Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 4 maggio 2016, n. 18679
Ritenuto in fatto
1.I1 sig. R.G. ricorre per l’annullamento della sentenza del 08/05/2014 della Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – che ha confermato la condanna alla pena di un anno e tre mesi di reclusione inflittagli il 27/01/2012 dal Tribunale di Taranto per il reato di cui agli artt. 81, cpv., 609-bis, cod. pen., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, mediante violenza – consistita nel porre in essere una condotta insidiosamente rapida e tale da superare l’altrui contraria volontà – aveva costretto la quindicenne E.D.L. a subire atti sessuali consistiti in ripetuti tentativi, a volte riusciti, di baciarla sulla guancia dopo averla reiteratamente seguita all’uscita del liceo dalla stessa frequentato. Fatto contestato come commesso in Taranto fino al 01/10/2008, con recidiva infraquinquennale.
I Giudici di merito (che hanno altresì condannato l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile) hanno ritenuto la valenza sessuale del gesto, ulteriormente ribadita – dalla Corte distrettuale – anche sulla base di circostanze estrinseche all’azione considerate indici significativi della sua finalità concupiscente, quali la ammessa attrazione per la ragazza (con il quale non v’era mai stato alcun tipo di rapporto, nemmeno di fugace conoscenza) e il fatto che al momento del fermo l’imputato avesse la cerniera dei pantaloni aperta.
La parziale incapacità di intendere e di volere non aveva escluso del tutto, secondo i Giudici di merito, la consapevolezza della valenza sessuale della condotta e del suo disvalore penale e ciò anche in considerazione delle modalità con cui era stata attuata la condotta (gli appostamenti reiterati lungo il tragitto che la ragazza avrebbe fatto all’uscita della scuola per recarsi a prendere l’autobus, il cercar riparo dietro alberi o auto in sosta per non farsi notare ed attuare meglio il proposito criminoso).
La mancanza di segni di elemento positivo non giustificava, secondo la Corte di appello, un’ulteriore attenuazione della pena, già confinata in prossimità dei minimi edittali dell’ipotesi di minore gravità di cui all’art. 609-bis, u.c., cod. pen., in considerazione dell’invocata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non concesse in primo e in secondo grado.
1.1.Con unico motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea interpretazione dell’art. 609-bis, cod. pen. e deduce, al riguardo, di essersi limitato a dare un bacio sulla guancia della ragazzina, verso la quale nutriva sentimenti “nobili”. Al momento del fatto, inoltre, era in preda ad uno stato di eccitamento maniacale e da una perdita del controllo della volontà. Incomprensibile – conclude – la mancata concesst~delle circostanze attenuanti generiche.
Considerato in diritto
2.I1 ricorso è fondato.
3.Premesso che il ricorrente affastella sotto un unico motivo di ricorso argomenti di doglianza non omogenei e non del tutto acconci né al tipo di vizio formalmente denunziato né ai limiti della loro devoluzione in sede di legittimità (ci si riferisce, in particolare, al fugace accenno ai propri stati mentali al momento del fatto, la cui economia nella deduzione del vizio è oscura e marca piuttosto il timido tentativo di far irrompere elementi fattuali nel giudizio di legittimità), resta il nucleo centrale della questione devoluta: la natura di “atto sessuale” dei bacio sulla guancia. Questione la cui soluzione impone valutazioni concrete e non astratte.
3.1.A tal fine è necessario ricordare che il reato di cui all’art. 609-bis, cod. pen., è posto a presidio della libertà personale dell’individuo che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l’inganno. La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell’individuo, trova la sua più alta forma di tutela nella proclamazione della inviolabilità assoluta dei diritti dell’uomo, riconosciuti e garantiti dalla Repubblica in ogni formazione sociale (art. 2, Cost.), e nella promozione dei pieno sviluppo della persona che la Repubblica assume come compito primario (art. 3, comma 2, Cost.).
3.2.La libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali è dunque assoluta e incondizionata e certamente non incontra limiti nelle diverse intenzioni che l’altra persona possa essersi prefissa. L’assolutezza del diritto tutelato non tollera, nella chiara volontà del legislatore, possibili attenuazioni che possano derivare dalla ricerca di un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale, fine estraneo alla fattispecie e non richiesto dall’art. 609-bis, cod, pen. per qualificare la penale rilevanza della condotta.
3.3.Coerentemente alla natura del bene tutelato e alla centralità della persona offesa, unica titolare dei diritto, nessun dolo specifico (al fine di), né alcun movente esclusivo (al solo scopo di) hanno il compito di tipizzare l’offesa. Qualsiasi valorizzazione di questi atteggiamenti interiori sposterebbe il disvalore della condotta incriminata dalla persona che subisce la limitazione della libertà sessuale a chi la viola.
3.4.L’atto deve poter essere definito come “sessuale” sui piano obiettivo, non su quello soggettivo delle intenzioni dell’agente. Se, perciò, il fine di concupiscenza non concorre a qualificare l’atto come sessuale, il fine ludico o di umiliazione della vittima non lo esclude (Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007, Rv. 236964; Sez. 3, n. 35625 del 11/07/2007, Polifrone, Rv. 237294).
3.5.E’ necessario e sufficiente che l’imputato sia consapevole della natura “sessuale” dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria; tale natura preesiste alla volontà dell’agente, non è da questi creata, né conformata. Essa appartiene all’elaborazione scientifica ma è anche espressione della cultura di una determinata comunità in un determinato momento storico e può variare da regione a regione, da Paese a Paese, secondo i ì costumi e le usanze locali; il medesimo gesto può non avere ovunque la stessa valenza sessuale, presso alcuni popoli potrebbe non averne affatto (cfr. Sez. 3, n 25112 del 2007, cit., in ordine al bacio russo).
3.6.11 sesso evoca l’eros, ne è per certi versi sinonimo. Si può dunque sostenere che la natura sessuale dell’atto deriva dalla sua attitudine ad essere oggettivamente valutato, secondo canoni scientifici e culturali, come erotico, idoneo cioè a incarnare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dal fatto che proprio questo sia lo scopo dell’agente. Tale valutazione oggettiva costituisce il necessario presupposto del diritto alla libertà sessuale dell’individuo, ne definisce anche contenuto e ampiezza, conformandone, ad un tempo, l’oggetto mediante l’incessante osmosi con la scienza ed i mutevoli costumi sociali.
3.7.Secondo la scienza non solo medica, ma anche psicologica, antropologica e sociologica e in base al comune sentire, i genitali, i glutei ed il seno oggettivamente esprimono, più di ogni altra parte del corpo ed in modo più naturale, diretto ed esplicito, la sessualità. Il loro volontario toccamento esprime, con rara immediatezza, la natura “sessuale” del gesto, sicché, indipendentemente dalle intenzioni del suo autore (del tutto irrilevanti ai fini della sussistenza del reato), quando ciò avvenga senza il consenso di chi lo subisce o con l’inganno, viola il diritto dell’individuo di scegliere liberamente la persona con cui condividere questa parte di sé ed integra il delitto di cui all’art. 609-bis, cod. pen..
3.8.Anche altre condotte hanno valenza sessuale con la stessa dirompente evidenza: la masturbazione, il petting, i rapporti orali, vaginali, anali, esprimono di per sé la propria natura sessuale e con essa il diritto di porli in essere e/o di condividerli con chi si vuole ed in assenza di condizionamenti di sorta.
3.9.In alcuni casi, invece, la valutazione circa la natura “sessuale” dell’atto può essere esclusa dalla consuetudine, dal particolare contesto in cui si inserisce la condotta e/o dalla natura dei rapporti che intercorrono con il suo autore o dalla natura della prestazione (si pensi ai casi di assistenza alle persone non autosufficienti, agli atti medici, ai gesti d’affetto genitoriale, ai baci sulle guance dati in segno di affetto o di saluto); si tratta di situazioni che vanno valutate caso per caso e con estremo rigore al fine di escludere ogni ragionevole dubbio sul punto (Sez. 3, n. 10248 del 12/02/2014, Rv. 258588; Sez. 3, n. 37935 del 02/07/2004, Annunziata, Rv. 230041; si veda pure, Sez, 3, n. 41096, del 18/10/2011, Rv. 251316).
3.10.Va perciò esclusa l’interpretazione secondo la quale la nozione di “atto sessuale” deve essere circoscritta ai soli toccamenti delle zone (immediatamente) erogene del corpo, con esclusione di tutte le altre, ma vanno escluse anche improprie dilatazioni dell’ambito di operatività della fattispecie penale contrarie alle condizioni di sviluppo sociale e culturale nel quale l’atto si colloca (Sez. 3, n. 964 del 26/11/2014, n.m.).
3.11.La natura “sessuale” dell’atto (che preesiste – come detto – alle intenzioni dell’agente ma anche alla sensibilità della vittima) deve essere valutata secondo il significato “sociale” della condotta, avuto riguardo all’oggetto dei toccamenti, ma anche – quando ciò non sia sufficiente – al contesto in cui l’azione si svolge, ai rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte e ad ogni altro elemento eventualmente sintomatico di una indebita compromissione della libera determinazione della sessualità del soggetto passivo che sia oggettivamente e socialmente percepibile come tale.
3.12.Come ricordato anche dal Giudice delle leggi, «la condotta del (…) delitto di violenza sessuale consiste nel costringere taluno a compiere o subire, con violenza, minaccia o abuso di autorità, atti sessuali i quali abbracciano ora una gamma assai vasta di comportamenti, caratterizzati dall’idoneità a incidere comunque sulle facoltà della persona offesa di autodeterminarsi liberamente nella propria sfera sessuale. A fronte di una nozione di atto sessuale che continua ad avere come punti di riferimento da un lato la congiunzione carnale e dall’altro gli atti di libidine, ma intende distaccarsi dalla fisicità e materialità della distinzione per apprestare una più comprensiva ed estesa tutela contro qualsiasi comportamento che costituisca una ingerenza nella piena autodeterminazione della sfera sessuale, il legislatore ha avvertito l’esigenza di introdurre una circostanza attenuante per i casi di minore gravità (art. 609-bis, terzo comma, cod. pen.). Mediante una consistente diminuzione (in misura non eccedente i due terzi) della pena prevista per il delitto di violenza sessuale (fissata, nel minimo, in cinque anni di reclusione), risulta così possibile rendere la sanzione proporzionata nei casi in cui la sfera della libertà sessuale subisca una lesione di minima entità. L’attenuante si pone dunque quale temperamento degli effetti della concentrazione in un unico reato di comportamenti, tra loro assai differenziati, che comunque incidono sulla libertà sessuale della persona offesa, e della conseguente diversa intensità della lesione dell’oggettività giuridica del reato» (Corte Costituzionale, sentenza n. 325 del 22/06/2005).
3.13.Nel caso di specie, alla qualificazione di “atto sessuale” dei baci dati alla ragazzina concorrono, nella valutazione dei giudici distrettuali, quattro distinti aspetti della vicenda: a) le modalità repentine e insidiose della condotta; b) l’assenza di qualsiasi rapporto tra l’autore del gesto e la vittima; c) l’attrazione provata nei confronti di quest’ultima; d) la cerniera dei pantaloni aperta.
3.14.A parte la natura repentina dell’azione (che non qualifica l’atto come sessuale, ma solo la “violenza” del gesto), e l’irrilevante attrazione nutrita nei confronti della ragazzina (che sposta l’indagine dal momento oggettivo a quello delle intenzioni dell’agente), rimane il dato della cerniera aperta dei pantaloni che tuttavia costituisce elemento estrinseco e non contestuale all’azione, rilevato solo successivamente quando l’imputato fu rintracciato dai Carabinieri, senza alcuna certezza di un collegamento con l’azione delittuosa.
3.15.Resta dunque solo il bacio sulla guancia, la cui natura di atto sessuale – al di là di classificazioni definitorie inammissibilmente autosufficienti – non è affatto scontata (ché anzi il bacio sulla guancia è, secondo consuetudine, percepito come manifestazione di affetto o dato in segno s i o di saluto); si deve perciò far riferimento, come detto, alle circostanze concrete del caso. Ognuno vede, infatti, che una cosa è baciare repentinamente (ma puramente e semplicemente) una persona sulla guancia, altra è – per esempio – baciare un’alunna in luoghi appartati, trattenendola per i fianchi, chiedendole di essere baciati e rivolgendole apprezzamenti per il suo aspetto fisico (questo il caso oggetto della sentenza Sez. 3, n. 10248 del 12/02/2014, Rv. 258588), o il bacio sulla guancia dato nel tentativo di raggiungere la bocca.
3.16.Nel caso di specie non v’è dubbio che il semplice e fugace bacio sulla guancia, dato senza alcuna interferenza nella sfera sessuale della vittima, non possa essere oggettivamente considerato come “atto sessuale” alla stregua dei significato “sociale” che al gesto dell’imputato può essere oggettivamente attribuito.
3.17.La sua condotta, proprio per quella connotazione “violenta” che trasversalmente qualifica le azioni poste in essere contro la volontà di chi le subisce, integra piuttosto il reato di violenza privata di cui all’art. 610, cod. pen..
3.18. Sicché la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio che dovrà essere riparametrato alla luce della diversa qualificazione giuridica della condotta.
4.E’ invece inammissibile, perché manifestamente infondata, la censura relativa alla mancata concessione delle circostanze generiche.
Premesso che, come ricordato in sede espositiva del motivo unico di ricorso, l’imputato eccepisce il solo vizio di violazione di legge, la Corte di appello fa buon governo del principio secondo il quale «in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto dei fatto quanto del soggetto che di esso sì è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio» (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez. 2, n. 2769 del 02/12/2008, Poliseno, Rv. 242709; nonché Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace, Rv. 245241; e Sez. 5, 7562 del 17/01/2013, La Selva, Rv. 254716).
P.Q.M.
Qualificato il fatto ex art. 610, c.p., annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce; rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge
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