Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 17 dicembre 2013, n. 50971

Osserva

1. C.M. propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze con la quale è stata confermata la condanna resa in primo grado dal Tribunale di Firenze alla pena ritenuta di giustizia per il reato allo stesso ascritto, ricondotto all’egida dell’art. 570 cp, commi I e II. In particolare, secondo la conforme valutazione resa di Giudici del merito il ricorrente si è sottratto agli obblighi di assistenza familiare , omettendo ogni contributo economico in favore della moglie e della figlia minore e disinteressandosi, quanto a quest’ultima, dal prestare cura, assistenza e dal contribuire alla educazione della stessa (fatti commessi sino al 3 maggio 2006).
2. Con un unico motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. Manca ogni motivazione circa il dato relativo al periodo di detenzione che avrebbe coinvolto il ricorrente dal 2002 sino al 2009, interrotto esclusivamente da un periodo dalla semilibertà, revocata nel marzo del 2006. Apoditticamente la Corte avrebbe pretermesso tale elemento fattuale di rilievo limitandosi ad affermare che nei periodi di libertà o di applicazione di misura attenuate, il C. non aveva mutato la sua condotta, tralasciando di considerare l’incidenza del dato rispetto alla sua possibilità oggettiva di adempiere ai suoi obblighi, economici e morali.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni precisate di seguito.
4. La due sentenze di merito, assolutamente conformi nel valutare il materiale probatorio acquisito in atti, cristallizzano una situazione di fatto, non suscettibile di rivisitazione in questa sede, in ragione della quale il ricorrente non ha mai adempiuto all’obbligo di fornire a moglie e figlia il necessario per il sostentamento delle stesse, pur avendo la disponibilità economica per provvedere a tanto. Si è poi sistematicamente disinteressato della crescita e della educazione della figlia, al cui sostentamento, morale e materiale ha provveduto la madre, in ciò aiutata anche dai genitori. Certo poi che il ricorrente, nel periodo preso in considerazione dalla contestazione, è stato detenuto, ma siffatta evenienza non ha tuttavia inciso sulla conclusione finale assunta perché il C. ha pure goduto di periodi di libertà, sempre durante il medesimo arco temporale, senza tuttavia modificare in alcun modo il comportamento sopra descritto palesemente refrattario rispetto agli obblighi penalmente sanzionati ex art. 570 cp.
5. Questo il quadro di riferimento emergente dalle due decisioni merito, osserva la Corte come il gravame che occupa si fonda su una valutazione in fatto distonica rispetto al tenore delle dette decisioni, il pressoché integrale stato di detenzione lungo l’intero arco temporale considerato dalla contestazione, diversamente da quanto affermato da Tribunale e Corte territoriale.
Si tratta tuttavia di questione in fatto che esula di certo dai poteri di controllo ascritti a questa Corte, ferma al dato cristallizzato nella sentenza impugnata, salva l’ipotesi del travisamento del materiale documentale posto a fondamento della decisione, qui non prospettabile in presenza di doppia valutazione conforme relativa al medesimo substrato probatorio.
Si aggiunga, limitatamente alla sola violazione di cui al comma II dell’art. 572 cp, che tale rilievo in fatto è comunque sostanzialmente inconducente.
A fronte dell’inadempimento all’obbligo di sostentamento economico, l’imputato, per sottrarsi alla responsabilità penale, deve dimostrare di essersi trovato nella impossibilità oggettiva di provvedere, di certo esclusa laddove, malgrado la detenzione, l’interessato è stato considerato comunque dotato di adeguate disponibilità patrimoniali. Elemento in fatto, questo, che costituiva fondamento inequivoco delle decisioni di merito (si veda sul punto la sentenza di primo grado, pagina 3 della motivazione) e che il ricorrente non ha smentito né tantomeno comprovato in termini contrari, così da rendere indifferente al fine che occupa, il trascorso più o meno assorbente, periodo di detenzione.
6. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma liquidata in via equitativa in favore della Cassa delle Ammende nella misura di € 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della cassa delle Ammende.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *