In tema di misure cautelari personali

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 3 aprile 2019, n. 14713.

La massima estrapolata:

In tema di misure cautelari personali, è inammissibile il ricorso diretto per cassazione avverso l’ordinanza applicativa della misura che deduca la violazione della regola di retrodatazione del termine di decorrenza di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., poiché il relativo accertamento comporta verifiche di merito, incompatibili con il giudizio di legittimità, in ordine al rapporto di connessione tra i fatti oggetto dei due diversi procedimenti, alla desumibilità dagli atti delle posteriori contestazioni e all’interesse attuale della questione, dovendo invece la questione essere proposta, ex art. 306 cod. proc. pen., al giudice delle indagini preliminari e successivamente, in caso di rigetto, al tribunale del riesame in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., salvo che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza tali termini fossero già scaduti.

Sentenza 3 aprile 2019, n. 14713

Data udienza 6 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere

Dott. TUDINO A. – rel. Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma del 27/11/2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Alessandrina Tudino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Tocci Stefano, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza del 27 novembre 2018, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha applicato nei confronti di (OMISSIS), in servizio al ROS, la misura cautelare della custodia in carcere in relazione a plurime contestazioni di accesso abusivo alla banca dati SDI e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, con l’aggravante di cui all’articolo 416-bis 1 c.p..
Secondo l’incolpazione provvisoria, il (OMISSIS), in qualita’ di operante di PG abilitato all’accesso alla banca dati delle forze di polizia ed in concorso con il coindagato (OMISSIS), aveva operato – in un piu’ ampio contesto informativo ed asservendo la propria funzione pubblica ad interessi privati – plurime interrogazioni del sistema per ragioni extrafunzionali, al fine di fornire dati riservati ai coindagati (OMISSIS) ed altri, riferibili al boss gelese (OMISSIS) (capi da a) ad o) (escluso I) (capi da q) ad y) (esclusi p) e x).
In favore del predetto, aveva altresi’ (capo o)) promesso una somma di denaro a (OMISSIS), assistente capo della Polizia di Stato presso l’aeroporto di Fiumicino, al fine di accedere, omettendo i prescritti controlli, sulle piste e consegnare valuta su un aereo privato, ivi in scalo.
2. Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso l’indagato, per mezzo del difensore, Avv. (OMISSIS), affidando le censure ad un unico motivo, con il quale deduce violazione dell’articolo 297 c.p.p., comma 3. Rappresenta come a carico dell’indagato sia stata emessa, nell’ambito del procedimento RGNR 32692/15 – definito in primo grado con sentenza di condanna alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione ed attualmente pendente in grado d’appello – la misura cautelare della custodia in carcere, eseguita il 4 ottobre 2017, in relazione al reato di cui all’articolo 615-ter c.p., aggravato dalla finalita’ agevolatrice mafiosa, nell’ambito di investigazioni nate da una denuncia per tentata estorsione di (OMISSIS), convergenti con un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia nissena. Evidenzia, al riguardo, come tutti gli elementi che hanno condotto alla formulazione delle contestazioni, provvisoriamente elevate nell’ordinanza impugnata, fossero gia’ disponibili all’epoca dell’emissione della misura cautelare eseguita il 4 ottobre 2017, come evincesi dalla richiesta di attivazione dei servizi di captazione, dal decreto autorizzativo e dai successivi e progressivi provvedimenti di proroga e di estensione delle intercettazioni, ambientali e telefoniche, ad altre utenze, in uso ai soggetti coinvolti nell’ordinanza in disamina, relativa al proc. RGNR 44570/2014; numero identificativo gia’ citato negli atti d’indagine, confluiti nel proc. RGNR 32692/15. Con conseguente concatenazione delle contestazioni inerenti i due procedimenti, solo apparentemente autonomi, e necessaria retrodatazione dei termini di decorrenza della misura successivamente disposta, in conformita’ all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 297 c.p.p., non risultando, peraltro, contestato all’indagato il reato di partecipazione di cui all’articolo 416 bis c.p..

CONDIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2.Nell’affrontare la questione proposta con il ricorso, sub specie di violazione della legge processuale, deve tracciarsi l’ambito applicativo della disciplina di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 3, e la deducibilita’ della relativa questione per saltum nel giudizio di legittimita’.
2.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, quando nei confronti di un imputato siano emesse piu’ ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata (concorso formale, continuazione o connessione teleologica), la retrodatazione prevista dall’articolo 297 c.p.p., comma 3, opera anche rispetto ai fatti oggetto di un “diverso” procedimento, se questi erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti oggetto della prima ordinanza (Sez. 1, n. 26093 del 15/02/2018, Bruzzese, Rv. 273132, N. 41610 del 2005 Rv. 232600, N. 50128 del 2013 Rv. 258500, N. 17918 del 2014 Rv. 259713).
2.2. Siffatto principio costituisce l’approdo dell’analitica disamina delle diverse situazioni in cui puo’ manifestarsi il fenomeno delle c.d. contestazioni a catena e delle condizioni per l’operativita’ della retrodatazione.
Fermo restando il comune presupposto in virtu’ del quale perche’ possa trovare applicazione la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, e’ necessario che i delitti oggetto dell’ordinanza cautelare successivamente emessa siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore (in questo senso, ex plurimis, Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, Canzonieri, Rv. 253237), le coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza di legittimita’, nella sua massima espressione nomofilattica (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006 – dep. 2007, Librato, Rv. 235909-10-11; Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, P.M. in proc. Rahulia ed altri, Rv. 231057-8-9), consentono di individuare distinte situazioni, alle quali corrispondono altrettante, distinte, regole operative, in presenza della contestazione di reati diversi, variamente collegati.
2.3. Quando due (o piu’) ordinanze applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto fatti-reato legati da concorso formale, continuazione o da connessione teleologica (casi di connessione qualificata), e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento coercitivo non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio, trova applicazione la disposizione dettata dall’articolo 297 c.p.p., comma 3, primo periodo, , che non lascia alcun dubbio sul fatto che la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure applicate successivamente alla prima operi automaticamente e, dunque, “indipendentemente dalla possibilita’, al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilita’ di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure”.
L’automatica retrodatazione della decorrenza dei termini risponde all’esigenza “di mantenere la durata della custodia cautelare nei limiti stabili dalla legge, anche quando nel corso delle indagini emergono fatti diversi legati da connessione qualificata” (cosi’ C. Cost., 28 marzo 1996, n. 89), e si determina solo se le ordinanze siano state emesse nello stesso procedimento penale (cosi’ Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, Librato, cit.).
2.3. Nell’ipotesi in cui sia stato, invece, emesso il decreto di rinvio a giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo, legati sempre da connessione qualificata con i reati contestati nel secondo provvedimento impositivo, si applica la regola dettata dal secondo periodo dell’articolo 297 c.p.p., comma 3, sicche’ la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva (o le successive) ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti gia’ prima del momento in cui e’ intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza.
Siffatta ipotesi presuppone che le diverse ordinanze siano state emesse in distinti procedimenti, ma – come hanno chiarito le Sezioni unite nelle piu’ volte richiamate sentenze – e’ irrilevante che gli stessi siano “gemmazione” di un unico procedimento, vale a dire siano la conseguenza di una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini.
2.4. Nel caso in cui tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari non esista alcuna connessione, ovvero sia configurabile una forma di connessione non qualificata, cioe’ diversa da quelle sopra considerate del concorso formale, della continuazione o del nesso teleologico (per quest’ultimo, nei limiti fissati dal codice), l’applicazione della disciplina di cui l’articolo 297 c.p.p., comma 3, deriva dalla sentenza manipolativa della Consulta n. 408 del 2005, che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della predetta disposizione nella parte in cui il meccanismo di retrodatazione dei termini di durata della custodia cautelare non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano gia’ desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza.
Di guisa che la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della misura cautelare e’ dovuta “in tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l’autorita’ giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l’adozione delle singole ordinanze”.
Il giudice deve, pertanto, verificare se al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare non fossero desumibili, dagli atti a disposizione, gli elementi per emettere la successiva ordinanza cautelare, da intendersi – come sottolineato dai Giudici delle leggi – come “elementi idonei e sufficienti per adottare” il provvedimento cronologicamente posteriore.
Tale regola vale solo se le due ordinanze siano state emesse in uno stesso procedimento penale, perche’ se i provvedimenti cautelari siano stati adottati in procedimenti formalmente differenti, per la retrodatazione occorre verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorita’ giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero (cosi’ Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, cit.; conf., in seguito, su tale specifico aspetto, Sez. 2, n. 44381 del 25/11/2010, Noci, Rv. 248895; Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, Camello, Rv. 240099).
2.5. Con riguardo alla data entro la quale puo’ rilevarsi la c.d. retrodatazione, la giurisprudenza di legittimita’ ha precisato come “in tema di contestazioni a catena, nel caso in cui il meccanismo della retrodatazione degli effetti della misura cautelare successiva sia invocato in relazione a reati connessi ex articolo 12 c.p.p., lettera b) e c) contestati in diversi procedimenti, la verifica del giudice circa il requisito di “desumibilita’ dagli atti” dev’essere ancorata al momento nel quale e’ stato disposto il rinvio a giudizio dell’imputato; e non a quello dell’emissione della prima misura cautelare, momento che assume rilevanza soltanto quando la retrodatazione sia invocata in assenza di rapporti di connessione qualificata tra i fatti dedotti nei diversi titoli cautelari” (Sez. 1, n. 42442 del 26/09/2013, Gatto, Rv. 257380; Sez. 4, n. 7691 del 16/11/2017 – dep. 2018, Cerra, Rv. 272187).
3. In riferimento ai limiti del sindacato di legittimita’ in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, l’accertamento dell’esistenza della connessione qualificata e della “desumibilita’ dagli atti” costituisce apprezzamento riservato, quanto alla valutazione del materiale probatorio o indiziario, al giudice di merito, che deve adeguatamente e logicamente motivare il proprio convincimento (Sez. 4, n. 9990 del 18/01/2010, Napolitano, Rv. 246798).
3.1. In particolare, la nozione di anteriore “desumibilita’” delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva dagli atti
inerenti la prima ordinanza cautelare, richiede la verifica riguardo la sussistenza di indizi univoci e idonei a fondare una compiuta affermazione di responsabilita’ cautelare (Sez. 2, n. 13834 del 16/12/2016 – dep. 2017, Valerioti, Rv. 269680) ed investe l’accertamento non gia’ della mera conoscibilita’ storica di determinate evenienze fattuali, bensi’ della condizione di conoscenza derivante, in concreto, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, che consenta al Pubblico Ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravita’ degli indizi, suscettibile di dare luogo, in presenza di concrete esigenze cautelari, alla richiesta e alla adozione di una nuova misura cautelare (Sez. 3, n. 46158 del 04/02/2015, Mancini, Rv. 265437, N. 15451 del 2012 Rv. 253509, N. 11807 del 2013 Rv. 255722).
3.2. In ordine alla natura dell’accertamento delle condizioni di operativita’ dell’articolo 297 c.p.p., comma 3, va rilevato come l’interesse all’accoglimento della richiesta di retrodatazione della decorrenza del termine di durata della custodia cautelare nel caso di c.d. contestazione a catena sussiste solo qualora da essa derivi un diverso e favorevole computo del termine di durata della custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari, tale da comportare la scarcerazione (Sez. 6, n. 14510 del 09/03/2016, Tarantino, Rv. 266677, N. 32850 del 2011 Rv. 250578), mentre – in riferimento alle modalita’ di computo ed ai criteri di calcolo – la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare non deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee (Sez. 4, n. 36088 del 06/06/2017, Gerbaj, Rv. 270759, N. 3058 del 2016 Rv. 269285).
3.3. Nel quadro cosi’ delineato, la verifica del rapporto di connessione tra i reati, la desumibilita’ dagli atti ora per allora degli elementi indiziari fondanti le successive incolpazioni, l’accertamento dell’interesse in riferimento alle modalita’ di computo ed ai criteri di calcolo dei termini di durata della originaria misura investono accertamenti di merito, che procedono dalla complessa comparazione delle contestazioni, del materiale dimostrativo e della potenzialita’ esplicativa del medesimo in relazione ai fatti successivamente contestati, fino alla analitica disamina del rapporto di interferenza temporale tra la misura in atto e quella successivamente disposta in correlazione alle diverse fasi processuali dei diversi procedimenti.
3.4. Siffatto complesso procedimento di verifica si pone al di fuori dei limiti assegnati al sindacato di legittimita’, postulando un accesso diretto ai fatti contestati, in diverse connotazioni, nei diversi procedimenti, riservato al giudice del merito cautelare.
Invero, il ricorso immediato per cassazione puo’ essere proposto, ai sensi dell’articolo 311 c.p.p., comma 2, soltanto contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva e solo nel caso di violazione di legge, nonche’, secondo l’articolo 568 c.p.p., comma 2, contro i provvedimenti concernenti “lo status libertatis” non altrimenti impugnabili (Sez. 1, n. 18963 del 10/04/2013, Bandiera, Rv. 256032), e non anche quando la censura relativa alla applicazione di una norma processuale involga un accertamento di merito relativo al rapporto tra i fatti oggetto di due diversi procedimenti in relazione alla desumibilita’ dal medesimo materiale indiziario ed al perdurante interesse alla relativa deduzione.
4. Nel caso in esame, il ricorrente deduce tanto la sussistenza di un rapporto di connessione per continuazione tra i diversi fatti separatamente giudicati, in diverse fasi processuali, a carico di (OMISSIS), che l’estinzione – per effetto della retrodatazione degli effetti dell’ordinanza impugnata – ex articolo 303 c.p.p., comma 1, lettera a) della misura cautelare successivamente applicata, richiedendo alla Corte di pronunciarsi sulla corretta applicazione di una norma i cui profili non risultano esaminati nel provvedimento impugnato, e che postula un complessivo – e comparativo – accertamento di merito, che non puo’ essere devoluto per saltum al giudice di legittimita’ e che e’, invece, riservato al giudice della cautela.
Risulta, in particolare, meramente asserito il profilo dell’estinzione della misura applicata con l’ordinanza impugnata, in assenza di qualsivoglia elemento relativo alla durata della originaria vicenda cautelare.
Il ricorso e’, pertanto, inammissibile in quanto proposto fuori dei casi previsti dalla legge.
4.1. Ne’ il ricorso puo’ essere convertito in altra impugnazione.
La questione relativa all’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza di custodia cautelare per decorrenza dei termini di fase, in relazione all’asserita contestazione a catena, non e’, invero, deducibile nel procedimento di riesame salvo che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza tali termini fossero gia’ scaduti, in quanto si tratta di vizio che non intacca l’intrinseca legittimita’ dell’ordinanza, ma agisce sul piano dell’efficacia della misura cautelare (Sez. 4, n. 48094 del 11/07/2017, Di Rienzo, Rv. 271168).
Di guisa che la questione del diritto alla scarcerazione per decorrenza dei termini, da calcolarsi al momento dell’esecuzione del primo titolo custodiale, deve essere proposta al giudice per le indagini preliminari con istanza ex articolo 306 c.p.p. e, successivamente, in caso di provvedimento reiettivo, al tribunale in sede di appello ex articolo 310 c.p.p..
4.2. Deve essere, pertanto, affermato il principio per cui il ricorso per cassazione che contenga tra i motivi la censura di violazione della retrodatazione dei termini di durata di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 3, comportando un accertamento di merito relativo al rapporto di connessione tra i fatti oggetto dei due diversi procedimenti, alla desumibilita’ dagli atti delle posteriori contestazioni, all’interesse attuale alla proposizione della questione non puo’ essere proposto per saltum ex articolo 311 c.p.p., ma la relativa questione deve essere proposta al giudice per le indagini preliminari con istanza ex articolo 306 c.p.p. e, successivamente, in caso di provvedimento reiettivo, al tribunale in sede di appello ex articolo 310 c.p.p., salvo che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza tali termini fossero gia’ scaduti.
5. Alla inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma, che si stima equo determinare in Euro 3000, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

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