In riferimento al patto di non concorrenza stipulato con lavoratore subordinato

Corte di Cassazione, civile,Ordinanza|1 marzo 2021| n. 5540.

In riferimento al patto di non concorrenza stipulato con lavoratore subordinato, la semplice previsione dell’onerosità del patto esclude che, in caso di squilibrio economico delle prestazioni, possa applicarsi la sanzione estrema della nullità nel negozio, fatte salve le ipotesi di pattuizione di compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue possibilità di guadagno.

Ordinanza|1 marzo 2021| n. 5540

Data udienza 20 ottobre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Mercato – Patto di non concorrenza – Previsione di una compensazione non simbolica – Liceità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 30078/2017 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1469/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/09/2017 R.G.N. 1213/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/10/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

RILEVATO IN FATTO

CHE:
1. la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 14 settembre 2017, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la nullita’ del patto di non concorrenza stipulato tra (OMISSIS) Spa ed (OMISSIS) in data 28 febbraio 2012, con condanna della societa’ alla restituzione della somma versata in esecuzione della sentenza di prime cure;
2. la Corte ha cosi’ argomentato: “il patto in oggetto e’ nullo perche’ manca la determinazione o la determinabilita’ del corrispettivo riconosciuto a favore del lavoratore a fronte delle limitazioni professionali imposte dal datore di lavoro e per conseguente impossibilita’, per il lavoratore e poi per il giudice, di verificare la sua congruita’ in relazione al sacrificio professionale richiesto”; “dalla lettura delle clausole del patto e’ ben evidente che non e’ stata prevista una durata minima del detto patto o la corresponsione a favore del lavoratore di un importo minimo garantito e predeterminato a priori nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro; in nessun modo, infatti, e’ previsto che la lavoratrice appellata possa percepire complessivamente 18.000,00 Euro (cioe’ 6.000,00 x 3 anni) in ogni caso anche per la anticipata risoluzione del rapporto di lavoro a fronte dell’impegno per 20 mesi successivi”; “il patto cosi’ strutturato determina che, in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro, al dipendente non spetti l’intero compenso, ma solo quanto maturato in ragione d’anno o frazione; cosi’ come e’ avvenuto nella fattispecie per cui e’ causa in cui l’appellata ha ricevuto solo Euro 3.000,00”; “l’ammontare del compenso non e’, quindi, fisso e neppure determinabile in base a parametri oggettivi, ma dipende da una variabile legata alla durata del rapporto”; “tutto cio’ determina uno squilibrio tra le parti ed un assetto contrattuale sbilanciato a favore del datore di lavoro… quindi, la valutazione congiunta delle previsioni contrattuali suesposte (mancata predeterminazione del quantum del corrispettivo e permanere dell’obbligazione a carico del dipendente anche in mancanza del corrispettivo) rende del tutto incongruo il corrispettivo stabilito e determina la nullita’ del patto in esame”;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la societa’ in epigrafe con 7 motivi; ha resistito con controricorso (OMISSIS), comunicando anche memoria;

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:
1. con il primo motivo di ricorso si denuncia: “violazione articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullita’ della sentenza per contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili e per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; si eccepisce che la Corte territoriale, “su di un aspetto da essa stessa giudicato come determinante ai fini del decidere (la durata minima del patto di non concorrenza e la previsione di un corrispettivo predeterminato e/o minimo garantito)”, ha prima correttamente indicato “che il patto di non concorrenza ha una durata di tre anni e che e’ previsto un corrispettivo di Euro 6.000,00 all’anno” e, poi, ha affermato “l’esatto contrario, ovvero che il patto non prevede una durata minima e non e’ previsto il pagamento di un importo minimo garantito e predeterminato”; si evidenzia che la Corte milanese “avrebbe dovuto concludere per la determinatezza e determinabilita’ del corrispettivo del patto fornendo una motivazione basata sul dato testuale del patto di non concorrenza, laddove, agli articoli 4 e 8 e’ indicato il corrispettivo del patto da versarsi annualmente (Euro 6.000,00, articolo 4), e la durata del patto (triennale, articolo 8), il che rende chiaramente predeterminato il corrispettivo come indicato nel patto di non concorrenza per cui e’ causa”;
2. la censura e’ fondata;
2.1. al fine di un ordinato iter motivazionale, e’ opportuna una ricognizione di taluni precedenti di questa Corte, rilevanti per la decisione, che hanno interpretato l’articolo 2125 c.c., secondo cui: “:Cl patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attivita’ del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, e’ nullo se non risulta da atto scritto, se non e’ pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non e’ contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo”;
2.2. dal punto di vista strutturale, il patto di non concorrenza costituisce una fattispecie negoziale autonoma, dotata di una causa distinta (Cass. n. 16489 de’l 2009), configurando un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, in virtu’ del quale il datore di lavoro si obbliga a corrispondere una somma di danaro o altra utilita’ al lavoratore e questi si obbliga, per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, a non svolgere attivita’ concorrenziale con quella del datore (Cass. n. 2221 del 1988);
dal punto di vista degli interessi meritevoli di tutela regolati dal patto, questa Corte ha affermato che le clausole di non concorrenza sono finalizzate, da un canto, a salvaguardare l’imprenditore da qualsiasi “esportazione presso imprese concorrenti” del patrimonio immateriale dell’azienda, trattandosi di un bene che assicura la sua resistenza sul mercato ed il suo successo rispetto alle aziende concorrenti, e, d’altro canto, a tutelare il lavoratore subordinato, affinche’ le dette clausole non comprimano eccessivamente le possibilita’ di poter indirizzare la propria attivita’ lavorativa verso altre occupazioni, ritenute piu’ convenienti (da ultimo, Cass. n. 9790 del 2020, conf. a Cass. n. 24662 del 2014);
proprio perche’ la regola e’ che, alla cessazione del rapporto, il lavoratore recuperi la piena ed assoluta liberta’ di collocare le proprie prestazioni in ogni settore del mercato e della produzione, affinche’ detta liberta’ – pur se assoggettabile a condizionamenti in ossequio alla regola dell’autonomia contrattuale – non possa essere limitata in modo tale da compromettere l’esplicazione della concreta professionalita’ del lavoratore, pregiudicandone ogni potenzialita’ reddituale, il legislatore ha dettato, nell’ambito della generale disciplina ex articolo 2596 c.c., in tema di limitazioni (legali o volontarie) alla concorrenza, una specifica regolamentazione che porta a differenziare integralmente il lavoratore subordinato da tutti gli altri soggetti pur essi destinatari del divieto di concorrenza (cfr. al riguardo: articolo 1751 bis c.c.; articolo 2557 c.c.; articoli 2301 e 2390 c.c.; cosi’ Cass. n. 5691 del 2002);
in ragione di cio’, l’articolo 2125 c.c., comma 1, ha subordinato la validita’ del patto di non concorrenza a specifiche condizioni – espressamente indicate dalla norma – di forma, di corrispettivo, di limiti di oggetto, di tempo e di luogo, presidiando l’eventuale violazione con la piu’ grave delle sanzioni negoziali: la nullita’ del patto;
2.3. nella sentenza impugnata non vengono in rilievo, rispetto al patto di non concorrenza in controversia, questioni di forma, di estensione dell’attivita’ limitata, di tempo e di luogo, bensi’ di corrispettivo in favore del lavoratore e di sua determinabilita’;
per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, questa Corte ha ripetutamente affermato che il patto di non concorrenza, anche se e’ stipulato contestualmente al contratto di lavoro subordinato, rimane autonomo da questo, sotto il profilo prettamente causale, per cui il corrispettivo con esso stabilito, essendo diverso e distinto dalla retribuzione, deve possedere soltanto i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’articolo 1346 c.c. (in termini Cass. n. 16489 del 2009, che richiama Cass. n. 1846 del 1975 e n. 3507 del 1991) e, quindi, deve essere “determinato o determinabile”;
circa la nullita’, espressamente comminata dall’articolo 2125 c.c., “se non e’ pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro”, conviene riportare taluni passaggi contenuti nella motivazione di Cass. n. 10062 del 1994, per la persuasivita’ del suo ragionare e per l’indirizzo dettato a tutta la giurisprudenza successiva che, sul punto, ha solo consolidato l’orientamento, ad esso uniformandosi (Cass. n. 4891 del 1998; Cass. n. 7835 del 2006; Cass. n. 9790 del 2020);
2.4. la pronuncia muove dal riconoscimento che “nella sua formulazione letterale la norma richiede soltanto che sia fissato un compenso a favore del prestatore di lavoro”, per cui “potrebbe quindi ritenersi prevista la semplice onerosita’ del patto, il quale rimarrebbe quindi assoggettato, in caso di squilibrio economico delle prestazioni, alle disposizioni di cui agli articoli 1448 e 1467 c.c.”; dopo aver ritenuto che l’esclusiva applicazione al patto di non concorrenza degli istituti della rescissione per lesione e dell’eccessiva onerosita’ sopravvenuta avrebbe accordato al lavoratore subordinato una tutela “in larga misura soltanto apparente”, confinando nella “irrilevanza… un’ampia gamma di ipotesi di squilibrio delle prestazioni”, la S.C., nel precedente citato, ha considerato che “l’ammissibilita’ non di un corrispettivo in qualche modo caratterizzato, ma di un qualsiasi corrispettivo, non sembra pero’ coerente con la previsione della nullita’”, la quale “rappresenta una sanzione estrema, difficilmente conciliabile con la legittimita’ di qualsiasi compenso”; secondo la Corte “cio’ porta a ritenere che un requisito di adeguatezza sia implicito nella formulazione dell’articolo 2125, e risponda alla stessa ratio sottesa alla imposizione di limiti di oggetto, tempo e luogo”, in un assetto di contrapposti interessi in cui non entra in gioco un “valore di mercato”, ovvero “il risultato almeno virtuale di una domanda e di una offerta”, quanto piuttosto “la garanzia del lavoratore e non del puro equilibrio dello scambio”; ne deriva la conclusione che -salva sempre la possibilita’ di invocare, ove concretamente applicabili, le norme di cui agli articoli 1448 e 1467 c.c. – “l’espressa previsione di nullita’ va riferita alla pattuizione non solo di compensi simbolici, ma anche di compensi manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore, alla riduzione delle sue possibilita’ di guadagno, indipendentemente dall’utilita’ che il comportamento richiestogli rappresenta per il datore di lavoro, come dal suo ipotetico valore di mercato”;
2.4. conclusione che – a fronte di una tradizionale impostazione secondo cui, in tema di rapporti di scambio, lo squilibrio economico originario delle prestazioni non puo’ comportare la nullita’ del contratto perche’ nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale (cfr. Cass. n. 9144 del 1993; Cass. n. 9640 del 2013; Cass. n. 22567 del 2015) e detta patologia radicale e’ strettamente correlata ad un difetto della struttura della fattispecie rispetto al paradigma legale (sulla perdurante separazione tra regole di condotta e regole di validita’ o di struttura del contratto v. Cass. SS.UU. n. 26724 del 2007) – appare precorritrice di successivi itinerari giurisprudenziali che, sebbene in definiti confini, hanno comunque riconosciuto rilevanza alla sproporzione economica del regolamento negoziale;
ad esempio, il “diritto vivente” ha ravvisato la non meritevolezza di contratti o patti con lo scopo di attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra (Cass. n. 19559 del 2015 e Cass. n. 22950 del 2015) ovvero porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra (Cass. n. 9975 del 1995, Cass. n. 1898 del 2000, Cass. n. 12454 del 2009, Cass. n. 3080 del 2013 e Cass. n. 4222 del 2017);
ma il riferimento e’ soprattutto a Cass. SS.UU. n. 9140 del 2016, la quale, sulla scorta di quanto enunciato dalle ordinanze della Corte costituzionale n. 77 del 2014 e n. 248 del 2013 secondo cui il principio di solidarieta’ sociale, in combinato contesto con la clausola di buona fede, consente al giudice di rilevare la nullita’ di una clausola che determini a carico di una delle parti un “significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali”, ove cio’ sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto (cfr. Cass. n. 20106 del 2009 e Cass. SS.UU. n. 18128 del 2005); ma, anche, alla successiva SS.UU. n. 22437 del 2018 sullo stesso tema, la quale, ribadito che “l’equilibrio economico delle prestazioni… e’ profilo rimesso esclusivamente all’autonomia contrattuale”, consente tuttavia di “indagare, con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale” e cioe’ la sua “causa in concreto” presenti “un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio” (nelle cc.dd. clausole on claims made);
ferma restando, avuto riguardo all’articolo 2125 c.c., la necessita’ di una rigorosa valutazione in ordine alla sussistenza di un corrispettivo in favore del prestatore che sia “manifestamente iniquo o sproporzionato”, agganciata al sacrificio richiesto al lavoratore ed a ogni circostanza del caso concreto, tanto piu’ che, in tale ipotesi, la nullita’ demolisce l’intero accordo negoziale e non solo una singola clausola, allorquando si ha, invece, una valenza conformativa di un diverso assetto contrattuale che pero’ continua a produrre effetti;
2.5. da quanto sopra deriva che operano su diversi piani la nullita’ del patto di non concorrenza per indeterminatezza o indeterminabilita’ del corrispettivo che spetta al lavoratore, quale vizio del requisito prescritto in generale dall’articolo 1346 c.c., per ogni contratto, e la nullita’ per violazione dell’articolo 2125 c.c., laddove il corrispettivo “non e’ pattuito” ovvero, per ipotesi equiparata dalla giurisprudenza di questa Corte, sia simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato;
3. rispetto a tali premesse in diritto, che avrebbero dovuto rappresentare la cornice entro cui operare la valutazione circa la nullita’ del patto di non concorrenza in esame, la sentenza impugnata reca una anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014), in quanto contiene un contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, tale da rendere non realmente comprensibili le ragioni della decisione, perche’ consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento del giudice, precludendo un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del suo ragionamento (cfr. Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016);
la Corte di Appello, infatti, ha prima ritenuto che “il patto in oggetto e’ nullo perche’ manca la determinazione o la determinabilita’ del corrispettivo riconosciuto a favore del lavoratore” ma, poi, deve ammettere che, “in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro”, al dipendente spetti “quanto maturato in ragione d’anno o frazione” sulla base di un corrispettivo pattuito in 6.000,00 Euro su base annua e, quindi, comunque determinabile; la sentenza aggiunge che “dalla lettura delle clausole del patto e’ ben evidente che non e’ stata prevista una durata minima del detto patto o la corresponsione a favore del lavoratore di un importo minimo garantito e predeterminato a priori nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro; in nessun modo, infatti, e’ previsto che la lavoratrice appellata possa percepire complessivamente 18.000,00 Euro (cioe’ 6.000,00 x 3 anni) in ogni caso anche per la anticipata risoluzione del rapporto di lavoro a fronte dell’impegno per 20 mesi successivi”, con argomentazioni relative alla “durata minima”, all'”importo minimo garantito”, all’impossibilita’ di “percepire complessivamente 18.000,00 Euro”, obiettivamente inconferenti rispetto alla questione della determinabilita’ del corrispettivo, attenendo piuttosto alla sua congruita’; ancora si legge che “l’ammontare del compenso non e’, quindi, fisso e neppure determinabile in base a parametri oggettivi, ma dipende da una variabile legata alla durata del rapporto”, con una contraddizione palese, perche’ dire che un corrispettivo e’ variabile in relazione alla durata del rapporto di lavoro, non significa affatto che esso non sia determinabile in base a parametri oggettivi, atteso che si ha determinabilita’ quando sono indicati, anche per relationem, i criteri in base ai quali si fissa la prestazione, cosi’ sottratta al mero arbitrio (cfr., ad ex., Cass. n. 12743 del 1999);
in realta’ la sentenza impugnata sembra non tenere adeguatamente distinte cause di nullita’ del patto di non concorrenza che, come innanzi ricordato, operano giuridicamente su piani diversi: un vizio sotto l’aspetto della determinatezza o determinabilita’ dell’oggetto e l’altro sotto il profilo dell’ammontare del corrispettivo simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato; realizzando cosi’ una sovrapposizione indebita che genera incertezza sull’iter logico seguito per la formazione del convincimento del giudicante, precludendo un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del suo ragionamento, e che appare confermata dalla chiosa finale della motivazione impugnata in cui, tra l’altro, si afferma che la “mancata predeterminazione del quantum del corrispettivo” rende il medesimo “del tutto incongruo”, provocando “uno squilibrio tra le parti ed un assetto contrattuale sbilanciato a favore del datore di lavoro”;
dall’accoglimento del primo motivo di ricorso deriva la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice d’appello indicato in dispositivo che dovra’ procedere a nuovo esame valutando distintamente la questione della nullita’ per mancanza del requisito di determinatezza o determinabilita’ del corrispettivo pattuito tra le parti e, poi, verificando che il compenso, come determinato o determinabile, non fosse simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore, alla riduzione delle sue possibilita’ di guadagno, indipendentemente dall’utilita’ che il comportamento richiesto rappresentava per il datore di lavoro, come dal suo ipotetico valore di mercato;
4. la radicale nullita’ della sentenza impugnata assorbe tutti i restanti motivi del ricorso per cassazione, in quanto successivi dal punto di vista logico e giuridico;
il giudice del rinvio provvedera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’ ex articolo 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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