In tema di competenza per territorio

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 7 giugno 2019, n. 25239.

La massima estrapolata:

In tema di competenza per territorio, qualora si proceda per tentata estorsione, reato complesso in cui figura come elemento costitutivo quello di minaccia, per stabilire il luogo dell’ultimo atto diretto a commettere il reato occorre tener conto delle specifiche modalità con cui quest’ultima è stata realizzata, sicchè, nel caso in cui sia stata attuata mediante comunicazioni telefoniche, esso deve individuarsi in quello nel quale la persona offesa ha recepito tali comunicazioni.

Sentenza 7 giugno 2019, n. 25239

Data udienza 16 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VERGA Giovanna – Presidente

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere

Dott. PACILLI Giuseppina A. – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – rel. Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 21/01/2019 del TRIB. LIBERTA’ di BOLOGNA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DI PISA FABIO;
sentite le conclusioni del PG Dott. BIRRITTERI LUIGI il quale ha concluso per l’inammissibilita’ dei ricorsi;
udito l’Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) il quale ha precisato che per mero errore materiale nel ricorso e’ stato fatto riferimento all’articolo 56 c.p. e non gia’ all’articolo 8 c.p.p., ed ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 21/01/2019 il Tribunale di Bologna, adito in sede di riesame, in parziale riforma dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ravenna in data 8 Novembre 2018, sostituiva la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) indagati per il reato di concorso in tentata estorsione aggravata in danno di (OMISSIS).
2. Avverso la suddetta ordinanza gli indagati, con un unico atto ed a mezzo del medesimo difensore, propongono ricorsi per cassazione deducendo:
– violazione ed erronea applicazione della legge processuale con riferimento alla ritenuta competenza per territorio.
Assumono che atteso che l’ultimo atto diretto in modo non equivoco ad ottenere l’ingiusto profitto era stato compiuto dagli altri indagati (OMISSIS) e (OMISSIS) presso il loro domicilio coatto in (OMISSIS), luogo in cui si trovavano al momento in cui si erano messi in contatto con la persona offesa ed avevano richiesto la consegna del denaro, giudice territorialmente competente era il tribunale di tale citta’ mente il tribunale del riesame non aveva colto la natura speciale e derogatoria del disposto di cui all’articolo 56 c.p., u.c. (rectius articolo 8 c.p.p., u.c., come precisato in udienza);
– violazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) in ragione della omessa consegna da parte dell’ufficio del Pubblico Ministero dei supporti informatici sui quali si trovavano impresse le registrazioni audio-video poste a fondamento della contestazione cautelare.
Deducono che sebbene fosse stata effettuata rituale e tempestiva richiesta, il P.M. non aveva assicurato il tempestivo accesso agli atti e che i giudici del riesame, nel disattendere la relativa eccezione, non avevano applicato i principi fissati dalla Corte Costituzionale e dalle SS.UU. della Corte di Cassazione in materia, risultando prova che la copia era stata negata alla difesa e consegnata solamente dopo la celebrazione dell’udienza cautelare.
Lamentano che era, quindi, palese la nullita’ del titolo impositivo per violazione del diritto di difesa a nulla rilevando la circostanza che i supporti chiesti al P.M. erano stati comunque trasmessi dal Tribunale del Riesame;
– vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta inequivocita’ degli atti di tentata estorsione contestati.
La difesa assume che il provvedimento non si era pronunziato, se non in modo del tutto carente, in ordine alla specifica contestazione circa la ritenuta inequivocita’ delle condotte ascritte agli odierni indagati commesse interamente in territorio estero aventi contenuto materiale diverso da quelle poste in essere dagli altri presunti corresponsabili registrate e divulgate avvalendosi di profilo dell’applicativo Facebook, apparendo del tutto apodittica l’affermazione secondo cui trattavasi di una qualificata condotta concorsuale finalisticamente orientata a sostenere la ritenuta pretesa estorsiva posta in essere da terzi soggetti laddove le condotte tenute in Romania dagli indagati erano “solo” oltraggiose e minatorie ma prive di alcun riferimento a richieste estorsive;
– vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’articolo 629 c.p..
Il difensore degli indagati lamenta che il Tribunale aveva omesso ogni motivazione in ordine alle censure svolte quanto all’elemento psicologico del reato tenuto conto, peraltro, della circostanza che le dichiarazioni rese a loro carico dal denunziante ((OMISSIS)) e dal di lui genero ( (OMISSIS)) intese a dimostrare il nesso concorsuale erano dichiarazioni proveniente da soggetti indagati in procedimento collegato e richiedevano, quindi, riscontri esterni individualizzanti carenti nella specie;
– vizio di motivazione in ordine alla contestata sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 112 c.p.. La difesa lamenta che la specifica censura sul punto era rimasta priva di risposta alcuna;
– violazione di legge e difetto di motivazione in punto di esigenze cautelari.
Viene assunto che la motivazione a tal proposito era meramente apodittica e tautologica e basata solamente sulle condotte e sulla asserita gravita’ delle stesse senza alcuna considerazione collegata al singolo individuo ed alla sua pericolosita’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi devono essere rigettati.
2. Il primo motivo e’ infondato.
2.1. Va premesso che ai sensi dell’articolo 8 c.p.p., u.c. nel caso di delitto tentato e’ territorialmente competente il giudice del luogo in cui “e’ stato compiuto l’ultimo atto diretto a commettere il delitto”.
Osserva il collegio che il tribunale del riesame, con una motivazione conforme a diritto, ha ravvisato la competenza per territorio del Tribunale di Ravenna ex articolo 8 c.p.p., comma 4, correttamente individuando il luogo ove e’ stato compiuto l’ultimo atto diretto alla commissione dell’estorsione in quello in cui la persona offesa (OMISSIS) ha recepito le comunicazioni minacciose.
La difesa confuta la correttezza della soluzione adottata assumendo che l’ultimo atto diretto ad ottenere il profitto ingiusto sarebbe stato, in effetti, compiuto dagli altri indagati (OMISSIS) e (OMISSIS) presso il loro domicilio coatto in (OMISSIS), luogo in cui si trovavano al momento in cui si erano messi in contatto con la persona offesa ed avevano richiesto la consegna del denaro.
Ritiene il collegio che, come condivisibilmente affermato dal Supremo Collegio con la pronunzia n. 1031/1986, essendo l’estorsione una figura di illecito complessa in cui si ritrova come elemento costitutivo il reato di minaccia, occorre, nell’evenienza di estorsione tentata, tener conto, ai fini della competenza, delle specifiche modalita’ con cui e’ stata in concreto realizzata la minaccia sicche’ posto che la stessa e’ stata attuata mediante comunicazioni a distanza telefoniche l’individuazione del luogo dell’ultimo atto diretto a commettere il reato e’ quello dove la persona offesa ha recepito le comunicazioni minacciose, nella specie (OMISSIS) secondo quanto accertato dai giudici di merito.
2.2. Dal momento che l’attivita’ persuasiva diretta a vincere la resistenza della vittima (OMISSIS) si e’ realizzata nel momento in cui il destinatario ha ricevuto la telefonata minacciosa e nel luogo in cui si trovava al momento della ricezione, condivisibilmente e’ stata, quindi, disattesa l’eccezione di incompetenza territoriale in quanto “l’ultimo atto diretto a commettere il delitto di estorsione” si e’ perfezionato ed e’ venuto in essere solamente allorquando la persona offesa ha subito la minaccia presso il suo domicilio.
3. Il secondo motivo e’ anch’ esso privo di fondamento.
Va premesso che in tema di misure cautelari personali la difesa che deduca la nullita’ di ordine generale a regime intermedio per non aver ottenuto l’accesso ai supporti magnetici o informatici contenenti le registrazioni di conversazioni telefoniche o di riprese audiovisive, utilizzate per l’emissione di un provvedimento di coercizione personale, e’ gravata da un duplice onere probatorio consistente sia nel provare la tempestiva richiesta rivolta al P.M. in vista del giudizio di riesame sia l’omesso o il ritardato rilascio della documentazione richiesta. (Sez. 2, n. 43772 del 03/10/2013 – dep. 25/10/2013, Bathiri, Rv. 25730401).
Il tribunale ha correttamente evidenziato che “come dichiarato dallo stesso difensore la richiesta di autorizzazione al rilascio delle copie degli atti, avanzata al PM, risulta rilasciata dal medesimo in data 10 gennaio 2019. La mancata risposta oggetto di doglianza difensiva alla successiva comunicazione da parte il difensore dell’11 gennaio con la quale si chiedeva al PM con richiesta avanzata via telefax “di comunicare modi e tempi di rilascio della copia richiesta” appare circostanza di nessun significato dal momento che non risulta in alcun modo che la difesa dell’indagato presentatasi presso gli uffici del PM per ottenere copia degli atti sia stato in qualche modo negata per motivi giuridici o pratici tale copia. Non puo’ certo valere e costituire doglianza della lesione del diritto di difesa la circostanza che tale diritto non sia stato concretamente esercitato dallo stesso difensore. Infine va ulteriormente rilevato che il documento di cui si tratta risulta essere stato trasmesso a questo tribunale del riesame unitamente agli altri atti di indagine gia’ trasmessi al G.I.P. e utilizzati per l’adozione di misure cautelari di tal che’ anche sotto questo profilo non sussiste alcuna lesione del diritto di difesa dal momento che il difensore ha avuto la piena possibilita’ di accesso e di estrazione di tale copia anche presso questo tribunale del riesame”.
3.1. Trattasi di motivazione adeguata e corretta in diritto atteso che non vi e’ stata alcuna violazione dei diritti dell’indagato ove si evidenzi che, a tacer d’ altro, il difensore, nel caso di oggettiva impossibilita’ di completare la propria attivita’, avrebbe potuto richiedere il rinvio dell’udienza di riesame ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., comma 9-bis ovvero formulare istanza di un breve rinvio dell’udienza del 21 Gennaio 2019 svoltasi innanzi al Tribunale del riesame – risultando acquisiti agli atti le registrazioni in questione – integrando i motivi di impugnazione dopo averne estratto copia e preso visione anche alla successiva udienza: non vi e’ stata, dunque, ne’ violazione del diritto di difesa ne’ si e’ verificata alcuna nullita’, con la conseguenza che il secondo motivo deve essere rigettato.
4. Il terzo ed il quarto motivo sono manifestamente infondati.
Rileva il collegio che con tali motivi si contesta, sostanzialmente, la valutazione di merito compiuta dai giudici con riferimento ai gravi indizi di colpevolezza relativamente al reato contestato senza considerare che alla Corte di cassazione e’ preclusa la rilettura di altri elementi di fatto rispetto a quelli posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti medesimi, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito.
Nella specie la difesa dei ricorrenti si limita a proporre una lettura riduttiva degli elementi di fatto posti a base del provvedimento di rigetto, lamentando un generico deficit dell’apparato motivazionale, che in realta’ appare adeguato ai motivi proposti nell’atto di impugnazione.
Risulta, pertanto, evidente che queste doglianze introducono censure che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimita’. D’altronde il giudice di merito non e’ tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo e’ stato tenuto presente, si’ da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900).
4.1. In punto di diritto va, quindi, rilevato che, nella fase cautelare, si richiede non la prova piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’articolo 192 c.p.p.) ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Questa Corte, in particolare, condivide il maggioritario indirizzo giurisprudenziale secondo il quale “in tema di misure cautelari personali, la nozione di gravi indizi di colpevolezza di cui all’articolo 273 c.p.p. non si atteggia allo stesso modo del termine indizi inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, e’ sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilita’ sulla responsabilita’ dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’articolo 192 c.p.p., comma 2, come si desume dall’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, che richiama l’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, ma non il comma 2 dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti)”: Cass. 36079/2012 Rv. 253511; Cass. 7793/2013 Rv. 255053; Cass. 18589/2013 Rv. 255928; Cass. 16764/2013 Rv. 256731.
Occorre, ancora, ricordare che la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientrano tra i compiti istituzionali del giudice di merito e sfuggono al controllo del giudice di legittimita’ se adeguatamente motivate e immuni da errori logico-giuridici. Invero a tali scelte e valutazioni non puo’ infatti opporsi, laddove esse risultino, come nella specie, correttamente motivate, un diverso criterio o una diversa interpretazione, anche se dotati di pari dignita’ (Cass. Penale sez. 6, 3000/1992, Rv. 192231 Sciortino).
Deve pure ribadirsi che il ricorso per cassazione, il quale deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, pertanto, assenza delle esigenze cautelari e’ ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando – come nel caso di specie – propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass. pen. sez. 5, 46124/2008, Rv.241997, Magliaro. Massime precedenti Vedi: N. 11 del 2000 Rv. 215828, N. 1786 del 2004 Rv. 227110, N. 22500 del 2007 Rv. 237012, N. 22500 del 2007 Rv. 237012). Nella fattispecie, nessuna di tali due evenienze – violazione di legge o vizio di motivazione rilevante ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) – risulta essersi verificata, a fronte di una motivazione che e’ stata in concreto diffusamente prospettata in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
4.2. Osserva questa Corte che il tribunale ha ritenuto sussistente a carico dei ricorrenti, in forza di una serie di circostanze oggettive di fatto indicate, dando conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, una solida piattaforma indiziaria con riferimento alla condotta di tenta estorsione contestata ed ha ancorato il proprio giudizio ad elementi specifici risultanti dagli atti dalla cui valutazione globale ha tratto un giudizio in termini di qualificata probabilita’ circa l’attribuzione dei reati contestati ai predetti, restando preclusa, in questa sede, la rilettura delle circostanze di fatto poste a fondamento della ordinanza impugnata, laddove la motivazione risulti immune da evidenti illogicita’ ed interne contraddizioni, come nella fattispecie in esame.
A tal proposito non appaiono rilevanti e decisive le contestazioni formulate dai ricorrenti quanto alla ritenuta insussistenza di una “inequivocita’” degli atti posti in essere in concreto dai suddetti indagati avendo il tribunale del riesame chiarito, con ragionamento in fatto non censurabile in questa sede, che l’effettiva sussistenza delle condotte minacciose finalizzate al pagamento di somme di denaro, addebitabili agli odierni indagati quali concorrenti, risultavano adeguatamente “documentate mediante videoregistrazione” e sostanzialmente ammesse dagli stessi ricorrenti in sede di interrogatorio di garanzia, precisando che appariva evidente che “tale condotta sia stata posta in essere coscientemente con chiaro intento minatorio nei confronti della persona offesa dal momento che la condotta documentata attesta la presenza di piu’ persone in possesso di mazze da baseball o bastoni in orario notturno vicino alla casa della persona offesa scese dall’auto e colte nell’atto di introdursi dentro la recinzione della proprieta’ della casa” e che “la documentazione di tali condotte e l’inoltro delle medesime mediante video messaggio sul social network all’indirizzo della persona offesa e del genero lascia ben pochi dubbi sul significato delle persone riprese. Si osserva poi che non si puo’ dubitare del contenuto oggettivamente minatorio delle condotte descritte sia per la loro oggettivita’ sia perche’ collegate alle ulteriori minacce rivolte alla vittima dai coindagati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)” ed avendo, quindi, accertato, con ragionamento in fatto non censurabile in questa sede, “lo stretto collegamento ed il coordinamento fra le richieste estorsive avanzate dai sopra indicati indagati e dagli odierni ricorrenti”.
In tale contesto il tribunale, nell’esercizio dei poteri valutativi che gli competevano, con congrua motivazione in fatto ha ricostruito la vicenda nei termini precisati – ritenendo correttamente integrati, a livello indiziario, gli estremi oggettivi e soggettivi di cui agli articoli 56, 629 c.p. – la cui valenza i ricorrenti tentano, invano, di sminuire riducendo il tutto a delle condotte meramente “oltraggiose” e prive di alcun riferimento a pagamenti.
6. Del tutto generico ed aspecifico e’ il quinto motivo a fronte della ricostruzione fattuale operata dai giudici di merito in ordine alla configurabilita’ dell’aggravante delle persone riunite, fermo restando che la difesa non ha chiarito sotto quale profilo la questione possa incidere sulla legittimita’ del titolo custodiale.
7. Destituite di fondamento sono anche le censure formulate con l’ultimo motivo che attengono alla inesistenza delle esigenze cautelari, riconosciute dai giudici del riesame.
7.1. Il tribunale, con motivazione congrua e corretta, ha chiarito, operando un ragionamento riferito a tutti gli indagati, le ragioni per le quali apparivano conclamate la concretezza ed attualita’ del pericolo di reiterazione dei reati testimoniata dalla estrema gravita’ delle condotte poste in essere dai singoli inserire un una “faida” fra i due nuclei familiari interessati tale da implicare il rischio concreto di “reiterazione di condotte analoghe”, motivando adeguatamente anche sotto il profilo della “attualita’”, stante il protrarsi delle richieste estorsive sino al momento del loro accertamento.
Trattandosi di valutazioni di merito, correttamente e congruamente motivate, le censure, per alcuni versi generiche ed aspecifiche risultano, quindi, infondate.
8. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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