sanzione perche’ gia’ espiata per decorso del lasso di tempo di anni cinque dalla irrevocabilita’ della sentenza di condanna.
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS) per il tramite del difensore, avv.to (OMISSIS), il quale ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato in quanto inficiato da erronea applicazione della legge processuale penale e da illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione. Secondo il ricorrente, gli arresti giurisprudenziali citati nell’ordinanza non consentono che l’esecuzione della pena accessoria avvenga senza atti di iniziativa del Pubblico Ministero, che nel caso non ricorrono. In realta’, poiche’ l’imputato non e’ pubblico dipendente, ma esercita una libera professione, i riferimenti operati dalla Corte di appello non sono pertinenti perche’ la condanna a pena detentiva superiore a cinque anni ha comportato in perpetuo ed ipso iure lo status irreversibile di soggetto impossibilitato ad esercitare pubblici uffici. Pertanto, ritenere che l’esecuzione della pena accessoria non sia mai iniziata costituisce una assurdita’ giuridica e morale; al contrario, deve constatarsi che qualunque forma di interdizione, che sia da un’arte, da una professione, dalla capacita’ di contrattare con la pubblica amministrazione o anche, piu’ semplicemente, dal porre in essere atti giuridicamente rilevanti, non puo’ dipendere nella sua concreta attuazione dall’attivita’ del P.M., in quanto operante giuridicamente con la decisione definitiva che la dispone.
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Dott. BALDI Fulvio, ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata per la fondatezza del motivo col quale il ricorrente ha dedotto la violazione di legge nella parte in cui e’ stata disposta l’applicazione della pena “accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici in assenza di richiesta da parte del pubblico ministero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato e non merita, dunque, accoglimento.
1. In via preliminare si ritiene opportuno focalizzare l’attenzione sull’esatta formulazione della domanda che il condannato aveva rivolto al giudice dell’esecuzione.
1.1. Sul presupposto della riportata condanna irrevocabile alla pena complessiva di anni cinque e mesi quattro di reclusione per i reati di cui agli articolo 629 c.p., e articolo 609 bis c.p., – frutto dell’unificazione per continuazione tra il reato di maggiore gravita’, quello di cui all’articolo 629 c.p., punito con pena di anni tre e mesi sei di reclusione, e di quello ulteriore di cui all’articolo 609 bis c.p., sanzionato con anni uno e mesi dieci di reclusione- aveva dedotto l’illegalita’ della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, disposta con la sentenza di condanna gia’ passata in giudicato, perche’ non giustificata dall’entita’ delle pene inflitte per ciascuno dei reati confluiti in quello unico continuato, inferiori ad anni cinque. Aveva dunque sollecitato l’intervento correttivo del giudice dell’esecuzione con la “conseguente rideterminazione della stessa entro i parametri stabiliti dall’articolo 29 c.p., comma 1, riportandola alla durata massima di anni cinque, ad oggi peraltro abbondantemente decorsi, essendo intervenuto il giudicato penale in data 01.07.2014, di tal che deve esserne altresi’ dichiarata l’estinzione”.
1.2. L’istanza era quindi finalizzata ad ottenere la sostituzione della pena accessoria illegale con quella prevista per legge dall’articolo 29 c.p., comma 1, per conseguire poi la declaratoria di estinzione per gia’ avvenuto decorso del periodo di cinque anni a far data dalla formazione del giudicato di condanna, ossia dall’1 luglio 2014.
2 Tanto premesso, contrariamente a quanto ritenuto dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, la doglianza formulata in ricorso non addebita al giudice dell’esecuzione di avere provveduto all’applicazione d’ufficio della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici in assenza di istanze del pubblico ministero, quanto di avere omesso di riscontrarne la gia’ avvenuta espiazione per il decorso di un lasso di tempo pari alla sua durata, decorrente dalla sentenza irrevocabile di condanna. L’assunto difensivo muove dalla considerazione in punto di diritto, per la quale nei confronti di soggetti condannati che non siano pubblici dipendenti l’esecuzione della sanzione complementare di cui all’articolo 29 c.p., non richiede un’attivazione del pubblico ministero in funzione attuativa del giudicato “in quanto operante giuridicamente in stretta interconnessione con la decisione definitiva che la consacra” (pag. 2 del ricorso), nell’intervallo di tempo fra la data di irrevocabilita’ della pronuncia e quella del compimento del periodo previsto dalla legge.
3. Osserva il Collegio che l’interdizione dai pubblici uffici, prevista dall’articolo 29 c.p., e’ stata applicata in danno di (OMISSIS) quale effetto penale della sua condanna alla reclusione per un periodo di tempo non inferiore a tre anni.
3.1 La tesi sostenuta in ricorso intende far coincidere, ai fini della sottoposizione del condannato a pena accessoria interdettiva temporanea, l’esecutivita’ della condanna, ossia la suscettibilita’ del comando giudiziale di dare luogo all’attuazione concreta della potesta’ punitiva dello Stato nei riguardi dell’imputato giudicato responsabile, che si realizza al momento del passaggio in giudicato della pronuncia, e la sua effettiva esecuzione, intesa quale applicazione pratica della statuizione che ha stabilito e dosato la punizione del reo. Per il compimento di ultima tale attivita’ l’ordinamento giuridico all’articolo 650 c.p.p., stabilisce un termine iniziale coincidente con il momento di acquisita irrevocabilita’ del titolo di condanna, prescrivendo “salvo che sia diversamente stabilito, le sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili”, ma non prevede un termine finale, entro e non oltre il quale l’esecuzione della pena debba avere attuazione. Soltanto in riferimento alle sanzioni principali l’onere di procedere ad esecuzione e’ soggetto al rispetto di un termine, coincidente con quello di prescrizione, previsto dall’articolo 172 c.p., nel senso che la sottoposizione del condannato alla pena potra’ avvenire in qualsiasi momento dalla formazione del giudicato sino a che la stessa non sia estinta per l’inutile decorso del lasso di tempo previsto dalla legge. Ma analoga disciplina non e’ prevista in riferimento alle pene conseguenti a quelle principali, che, in quanto effetto penale della condanna ai sensi dell’articolo 20 c.p., non sono soggette a prescrizione (Cass. sez. 6, n. 18256 del 25/02/2015, Zelli e altri, rv. 263280; sez. 6, n. 1567 del 01/07/1969, Grigoletto, rv. 113091) nel difetto di qualsiasi previsione normativa che stabilisca espressamente un regime parallelo a quello cui soggiaciono le pene principali.
3.2 L’assunto difensivo sollecita una revisione dell’orientamento giurisprudenziale, per il quale l’esecuzione delle pene accessorie non e’ soggetta a termini decadenziali, ne’ di prescrizione e nemmeno all’obbligatoria iniziativa del pubblico ministero, ma prescinde da una seria disamina del quadro normativo di riferimento.
3.2.1. L’unica norma processuale dedicata all’esecuzione delle pene accessorie e’ l’articolo 662 c.p.p., che detta la seguente disposizione generale: “per l’esecuzione delle pene accessorie il pubblico ministero, fuori dai casi previsti dagli articolo 32 c.p., e articolo 34 c.p., trasmette l’estratto della sentenza di condanna agli organi della polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, e, occorrendo, agli altri organi interessati, indicando le pene accessorie da eseguire. Nei casi previsti dagli articolo 32 c.p., e articolo 34 c.p., il pubblico ministero trasmette l’estratto della sentenza al giudice civile competente”. La disciplina processuale si presenta minima ed essenziale, cosi’ come sono poche le pronunce di questa Corte che si sono occupate del tema, il che da’ luogo a non poche difficolta’ esegetiche.
In linea di principio, e contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, in base al testo letterale della norma puo’ escludersi che l’esecuzione delle sanzioni accessorie avvenga in modo automatico e privo di qualsiasi impulso da parte dell’organo giurisdizionale a cio’ preposto, essendo vero esattamente il contrario. Per quanto l’articolo 662 c.p.p., non imponga forme tipiche e cogenti per la trasmissione dell’estratto della sentenza di condanna, ne’ stabilisca il momento nel quale si deve dare attuazione alle predette sanzioni, tuttavia pretende che anche la relativa espiazione riceva impulso dall’attivazione del pubblico ministero, che, pero’, non e’ sempre indefettibile. L’iniziativa del pubblico ministero, a prescindere dalle modalita’ concrete con le quali venga adottata, e’ funzionale a consentire a quanti siano coinvolti nell’esecuzione -forze dell’ordine, pubbliche amministrazioni, enti privati interessati- di avere conoscenza del titolo esecutivo, del suo contenuto, delle prescrizioni inerenti la pena ulteriore rispetto a quella principale. Puo’ accadere, pero’, che nessuna di queste autorita’ sia coinvolta, sicche’ non vi e’ necessita’ per il pubblico ministero di attivarsi a fini esecutivi e cio’ si verifica quando la sanzione accessoria consista nell’interdizione dal compimento di attivita’, rimesse alla volonta’ del condannato senza che altri organismi o autorita’ debbano intervenire.
3.2.2. Questa Corte con pronuncia risalente, ma mai contraddetta in seguito, ha affermato che la comunicazione da parte del pubblico ministero procedente dell’estratto della sentenza di condanna non costituisce adempimento imprescindibile per determinare la soggezione del condannato alla punizione accessoria, potendo rivelarsi superfluo nei casi in cui l’operativita’ della sanzione discenda dalla sua diretta conoscenza da parte del condannato senza sia necessario un intervento attuativo da parte di organi esterni, ne’ di altre pubbliche autorita’ (Sez. 5, n. 582 del 11/07/2000, Bosia, rv. 218828 in tema di divieto di emissione di assegni).
3.3 Il Collegio non intende censurare tale orientamento, ma ritiene necessario focalizzare l’attenzione sulla specifica natura giuridica dell’interdizione dai pubblici uffici. La, tesi difensiva, che la definisce plasticamente “una marchiatura a fuoco”, tale da determinare “l’impossibilita’ concreta e non solo astratta di esercitare pubblici uffici” (pag. 2 del ricorso) ed i cui effetti inibenti conseguirebbero ipso iure dall’irrevocabilita’ della condanna, pare ignorare il chiaro contenuto dell’articolo 28 c.p., e l’incidenza limitativa prodotta dall’interdizione, tanto perpetua che temporanea, su una pluralita’ di situazioni giuridiche soggettive, di cui il condannato e’ gia’ titolare o che potrebbe acquisire in un momento futuro. L’elencazione dell’articolo 28 c.p., priva costui di: diritto di elettorato attivo e passivo in qualsiasi comizio elettorale, nonche’ di ogni altro diritto politico; ogni pubblico ufficio o incarico di pubblico servizio, purche’ non obbligatorio, e relativa qualita’ di pubblico ufficiale; uffici di tutore e curatore e di ogni altro ufficio riguardante la tutela e la cura; gradi e dignita’ accademiche, titoli, decorazioni e pubbliche insegne onorifiche; stipendi pensioni ed assegni che siano a carico dello Stato o di altri enti pubblici; ogni altro diritto onorifico inerente a qualunque ufficio, servizio, grado o titolo e qualita’, dignita’ e decorazioni indicati in precedenza; capacita’ di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualita’, grado, dignita’, decorazione e insegna onorifica indicati in precedenza. Le uniche eccezioni sono state introdotte per effetti di due interventi demolitori della Corte costituzionale (sentenze n. 3 del 13 gennaio 1966 e n. 13 del 19 luglio 1968) in riferimento alle situazioni soggettive derivanti da rapporto’ di lavoro ed inerenti a pensioni di guerra.
E’, dunque, testuale nel dettato normativo la previsione dell’incidenza della pena accessoria sulla capacita’ giuridica del condannato con riferimento, sia ad uffici, servizi, diritti e funzioni che ricopre ed esercita al momento della pronuncia di condanna, sia a quelli che potrebbe assumere nel periodo di durata della sanzione. In questa prospettiva non puo’ ritenersi che sia superflua l’iniziativa promotrice dell’esecuzione da parte del pubblico ministero per essere rimessa alla sola condotta del soggetto sottoposto a pena complementare la relativa esecuzione e l’astensione dal compimento di comportamenti inibiti; ne’ assume rilievo dirimente la circostanza che egli eserciti attivita’ libero-professionale, essendo soggetto anche alla privazione temporanea di altri diritti e prerogative non legati ad essa.
3.4 Resta poi da considerare quanto prescritto dall’articolo 139 c.p., secondo cui “nel computo delle pene accessorie temporanee non si tiene conto del tempo in cui il condannato sconta la pena detentiva o e’ sottoposto a misura di sicurezza detentiva, ne’ del tempo in cui egli si e’ sottratto volontariamente alla esecuzione della pena o della misura di sicurezza”. Secondo’ la norma, che detta il criterio di raccordo cronologico tra le diverse sanzioni irrogate con lo stesso titolo, l’espiazione di pena o di misura di sicurezza detentiva o la volontaria sottrazione da parte del condannato non rilevano ai fini del calcolo della durata della pena accessoria temporanea, che verra’ differita rispetto a quella principale, non appena la cessazione dell’esecuzione di quest’ultima lo consentira’. La giurisprudenza di questa Corte al riguardo ha confermato l’interpretazione esposta, secondo la quale la pena accessoria temporanea, che sia inconciliabile con la detenzione presso istituto penitenziario, deve essere eseguita soltanto dopo che sia stata scontata la pena principale detentiva, dipendendo la contestuale esecuzione dalla loro compatibilita’ (Sez. 1, n. 13499 del 09/03/2011, Lieto, rv. 249865).
Le limitazioni della liberta’ personale che caratterizzano l’esecuzione della pena detentiva in regime di retrizione carceraria o mediante misure alternative sono di ostacolo all’effettivo esercizio di diritti elettorali, nonche’ di uffici e servizi pubblici, incarichi di tutela, curatela o amministrazione giudiziaria, sicche’ l’espiazione della reclusione o dell’arresto risultano incompatibili con la contemporanea sottoposizione alla pena accessoria di cui all’articolo 28 c.p.. Ne discende il necessario differimento dell’esecuzione di quest’ultima alla completa espiazione della pena principale detentiva.
Va, dunque, formulato il seguente principio di diritto: “L’esecuzione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici non decorre in via automatica dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che la infligge all’imputato condannato, ma richiede l’iniziativa di impulso del pubblico ministero secondo la previsione generale di cui all’articolo 662 c.p.p., comma 1”.
3.5 Nel caso specifico, il Collegio e’ impedito dall’assumere qualsiasi decisione al riguardo dalla totale assenza di elementi conoscitivi sui tempi e sulle modalita’ di esecuzione della pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione, inflitta al ricorrente: si ignora, perche’ non dedotto, se egli sia stato ristretto in carcere, oppure sia stato ammesso a misura alternativa ed i relativi periodi in cui il rapporto esecutivo ha avuto attuazione concreta.
In tal senso deve riscontrarsi l’aspecificita’ del ricorso, posto che nessuna concreta indicazione nell’ambito della sua prospettazione, cosi’ come anche nell’istanza originaria, e’ stata fornita a sostegno della compatibilita’, di fatto, tra l’esecuzione contestuale delle differenti pene inflittegli e comunque sulla gia’ intervenuta integrale esecuzione di quella principale, in modo da poter stabilire la decorrenza dalla sua cessazione di quella accessoria.
3.6 Tale carenza assume rilievo dirimente anche in relazione alla possibile applicazione del disposto dell’articolo 47 ord. pen., comma 12, che nella formulazione attuale prevede una speciale causa di estinzione delle pene accessorie, conseguente all’accertamento dell’esito positivo del periodo di prova conseguente all’affidamento del condannato al servizio sociale, dal quale dipende l’estinzione della pena detentiva e di ogni altro effetto penale “ad eccezione delle pene accessorie perpetue”, locuzioni aggiunte dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, articolo 1, comma 7. Secondo la linea interpretativa piu’ recente di questa Corte (Sez. 1, n. 52551 del 29/09/2014, Argenti, Rv. 262196 ed in termini conformi Sez. 1, n. 21106 del 15/09/2020, dep. 2021, Mittica, Rv. 281368), “l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale determina l’automatica estinzione delle pene accessorie, posto che queste sono definite dall’articolo 20 c.p. “effetti penali” della condanna e che L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 47, comma 12, collega all’esito favorevole della prova l’estinzione, oltre che della pena detentiva, anche di “ogni altro effetto penale”.
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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