In tema di diffamazione sussiste il requisito della comunicazione con più persone

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|4 marzo 2021| n. 8890.

In tema di diffamazione, sussiste il requisito della comunicazione con più persone anche quando uno dei due destinatari sia tenuto al segreto professionale. (Fattispecie relativa alla manifestazione di espressioni offensive della reputazione di una collega di lavoro nel corso di un incontro di mediazione con il dirigente aziendale, tenuto in forma riservata con l’assistenza di uno psicologo).

Sentenza|4 marzo 2021| n. 8890

Data udienza 30 novembre 2020

Integrale
Tag – parola chiave: Diffamazione – Comunicazione a più persone – Irrilevanza del fatto che una di esse sia tenuta al segreto professionale – Esimente dell’esercizio del diritto di critica – Necessaria veridicità dei fatti – Mancata verifica – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
nel procedimento instaurato nei confronti di:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/12/2019 del TRIBUNALE DI FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI FRANCOLINI;
lette:
– la requisitoria scritta in data 10/11/2020, presentata Decreto Legge 28 ottobre 2020, ex articolo 23, comma 8, dal Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di Cassazione LUIGI BIRRITTERI, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in ragione della fondatezza del secondo motivo di ricorso;
– nonche’ la memoria in data 19/11/2020 contenente le conclusioni scritte, presentata ai sensi della stessa norma dall’avvocato (OMISSIS) nell’interesse dell’imputata, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso perche’ proposto al di fuori dei casi contemplati dall’articolo 606 c.p.p., e comunque perche’ manifestamente infondato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del giorno 19 dicembre 2019 (dep. il 10 gennaio 2020) il Tribunale di Firenze, a seguito dell’appello interposto nell’interesse di (OMISSIS), in riforma della sentenza del Giudice di pace di Firenze del 14 marzo 2019, ha assolto perche’ il fatto non sussiste la stessa (OMISSIS) dall’imputazione di diffamazione commessa in danno (articolo 595 c.p.) di (OMISSIS) ed ha revocato le statuizioni civili in favore di quest’ultima contenute nella medesima pronuncia di primo grado.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la parte civile, per i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione della legge penale (in particolare, dell’articolo 595 c.p.), adducendo che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe escluso la tipicita’ del fatto dell’imputata ritenendo che (OMISSIS) non abbia proferito l’espressione offensiva a lei contestata innanzi a piu’ persone, atteso che uno dei due soggetti presenti, ossia Paolo CARDOSO era tenuto al segreto professionale.
2.2. Con il secondo motivo e’ stata allegata la violazione della legge penale (in particolare dell’articolo 51 c.p.), poiche’ la sentenza impugnata avrebbe ritenuto la condotta scriminata dall’esercizio del diritto di critica senza avere alcun riguardo al requisito della verita’ del fatto dichiarato dall’imputata e ravvisando erroneamente il requisito della pertinenza, entrambi presupposti per il riconoscimento della scriminante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ fondato nei termini che si espongono.
1. E’ utile in primo luogo dar conto della vicenda oggetto di imputazione, come ricostruita in maniera incontestata dalle sentenze di merito. Tra (OMISSIS) e l’impresa per la quale presta attivita’ lavorativa era un sorta una controversia di lavoro poiche’, al rientro in servizio dopo l’astensione per maternita’, all’imputata erano state attribuite mansioni diverse dalle precedenti che erano ormai svolte da (OMISSIS). Il giorno (OMISSIS), nel corso di un colloquio di mediazione cui erano presenti lo psicologo (OMISSIS) e il dirigente (OMISSIS), a specifica richiesta la (OMISSIS) aveva manifestato l’intenzione di assumere nuovamente la mansione precedentemente svolta, il dirigente le aveva rappresentato l’impossibilita’ di dar corso a quanto da lei chiesto poiche’ i dati sensibili appresi nello svolgimento delle stesse mansioni dovevano rimanere conosciuti da poche persone, tra cui la nuova incaricata (OMISSIS). Era in quel momento che l’imputata aveva rappresentato di aver sentito dalla propria stanza la (OMISSIS) diffondere il contenuto dei messaggi di posta elettronica ad altri ed aveva aggiunto che il collega (OMISSIS) le aveva confidato di aver appreso della malattia professionale di (OMISSIS) dalla propria madre, la quale era in confidenza con la madre della (OMISSIS). Risulta, poi, che il dirigente aziendale avesse riferito alla (OMISSIS) il contenuto del colloquio, chiedendole se fosse vero che ella aveva diffuso i dati sensibili dell’ (OMISSIS), circostanza negata dall’odierna parte civile.
Il Tribunale di Firenze ha riformato la pronuncia di condanna emessa in primo grado, ritenendo fondato il gravame interposto nell’interesse della (OMISSIS). Piu’ in particolare, ha negato la sussistenza del delitto di diffamazione, poiche’ l’imputata aveva espresso le proprie considerazioni sulla (OMISSIS) in una sede qualificata alla presenza dello psicologo aziendale tenuto al segreto professionale e del dirigente aziendale, soltanto dopo che alla (OMISSIS) erano state affidate le mansioni gia’ svolte dalla (OMISSIS) e solo dopo che le era stato opposto un rifiuto alla nuova attribuzione delle sue vecchie mansioni; in tal modo, ad avviso del Tribunale, l’imputata ha espresso in una sede riservata e qualificata il proprio lecito diritto di critica con espressioni del tutto pertinenti all’oggetto del contendere ed espresse anche in forma contenuta.
2. Tanto premesso, con il primo motivo e’ stata dedotta la violazione della legge penale (deduzione che deve riferirsi alla norma sostanziale rilevante nella specie, ossia l’articolo 595 c.p., e non anche all’articolo 530 c.p.p. pure menzionato dal ricorrente; cfr. Sez. 5, n. 47757 del 07/10/2016, Altoe’, Rv. 268404 – 01). In particolare, si e’ prospettata l’erronea esclusione della tipicita’ della condotta di (OMISSIS), sulla base dell’altrettanto erroneo assunto che ella nel caso di specie non abbia comunicato con piu’ persone.
Alla luce della formula assolutoria impiegata (“perche’ il fatto non sussiste”), del fatto che il Tribunale ha espressamente affermato la fondatezza in toto dell’appello (con il quale era stata dedotta proprio tale questione), deve ritenersi che l’accoglimento del gravame sia stato integrale; nonostante la sentenza di appello non abbia affermato a chiare lettere di aver escluso l’elemento oggettivo del reato perche’ la (OMISSIS) non avrebbe comunicato con piu’ persone, il Tribunale ha comunque fatto riferimento al fatto che – come assunto dall’appellante – uno dei due soggetti presenti, ossia (OMISSIS), fosse tenuto al segreto professionale.
2.1. La statuizione e’ frutto di un error iuris.
L’articolo 595 c.p., incrimina chiunque, comunicando con piu’ persone, offenda l’altrui reputazione (nei casi in cui la comunicazione non sia diretta all’offeso che vi resta estraneo; cfr. Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742 – 01; Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicaretti, Rv. 276502 – 01).
Questa Corte ha gia’ rilevato che “il bene giuridico tutelato dall’articolo 595 c.p., e’ l’onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (la reputazione intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella societa’ e, in particolare, nell’ambiente in cui quotidianamente vive e opera) di ciascuna persona, e l’evento e’ costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilita’, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente, a incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino (…). Si tratta di evento, non fisico, ma, psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte di terzi, dell’espressione offensiva” (Sez. 5, n. 39059 del 27 giugno 2019, Belpietro, Rv. 276961 – 01, che richiama, tra l’altre, Sez. 5, n. 47175 del 04/07/2013, Aquilio Ulizio, Rv. 257704).
Ebbene, nel caso di specie, la tipicita’ del fatto non puo’ certo escludersi perche’ uno dei due soggetti (ulteriori rispetto all’imputata) presenti all’incontro di mediazione in discorso fosse lo psicologo (OMISSIS), per la dirimente considerazione che l’offesa alla reputazione della (OMISSIS) si era gia’ prodotta allorche’ (oltre allo (OMISSIS)) anche il (OMISSIS) aveva ricevuto la comunicazione dell’espressione della (OMISSIS) (il cui tenore offensivo non e’ in discussione); e cio’ a prescindere dalla circostanza che il (OMISSIS) fosse o meno tenuto al segreto.
E’ dunque fondato il primo motivo di ricorso.
3. Il Tribunale di Firenze ha, comunque, osservato che l’imputata si e’ espressa in una sede qualificata – dopo che alla (OMISSIS) erano state affidate le mansioni gia’ attribuite a lei e successivamente al rifiuto del dirigente di conferirle nuovamente alla stessa (OMISSIS) -, esercitando il proprio diritto di critica con dichiarazioni pertinenti all’oggetto del contendere ed espresse in forma contenuta. Occorre, pertanto, esaminare – al fine di decidere in ordine all’annullamento o meno della sentenza impugnata – anche il secondo motivo di ricorso.
3.1. Con il secondo motivo e’ stata prospettata la violazione dell’articolo 51 c.p..
Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe ritenuto giustificato il fatto dell’imputata, per l’esercizio del diritto di critica in contrasto con i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimita’.
Infatti:
– anzitutto, nulla avrebbe argomentato sulla verita’ del fatto dichiarato dalla (OMISSIS) che sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali risulterebbe “non veritiero”; e neppure si sarebbe espressa sulla convinzione della (OMISSIS) della veridicita’ di quanto riportato ai propri interlocutori;
– inoltre, avrebbe ritenuto la sussistenza del requisito della pertinenza, nonostante la riunione nel corso della quale la (OMISSIS) si era espressa nei termini predetti fosse finalizzata a mediare tra la posizione dell’imputata e quella del suo datore di lavoro e la (OMISSIS) avesse invece denigrato l’operato professionale della (OMISSIS); in altri termini, quantunque l’oggetto dell’incontro fosse il rapporto di lavoro della (OMISSIS), quest’ultima avrebbe proferito espressioni offensive relative all’operato di un’altra collega perche’ quest’ultima l’aveva sostituita nelle sue mansioni.
3.2. Il motivo di ricorso e’ fondato, nei termini che si espongono.
La giurisprudenza di questa Corte e’ consolidata nell’affermare che “in tema di diffamazione, ai fini della applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica, non puo’ prescindersi dal requisito della verita’ del fatto storico ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica” (Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, Coppola, Rv. 272432 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 36602 del 15/07/2010, Selmi, Rv. 248432 – 01).
Infatti, l’esercizio del diritto di critica incontra limiti “rinvenibili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, quale e’ quello previsto dall’articolo 2 Cost., onde non e’ consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell’espressione (….). La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioe’, normalmente, un contenuto di veridicita’ limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse” (Sez. 5, n. 12180 del 31/01/2019, Valente).
3.3. Ebbene, nel caso di specie la sentenza impugnata, allorche’ ha affermato che la (OMISSIS) nel caso in esame aveva esercitato “il proprio lecito diritto di critica”, ha fatto riferimento alla sede in cui ella si e’ espressa e ritenuto la pertinenza e la forma contenuta dei suoi asserti; tuttavia, la pronuncia non ha esaminato ex professo il tema della verita’ del fatto attribuito dall’imputata alla (OMISSIS). Ne’ dai passi della motivazione che riportano l’esito delle prove orali puo’ trarsi che il Tribunale abbia ritenuto la veridicita’ degli asserti della (OMISSIS) (o che, ad avviso dello stesso Giudice, ella li abbia ritenuti veri per errore assolutamente scusabile: cfr. gia’ Sez. 5, n. 11199 del 11/08/1998, Mattana, Rv. 212131 – 01), avendo piuttosto il provvedimento dato conto che: la (OMISSIS) ha negato di aver mai divulgato dati riservati appresi nello svolgimento della propria attivita’ lavorativa (ammettendo solo di conoscere il collega (OMISSIS) e la sua famiglia); e il (OMISSIS) non risulta aver confermato di aver appreso dati sensibili dalla (OMISSIS) (avendo anzi dichiarato di esser stato lui a riferire alla madre della malattia dell’ (OMISSIS), contrariamente a quanto affermato dall’imputata).
In conclusione, sulla scorta dei detti elementi, il Tribunale ha erroneamente applicato l’articolo 51 c.p., al caso concreto, in difetto del requisito in discorso; deve, allora, ravvisarsi la dedotta violazione di legge (Sez. 5, n. 47757/2016, cit.).
4. In conclusione, in accoglimento del ricorso proposto dalla parte civile, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (articolo 622 c.p.p.).

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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