In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 27 maggio 2019, n. 23150.

La massima estrapolata:

In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, se l’istituto della continuazione non è stato applicato per errore, la sentenza va annullata e gli atti tornano al giudice procedente per la rinegoziazione accordo, non potendo i giudici di legittimità procedere autonomamente all’eliminazione della frazione di pena applicata in aumento.

Sentenza 27 maggio 2019, n. 23150

Data udienza 17 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 6/11/2018 del Tribunale di Verona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BARBERINI Roberta Maria, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’annullamento senza rinvio quanto alla ritenuta continuazione ed eliminazione della relativa frazione di pena.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza ex articolo 444 c.p.p. del 6 novembre 2018, il Tribunale di Verona ha applicato a (OMISSIS) la pena di anni uno e mesi otto di reclusione e 1.800 Euro di multa per i reati, riuniti nel vincolo della continuazione, di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti di tipo hashish ed eroina, ritenuti di lieve entita’ e qualificati come plurime violazioni dell’articolo 73, comma 5, Testo Unico stup.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
3. Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 73, comma 5, Testo Unico stup. e dell’articolo 81 c.p., per essere stata ritenuta la pluralita’ di reati – riuniti nel vincolo della continuazione – pur in presenza di un’unica condotta di contestuale, illecita, detenzione di sostanze stupefacenti di tipo diverso.
4. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’articolo 81 c.p., commi 3 e 4, per essere stato violato il divieto del ricorso al cumulo giuridico quando cio’ comporti l’irrogazione di una pena superiore a quella determinabile utilizzando il metodo del cumulo materiale, essendo stata nella specie applicata a titolo di aumento per la continuazione per un fatto di minima gravita’ una pena superiore al minimo edittale di mesi sei di reclusione, senza motivare sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato in relazione al primo motivo, dovendo conseguentemente ritenersi assorbito il secondo.
2. Va premesso che in relazione al suddetto motivo l’impugnazione e’ da ritenersi ammissibile pur a seguito della “novella” attuata con L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 50, che ha introdotto la nuova disposizione di cui all’articolo 448 c.p.p., comma 2 bis. In deroga a quanto in via generale stabilito dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, la suddetta previsione dispone che contro la sentenza di patteggiamento puo’ essere proposto ricorso per cassazione “solo per motivi attinenti all’espressione della volonta’ dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalita’ della pena o della misura di sicurezza”.
Tenuto anche conto del fatto che l’imputazione non faceva alcun espresso riferimento al concorso omogeneo di reati od al reato continuato, ne’ menzionava l’articolo 81 c.p., l’essere stata ritenuta dalle parti – e ratificata dal giudice l’ipotesi della pluralita’ di reati ricondotta all’istituto della continuazione) e’ questione che attiene alla qualificazione giuridica del fatto ascritto (cfr., per analogo precedente in materia di impugnazione della sentenza di patteggiamento, Sez. 4, n. 10692 del 11/03/2010, Hernandez, Rv. 246394).
Sulla scia di un orientamento gia’ in precedenza consolidato (v. Sez. 7, ord. n. 39600 del 10/09/2015, dep. 2015, Casarin, Rv. 264766; Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, Brughitta e a., Rv. 264153; Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 2013, Bisignani, Rv. 254865), si e’ di recente condivisibilmente affermato che in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilita’ di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’articolo 448 c.p.p., comma 2 bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 50, l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza, e’ limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilita’ della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, Maugeri, Rv. 272619). In particolare, anche a seguito della richiamata “novella”, la possibilita’ di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fatto e’ limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione e la verifica va compiuta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti in ricorso (Sez. 6, ord. n. 3108 del 08/01/2018, Antoci, Rv. 272252).
3. Nel caso di specie, l’errata qualificazione giuridica dei fatti e’ ictu oculi evidente, affermando la sentenza impugnata che “la detenzione delle due sostanze integra altrettanti reati, atteso che essa ha ad oggetto sostanze di stupefacenti di diverso tipo” e che “i reati possono ritenersi avvinti dal vincolo della continuazione”, pur trattandosi – come chiaramente si ricava dall’imputazione – di detenzione contestuale, essendo stato l’imputato trovato in possesso di 26 grammi lordi di hashish detenuti in uno zaino e di 2,70 gr. di cocaina rivenuti in una tasca dei pantaloni.
Avendo il giudice ritenuto la fattispecie del fatto di lieve entita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5, deve tuttavia osservarsi che essa va configurata come ipotesi autonoma di reato, con una pena unica ed indifferenziata, indipendentemente dalla diversa tipologia di stupefacente (Sez. 7, n. 22398 del 26/01/2018, Allali, Rv. 272997, resa in fattispecie identica al caso in esame, trattandosi di ipotesi di illecita detenzione di sostanze stupefacenti di diverso tipo, quali eroina e hashish, in cui si e’ ritenuta illegittima la determinazione della pena operata dalla sentenza di patteggiamento impugnata applicando l’aumento della continuazione per effetto della erronea trasformazione della qualificazione del fatto da unico reato in due distinti reati; nello stesso senso Sez. 4, n. 36078 del 06/07/2017, Dubini, Rv. 270806). Il principio e’ stato di recente ribadito da questa Corte nella sua piu’ autorevole composizione, essendosi con chiarezza affermato che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, prevede un’unica figura di reato, alternativamente integrata dalla consumazione di una delle condotte tipizzate, quale che sia la classificazione tabellare dello stupefacente che ne costituisce l’oggetto, sicche’ la detenzione nel medesimo contesto di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee, qualora sia qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entita’, integra un unico reato e non una pluralita’ di reati in concorso tra loro (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076-02).
4. Cio’ premesso, la sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Verona per l’ulteriore corso.
Diversamente da quanto talvolta effettuato in casi analoghi a quello di specie – v., ad es., la citata sent. Sez. 7, n. 22398 del 26/01/2018, Allali, Rv. 272997 – reputa il Collegio di dover affermare il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento che, ritenendo erroneamente l’istituto della continuazione, abbia illegittimamente qualificato come plurimi reati fatti distinti suscettibili di integrare un’unica fattispecie incriminatrice, all’error in iudicando non puo’ porsi rimedio con l’eliminazione della relativa frazione di pena applicata in aumento, dovendosi invece annullare la sentenza impugnata senza rinvio con trasmissione degli atti al giudice procedente per consentire alle parti di rinegoziare l’accordo.
Ed invero, non puo’ farsi in tali casi applicazione del principio – di recente ripetutamente affermato da questa Corte, in discontinuita’ con altro, piu’ risalente, orientamento (cfr. Sez. 5, n. 7453 del 16/10/2013, dep. 2014, Bertuzzi, Rv. 259529; Sez. 2, n. 35492 del 23/05/2012, Ponzo, Rv. 253889) secondo cui, in caso di patteggiamento per una pluralita’ di reati uniti dal vincolo della continuazione, il proscioglimento, nel corso del giudizio, per una qualsiasi causa, per uno dei cd. reati satellite non determina la caducazione dell’intero accordo, ma solo l’eliminazione della pena prevista per il suddetto reato, a condizione che nella motivazione della sentenza siano indicati i singoli aumenti da applicare per ciascun reato e non sia riportata la sola pena finale complessiva, non sussistendo, in tale ipotesi, il pericolo di un’indebita alterazione del profilo negoziale della pronuncia (Sez. 1, n. 23171 del 01/03/2018, Fama’, Rv. 273378; Sez. 3, n. 39521 del 20/07/2017, Achab, Rv. 271022; Sez. 3, n. 40320 del 22/06/2016, Seren Gai, Rv. 267758).
Quest’orientamento, di fatti, postula che l’accordo abbia ad oggetto fatti penalmente rilevanti obiettivamente diversi, con riguardo ad alcuno dei quali sia stata successivamente apprezzata l’irrilevanza penale (ad esempio per intervenuta depenalizzazione o per essere stato ritenuto assorbito in altro reato) senza che la valutazione incida sull’esistenza e gravita’ dei residui reati, con conseguente inidoneita’ a caducare l’accordo intervenuto sui medesimi. Quando, invece – come nella specie – le diverse condotte (illecita detenzione di hashish e di cocaina) erroneamente sussunte nel reato continuato piuttosto che in un’unica violazione di legge sussistano e abbiano di per se’ disvalore penale, conservare la frazione di pena che era stata negoziata avendo a mente soltanto uno dei profili di illiceita’ (vale a dire la detenzione di sostanza ritenuta integrare la maggior offesa dell’interesse protetto) ed elidere la frazione di pena attribuita (sia pur con l’erroneo ricorso al cumulo di reati) all’ulteriore profilo di condotta, significherebbe incidere sui presupposti dell’accordo ed impedire che,ai fini della determinazione della penale, sia considerata la complessiva gravita’ dell’unico reato riconoscibile.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Verona per l’ulteriore corso.

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