In tema di misure di prevenzione

Corte di Cassazione, sezione penale, Sentenza 19 giugno 2019, n. 27263.

La massima estrapolata:

In tema di misure di prevenzione, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, lett. b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, devono presentare il triplice requisito da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione ? per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo.

Sentenza 19 giugno 2019, n. 27263

Data udienza 16 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VERGA Giovanna – Presidente

Dott. BORSELLINO Maria D. – rel. Consigliere

Dott. PACILLI G. A. R. – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso il decreto del 17/07/2018 della CORTE APPELLO di ROMA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MARIA DANIELA BORSELLINO;
lette le conclusioni del PROCURATORE GENERALE.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il decreto impugnato la Corte di appello di Roma ha confermato il decreto emesso il 24 ottobre 2016 dal Tribunale di Roma con cui e’ stata applicata a (OMISSIS) la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza per la durata di anni due con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, nonche’ la confisca dei conti correnti intestati al proposto, di diversi immobili siti a (OMISSIS), di quote societarie e dell’intero compendio aziendale e patrimoniale delle societa’ (OMISSIS) Srl e (OMISSIS) Srl.
Nei confronti di (OMISSIS) la misura di prevenzione personale e’ stata applicata con riferimento al giudizio di pericolosita’ generica previsto dall’articolo 1, comma 1, lettera A, essendo stato ritenuto il (OMISSIS) abitualmente dedito a traffici delittuosi, e dall’articolo 1, comma 1, lettera B, in quanto il provento dei reati commessi sarebbe stato destinato alle esigenze di vita del proposto.
E’ stato inoltre confermato il giudizio di sproporzione reddituale e la riconducibilita’ di fatto delle due societa’ sequestrate al (OMISSIS).
2. Avverso il detto decreto propongono ricorso i difensori del (OMISSIS) e il procuratore speciale di (OMISSIS) e di (OMISSIS), terzi interessati nel procedimento di prevenzione.
2.1 (OMISSIS) con atto sottoscritto dai suoi difensori di fiducia, avv. (OMISSIS), deduce:
2.1 Violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 7 e dell’articolo 6 CEDU, reiterando l’eccezione di nullita’ del procedimento, gia’ sollevata dinanzi alla corte di appello e dalla stessa respinta, per effetto della mancata trattazione del giudizio di prevenzione nella forma pubblica anziche’ in quella camerale. L’eccezione e’ stata rigettata dalla corte di appello sul rilievo che non emergono elementi idonei a ritenere che il procedimento si sia svolto nelle forme del rito camerale piuttosto che in quelle della udienza pubblica. Il ricorrente lamenta che tale affermazione e’ contraddetta dall’intestazione dei verbali di udienza allegati al ricorso, in cui e’ riportata la dizione “camera di consiglio”. Ricorda al riguardo il ricorrente che l’articolo 6 della CEDU statuisce che ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole; sulla scia di questo principio la Corte costituzionale ha affermato che non puo’ essere considerata conforme all’articolo 6 della Convenzione Europea una procedura di prevenzione che si svolga a porte chiuse e ha chiarito che il soggetto interessato puo’ richiedere ed ottenere la trattazione del procedimento con la forma della pubblica udienza; il (OMISSIS) aveva avanzato espressa istanza al riguardo, formalmente accolta ma in parte disattesa dalla corte di merito.
2.2 Violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 1, 3, 4, 5, 7, 16, 18 e 24 con riferimento alla L. n. 575 del 1965, articolo 2 ter nonche’ degli articoli 121 e 125 c.p.p., articolo 178 c.p.p., lettera C e articolo 603 c.p.p., sul rilievo che la pericolosita’ del (OMISSIS) e’ stata affermata in assenza di elementi certi soprattutto con riferimento al profilo della attualita’ della pericolosita’, in quanto i precedenti attestati dal certificato del casellario giudiziale si riferiscono a fatti commessi nel (OMISSIS), mentre in ordine al piu’ recente procedimento penale iscritto nel 2015 e’ stato emesso decreto di archiviazione del G.I.P. nel gennaio 2018.
I ricorrenti assumono che, come evidenziato nella memoria depositata 11 giugno 2017, le societa’ del (OMISSIS) producevano un volume di affari idoneo a dimostrare l’acquisto lecito dei beni confiscati in quanto l’impresa del proposto e’ un’impresa produttiva di reddito; che la fattura n. (OMISSIS) attestante l’acquisto di un macchinario da parte dell’amministratore giudiziario del prezzo di Euro 164.000 e’ stata utilizzata come elemento di prova per dimostrare che il proposto fruiva di una provvista mai ufficializzata sotto il profilo – fiscale e quindi caratterizzata dal connotato di illiceita’, con una motivazione apodittica e apparente che non tiene conto che l’acquisto era stato formalizzato dall’amministratore giudiziario; che solo i beni di provenienza illecita possono formare oggetto di confisca mentre la corte d’appello ha confermato la confisca di tutti i beni del proposto, a prescindere dalla loro formale intestazione, dalla data dell’acquisto e dalla doverosa verifica della loro provenienza, cosi’ confondendo l’attivita’ ritenuta illecita da quella lecita, mentre l’accertamento dell’illecita provenienza dei beni ai fini dei provvedimenti di sequestro e confisca va compiuto in relazione a ciascun bene suscettibile della misura e non all’intero patrimonio. Deve pertanto concludersi che il provvedimento impugnato e’ illegittimo per avere confermato la misura ablatoria nei confronti di tutti i beni, omettendo ogni motivazione e cosi’ incorrendo nel vizio di violazione di legge. Al riguardo i difensori deducono che il (OMISSIS) ha aderito negli anni 2005, 2006 e 2008 all’accertamento fiscale eseguito nei suoi confronti e la nuova normativa, che esclude la possibilita’ di giustificare la sproporzione tra patrimonio e reddito facendo riferimento all’evasione, e’ entrata in vigore nel 2017 e quindi in epoca successiva al decreto di confisca. Lamentano altresi’ l’assoluta mancanza di motivazione del provvedimento impugnato anche nella parte in cui avrebbe dovuto rispondere in merito alla richiesta di perizia formalizzata dalla difesa del (OMISSIS) e avrebbe dovuto altresi’ argomentare in merito alle osservazioni contenute nella relazione di parte del dottor (OMISSIS).
2.3 Illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, articolo 4, comma 1, lettera C, articolo 68 per contrasto con l’articolo 117 Cost. in relazione all’articolo 2 del protocollo addizionale n. 4 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali. Rileva il ricorrente che a seguito della nota sentenza De Tommaso resa nel procedimento n. 43395/09 la CEDU aveva espressamente affermato che le previsioni della L. n. 1423 del 1956, articoli 1, 3 e 5 si ponevano in netto contrasto con il disposto dell’articolo 2 del Protocollo della citata convenzione, stante la mancanza di tassativita’ e prevedibilita’ delle citate norme e lajnenta che la corte d’appello ha ritenuto la questione manifestamente infondata.
3. (OMISSIS) e (OMISSIS), tramite il procuratore speciale avvocato (OMISSIS), deducono:
3.1 violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 24, 25 e 26 e articolo 125, comma 3 codice di rito in relazione alla ritenuta intestazione fittizia delle quote della (OMISSIS) Srl., per omessa valutazione delle doglianze difensive con conseguente conferma della confisca in carenza dei presupposti di legge. Lamentano i ricorrenti che la corte territoriale si sarebbe soffermata esclusivamente sul presupposto della sproporzione tra il valore delle quote della detta societa’ e la situazione reddituale di (OMISSIS), trascurando di prendere in considerazione le giustificazioni in merito alla titolarita’ effettiva in capo a (OMISSIS) dell’80% delle quote sociali e applicando al predetto, terzo rispetto al proposto, le presunzioni conseguenti alla sua rilevata incapienza che sono riservate al proposto. Il decreto ha altresi’ omesso di considerare le allegazioni difensive in merito ai prestiti ottenuti da (OMISSIS) e alla circostanza che le cambiali per il pagamento delle quote sociali siano tutte state addebitate al predetto e ha indebitamente applicato al terzo interessato i criteri valutativi per l’applicabilita’ della confisca al proposto. Sottolinea la difesa che per i terzi interessati l’incapacita’ patrimoniale all’acquisto non e’ elemento sufficiente a integrare la prova della fittizia intestazione, in quanto per il terzo non si pone un problema di provenienza illecita del bene e l’onere di allegazione e’ comunque differente in quanto non opera nessuna presunzione ne’ inversione dell’onere della prova ed e’ a carico dell’accusa dimostrare mediante prove o indizi che il bene risulta in realta’ nella disponibilita’ dell’indagato o del proposto. Alla luce di questi principi la difesa lamenta la violazione dei criteri di valutazione della posizione del terzo interessato in quanto era compito della corte prendere in esame le deduzioni difensive e motivare le ragioni per le quali non fossero idonee a dimostrare la disponibilita’ di denaro illecito da parte di (OMISSIS).
3.2 Violazione del Decreto Legislativo citato, articolo 24, articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3 in relazione alla carenza dei presupposti per disporre la confisca nei confronti del terzo.
Per poter provvedere alla confisca nei confronti del terzo occorre dimostrare l’esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilita’ effettiva del bene in modo che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarita’ apparente, al fine di salvaguardare il proposto dal pericolo di confisca, mentre il provvedimento di primo grado ha fondato tale valutazione sul contenuto di una intercettazione telefonica, elemento poi abbandonato dalla corte di appello, che invece ha operato altre valutazioni inidonee, tuttavia a soddisfare il criterio di disponibilita’ previsto dall’articolo 24 cd. Codice antimafia. Il ricorrente lamenta che la corte di appello ha motivato la disponibilita’ effettiva del (OMISSIS) facendo riferimento alla sua presenza in occasione del sequestro, nel corso del quale questi agiva come titolare, ricevendo la notifica del provvedimento e non contestando in alcun modo la qualifica attribuitagli, cosi’ comprovando il carattere fittizio dell’operazione di cessione delle quote della stessa societa’ di cui il predetto manteneva la concreta disponibilita’. Lamenta il ricorrente che la disponibilita’ indiretta deve essere provata in modo rigoroso, sulla base di elementi fattuali connotati dei requisiti della gravita’ precisione e concordanza, mentre gli elementi presi in considerazione della corte territoriale non hanno alcun valore indiziario e non sono idonei a ricondurre in termini economico giuridici il bene nella sfera patrimoniale del proposto trascurando di considerare che i rapporti con le banche, con i terzi e i fornitori erano intrattenuti da (OMISSIS) e (OMISSIS), e che nessun provento utile della societa’ e’ mai arrivato al (OMISSIS).
Con nota depositata il 27 febbraio 2019, il Sostituto Procuratore Generale Piero Gaeta ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ dei ricorsi.
Con nota del 28 febbraio 2019 l’avv. (OMISSIS) ha chiesto il rinvio del processo per consentirgli di avere contezza della requisitoria del Procuratore generale e di depositare eventuali repliche.
Con nota depositata il 7 marzo 2019 il difensore di (OMISSIS) ha richiamato il tenore della recente pronunzia della Corte costituzionale n. 24 del 27 febbraio 2019 invocando l’annullamento della ordinanza impugnata.
Con nota depositata il 5 aprile 2019 l’avv. (OMISSIS) ha prodotto sentenza della sesta sezione di questa Corte del 5/3/2019 che ha annullato il decreto con cui era stata applicata la misura di prevenzione per la pericolosita’ generica ai sensi dell’articolo 1, lettera A e B, rinviando alla Corte di Appello competente per rivalutare la detta pericolosita’ alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’eccezione di nullita’ del decreto in relazione alla trattazione dell’udienza del procedimento di prevenzione in camera di consiglio anziche’ in pubblica udienza, come richiesto dalla difesa, e’ manifestamente infondata.
L’eccezione e’ stata respinta dalla corte d’appello (pag. 17 del decreto), sul rilievo che la mancata indicazione nell’intestazione dei moduli prestampati dei verbali della natura pubblica dell’udienza non e’ determinante, dovendosi verificare unicamente le concrete modalita’ attraverso le quali e’ stata celebrata; che dalla lettura dei verbali delle udienze del procedimento in primo grado non emerge alcuna richiesta o reiterazione della stessa o alcuna rimostranza o eccezione formale in merito alla celebrazione dell’udienza in camera di consiglio, ne’ alla prima udienza ne’ nel prosieguo del procedimento, ne’ in sede di discussione finale.
La corte di appello ha poi ricordato che questa corte di legittimita’ ha escluso la mancata adozione della forma pubblica tra le cause di nullita’ del procedimento di prevenzione, in quanto non prevista, e ha rilevato che anche la recente novella legislativa del codice antimafia – non prevede alcuna sanzione di nullita’.
E’ noto che con sentenza della Corte Costituzionale n. 93 dell’8/3/2010, e’ stata dichiarata l’illegittimita’ costituzionale della L. n. 1423 del 1956, articolo 4 nella parte in cui non consentiva che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolgesse, davanti al tribunale e alla corte d’appello, nelle forme dell’udienza pubblica.
In merito alla mancata celebrazione dell’udienza in forma pubblica anziche’ camerale, su specifica richiesta del proposto, emergono nell’ambito della giurisprudenza di legittimita’ due diversi orientamenti: il primo esclude che tale omessa assunzione della forma pubblica dell’udienza possa integrare una qualche nullita’, in quanto non espressamente prevista dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 7; e’ significativo, anzi, che la trattazione del procedimento in pubblica udienza e’ contemplata dall’articolo 7 cit., comma 1, secondo periodo, e che, pero’, questo articolo, al comma 7, commina espressamente la sanzione della nullita’ per la violazione di disposizioni contenute in altri commi, elencandole analiticamente, ma omette ogni riferimento al comma 1 (“Le disposizioni di cui ai commi 2, 4, primo, secondo e terzo periodo, e comma 5, sono previste a pena di nullita’”)(Sez. 6, n. 31272 del 15/06/2016 – dep. 20/07/2016, Quintieri, Rv. 26743401); il secondo orientamento afferma che tale omissione integra una nullita’ relativa che viene sanata nell’ipotesi in cui le parti interessate non l’abbiano eccepita.
Questa Corte insegna, infatti, da lungo tempo, che, allorche’ il giudizio si svolga nelle forme del rito camerale fuori dei casi previsti dalla legge, si verifica, al piu’, una nullita’ relativa che, a pena di decadenza, deve essere eccepita dalle parti presenti prima che venga compiuto il primo atto del procedimento o, se non e’ possibile, subito dopo (Cass., n. 38114 del 19/6/2009. Conformi: N. 6361 del 1993 Rv. 194730; N. 2512 del 1994 Rv. 197738; N. 7227 del 1995 Rv. 201378; N. 2368 del 1998 Rv. 210137; N. 26059 del 2005 Rv. 232101). Tale principio, affermato in relazione al giudizio ordinario che si svolga contrariamente alla previsione normativa – col rito camerale, vale a maggior ragione nel procedimento di prevenzione, dove la forma pubblica e’ condizionata ad una richiesta di parte. Inoltre, e’ stato osservato che anche secondo la giurisprudenza elaborata dalla Corte EDU in tema di pubblicita’ dell’udienza, puo’ essere possibile una “compensazione” della mancanza di pubblicita’ del giudizio di primo grado, quando vi e’ lo svolgimento pubblico di un giudizio di impugnazione a cognizione non limitata, quale appunto quello di appello, che, atteso il richiamo operato dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10 alle disposizioni del codice di rito, consente un pieno riesame del merito della regiudicanda (Corte Cost.,sent.- n. 80 del 2011, § 6.3):
Nel caso in esame, il modulo prestampato utilizzato per redigere il verbale di udienza, non assume rilevanza dirimente e comunque, seppur si volesse ritenere, in considerazione dell’intestazione dei verbali, che le udienze dinanzi al Tribunale si siano svolte in camera di consiglio, non e’ possibile trarre – da questo fatto – le conclusioni prospettate dalla difesa.
Dalla lettura dei verbali delle udienze del 23 novembre 2015, del 13 giugno 2016 e del 24 ottobre 2016 non risulta che le parti abbiano formulato o rinnovato l’istanza di svolgimento del processo in pubblica udienza, per cui e’ da ritenere che avessero accettato una diversa modalita’ di svolgimento del procedimento, giacche’, quando il procedimento si svolga in piu’ udienze, e’ ben possibile che la richiesta di udienza pubblica riguardi una soltanto di esse. E va ancora considerato, conclusivamente e definitivamente, che i difensori del proposto – presenti in loco – non sollevarono alcuna eccezione, per cui sono irrimediabilmente decaduti dalla facolta’ di far valere eventuali nullita’.
2. In merito all’eccezione di illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 1 e 4 per contrasto con l’articolo 117 Cost. e con l’articolo 2 del protocollo addizionale n. 4 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, deve prendersi atto che nella pendenza del presente giudizio, il 27 febbraio 2019 la Corte Costituzionale ha pronunziato la sentenza n. 24, con la quale e’ stata dichiarata la illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, comma 1, lettera C nella parte in cui consente l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con o senza obbligo di soggiorno, nonche’ delle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca ai soggetti indicati nel Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera A. In sostanza la Corte costituzionale ha ritenuto non conforme ai principi costituzionali e convenzionali la previsione della categoria di pericolosita’ dichiarata dall’articolo 1, comma 1, lettera A, costituita da quei soggetti che debbono ritenersi, in base ad elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi, in ragione di una radicale imprecisione della norma che non puo’ essere colmata dall’interpretazione della giurisprudenza. Ne consegue, ai sensi della L. n. 87 del 1953, articolo 30, comma 3 la immediata inapplicabilita’ della disposizioni dichiarate incostituzionali.
Con la medesima sentenza la corte costituzionale ha ritenuto che la previsione di pericolosita’ generica indicata al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera B – che fa riferimento a coloro che per la condotta e il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente anche in parte con i proventi di attivita’ delittuosa – non si pone in contrasto con i principi costituzionali nell’interpretazione fornita dai piu’ recenti arresti di questa corte di legittimita’ antecedenti e successivi alla nota sentenza della corte EDU De Tommaso c/Italia.
L’analisi delle argomentazioni della Corte costituzionale consente di qualificare la decisione emessa in relazione ai contenuti della previsione di legge di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera B come una sentenza interpretativa di rigetto che nel comporre il contrasto tra la norma di legge ordinaria e il contenuto delle norme costituzionali indica il percorso interpretativo idoneo ad evitare la illegittimita’ della norma, valorizzando i numerosi arresti gia’ formulati da questa corte di legittimita’, che ha attribuito alla norma in questione un connotato di maggiore tassativita’ garantendo la predeterminazione legale dei tipi di comportamento assunti a presupposto delle misure di prevenzione sia personali che patrimoniali.
E’ noto che la sentenza interpretativa di rigetto pur non rivestendo efficacia erga omnes costituisce un precedente autorevole, poiche’ e’ il risultato di una interpretazione sistematica in funzione adeguatrice proveniente dall’organo piu’ qualificato in tema di interpretazione costituzionale.
In particolare la Corte costituzionale, richiamando la giurisprudenza di legittimita’ piu’ recente, ha affermato che le “categorie di delitto” che possono essere assunte a presupposto della misura di prevenzione fondata sul giudizio di pericolosita’ generica ex articolo 1, comma 1, lettera B cd. Codice Antimafia sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione in virtu’ del triplice requisito – da provarsi sulla base di precisi “elementi di fatto”,- di cui il collegio giudicante dovra’ dare conto puntualmente nella motivazione – per cui deve trattarsi di:
a) delitti commessi abitualmente, e dunque in un significativo arco temporale, dal proposto;
b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui;
c) che costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito.
Ai fini dell’applicazione della misura personale della sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, al riscontro processuale di tali requisiti dovra’ aggiungersi la valutazione dell’effettiva pericolosita’ del soggetto per la sicurezza pubblica, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 6, comma 1. Quanto, invece, alle misure patrimoniali del sequestro e della confisca, in conformita’ all’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, i detti requisiti dovranno essere accertati in relazione al lasso temporale nel quale si e’ verificato, nel passato, l’illecito incremento patrimoniale che la confisca intende neutralizzare.
Cio’ posto occorre rilevare che nel giudizio in esame la misura di prevenzione applicata al (OMISSIS) e la conseguente confisca si fonda su un giudizio di pericolosita’ generico formulato ai sensi dell’articolo 1, lettera A e lettera B, poiche’ il proposto e’ stato ritenuto abitualmente dedito a traffici delittuosi, dai quali traeva i mezzi di sostentamento.
La dichiarazione di illegittimita’ costituzionale del giudizio di pericolosita’ generica fondato sulla lettera A dell’articolo 1 citato impone la rivalutazione degli elementi di fatto posti a base del complessivo giudizio di pericolosita’ formulato nei confronti del (OMISSIS) e non puo’ essere realizzata nella sede di legittimita’. Attesa pero’ l’evidente rilevanza del venir meno di uno dei presupposti fondanti della misura (ai fini della applicazione, della scelta di tipologia e della durata della stessa), occorre annullare il provvedimento impugnato affinche’ la Corte territoriale, preso atto delle novita’ intervenute sul piano normativo, provveda a rivalutare la sussistenza della pericolosita’ del prevenuto, la sua portata e l’attualita’ della stessa ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera B alla luce dei criteri interpretativi richiamati dalla Corte costituzionale.
4.1 ricorsi proposti nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita’ di terzi intestatari delle quote societarie della (OMISSIS) Srl si appuntano sulle argomentazioni contenute nel provvedimento, proponendo una diversa ricostruzione del compendio probatorio. Ed invero la corte ha confermato il giudizio circa la intestazione fittizia della (OMISSIS) Srl ai terzi intestatari in ragione di diversi elementi di fatto significativi della persistente disponibilita’ in capo al (OMISSIS) del ruolo direttivo e gestionale della societa’, nella quale erano confluite nell’anno 2010 altre due imprese riferibili al proposto, che aveva poi nel 2013 ceduto le quote societarie a (OMISSIS) suo dipendente e collaboratore, privo di adeguate risorse per sostenere il pagamento del corrispettivo della cessione delle quote societarie. Deve invero rilevarsi che l’arresto giurisprudenziale richiamato nel decreto in merito all’onere probatorio della sproporzione riguarda la diversa posizione del proposto.
Con riferimento alla fittizia intestazione delle quote societarie, la corte ha fornito adeguata motivazione, sia in relazione al rilevante valore che avrebbe dovuto essere versato quale corrispettivo della cessione e che risulta sproporzionato all’entita’ dei redditi leciti dei due intestatari, ove si consideri che (OMISSIS) non risulta avere fruito di redditi dichiarati al Fisco e (OMISSIS) dopo l’anno 2009 non ha piu’ dichiarato redditi; sia in ragione del contributo offerto dal (OMISSIS) all’opera gestionale degli amministratori giudiziari, valorizzata nell’atto di appello dai difensori del proposto, a conferma della sua continuita’ nella attivita’ di gestione della societa’, nonostante la formalizzata fuoriuscita dal contesto societario.- Allo stesso modo ha considerato che all’atto- del sequestro non soltanto (OMISSIS) era presente ma si comportava come titolare, ha ricevuto la notifica del decreto di sequestro e non ha in alcun modo contestato la qualifica attribuitegli di amministratore della detta societa’.
E tuttavia la necessita’ di rivalutare la pericolosita’ del (OMISSIS) alla luce della recente pronunzia di illegittimita’ costituzionale, incide anche sulle posizioni dei due ricorrenti terzi interessati.
Si impone pertanto l’annullamento del decreto impugnato e il rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Roma perche’ rivaluti le emergenze processuali acquisite escludendo il giudizio di pericolosita’ generica ai sensi dell’articolo 1, lettera A cit. e valutando la pericolosita’ generica ex articolo 1, lettera B nel rispetto dei criteri indicati dalla Corte Costituzionale.

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Roma.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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