In tema di prova gli “indizi” suscettibili di valutazione

Corte di Cassazione, penaleSentenza|10 febbraio 2021| n. 5209.

In tema di prova, gli “indizi”, suscettibili di valutazione ai sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., sono elementi di fatto noti dai quali desumere, in via inferenziale, il fatto ignoto da provare sulla base di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza, mentre il “sospetto” si identifica con la congettura, un fenomeno soggettivo di ipotesi con prove da ricercare, ovvero con l’indizio debole o equivoco, tale da assecondare distinte, alternative – ed anche contrapposte – ipotesi nella spiegazione dei fatti oggetto di prova.

Sentenza|10 febbraio 2021| n. 5209

Data udienza 11 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Omicidio volontario aggravato – Rapina – Arma illegale – Detenzione e porto illegale – Movente omicidiario – Indizi – Capacità indiziante concomitante – Valutazione – Condanna – Principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/07/2019 della Corte di Assise di Appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE RICCARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LOCATELLI Giuseppe, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore delle parti civili, Avv. (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso, depositando nota spese e conclusioni;
uditi i difensori dell’imputato, Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 18/07/2019 la Corte di Assise di Appello di Torino, in sede di giudizio di rinvio disposto all’esito dell’annullamento pronunciato dalla Corte di Cassazione, Sez. 1, n. 39938 del 05/06/2017, dep. 2018, ha confermato l’affermazione di responsabilita’ pronunciata dalla Corte di Assise di Torino il 25/05/2015 nei confronti di (OMISSIS) per i delitti di omicidio volontario aggravato di (OMISSIS), rapina e detenzione e porto illegale di arma da fuoco clandestina.
2. Con sentenza del 25 maggio 2015 la Corte di assise di Torino aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni ventisette di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alle aggravanti contestate, perche’ ritenuto responsabile dei delitti, commessi il (OMISSIS) e legati dal vincolo della continuazione, di:
– omicidio volontario aggravato (ex articolo 575 c.p. e articolo 61 c.p., nn. 2 e 5) in danno di (OMISSIS), nei confronti del quale, dopo averlo costretto a raggiungere, con la propria autovettura Volkswagen Golf di colore grigio targata (OMISSIS), un sentiero isolato posto in area campestre nei pressi del fiume (OMISSIS), in localita’ (OMISSIS) del comune di (OMISSIS), aveva esploso, con un revolver calibro 38, tipo Smith & Wesson, due colpi di arma da fuoco, uno al torace da distanza superiore a venti centimetri e l’altro al capo a contatto, mentre la vittima era piegata in avanti (capo A);
– rapina aggravata (ex articolo 628 c.p., commi 1 e 3) in danno del predetto (OMISSIS), al quale aveva sottratto sia il denaro che custodiva nel portafogli (almeno trecento Euro riscosse per una vincita alle slot-machine presso il bar (OMISSIS) di (OMISSIS)), sia l’autovettura Volkswagen, poi abbandonata in (OMISSIS) (capo B);
– illegale detenzione e porto in luogo aperto al pubblico del predetto revolver, con matricola obliterata, e ricettazione della stessa arma (L. n. 497 del 1974, ex articoli 10, 12 e 14, L. n. 110 del 1975, articolo 23, comma 3, e articolo 4 e articolo 648 c.p.) (capi C, C1 e C2).
2.1. Con la stessa sentenza la Corte di assise di Torino aveva condannato (OMISSIS) alla ulteriore pena di anni cinque di reclusione e di Euro mille di multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alle aggravanti contestate, perche’ ritenuto responsabile dei delitti, commessi il 6 aprile 2013 e legati dal vincolo della continuazione, di:
– rapina aggravata (ex articolo 628 c.p., commi 1 e 3) in danno di (OMISSIS), al quale aveva sottratto – dopo essere salito a bordo della sua autovettura, con il pretesto di chiedergli un passaggio, mediante violenza e minaccia consistite nel puntargli un revolver alla tempia e intimargli di andare presso la sua abitazione, e, una volta giunti, di distendersi sul letto e legargli mani e piedi – denaro (mille Euro), due orologi, le chiavi di casa e dell’auto e la stessa auto (capo D);
– sequestro di persona (ex articolo 605 c.p. e articolo 61 c.p., n. 2) in danno del predetto (OMISSIS), privato con le indicate modalita’ della liberta’ personale (capo E);
– illegale detenzione e porto in luogo aperto al pubblico del predetto revolver (L. n. 497 del 1974, ex articoli 10, 12 e 14) (capo F).
1.1.2. L’imputato, dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena, veniva condannato al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite ( (OMISSIS), in proprio e quale esercente la potesta’ su (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), con assegnazione di somme, a titolo di provvisionale, diversamente quantificate in favore di ciascuna di esse.
3. Con riferimento alla vicenda riguardante l’omicidio di (OMISSIS), commesso il (OMISSIS) in (OMISSIS), localita’ (OMISSIS), e i connessi reati di rapina e in materia di armi – oggetto esclusivo, come si dira’, del giudizio di rinvio e del ricorso per cassazione in esame -, secondo la ricostruzione dei fatti accertata dalla sentenza di primo grado, le indagini pertinenti erano iniziate a seguito del rinvenimento da parte dei Carabinieri nella indicata localita’ del cadavere del (OMISSIS), segnalato la mattina del (OMISSIS), del vicino portafogli aperto, privo di denaro, contenente la patente intestata al medesimo, e di un proiettile camiciato calibro 38, poco distante.
L’esame autoptico aveva permesso di rilevare i due colpi di arma da fuoco, esplosi con revolver calibro 38 tipo Smith & Wesson, che avevano attinto la vittima, determinandone il decesso per “esteso sfacelo cranio-encefalico” e “emopericardio per lesione della arteria aorta”.
Di due colpi di arma da fuoco, uditi verso le ore 19.00 del (OMISSIS), aveva parlato anche il teste (OMISSIS), abitante nelle vicinanze, senza aggiungere altro, nulla avendo potuto notare di rilevante.
Essendo emerso che la vittima, lavoratore edile abitante in (OMISSIS), frequentava abbastanza assiduamente il locale bar (OMISSIS), dove, secondo le indicazioni della moglie (OMISSIS), si era recato anche il (OMISSIS), senza ritornare a casa la sera, ne’ essere raggiungibile telefonicamente, le indagini erano state volte al controllo delle riprese effettuate dalle due telecamere posizionate nel bar (una nella sala principale e l’altra nel locale delle slot-machine), all’esame delle persone presenti all’interno del locale nello stesso ambito temporale, alla visione delle riprese degli impianti di videosorveglianza, installati presso la ditta (OMISSIS), sita in viale (OMISSIS), presso la casa di riposo (OMISSIS) e presso la Stazione ferroviaria, e all’esame delle persone che potevano riferire in ordine all’omicidio o che avevano incontrato l’imputato durante la serata.
3.1. Era in particolare risultato che:
– alle ore 18.45.27 del (OMISSIS) (OMISSIS) e l’imputato (OMISSIS) erano usciti uno dietro l’altro dal bar (OMISSIS), dove si erano trattenuti nel pomeriggio, giocando con le slot-machine, e vincendo il primo la somma di trecento Euro;
– alle ore 18.46.47 la telecamera installata presso la ditta (OMISSIS) aveva ripreso il transito dell’auto Volkswagen Golf di (OMISSIS) in direzione di (OMISSIS) (luogo dell’omicidio);
– alle ore 18.57.25 la stessa telecamera aveva registrato il transito della medesima auto in direzione opposta (da (OMISSIS) verso (OMISSIS));
– la presenza dell’imputato alle ore 19.00 circa dello stesso giorno in via (OMISSIS), dove era stata poco prima parcheggiata la predetta auto Volkswagen Golf, era stata riferita dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS), ed era risultata confermata dalla ripresa delle ore 18.59.38 della videocamera posta sul fabbricato della casa di riposo (OMISSIS);
– alle ore 19.08.53 l’imputato era stato ripreso dalla telecamera nel suo rientro al bar (OMISSIS);
– lo stesso imputato aveva ammesso di essere tornato al detto bar attraversando la via (OMISSIS);
– intorno alle ore 19.20 l’imputato aveva raggiunto il bar della Rocca di (OMISSIS) parcheggiando la sua auto Punto nel parcheggio vicino a un tiglio, come confermato dai testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
– qualche giorno dopo ai piedi di detto albero era stata rinvenuta una pistola Smith & Wesson cal. 38 su indicazione di tale (OMISSIS), che aveva anche riferito circa il prelievo da parte dell’imputato, nel (OMISSIS), di una pistola che era sotto un albero dello stesso parcheggio, occultata in un cappello da pescatore;
– la disponibilita’ e l’uso di una pistola da parte dell’imputato erano state confermate dai testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), circostanziando le relative occasioni.
3.2. La Corte di primo grado, richiamate le prove dichiarative e gli accertamenti oggettivi:
– valorizzava, a conferma, prove scientifiche e logiche tratte dalle perizie disposte in sede di incidente probatorio, e segnatamente dalla perizia della Dott. (OMISSIS) sul materiale biologico ritrovato sul tamburo del revolver, utilizzato per l’omicidio e rinvenuto nel giardino del bar della (OMISSIS), e ricondotto a un profilo genetico misto con componente maggioritaria attribuibile all’imputato, e dalla perizia balistica del Dott. (OMISSIS) sui reperti, sugli indumenti indossati dall’imputato il giorno del fatto e sull’auto della vittima, essendo risultati negativi solo gli ultimi prelievi, mentre il proiettile incamiciato calibro 38, rinvenuto presso il cadavere, era risultato sparato dall’arma in sequestro e il descritto esame dei prelievi sugli indumenti era risultato positivo per la ricerca di tracce dello sparo;
– riteneva la valenza della identita’ della composizione dell’innesco, caratterizzato da piombo, bario e antimonio, e delle particelle con i medesimi componenti sulla maglietta della vittima e sui pantaloni e la camicia dell’imputato, mentre la presenza, opposta dalla difesa, di zinco in tre particelle riferibili all’imputato, e non ritrovate sulla vittima, era superata dal rilievo peritale circa la poca significativita’ della rilevata percentuale;
– giudicava spiegabile la mancanza di macchie di sangue sugli indumenti dell’imputato, nonostante l’opposto fenomeno del back spatter, alla luce della ricostruita analisi della posizione del capo della vittima nel momento del colpo, sparato quasi a contatto, e della ubicazione delle macchie di sangue sui pantaloni della stessa;
– apprezzava come non significativo il mancato rinvenimento di impronte digitali o tracce biologiche riconducibili all’imputato all’interno dell’auto della vittima e come sostanzialmente neutro il dato della carenza di tracce, dedotto dalla difesa;
– escludeva la condivisibilita’ delle obiezioni difensive relative alla non riconducibilita’ al solo imputato del profilo genetico misto individuato sulla superficie esterna del tamburo dell’arma e alla certa appartenenza a persona diversa del DNA presente sulla chiusura dell’involucro contenente il revolver, non determinandosi, in mancanza di ulteriori elementi, una alternativa ipotesi ricostruttiva ed essendo, invece, certo il maneggiamento dell’arma da parte dell’imputato, che lo aveva anche ammesso fornendo una indimostrata diversa spiegazione;
– considerava irrilevante la circostanza riferita dal teste (OMISSIS) nella fase delle indagini circa il visto allontanamento dal bar dell’imputato da solo, richiamando le dichiarazioni del medesimo teste in sede dibattimentale;
– riteneva, infine, con riguardo alla versione dell’imputato circa i suoi spostamenti nel periodo di ventitre’ minuti, intercorso tra la sua uscita dal bar (OMISSIS) e il suo ritorno, che le rilevazioni del consulente tecnico di parte con riguardo ai tempi di percorrenza individuati e calcolati in diciassette minuti e ventinove erano inutili, avendo riguardato le distanze del tragitto dichiarato dallo stesso imputato.
4. La Corte di assise di appello di Torino, con sentenza del 21 luglio 2016, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che confermava nel resto, assolveva l’imputato per non avere commesso il fatto dai reati ascritti ai capi A), B), C), C) e C2), disponendo la revoca della condanna al risarcimento del danno e alle spese in favore delle costituite parti civili, dichiarava la perdita di efficacia della misura cautelare applicata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino con ordinanza del 21 giugno 2013 e disponeva, per l’effetto, la scarcerazione dell’imputato in relazione a tale titolo, rideterminando in anni cinque la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici.
5. Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Torino e le parti civili, in relazione alla pronuncia assolutoria, nonche’ (OMISSIS), in relazione alla condanna per i reati in danno di (OMISSIS) (capi D, E ed F).
La Corte di Cassazione, Sez. 1, n. 39938 del 05/06/2017, dep. 2018, rigettava il ricorso di (OMISSIS), cosi’ rendendo irrevocabile la condanna per i reati di cui ai capi D, E ed F in danno di (OMISSIS); annullava con rinvio per nuovo esame in relazione ai reati di omicidio volontario di (OMISSIS), rapina, detenzione e porto illegale di arma da fuoco.
La sentenza rescindente aveva censurato l’errore metodologico consistente nell’aver negato “capacita’ indiziante alla concomitante presenza dell’imputato e dell’autore dell’omicidio negli stessi luoghi e in tempi pressoche’ sovrapponibili attraverso la rappresentazione, nei termini detti, degli orari e dei tempi di percorrenza, piuttosto che apprezzare l’indizio nella sua positivita’, parziale o potenziale, di efficienza probatoria, da valutare in coordinamento con altri indizi”.
La Corte di Cassazione aveva enucleato l’obbligo, per il giudice del rinvio, della “necessaria rivalutazione dei punti specifici da esse attinti e degli aspetti e profili a essi fattualmente e logicamente correlati, nonche’, mettendo tali punti in discussione l’intera struttura motivazionale della sentenza impugnata, la valutazione anche dei punti non toccati, in ordine ai quali non pare percorribile la strada del ricorso, in questa sede, a una prova di resistenza limitata all’apprezzamento della loro sufficienza, considerate anche le modalita’ con le quali gli stessi punti sono stati trattati e avuto riguardo ai piu’ volte riaffermati principi della prova indiziaria e al maggior rilievo che essi assumono per i diversi epiloghi giudiziari dei due gradi del merito. L’approccio metodologico che deve connotare il procedimento inferenziale da compiersi impone, quindi, una rilettura e rivisitazione critica -da compiersi nella competente sede del merito- di tutte le evidenze disponibili, del materiale indiziario acquisito e degli elementi potenzialmente indizianti, senza salti logici e vuoti argomentativi, sfruttando le capacita’ dimostrative degli indizi significativi, verificandone la coerenza con le ulteriori emergenze processuali e scartando i dati non rilevanti, controllando la sussistenza di spiegazioni alternative ed escludendo quelle incoerenti con i limiti della verosimiglianza e della razionalita’, in una articolata e non superficiale lettura organica complessiva, che tragga, entrando nel merito, l’intero significato probatorio, ove sussistente, dai dati acquisiti”.
6. Con la sentenza impugnata, la Corte di Assise di Appello, in sede di giudizio di rinvio, ha confermato l’affermazione di responsabilita’ per l’omicidio di (OMISSIS), nonche’ per i reati di rapina aggravata e detenzione e porto illegale di arma da fuoco.
7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con atto dei difensori Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
7.1. Con un primo motivo viene dedotta la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 627 c.p.p..
La sentenza rescindente, sostiene il ricorrente, ha censurato l’errore metodologico consistente nell’aver negato “capacita’ indiziante alla concomitante presenza dell’imputato e dell’autore dell’omicidio negli stessi luoghi e in tempi pressoche’ sovrapponibili attraverso la rappresentazione, nei termini detti, degli orari e dei tempi di percorrenza, piuttosto che apprezzare l’indizio nella sua positivita’, parziale o potenziale, di efficienza probatoria, da valutare in coordinamento con altri indizi”; la sentenza annullata aveva svilito l’elemento della “concomitante presenza”, evidenziando la sfasatura cronologica dei tempi di percorrenza dell’auto nel ritorno da localita’ (OMISSIS) a (OMISSIS).
Tuttavia, il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione non e’ consistito nell’assumere la “concomitante presenza” come indizio di efficacia probatoria decisiva, bensi’ come elemento da valutarsi tanto nella sua positivita’, parziale o potenziale, quanto nel coordinamento con gli altri indizi.
Il giudice del rinvio aveva, dunque, ampia liberta’ di valutare l’efficacia probatoria di quell’elemento, anche perche’, in caso di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio e’ chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio, con i medesimi poteri, salvo il limite del divieto di ripetere il percorso logico gia’ censurato.
La Corte di Cassazione aveva enucleato l’obbligo, per il giudice del rinvio, della “necessaria rivalutazione dei punti specifici da esse attinti e degli aspetti e profili a essi fattualmente e logicamente correlati, nonche’, mettendo tali punti in discussione l’intera struttura motivazionale della sentenza impugnata, la valutazione anche dei punti non toccati”, evidenziando che “L’approccio metodologico che deve connotare il procedimento inferenziale da compiersi impone, quindi, una rilettura e rivisitazione critica -da compiersi nella competente sede del merito- di tutte le evidenze disponibili, del materiale indiziario acquisito e degli elementi potenzialmente indizianti, senza salti logici e vuoti argomentativi, sfruttando le capacita’ dimostrative degli indizi significativi, verificandone la coerenza con le ulteriori emergenze processuali e scartando i dati non rilevanti, controllando la sussistenza di spiegazioni alternative”.
A fronte di tale compito, che imponeva soltanto di non ripetere l’argomento illogico di carattere temporale, la Corte territoriale ha ritenuto di essere vincolata dal giudizio di legittimita’, non potendo non attribuire “grave portata indiziaria al dato della concomitante presenza”.
Tale profilo integra, secondo il ricorrente, un palese travisamento del dictum del giudice di legittimita’, che aveva censurato soltanto il procedimento logico che aveva attribuito ad alcune sfasature degli orari una portata idonea a togliere rilievo probatorio al dato della “concomitante presenza”, ma, al contempo, aveva prescritto di “apprezzare l’indizio nella sua positivita’, parziale o potenziale, di efficienza probatoria, da valutare in coordinamento con altri indizi”.
Due erano, dunque, gli obblighi del giudice del rinvio: 1) apprezzare l’indizio nei suoi precisi contorni fattuali, onde inferirne l’efficacia probatoria; 2) inserire l’indizio all’interno dell’intero compendio probatorio.
La Corte territoriale avrebbe eluso tali obblighi, non verificando l’esatta configurazione fattuale dell’indizio, ed i suoi precisi contorni di fatto, in quanto la “concomitante presenza” si riduce esclusivamente nel segmento fattuale costituito dall’uscita dal bar (OMISSIS) del (OMISSIS) e dell’ (OMISSIS), uno dopo l’altro, nulla sapendosi di quanto avvenuto successivamente; in secondo luogo, la Corte non ha seguito il percorso metodologico indicato, non avendo compiuto una “rilettura e rivisitazione critica…di tutte le evidenze disponibili”, verificando la loro “coerenza con le ulteriori emergenze processuali” e non controllando la “sussistenza di spiegazioni alternative”.
7.2. Con un secondo articolato motivo deduce la violazione di legge in relazione all’articolo 192 c.p.p., comma 2, ed il vizio di motivazione in relazione alla valutazione atomistica degli indizi.
7.2.1. Con riferimento all’indizio della “concomitante presenza”, lamenta l’omessa determinazione dei suoi precisi contorni fattuali ed il vizio di motivazione illogica in ordine alla valutazione della testimonianza di (OMISSIS).
L’argomento della “concomitante presenza” si basa sull’ipotesi che l’imputato sia salito sull’auto del (OMISSIS), dirigendosi con lui verso (OMISSIS) e la localita’ (OMISSIS), ove avvenne l’omicidio.
Tuttavia, nessuno ha visto salire (OMISSIS) sull’auto del (OMISSIS), e l’imputato, fin dall’interrogatorio di garanzia, ha dichiarato di aver svoltato a destra, verso il centro del paese, sotto i portici; inoltre, l’ipotesi e’ smentita da un teste attendibile, (OMISSIS), amico stretto della vittima, che non ha ricordato di aver notato la presenza di (OMISSIS) mentre il (OMISSIS) usciva dal bar; infine, nessuno ha visto l’imputato posteggiare l’auto della vittima in via (OMISSIS).
La Corte territoriale ha tolto valore alla testimonianza di (OMISSIS) sul rilievo che non avesse visto (OMISSIS) uscire dal bar con il (OMISSIS); ma (OMISSIS) ha focalizzato un momento successivo, quello in cui (OMISSIS), da solo, si dirigeva verso la propria auto; e in questa fase (OMISSIS) non era presente.
La sentenza e’ illogica nella parte in cui da’ per provato cio’ che avrebbe dovuto provare, cioe’ che (OMISSIS) si sia accompagnato con (OMISSIS), e sia salito sulla sua auto, in assenza di elementi fattuali, ed in presenza di una prova testimoniale contraria.
Quanto al rapporto con l’auto parcheggiata in via (OMISSIS), la Corte sostiene che avrebbe un “indiscutibile valore probatorio” il fatto che (OMISSIS) sia stato ripreso da una telecamera alle ore 18.59.38 a 132 metri dal luogo in cui l’auto e’ stata rinvenuta parcheggiata; motivazione che sarebbe illogica.
La “concomitante presenza” si riduce e si concentra, secondo il ricorrente, esclusivamente nell’uscita dal bar (OMISSIS) del (OMISSIS) e dell’ (OMISSIS), l’uno dopo l’altro; al di la’ di tale collegamento, non sussiste altro elemento che colleghi l’imputato all’omicidio.
7.2.2. I segmenti ulteriori del fatto: omissione di una lettura “articolata e non superficiale”, che valuti nell’insieme tutti gli elementi di causa.
Il giudice del rinvio ha eluso l’obbligo di una “articolata e non superficiale lettura organica complessiva”, disarticolando i vari tasselli del quadro probatorio.
Lo schema dell’ipotesi della sentenza e’: (OMISSIS) sali’ sull’auto del (OMISSIS), si reco’ con lui in localita’ (OMISSIS); sparo’ e lo uccise; rimonto’ sull’auto del (OMISSIS) e torno’ a (OMISSIS), ove abbandono’ l’auto in via (OMISSIS).
A tale sequenza, tuttavia, manca l’anello iniziale, sicche’ i passaggi successivi sono ipotetici, e confliggono con una prova testimoniale e con una prova scientifica.
a) Testimonianza (OMISSIS) e riprese della telecamera (OMISSIS): la telecamera (OMISSIS) fissa l’auto del (OMISSIS) sulla via del ritorno a (OMISSIS) alle ore 18.57. Dal sito in (OMISSIS) al sito della telecamera occorre il tempo di 2 minuti e 27 secondi; quindi l’auto non puo’ essersi allontanata da localita’ (OMISSIS) prima delle 18.55. Calcolando il tempo intercorrente dagli spari alla salita in auto, se l’auto avesse riportato lo sparatore, gli spari andrebbero collocati nell’intervallo tra le 18.50 e le 18.54.
Tuttavia, il teste (OMISSIS) ha riferito di avere udito gli spari verso le 19.0019.05; sicche’ sarebbe impossibile che l’omicida sia passato con l’auto del (OMISSIS) avanti alla telecamera (OMISSIS) alle ore 18.57.
La sentenza avrebbe travisato la prova, avendo spostato la sequenza cronologica, sostenendo che il teste avrebbe visionato l’ora non al momento dei colpi, ma dopo essersi alzato, essere andato alla finestra del bagno, poi alla finestra del corridoio, e, infine al computer; al contrario, (OMISSIS) al PM aveva dichiarato di aver guardato l’orologio immediatamente, nell’udire i colpi; solo successivamente si reco’ alla finestra.
Inoltre, la sentenza afferma che (OMISSIS), affacciatosi alla finestra, non vide alcuna vettura provenire dalla strada secondaria; ma cio’ sarebbe legato al fatto che l’auto era gia’ ritornata verso (OMISSIS) prima dell’esplosione dei colpi di arma da fuoco;
b) Assenza di tracce di sparo all’interno dell’autovettura della vittima: se davvero lo sparatore fosse risalito sull’auto della vittima, tornando verso il centro di (OMISSIS), sull’auto si sarebbero depositate numerosissime particelle residue dello sparo; al contrario, i RIS dei C.C. hanno escluso l’esistenza di residui dello sparo sull’auto.
L’assenza di tracce dell’ (OMISSIS) sull’auto ha una rilevanza diversa rispetto all’assenza di residui dello sparo. Lo sparatore non poteva non rilasciare sull’auto innumerevoli particelle, che non potevano scomparire.
L’ipotesi che (OMISSIS) sia lo sparatore e’ illogica, non essendo emerso un movente, la ragione per cui (OMISSIS) si sia recato in localita’ (OMISSIS).
7.2.3. Mancata considerazione dell’ipotesi alternativa.
L’ipotesi formulata dalla difesa e’ maggiormente verosimile: (OMISSIS) si e’ fatto accompagnare da un amico o conoscente al crocevia della strada provinciale con il viottolo per parlare con una terza persona per un incontro riservato, che lo avrebbe poi riaccompagnato in paese a riprendere la sua auto; colui che lo aveva portato all’incrocio in (OMISSIS) sarebbe ridisceso immediatamente in paese con l’auto del (OMISSIS), parcheggiando in un luogo concordato.
Tale ipotesi e’ compatibile con la testimonianza di (OMISSIS) – che non vede l’auto allontanarsi dal viottolo perche’ era gia’ andata via, e, quando sente i colpi, era gia’ passata davanti alla telecamera (OMISSIS) -, e con l’assenza di particelle di sparo sull’auto – perche’ colui che ha ricondotto la Golf in (OMISSIS) non e’ lo sparatore -. E’ logico con tale ipotesi che chi riporto’ l’auto in paese non abbia riconsegnato le chiavi ai familiari, avendo appreso dell’omicidio, e temendo di essere coinvolto nelle indagini.
7.2.4. Gli elementi indiziari concernenti l’arma ritrovata il 20 giugno dai CC.
Qualche giorno dopo l’omicidio i c.c. rinvennero un’arma sotto il tiglio sito nel piazzale esterno del bar della (OMISSIS) in (OMISSIS), grazie all’indicazione fornita da tale (OMISSIS).
Costui non ha spiegato come sia venuto a conoscenza del luogo di occultamento dell’arma, sostenendo di avere sentito in sogno la voce della vittima; e’ verosimile che abbia appreso della circostanza da qualcuno che aveva usato l’arma per l’omicidio, ammesso che quella in sequestro sia stata quella adoperata per il delitto.
L’arma fu sequestrata il 20 giugno, trovata avvolta in un lembo di tovaglia a quadri e cerchi, a sua volta inserita in una confezione trasparente di cibo per animali, sigillata da un nastro adesivo bianco adeso alla busta in corrispondenza delle due estremita’. Sul secondo margine del nastro adesivo sono stati rinvenuti due profili genetici, che, pero’, non risultano attribuibili all’ (OMISSIS).
Chi ha lasciato le tracce di DNA sul nastro adesivo ha lasciato l’arma, e questi non e’ (OMISSIS).
Su tale elemento, di portata dirompente, la sentenza impugnata ha omesso di motivare, travisando gli argomenti difensivi esposti nei motivi nuovi: non rileva, infatti, che non vi siano tracce dell’ (OMISSIS), ma che vi siano tracce biologiche riferibili a due diverse persone; sicche’ la busta venne chiusa da persona diversa da (OMISSIS).
Anche la motivazione sulla valutazione della testimonianza di (OMISSIS) e’ illogica, in quanto, pur ammettendo che e’ stata reticente, non attribuisce alla reticenza il rilievo che merita, soprattutto alla luce del fatto che non pote’ essere (OMISSIS) a depositare sotto il tiglio il fagotto con l’arma, perche’ chi lo ha sigillato e’ persona diversa da lui.
7.2.5. Compatibilita’ dell’arma che uccise con l’arma in sequestro.
Secondo la sentenza, l’arma in sequestro e’ quella usata per uccidere (OMISSIS), per la compatibilita’ delle microstrie rilasciate sul proiettile letale con quelle rilasciate su un proiettile sparato a titolo di prova.
Tuttavia, il CT della difesa, Dott. (OMISSIS), ha contraddetto tale affermazione, sostenendo che le microstrie presentano alcune, sia pur minime, dissomiglianze, e comunque la compatibilita’ non fornisce alcuna certezza. In ogni caso, e’ emerso che due armi appartenenti alla stessa classe possono rilasciare microstrie pressoche’ identiche.
Che l’arma in sequestro non sia quella che ha sparato, infine, risulta dalla circostanza che la parte terminale della canna non e’ stata contaminata da sangue o da materiale biologico della vittima.
7.2.6. L’elemento della traccia del DNA di (OMISSIS) sul tamburo dell’arma.
L’imputato ha spiegato la ragione della presenza del suo profilo sull’arma, riferendo di averla maneggiata una volta in compagnia di (OMISSIS), quando esplose sei colpi di arma da fuoco, due dei quali attinsero un cartello stradale.
Tali dichiarazioni sono state riscontrate in un altro procedimento, in cui e’ stato individuato il cartello con un foro provocato dall’impatto del proiettile sparato dalla Smith and Wesson in sequestro.
Inoltre, i testimoni che hanno riferito della disponibilita’ di un’arma da parte di (OMISSIS) hanno escluso che si identificasse con quella in sequestro, e il DNA ricavato dal tamburo non e’ databile.
Infine, la pretesa tardivita’ della versione dell’imputato e’ illogica, in quanto (OMISSIS) ne riferi’ nel corso dell’interrogatorio del PM, alla prima occasione utile; la divergenza con la versione di (OMISSIS) e’, del resto, comprensibile, essendo illogico che costui avesse confessato un reato.
7.2.7. La mancata valutazione di tracce di sangue o di materiale biologico della vittima sulla canna dell’arma e sugli indumenti dell’ (OMISSIS).
L’assenza di spruzzi di sangue sugli indumenti di (OMISSIS) e sulla canna dell’arma e’ decisiva, perche’ e’ incompatibile con le modalita’ dello sparo, che hanno necessariamente implicato uno spruzzo retrogrado di gocce di sangue dalla ferita inferta alla testa della vittima (fenomeno del back spatter), mediante il colpo sparato a contatto con la testa.
E’ scientificamente impossibile che la proiezione di sangue non abbia imbrattato la parte terminale della canna dell’arma, in quanto i fiotti violenti di sangue scaturiscono da una regione altamente vascolarizzata.
La Corte territoriale ha travisato il fatto processuale, negando che il colpo sia stato sparato a contatto, ed affermando che si sia trattato di un “colpo a distanza ravvicinatissima, ma non necessariamente a diretta adesione con il corpo”; contrariamente a quanto sostenuto dal CT del PM, secondo cui il secondo colpo e’ stato esploso praticamente a contatto, mentre il colpo esploso a distanza di circa mezzo metro dal corpo della vittima era riferito al primo colpo, quello al torace, non al secondo che attinse il capo.
7.2.8. Omessa valutazione globale degli indizi.
La Corte territoriale avrebbe disatteso l’obbligo di una valutazione globale e complessiva degli elementi indiziari, con particolare riferimento all’assenza di tracce di sangue sulla canna della pistola e sugli indumenti, e sulla compatibilita’ della traccia di DNA sul tamburo con un diverso utilizzo dell’arma in sequestro.
7.2.9. Secondo la sentenza, l’indizio delle presunte tracce di polvere da sparo sugli abiti dell’ (OMISSIS) conserverebbe un “valore gravemente indiziario”.
Tuttavia, la questione della provenienza delle particelle ritrovate e’ stata oggetto di un ampio approfondimento tecnico, all’esito del quale e’ stato accertato che le particelle – piombo, bario e antimonio – riscontrate sulla camicia e sui bermuda di (OMISSIS) non provenivano necessariamente da un’esplosione di arma da fuoco, bensi’ da un’altra fonte (le pastiglie dei freni a disco).
E’ emerso, nella letteratura scientifica, che le particelle provenienti da un colpo di arma da fuoco hanno un aspetto morfologico – forma sferoidale diverso rispetto a quelle provenienti da altre fonti di contaminazione ambientale, secondo quanto sostenuto dalla stessa ausiliaria del CT del PM, la Dott.ssa (OMISSIS), coautrice di uno studio del 2002.
Nel caso di specie, le particelle presentavano una morfologia irregolare, erano prive del requisito della sfericita’, e la Corte territoriale ha concluso in modo fallace, non tenendo conto dei criteri scientifici di valutazione delle particelle e della stessa realta’ processuale, sul presupposto errato che la trilogia piombo, bario e antimonio sia caratteristica esclusiva dei residui da sparo, senza confrontarsi con le note di udienza sulle particelle depositate all’udienza di discussione del 18.7.2019.
Quanto alla provenienza dai residui della sfregatura dei dischi dei freni, del resto, l’imputato aveva esposto, gia’ nel memoriale del 27.12.2013, di aver provveduto alla demolizione di un’auto Fiat Punto, della quale, proprio la domenica 16 giugno, aveva preso alcuni pezzi (tra cui i dischi e le pastiglie), per un riutilizzo, liquidandola come tardiva e come suggerita dalla “dotta difesa”.
7.2.10. La sentenza impugnata avrebbe dunque violato il principio fondamentale sancito dall’articolo 192 c.p.p., comma 2, attribuendo natura di indizio a suggestioni, illazioni e sospetti.
L’anello di partenza, desunto dalla “concomitante presenza”, sarebbe mancante, e la motivazione sarebbe illogica sui vari elementi di prova scientifica che appaiono a favore dell’imputato: la mancanza di particelle sull’auto; la mancanza di tracce di sangue della vittima sulla parte terminale della canna; le tracce di terzi soggetti, non di (OMISSIS), sul nastro adesivo utilizzato per sigillare la busta contenente l’arma.
Ha infine ritenuto erroneamente che soltanto i residui dello sparo contengano congiuntamente le particelle piombo/bario/antimonio.
8. In data 12/11/2020 l’Avv. (OMISSIS) ha fatto pervenire motivi nuovi.
Preliminarmente sostiene che la Corte territoriale abbia violato l’obbligo del giudice che ritenga di optare per un diverso apprezzamento della prova orale di disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai fini di una nuova escussione della fonte dichiarativa, e l’obbligo di una motivazione rafforzata; la questione dell’obbligo di rinnovazione sarebbe rilevabile d’ufficio, come sostenuto da Sez. 5, n. 25475 del 24/02/2015, Prestanicola, Rv. 263902.
Con un articolato motivo, viene lamentata la mancata rinnovazione delle prove dichiarative, sul presupposto che il giudizio di rinvio di tipo prosecutorio non e’ un nuovo giudizio di appello, e che la decisione di secondo grado, sia pure cassata, non puo’ dirsi inidonea a far sorgere l’obbligo della rinnovazione.
Cio’ posto, la Corte territoriale non ha disposto la rinnovazione per apprezzare l’attendibilita’ e credibilita’ soggettiva dei testi che hanno riferito in ordine alla riconducibilita’ dell’arma in sequestro all’ (OMISSIS).
Questione diversa da quella della disponibilita’ di armi da parte dell’ (OMISSIS), e decisiva ai fini dell’affermazione di responsabilita’.
Nella sentenza di assoluzione, poi annullata dalla Corte di Cassazione, era stato evidenziato come tre testimoni non avessero indentificato l’arma in sequestro con quella nella disponibilita’ di (OMISSIS): secondo (OMISSIS), l’arma da lui vista aveva una canna piu’ lunga del revolver; secondo (OMISSIS), il revolver visto nel vano porta oggetti della Punto di (OMISSIS) aveva una canna piu’ lunga, e il calcio era in legno, marrone lucido; secondo (OMISSIS), la rivoltella puntatagli contro da (OMISSIS) non era un revolver; secondo (OMISSIS), vittima della rapina giudicata originariamente nell’ambito del medesimo processo, la pistola utilizzata era con il manico marrone.
La sentenza impugnata ha eliminato integralmente dal novero degli elementi probatori le testimonianze di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ed ha omesso un vaglio critico di attendibilita’ della testimonianza di (OMISSIS).
Inoltre, l’impossibilita’ di ricondurre l’arma del delitto ad (OMISSIS) si fonda anche sulle tracce di DNA dell’imputato sul tamburo dell’arma, legate all’esplosione nel febbraio del 2013 di colpi di pistola contro un cartello stradale, e sul rinvenimento di tracce genetiche di persone diverse dall’ (OMISSIS) sul nastro adesivo impiegato per sigillare la busta contenente l’arma.
Con i motivi nuovi era avanzata istanza di rinnovazione istruttoria ai fini di un esperimento giudiziale per riassumere la prova sulla stima dei tempi di percorrenza dal momento dell’uscita dal bar (OMISSIS) (OMISSIS) (ore 18.45.27) al successivo momento in cui (OMISSIS) fu inquadrato mentre transitava a piedi davanti alla telecamera dell’infermeria di (OMISSIS) (ore 18.59.38), a circa 132 metri dal luogo in cui risulto’ parcheggiata l’auto del (OMISSIS).
E’, infatti, impossibile che in 14 minuti l’imputato avesse potuto percorrere la strada verso (OMISSIS), uccidere il (OMISSIS), ritornare al paese, parcheggiare l’auto, e avviarsi a piedi verso il centro del paese.
Nonostante si tratti di prova indispensabile, la Corte territoriale ha negato la rinnovazione istruttoria.
Lamenta, infine, che la sentenza non abbia assolto all’onere di una motivazione rafforzata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono nel loro complesso infondati.
2. Giova premettere che la sentenza impugnata e’ stata emessa all’esito di un giudizio di rinvio celebrato in seguito all’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione in relazione ad una sentenza di assoluzione in riforma della condanna pronunciata in primo grado.
La sentenza rescindente, come gia’ evidenziato, aveva rilevato due profili di censura: uno concernente la struttura logico-giuridica della motivazione della sentenza di assoluzione, viziata da errori metodologici nell’analisi critica degli indizi e nel procedimento di valutazione della prova, inficiata da un approccio parcellizzato, che aveva illogicamente negato capacita’ indiziante alla “concomitante presenza” dell’imputato e della vittima negli stessi luoghi e in tempi pressoche’ sovrapponibili; l’altro concernente due profili illogicamente valutati dalla Corte territoriale, riguardanti, da un lato, le pretese incongruenze dell’orario e la illogica valorizzazione di un minimo scarto temporale (41 secondi) tra il tempo medio ed il tempo effettivamente impiegato per coprire la distanza tra la telecamera della ditta (OMISSIS) (ore 18.57.25), che aveva ripreso l’auto del (OMISSIS) (guidata dall’autore dell’omicidio) di ritorno dal luogo del delitto, e la telecamera della Infermeria di (OMISSIS) (ore 18.59.38), che aveva ripreso (OMISSIS) per strada, e, dall’altro, la riconducibilita’ dell’arma del delitto all’imputato, sulla base di una versione, tardivamente resa, e comunque smentita, con cui aveva sostenuto di aver maneggiato l’arma in passato, esplodendo colpi contro un cartello stradale, per provarla dopo l’offerta in vendita da parte di (OMISSIS).
Tanto premesso, va chiarito che la valutazione demandata a questa Corte e’ delimitata, da un lato, dai limiti coessenziali al giudizio di legittimita’, che resta refrattario alla rivalutazione del merito, e, dall’altro, dall’applicazione delle regole di valutazione probatoria, nei limiti in cui la verifica e’ stata disposta con la sentenza rescindente della Corte di Cassazione (articolo 627 c.p.p., comma 3).
2.1. Con riferimento ai limiti del giudizio di legittimita’, va infatti rammentato che il sindacato di legittimita’ e’ circoscritto alla verifica sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza, e non puo’ esondare dai limiti cognitivi sanciti dagli articoli 606 e 609 c.p.p. mediante una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito; le valutazioni espresse dalla sentenza impugnata, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimita’, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un’imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767). Ed anche la novella codicistica, introdotta con la L. n. 46 del 2006, che ha riconosciuto la possibilita’ di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimita’, sicche’ gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso (ex multis, Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716, che ha altresi’ precisato che resta esclusa la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita’ delle fonti di prova).
Pertanto, l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944), e l’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dal testo della sentenza o da altri atti specificamente indicati, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimita’ e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorieta’ della motivazione solo perche’ contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilita’ dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruita’ e logicita’ della motivazione (Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, Bianchesi, Rv. 182961).
2.2. Con riferimento alla violazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, dedotta dal ricorrente, va evidenziato che i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale, oppure per mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione, giacche’, mentre, nella prima ipotesi, il giudice e’ vincolato al principio di diritto espresso dalla Corte, restando ferma la valutazione dei fatti come accertati nel provvedimento impugnato, nella seconda puo’ procedersi ad un nuovo esame del compendio probatorio con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, Montali, Rv. 252333).
Invero, il principio di diritto al quale il giudice di rinvio ha un obbligo assoluto ed inderogabile di uniformarsi e’ soltanto quello che, a norma dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 2, deve essere specificamente enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio. Tale effetto vincolante non scaturisce, invece, da affermazioni esplicative della “ratio decidendi” e, meno ancora, da singoli sviluppi argomentativi che si limitino a scandagliare i vizi del provvedimento annullato ma non forniscano, in se’, le indicazioni riparatorie in punto di legittimita’ (Sez. 1, n. 8242 del 18/05/1999, Di Virgilio G, Rv. 213873).
Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, al contrario, il giudice di rinvio e’ investito di pieni poteri di cognizione e puo’ – salvi i limiti nascenti da eventuale giudicato interno – rivisitare il fatto con pieno apprezzamento ed autonomia di giudizio ed in esito alla compiuta rivisitazione addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito o condividerne le conclusioni purche’ motivi il proprio convincimento sulla base di argomentazioni diverse da quelle ritenute illogiche o carenti in sede di legittimita’ (Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, Gambino, Rv. 248413), non e’ vincolato ne’ condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Knox, Rv. 264861); a seguito di annullamento per vizio di motivazione, invero, il giudice del rinvio e’ chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza e’ stata annullata, fermo restando che egli non puo’ ripetere il percorso logico censurato dal giudice rescindente e deve fornire adeguata motivazione sui punti della decisione sottoposti al suo esame (Sez. 5, n. 42814 del 19/06/2014, Cataldo, Rv. 261760); sicche’ non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilita’ sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello gia’ censurato in sede di legittimita’ (Sez. 4, n. 20044 del 17/03/2015, S., Rv. 263864, che ha precisato che eventuali elementi di fatto e valutazioni contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento al fine dell’individuazione del vizio o dei vizi segnalati e, non, quindi, come dati che si impongono per la decisione a lui demandata, di talche’ si devono ritenere inammissibili le censure sollevate in merito; ex multis, Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, Gambino, Rv. 248413)
2.3. Tanto premesso, il richiamo dei confini che perimetrano il presente giudizio di legittimita’ impone di osservare, preliminarmente, che le doglianze proposte dal ricorrente con riferimento all’asserita violazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3 sono manifestamente infondate.
E la manifesta infondatezza e’ apprezzabile gia’ alla luce dell’argomentazione del ricorrente, che, nel richiamare testualmente (sia pur in maniera avulsa dal complessivo tessuto argomentativo della sentenza rescindente, connotata da una profonda e radicale censura dell’approccio atomistico, parcellizzato ed illogico della sentenza di assoluzione) la decisione di annullamento della Corte di Cassazione, ne trae la conclusione che il giudice del rinvio ne avrebbe travisato il dictum, per avere attribuito una “grave portata indiziaria al dato della concomitante presenza”, senza apprezzarne i suoi precisi contorni fattuali, e, dunque, l’efficacia probatoria, e senza inserire l’indizio nel quadro dell’intero compendio probatorio.
La sentenza impugnata, emessa nel giudizio di rinvio, risulta, al contrario, immune dalle censure proposte, di illogicita’ e di violazione dell’obbligo di uniformarsi ai principi di diritto pronunciati in sede rescindente, avendo rivisitato completamente ed autonomamente gli specifici elementi indiziari la cui idoneita’ dimostrativa era stata revocata in dubbio, sulla base di una analitica e (talvolta eccessivamente, ma comprensibilmente) certosina analisi dei singoli profili probatori e logici; e, con particolare riferimento all’elemento della “concomitante presenza”, lungi dall’avere assunto il dato in maniera assoluta ed assorbente, ne ha valutato – come piu’ ampiamente si dira’ – la intrinseca consistenza ed efficacia probatoria, nell’ambito di una lettura complessiva di tutti gli elementi indiziari, scevra da parcellizzazioni valutative, in tal senso assolvendo all’obbligo enucleato dalla sentenza rescindente, che aveva, invece, censurato l’errore metodologico consistente nell’aver negato “capacita’ indiziante alla concomitante presenza dell’imputato e dell’autore dell’omicidio negli stessi luoghi e in tempi pressoche’ sovrapponibili attraverso la rappresentazione, nei termini detti, degli orari e dei tempi di percorrenza, piuttosto che apprezzare l’indizio nella sua positivita’, parziale o potenziale, di efficienza probatoria, da valutare in coordinamento con altri indizi”.
Sicche’, ferma la valutazione delle specifiche doglianze proposte dal ricorrente, va chiarito che la Corte territoriale ha assolto all’obbligo di conformarsi alle indicazioni fornite dalla sentenza rescindente in ordine agli approfondimenti valutativi, anche con specifico riferimento al dato della “concomitante presenza”.
Sotto il profilo della nuova complessiva disamina degli elementi indizianti, rimessa dalla Corte di Cassazione al giudice del rinvio, la sentenza impugnata ha proceduto ad una rivisitazione completa della motivazione, mediante riesame dei singoli elementi indiziari dapprima nella loro consistenza individuale, e poi nel loro coordinamento logico, alla rivalutazione della tenuta accusatoria degli elementi della disponibilita’ dell’arma del delitto e del rinvenimento di tracce di polvere da sparo sugli abiti dell’ (OMISSIS), nonche’ della consistenza del movente, e, infine, alla rivalutazione degli elementi mancanti (assenza di tracce di sparo e dell’imputato nell’auto) o (almeno asseritamente) incerti (l’orario degli spari uditi dal teste (OMISSIS)) alla luce della lettura alternativa indicata dalla difesa dell’imputato (sebbene sotto un profilo meramente congetturale).
La decisione, dunque, appare pienamente conforme ai principi di diritto costantemente ribaditi da questa Corte, secondo cui, in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non puo’ limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, ne’ procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguita’ di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” e, cioe’, con un alto grado di credibilita’ razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalita’ umana (Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv. 266941).
3. Passando all’esame dei singoli motivi di ricorso, che si caratterizzano per un approccio atomistico e parcellizzato – proprio il vizio addebitato alla sentenza impugnata -, va innanzitutto osservato che le censure proposte appaiono dirette, non gia’ a scardinare la tenuta logica della motivazione, bensi’ ad attaccare i dettagli della complessa ed articolata sentenza impugnata, la cui coerenza logico-giuridica, al contrario, non risulta affatto scalfita.
Inoltre, va osservato che, come si rilevera’, con la maggior parte delle censure proposte, il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica – unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione probatoria asseritamente sbagliata.
Il controllo di legittimita’, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia’ il rapporto tra prova e decisione; sicche’ il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia’ nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e’ estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.
4. Le doglianze concernenti l’indizio della “concomitante presenza”, con cui il ricorrente lamenta l’omessa determinazione dei suoi precisi contorni fattuali e la svalutazione della testimonianza di (OMISSIS), oltre ad essere meramente reiterative delle stesse censure proposte con l’appello, e motivatamente respinte, sono dirette a sollecitare ictu oculi una rivalutazione del merito, contestando il risultato probatorio della Corte territoriale.
Le doglianze sono altresi’ infondate, in quanto, come esaustivamente e logicamente evidenziato dalla sentenza impugnata, e’ vero che nessuno vide (OMISSIS) salire sull’auto del (OMISSIS) e che nessuno lo vide riportare l’auto a (OMISSIS), per parcheggiarla in via (OMISSIS); tuttavia, nessuno dei testimoni ha riferito di aver visto (OMISSIS) prendere una strada diversa da quella del (OMISSIS), al momento dell’uscita dal bar (OMISSIS), immortalata dalle telecamere del bar.
I testimoni escussi al riguardo ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) hanno riferito di non aver fatto caso alla direzione seguita dai due avventori, qualcuno non li aveva neppure notati uscire, e non sono stati dunque in grado di fornire indicazioni precise.
Lo stesso (OMISSIS), le cui dichiarazioni vengono richiamate dal ricorrente, ha riferito di avere visto il (OMISSIS) uscire dal bar e dirigersi verso la sua auto Golf, ma non ha ricordato di aver notato la presenza di (OMISSIS) negli stessi istanti in cui (OMISSIS) si dirigeva verso la propria auto, ne’ ha ricordato di avere visto quest’ultimo salirvi a bordo; addirittura, sentito a dibattimento, (OMISSIS) ha precisato di non essere in grado di ricordare con certezza l’orario dell’uscita del (OMISSIS) dal bar, ribadendo di non aver visto (OMISSIS) uscire con (OMISSIS); circostanza, quest’ultima, invece pacifica, perche’ immortalata dalla telecamera.
E, del resto, come piu’ ampiamente si dira’, anche la versione resa da (OMISSIS), di essersi diretto verso il bar della Stazione per effettuare una ricarica, e’ stata smentita dalle riprese delle telecamere, e successivamente adattata dell’imputato; con conseguente fallimento dell’alibi.
Cio’ posto, la Corte territoriale ha evidenziato che nessuna fonte testimoniale e’ stata in grado di ricordare (o di voler ricordare) il momento in cui (OMISSIS) e (OMISSIS) uscirono insieme dal bar (OMISSIS), ma, con apprezzamento immune da illogicita’, ha ritenuto che tale “buco probatorio” non consente di ritenere che non vi sarebbe prova certa che (OMISSIS) sia salito a bordo dell’auto del (OMISSIS), poiche’ nessun testimone ha riferito che ciascuno avesse imboccato una strada non interferente con quella dell’altro.
Pertanto, conformandosi all’obbligo di “apprezzare l’indizio nella sua positivita’, parziale o potenziale, di efficienza probatoria, da valutare in coordinamento con altri indizi” (sentenza rescindente), la Corte territoriale ha evidenziato che “cio’ che probatoriamente conta e’ che i due uscirono insieme dal bar (OMISSIS); che l’auto del (OMISSIS) fu vista proiettarsi verso (OMISSIS), pochi minurr/ege (OMISSIS) ricevesse la telefonata del figlio a cui non pote’ rispondere (perche’ evidentemente non piu’ libero di muoversi a sua discrezione); che undici minuti dopo, l’auto fu ripresa nel viaggio di ritorno da (OMISSIS) verso (OMISSIS) dalla medesima telecamera, per essere parcheggiata in via (OMISSIS) ovviamente non dal suo proprietario che era stato nel frattempo freddato -, lontano dall’abitazione del (OMISSIS), con modalita’ di blocco dell’auto non seguite da questi, e che proveniente proprio da via (OMISSIS), in viale (OMISSIS), l’ (OMISSIS) veniva immortalato dalla telecamera dell’infermeria poco prima delle ore 19,00 (alle ore 18.59.38), a circa 132 metri dal luogo in cui risulto’ parcheggiata l’autovettura del (OMISSIS)”; proprio valutando l’indizio in coordinamento con tutti gli altri, dunque, la Corte territoriale ha concluso ritenendo che “tale circostanza ha un suo indiscutibile valore probatorio, ancorche’ non vi sia alcun testimone oculare che vide (OMISSIS) nell’atto di posteggiare l’auto Golf”.
La motivazione appare dunque immune da censure di illogicita’, laddove l’approccio del ricorso risulta, invece, l’esito di una parcellizzazione degli elementi indiziari, nella loro sequenza logica e cronologica, che oblitera l’insegnamento secondo cui, premesso che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme puo’ assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto, la prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosita’ metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191230).
5. Le doglianze con cui si lamenta una omessa lettura articolata e non superficiale dei segmenti ulteriori del fatto, ed in particolare della testimonianza di (OMISSIS) sull’orario degli spari e sull’assenza di tracce di sparo all’interno dell’autovettura della vittima, sono anch’esse meramente reiterative delle stesse censure proposte con l’appello, e motivatamente respinte, e sono dirette a sollecitare ictu oculi una rivalutazione del merito, contestando il risultato probatorio della Corte territoriale.
Le doglianze sono altresi’ infondate.
5.1. Con riferimento agli orari degli spari uditi dal teste (OMISSIS), il ricorrente sostiene che l’orario indicato – le 19/19.05 – escluderebbe la possibilita’ che colui che ha sparato al (OMISSIS) potesse essere (OMISSIS), il quale, a quell’ora, veniva ripreso dalle telecamere dell’Infermeria (OMISSIS).
Tuttavia, la sentenza impugnata ha compiutamente affrontato il profilo dedotto, evidenziando che l’orario indicato dal teste era soltanto approssimativo, e che doveva tener conto anche del tempo impiegato per recarsi alla finestra e tornare al computer: come gia’ osservato dalla sentenza di assoluzione annullata, secondo cui la testimonianza di (OMISSIS) non poteva ritenersi granitica, portando con se’ una dose di incertezza, la sentenza impugnata ha, al riguardo, rilevato che il teste (OMISSIS), che abitava in (OMISSIS), non distante dal luogo del delitto, aveva sempre riferito di aver udito due colpi in rapida successione, collocando l’orario degli spari intorno alle ore 19,00, senza maggior precisione; in dibattimento, il teste ha aggiunto che la sera del (OMISSIS), mentre si trovava nella sua stanza, davanti al computer, udi’ due spari in immediata successione, aggiungendo che gli sembrava fossero le sette di sera; precisava, al riguardo, di essersi alzato, dopo aver udito i colpi, di essere andato prima alla finestra del bagno, poi alla finestra del corridoio, ma di non aver visto nulla, di essere quindi tornato al computer, dove gli sembrava di ricordare che fossero indicate le ore 19/19.05, aggiungendo che non era in grado di muoversi velocemente.
Cio’ posto, la Corte territoriale ha dunque escluso che la testimonianza di (OMISSIS) potesse minare il dato del passaggio dell’auto della vittima di ritorno da (OMISSIS) a (OMISSIS), 2 minuti e 35 secondi prima delle ore 19.00, proprio in ragione dell’approssimazione con cui aveva fornito l’indicazione dell’orario in cui aveva udito gli spari (o meglio, era tornato alla propria postazione); ne desume la sentenza che gli spari si collocarono prima delle 19.00, tanto che lo sparatore si dileguo’ dalla stradina verso il Po, in localita’ (OMISSIS), che sbucava dalla strada antistante la casa dell’ (OMISSIS), prima che costui si affacciasse alla finestra per capire cosa fosse accaduto.
5.2. Con riferimento alla mancanza di tracce di sparo all’interno dell’auto della vittima, la sentenza impugnata ha rilevato che, se la presenza di tracce puo’ rappresentare un grosso ausilio alla ricostruzione dei fatti, la loro mancanza non oblitera la portata indiziante degli altri elementi.
La mancanza di tracce, invero, va valutata nel complessivo quadro probatorio: l’auto del (OMISSIS) non venne rinvenute dalle forze dell’ordine, ma dai familiari della vittima, che l’aprirono con il secondo paio di chiavi in dotazione, la visionarono per cercare le tracce del familiare scomparso, e la consegnarono ai Carabinieri di (OMISSIS) il giorno successivo al fatto; ebbene, non venne rinvenuta alcuna impronta – neppure dei familiari che si erano introdotti nell’auto e l’avevano poi consegnata ai c.c. -, in tal senso evidenziando che il dato dell’assenza delle impronte e’ scarsamente dirimente, e non venne rinvenuta alcuna traccia di polvere da sparo.
Con riferimento a tale ultimo profilo, lungi dall’aver omesso la motivazione (come sostenuto dal ricorrente), la Corte territoriale ha evidenziato che i residui di sparo vennero rinvenuti sulla parte anteriore della camicia indossata dall’ (OMISSIS), e non sulla schiena – la parte del corpo che poggio’ sul sedile -, nonche’ nelle tasche dei pantaloni corti, che, evidentemente, non hanno avuto contatto con parti dell’auto.
Del resto, va aggiunto, l’esplosione dei due colpi e’ avvenuta all’esterno del veicolo, sicche’ non e’ dirimente il mancato rinvenimento di tracce di sparo all’interno dell’autovettura.
Inoltre, la Corte territoriale ha osservato che, dopo l’assassinio, il volante dell’auto, e verosimilmente altre parti della carrozzeria, venne manovrato dal fratello della vittima, e dunque le eventuali tracce – ove siano state effettivamente rilasciate nel veicolo – potrebbero essere state eliminate.
5.3. Strettamente collegata alle precedenti e’ la doglianza con cui si lamenta la mancata considerazione dell’ipotesi alternativa formulata dalla difesa, secondo cui (OMISSIS) si sarebbe fatto accompagnare da qualcuno a (OMISSIS) per un appuntamento con una terza persona, che avrebbe dovuto riaccompagnarlo a (OMISSIS), mentre la sua auto veniva riportata in paese dall’amico o conoscente; ipotesi che spiegherebbe l’orario degli spari indicati da (OMISSIS) e l’assenza di tracce di sparo nell’auto.
Ebbene, la doglianza e’ inammissibile, in quanto si limita ad indicare, in maniera del tutto congetturale, una ipotesi alternativa di spiegazione, priva, tuttavia, di qualsivoglia supporto probatorio, anche di carattere solo indiziario.
5.3.1. Al riguardo, appare utile sottolineare la distinzione concettuale tra “sospetti” ed “indizi”: il “sospetto” e’ una nozione che oscilla tra due estremi semantici, ovvero tra il significato di fenomeno soggettivo, congettura, quindi di ipotesi senza prove, o meglio, alla ricerca di prove, ed il significato di indizio equivoco, e quindi debole; comunque, il concetto connota gli elementi suscettibili di assecondare distinte ed alternative ipotesi, anche contrapposte, nella spiegazione dei fatti oggetto di prova.
Al contrario, gli “indizi” sono gli elementi probatori raggiunti attraverso un ragionamento inferenziale, che partendo da un fatto noto (indizio) conduce ad un fatto ignoto (il fatto da provare – in tal caso, nella deduzione difensiva, la estraneita’ dell’imputato all’omicidio-), in virtu’ dell’applicazione di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza (in tal senso, Sez. 5, n. 17231 del 17/01/2020, Mazza, Rv. 279168: “In tema di prova, gli “indizi”, suscettibili di valutazione ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 2, sono elementi di fatto noti dai quali desumere, in via inferenziale, il fatto ignoto da provare sulla base di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza, mentre il “sospetto” si identifica con la congettura, un fenomeno soggettivo di ipotesi con prove da ricercare, ovvero con l’indizio debole o equivoco, tale da assecondare distinte, alternative – ed anche contrapposte – ipotesi nella spiegazione dei fatti oggetto di prova”).
Tanto premesso, va rammentato che il sindacato di legittimita’ sulla gravita’, precisione e concordanza della prova indiziaria e’ limitato alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicita’ e non fondata su base meramente congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati (Sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009, Durante, Rv. 245880).
Va, altresi’, ribadito che gli indizi a fini di prova si differenziano dalle mere congetture perche’ sono costituiti da fatti ontologicamente certi che, collegati tra loro, sono suscettibili di una ben determinata interpretazione (Sez. 2, n. 43923 del 28/10/2009, Pinto, Rv. 245606), devono corrispondere a dati di fatto certi – e, pertanto, non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza – e devono, ex articolo 192 c.p.p., comma 2, essere gravi – cioe’ in grado di esprimere elevata probabilita’ di derivazione dal fatto noto di quello ignoto – precisi – cioe’ non equivoci – e concordanti, cioe’ convergenti verso l’identico risultato. Requisiti tutti che devono rivestire il carattere della concorrenza, nel senso che in mancanza anche di uno solo di essi gli indizi non possono assurgere al rango di prova idonea a fondare la responsabilita’ penale. Inoltre, il procedimento della loro valutazione si articola in due distinti momenti: il primo diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravita’ e di precisione di ciascuno di essi, isolatamente considerato, il secondo costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguita’. Il giudice di legittimita’ deve verificare l’esatta applicazione dei criteri legali dettati dall’articolo 192 c.p.p., comma 2, e la corretta applicazione delle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori (Sez. 5, n. 4663 del 10/12/2013, dep. 2014, Larotondo, Rv. 258721).
Nella fattispecie, non e’ emerso alcun elemento concreto che potesse fondare l’ipotesi – del tutto congetturale – che la vittima, (OMISSIS), si fosse recato a (OMISSIS) per incontrarsi con un ignoto assassino, accompagnato da un altro ignoto amico/conoscente che avrebbe riportato la sua auto a (OMISSIS), parcheggiandola distante dalla sua abitazione, e senza riconsegnare le chiavi; e, soprattutto, l’ipotesi non si concilia con il significativo elemento che, alle 18.48.35, la telefonata del figlio della vittima resto’ senza risposta.
L’ipotesi alternativa, peraltro, non si confronta con il movente accertato dell’omicidio, di cui pure viene genericamente lamentata una omessa motivazione: come diffusamente evidenziato dalla sentenza impugnata (p. 1517), il movente dell’omicidio fu la rapina ai danni del (OMISSIS), che aveva appena vinto 300 Euro alle slot machine nel bar (OMISSIS), cui si era avvicendato proprio con (OMISSIS), e che venne ritrovato privo di vita, con accanto il portafogli privo del denaro; del resto, lo scopo di lucro dell’omicidio e’ stato vieppiu’ corroborato dal fatto, per molti aspetti identico, commesso da (OMISSIS) pochi mesi prima ai danni di (OMISSIS); come accertato con sentenza divenuta irrevocabile, infatti, nell’aprile del 2013 (OMISSIS) aveva chiesto un passaggio a bordo dell’auto del (OMISSIS), all’uscita del bar (OMISSIS) di (OMISSIS) – dove verra’ poi rinvenuta la pistola -, gli aveva puntato un revolver alla tempia estratto dal giubbotto, gli aveva ingiunto di andare a casa, dove lo aveva legato alle mani e ai piedi, si era impossessato di 1000 Euro, di due orologi, delle chiavi dell’auto e dell’appartamento, della patente di guida e della stessa auto; ed e’ significativo che (OMISSIS), soltanto il 18 giugno 2013 – allorquando (OMISSIS) venne fermato per l’omicidio di (OMISSIS) – lo riconobbe con certezza come il rapinatore, smentendo la precedente ritrattazione della denuncia, legata alla paura per l’ (OMISSIS), che gli aveva sottratto le chiavi di casa.
5.3.2. La doglianza, del resto, va inquadrata nello spettro della rilevanza della regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Va, infatti, premesso che la regola di giudizio compendiata nella formula “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimita’ esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicita’ manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D’Urso, Rv. 270108); il principio dell’oltre ragionevole dubbio”, introdotto nell’articolo 533 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non puo’ essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicita’ di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicita’ sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacche’ la Corte e’ chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, Rv. 270519); la regola di giudizio compendiata nella formula “al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, impone di pronunciare condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualita’ remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili “in rerum natura” ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benche’ minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalita’ umana (Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, dep. 2015, Segura, Rv. 262280); il principio secondo cui la condanna puo’ essere pronunciata solo se l’imputato risulta colpevole al la’ di ogni ragionevole dubbio implica, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, e su cui e’ fondata la condanna in modo da far risultare la non razionalita’ del dubbio derivante dalla prospettazione alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Guernelli, Rv. 259204; Sez. 4, n. 30862 del 17/06/2011, Giulianelli, Rv. 250903).
Nel caso in esame, la ricostruzione alternativa – prospettata dalla difesa, come gia’ evidenziato, in maniera del tutto congetturale – e’ stata oggetto di attenta motivazione: l’ipotesi alternativa e’ stata infatti “scartata”, in primo luogo perche’ chiunque avesse accettato di riportare l’autovettura Golf a (OMISSIS) su incarico del (OMISSIS), l’avrebbe parcheggiata sotto casa dell’imputato, ed avrebbe soprattutto consegnato le chiavi dell’auto ai familiari; in secondo luogo, il passaggio dell’auto da (OMISSIS) a (OMISSIS), con a bordo il (OMISSIS), avvenne alle ore 18.46.47, laddove soltanto due minuti dopo, prima di giungere a (OMISSIS), il (OMISSIS), alla guida dell’auto, non pote’ rispondere al figlio (OMISSIS), che lo aveva telefonato per organizzare l’acquisto delle pizze per la cena, in tal senso dimostrando come la liberta’ di movimento del (OMISSIS) fosse gia’ significativamente compromessa prima di raggiungere il luogo ove venne assassinato.
6. Le doglianze concernenti l’arma riguardano la riconducibilita’ della pistola sequestrata all’imputato – per il rinvenimento di due profili genetici diversi sul nastro adesivo che sigillava l’involucro in cui era custodita -, la compatibilita’ con l’arma che ha effettivamente sparato – per l’asserita presenza di microstrie incompatibili -, e la spiegazione alternativa fornita dall’imputato in merito al rinvenimento del suo DNA sul tamburo della pistola – legata all’esplosione di alcuni colpi su un cartello stradale, in compagnia di (OMISSIS), che gliela aveva offerta in vendita -.
Anche tali censure, in realta’, si rivelano meramente reiterative e dirette a sollecitare una rivalutazione del merito, mediante contestazione del risultato probatorio.
Oltre a tali profili di inammissibilita’, peraltro, i motivi sono altresi’ manifestamente infondati.
6.1. La pistola venne rinvenuta sotto il tiglio sito nel piazzale esterno del bar della (OMISSIS), in (OMISSIS), grazie all’indicazione del teste (OMISSIS).
Con riferimento alle censure concernenti l’attendibilita’ del teste, che aveva riferito di aver udito nella testa la voce del defunto (OMISSIS), e che percio’ aveva riferito ai Carabinieri della disponibilita’, da parte di (OMISSIS), della pistola occultata sotto al tiglio, la Corte territoriale ha formulato, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicita’, e dunque insindacabile in sede di legittimita’, una valutazione di credibilita’ ed attendibilita’ del teste, evidenziando – in un contesto di diffusa paura di tutti i testimoni nei confronti di (OMISSIS), emerso ed opportunamente sottolineato dalla sentenza in diversi passaggi che il riferimento di (OMISSIS) alla “voce del defunto” che lo spingeva ad andare presso il bar (OMISSIS), ove si erigeva il tiglio, costituiva la metafora, propria di una persona con limitate capacita’ descrittive e culturali, della sollecitazione del senso morale che lo aveva spinto a collaborare con gli investigatori, rivelandogli il nascondiglio della pistola che (OMISSIS) aveva predisposto sotto al tiglio; e non e’ stato ritenuto casuale che la rivelazione di (OMISSIS) sia avvenuta il (OMISSIS), dopo che (OMISSIS) era stato sottoposto al fermo.
6.2. In ogni caso, al di la’ delle modalita’ del rinvenimento dell’arma, cio’ che conta, ai fini dell’affermazione di responsabilita’, e’ che la pistola sequestrata era proprio quella che aveva sparato al (OMISSIS).
Le doglianze del ricorrente sono, sul punto, affidate esclusivamente ai dubbi sollevati dal consulente tecnico della difesa, Dott. (OMISSIS), secondo cui le microstrie rilasciate sul proiettile presenterebbero sia pur minime dissomiglianze, senza in alcun modo confrontarsi con la sentenza impugnata, che, al riguardo, ha precisato che la perizia del Dott. (OMISSIS) aveva accertato che:
a) i bossoli rinvenuti nel tamburo della pistola erano marca Fiocchi, come il proiettile rinvenuto sul luogo dell’omicidio, e come due delle quattro cartucce inesplose contenute nel tamburo;
b) la pistola aveva esploso due colpi, e due erano stati i colpi che avevano attinto mortalmente il (OMISSIS);
c) le striature del proiettile esploso e rinvenuto sul luogo del delitto presentavano una perfetta corrispondenza con le striature sul proiettile test.
A tale ultimo riguardo, confrontandosi con le censure dell’appellante, la sentenza impugnata ha evidenziato che le considerazioni del CT di parte, oltre ad essere fondate su fotografie di scarsa qualita’ (scannerizzate e rimpicciolite), erano state affrontate dal perito, che, riconoscendo che i proiettili sparati dalla stessa arma possono rilasciare microstrie differenti, proprio per il deposito nella canna dei residui del proiettile, aveva ribadito la perfetta corrispondenza delle striature e che l’arma sequestrata era quella che aveva sparato.
Quanto alla mancanza di contaminazione della parte terminale della canna, nel rinviare a quanto piu’ diffusamente si dira’ a proposito del c.d. back spatter, e’ sufficiente evidenziare che le modalita’ con cui sono stati esplosi i due colpi anche il secondo alla testa – non implicano necessariamente una contaminazione dell’arma, e che l’imputato ha avuto comunque molteplici occasioni per ripulire la canna della pistola prima di riposizionarla nel nascondiglio sotto al tiglio, a partire dal momento in cui, ritornando al bar (OMISSIS) alle 19.08, si e’ immediatamente recato in bagno.
6.3. Con riferimento al rinvenimento della traccia di DNA di (OMISSIS) sul tamburo della pistola, va innanzitutto rilevato che la spiegazione dell’imputato, secondo cui egli avrebbe maneggiato l’arma mesi prima, esplodendo dei colpi contro un cartello stradale, per provare la pistola che (OMISSIS) gli aveva offerto in vendita, e’ stata ritenuta tardiva, in quanto esternata ben otto mesi dopo il fermo, soltanto dopo che le indagini biologiche avevano rilevato il suo profilo genetico.
Ma, soprattutto, la versione e’ stata smentita dal fatto che il profilo genetico in commistione non fosse quello di (OMISSIS) – che si e’ serenamente sottoposto al test -, che ha altresi’ negato di aver mai fatto salire (OMISSIS) sulla propria auto, di avergli offerto armi (mai possedute) o di essere andato a sparare sui cartelli stradali.
Del resto, come opportunamente rilevato dalla Corte territoriale, l’auto Golf del (OMISSIS) e’ stata fatta trovare in via (OMISSIS), proprio in prossimita’ della casa di (OMISSIS), quasi a tratteggiare la trama di una perfetta calunnia.
Sicche’ la circostanza, ancora ribadita nel ricorso, che sono stati accertati due fori sui cartelli stradali indicati da (OMISSIS) dimostra (o meglio, conferma) soltanto che costui, mesi prima dell’omicidio, aveva la disponibilita’ di una pistola (verosimilmente la stessa) con la quale ha sparato contro i cartelli stradali.
Al riguardo, giova rammentare che l’alibi falso, cioe’ quello rivelatosi preordinato e mendace, diversamente da quello non provato, deve essere considerato come un indizio a carico, in quanto e’ sintomatico del tentativo dell’imputato di sottrarsi all’accertamento della verita’ (Sez. 5, n. 37317 del 14/06/2019, Capra, Rv. 276647; Sez. 1, n. 18118 del 11/02/2014, Marturana, Rv. 261993; Sez. 5, n. 42576 del 03/06/2015, Procacci, Rv. 265148).
6.4. Dunque, accertato che la pistola sequestrata coincide con quella che ha sparato a (OMISSIS), e che essa risulta essere stata maneggiata da (OMISSIS), per il rinvenimento di DNA sul tamburo, la valenza indiziaria di tali elementi e’ stata corroborata, nell’ambito di una valutazione complessiva e priva di parcellizzazioni, dal rinvenimento di tracce importanti di polvere da sparo sia sulla camicia indossata da (OMISSIS) il (OMISSIS), sia nelle tasche dei pantaloni corti indossati lo stesso giorno (su cui si tornera’ in seguito, piu’ approfonditamente).
6.5. La doglianza con cui si contesta l’assenza di tracce di sangue o di materiale biologico della vittima sulla canna dell’arma e sugli indumenti di (OMISSIS), oltre a reiterare le medesime censure gia’ proposte con l’appello, e motivatamente respinte, ed a sollecitare ictu oculi una rivalutazione del merito, mediante contestazione del risultato probatorio, e’ altresi’ manifestamente infondata.
Come ampiamente argomentato dalla sentenza impugnata, l’assenza di tracce biologiche e’ stata spiegata dai periti (uno dei quali ha definito “inaccettabile” la conclusione che l’assassino avrebbe dovuto necessariamente sporcarsi di sangue) sulla base di due elementi, evidenziati sul presupposto che il c.d. back spatter e’ un fenomeno “possibile” (che non raggiunge neppure i confini della probabilita’), ma non necessario e costante: a) la distanza dell’arma dal capo della vittima, contro cui e’ stato esploso il secondo colpo, che, sebbene a distanza ravvicinata, non necessariamente e’ stato “a sfregamento”; b) la posizione del corpo del (OMISSIS), che, gia’ attinto dal primo colpo al torace, aveva subito una flessione in avanti del busto.
Sicche’ il secondo colpo venne esploso al capo, che si trovava proiettato in avanti e lievemente spostato verso la coscia sinistra, e determino’ una notevole proiezione di macchie di sangue sulle superfici circostanti e, soprattutto, sulla parte sinistra dei pantaloni della vittima.
Dunque, back spatter vi fu, ma coinvolse i pantaloni della vittima, non gia’ la pistola o l’assassino, proprio in considerazione dell’inclinazione del corpo, gia’ flesso dopo il primo colpo al torace.
6.6. Cio’ posto, gli elementi indiziari richiamati – che fondano la ricostruzione secondo cui la pistola in sequestro, rinvenuta nel nascondiglio adoperato da (OMISSIS), sia stata utilizzata per uccidere (OMISSIS), e sia stata adoperata proprio da (OMISSIS) (per il rinvenimento del DNA sul tamburo, ma, soprattutto, per le tracce di polvere da sparo rinvenute sugli indumenti indossati) – ridimensionano notevolmente le obiezioni difensive sul rinvenimento di due profili genetici non riferibili all’imputato sul nastro adesivo che sigillava la confezione trasparente in cui era avvolta la pistola.
Innanzitutto, va osservato che si tratta di un profilo concernente una fase successiva a quella dell’utilizzo della pistola per uccidere (OMISSIS) – corroborato dai molteplici indizi gia’ evidenziati -, quella dell’occultamento nel nascondiglio abitualmente adoperato da (OMISSIS), che non oblitera l’efficacia dimostrativa degli elementi che attribuiscono l’uso micidiale dell’arma all’imputato.
In secondo luogo, come logicamente rilevato dalla Corte territoriale, e’ del tutto plausibile che (OMISSIS) abbia provveduto all’operazione di confezionamento dell’involucro contenente la pistola con le ovvie precauzioni, dotandosi quantomeno di guanti di lattice (o di altro materiale) per evitare di lasciare tracce che avrebbero fin troppo facilmente condotto a lui.
Infine, con riferimento al rinvenimento di due profili genetici diversi, su cui tanto ha insistito il ricorso, va osservato che la pretesa “portata dirompente” che comunque non puo’ essere riconosciuta, riguardando, come gia’ evidenziato, la fase, successiva all’utilizzo, dell’occultamento – e’ fondata su una massima di esperienza non collaudata: il ricorso sostiene infatti che il nastro adesivo (lo scotch) puo’ essere usato soltanto una volta, dopodiche’ perderebbe la propria funzione. Affermazione che, tuttavia, risulta smentita dalla diffusa esperienza comune, alla stregua della quale il nastro adesivo puo’ essere riutilizzato per successivi impieghi, dipendendo la sua funzionalita’ da una serie di fattori (quantita’ di colla residua, superfici cui e’ adeso, condizioni ambientali, ecc.) che incidono, invero, piu’ sulla âEuroËœefficacia’ dell’uso reiterato che sulla funzionalita’ in se’.
Ne consegue che il rinvenimento di due profili genetici diversi sul nastro adesivo che sigillava la confezione in cui era occultata la pistola non scardina la portata logica e dimostrativa degli indizi gia’ richiamati, a proposito dell’uso dell’arma da parte di (OMISSIS) per uccidere (OMISSIS), ed implica soltanto una serie di deduzioni logiche, di natura congetturale – l’imputato potrebbe avere utilizzato un nastro adesivo gia’ impiegato da altri, magari proprio per contaminare le tracce, oppure potrebbe essere stato aiutato nel confezionamento -, non incompatibili con il pregresso utilizzo dell’arma, che rileva ai fini dell’affermazione di responsabilita’.
7. La doglianza concernente le tracce di polvere da sparo sugli abiti di (OMISSIS), infine, e’ calibrata sulla morfologia diversa delle particelle rinvenute, che, secondo una tesi scientifica, possono provenire da fonti diverse dai colpi di arma da fuoco.
Anche in tal caso, oltre a reiterare le medesime censure gia’ proposte con l’appello, e motivatamente respinte, ed a sollecitare ictu ocull una rivalutazione del merito, mediante contestazione del risultato probatorio, la doglianza e’ altresi’ manifestamente infondata.
Nel ricorso si sostiene infatti che, secondo uno studio scientifico, le particelle (piombo, bario e antimonio) – riscontrate sugli indumenti dell’imputato – possono non provenire dall’esplosione di un’arma da fuoco, quando non abbiano una forma sferoidale, bensi’ da altre fonti di contaminazione ambientale (come le pastiglie dei freni a disco); nella fattispecie, (OMISSIS) aveva dichiarato di avere provveduto a demolire, proprio il pomeriggio del (OMISSIS), un’auto, alla quale aveva asportato i dischi e le pastiglie.
7.1. Giova al riguardo preliminarmente chiarire, quanto ai presupposti per l’utilizzo del sapere scientifico nel processo penale, a quali condizioni possa essere ritenuta la scientificita’ di un enunciato; ed in che modo il giudice di legittimita’ possa esprimersi sulla scientificita’ di un assunto utilizzato nell’argomentazione probatoria.
Per tentare di rispondere a tali davvero cruciali problemi, che colgono alla radice il tema dell’utilizzazione del sapere scientifico nel processo penale, occorre in primo luogo considerare che il problema della prova scientifica prende corpo quando l’inferenza probatoria che e’ alla base dell’accertamento del fatto non puo’ essere articolata sulla base delle conoscenze ordinarie, del sapere diffuso. In tali situazioni il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento al servizio del giudice di merito, che deve risolvere una serie di problemi che riguardano da un lato l’affidabilita’, l’imparzialita’, delle informazioni che, solitamente attraverso l’indagine peritale, penetrano nel processo, e dall’altro attengono alla logica correttezza delle inferenze che vengono elaborate facendo leva, appunto, sulle generalizzazioni esplicative elaborate dalla scienza.
Come ben rilevato da Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, “tali momenti topici dell’indagine fattuale vengono discussi nella dialettica processuale e conducono infine al giudizio critico che il giudice di merito e’ chiamato ad esprimere sulle valutazioni tecniche compiute nel processo. La razionale ponderazione, naturalmente, trova il suo momento di obiettiva emersione nella motivazione della sentenza, in cui occorre in primo luogo dar conto del controllo esercitato sull’affidabilita’ delle basi scientifiche del giudizio. Si tratta di valutare l’autorita’ scientifica dell’esperto che trasferisce nel processo la sua conoscenza della scienza; ma anche di comprendere, soprattutto nei casi piu’ problematici, se gli enunciati che vengono proposti trovano comune accettazione nella comunita’ scientifica. Da questo punto di vista il giudice e’ effettivamente, nel senso piu’ alto, peritus peritorum: custode e garante della scientificita’ della conoscenza fattuale espressa dal processo. Le indicate modalita’ di acquisizione ed elaborazione del sapere scientifico all’interno del processo rendono chiaro che esso e’ uno strumento al servizio dell’accertamento del fatto e, in una peculiare guisa, parte dell’indagine che conduce all’enunciato fattuale. Ne consegue con logica evidenza che la Corte di legittimita’ non e’ per nulla detentrice di proprie certezze in ordine all’affidabilita’ della scienza, sicche’ non puo’ essere chiamata a decidere, neppure a Sezioni Unite, se una legge scientifica di cui si postula l’utilizzabilita’ nell’inferenza probatoria sia o meno fondata. Tale valutazione, giova ripeterlo, attiene al fatto, e’ al servizio dell’attendibilita’ dell’argomentazione probatoria ed e’ dunque rimessa al giudice di merito che dispone, soprattutto attraverso la perizia, degli strumenti per accedere al mondo della scienza. Al contrario, il controllo che la Corte Suprema e’ chiamato ad esercitare attiene alla razionalita’ delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito esprime.”.
Dunque, il giudice di legittimita’ “non e’ giudice del sapere scientifico, e non detiene proprie conoscenze privilegiate. Esso e’ chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilita’ delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto” (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, Rv. 248944, non massimata sul punto).
7.2. Tanto premesso, nel ribadire, anche nel solco della piu’ consapevole dottrina, che il ruolo del giudice e’ quello di “consumatore, e non produttore, di leggi scientifiche”, di “custode del metodo scientifico”, va innanzitutto osservato che la sentenza impugnata – pur avendo la sentenza rescindente della Corte di Cassazione gia’ ritenuto il dato dei residui da polvere da sparo come uno dei gravi indizi da valutare – ha rinnovato la valutazione, evidenziando che: il perito Dott. (OMISSIS) aveva rinvenuto tre particelle (piombo, bario e antimonio) sulla camicia indossata da (OMISSIS) il (OMISSIS), una particella sui pantaloncini, e, soprattutto, dieci particelle (oltre a quattro di bario e antimonio) nella tasca dei pantaloncini; era stato dedotto che mentre le particelle sulle superfici erano riconducibili ad una esplosione d’innesco, le particelle nella tasca sinistra erano riconducibili all’inserimento della pistola che aveva da poco sparato.
In merito alle osservazioni del consulente tecnico della difesa, il perito precisava che la sfericita’ delle particelle ha un valore molto relativo, in quanto le particelle da polvere da sparo sono per il 70% sferiche e per il 30% irregolari, e che quelle prelevate dopo qualche ora dallo sparo sono di forma irregolare.
Inoltre, la composizione del bossolo rinvenuto sul luogo del delitto coincideva con quella accertata sugli indumenti di (OMISSIS).
I periti (il Dott. (OMISSIS) e la Dott.ssa (OMISSIS), quest’ultima coautrice dello studio scientifico invocato dalla difesa) hanno dunque illustrato che cio’ che rileva, per accertare la fonte delle particelle, non e’ tanto la morfologia della traccia, quanto la composizione della traccia: dinanzi alla trilogia piombo-bario-antimonio, la provenienza e’ lo sparo.
Nel valutare l’attendibilita’ scientifica di tale conclusione, la Corte territoriale ha espressamente ritenuto trattarsi della legge scientifica “piu’ sperimentata”, aggiungendo che: la mancata sfericita’ di alcune particelle e’ legata al fatto che si tratta di frammenti; la versione di (OMISSIS) sullo smaltimento dei freni a disco di un’auto proprio il (OMISSIS) era stata fornita tardivamente, soltanto dopo il deposito della perizia sulle particelle indicative dei residui da sparo, e, secondo la Corte, era stata suggerita dalla (precedente) “dotta difesa”, a conoscenza del fatto che i residui dei freni erano stati indicati, in un famoso processo, come equiparabili in certa misura ai residui da sparo, ed erano stati oggetto di uno studio accademico.
Cio’ posto, va dunque evidenziato che correttamente la sentenza impugnata ha impiegato il sapere scientifico piu’ collaudato e accreditato nella comunita’ scientifica – che individua nella composizione della traccia, piu’ che nella sua morfologia, la fonte dell’esplosione di uno sparo -, e non falsificato da una tesi tanto innovativa, quanto sperimentale e non generalmente accreditata dalla comunita’ scientifica.
Ma la Corte territoriale, oltre a porsi come mero “consumatore” di leggi scientifiche, e custode del metodo scientifico, ha altresi’ formulato una valutazione, di carattere spiccatamente giurisdizionale, sulla versione dell’ (OMISSIS): oltre ad essere stata tardivamente resa, con gli evidenti riflessi sulla credibilita’ soggettiva, la versione e’ stata scardinata nella sua intrinseca attendibilita’, in quanto l’imputato aveva riferito di avere caricato nella sua auto i rifiuti dell’auto smontata, tra cui i freni, buttandoli nell’immondizia di (OMISSIS), nel parcheggio del bar (OMISSIS); e, tuttavia, di tale operazione, asseritamente condotta il pomeriggio del (OMISSIS) (evidentemente prima di recarsi al bar (OMISSIS) a giocare alle slot machine) non risulta alcuna traccia di contaminazione sugli indumenti, che non riportavano traccia della sporcizia che i pezzi di auto usurati avrebbero sicuramente lasciato; inoltre, la versione appare scarsamente compatibile con il rinvenimento delle tracce nella tasca dei pantaloncini, essendo inverosimile che (OMISSIS) abbia preso, tra tutti i rifiuti, proprio i vecchi freni a disco e se li sia messi nella tasca sinistra.
8. I motivi nuovi proposti dall’Avv. (OMISSIS) sono inammissibili.
8.1. Con riferimento alla doglianza concernente l’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, questa Corte, con orientamento cui si intende dare continuita’, ha gia’ affermato che nel giudizio di rinvio, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non ricorre alcun obbligo di rinnovazione d’ufficio della prova dichiarativa ai sensi dell’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, atteso che il giudice del rinvio, nell’ambito del perimetro delibativo fissato dalla pronuncia rescindente, e’ libero di valutare autonomamente i dati probatori e la situazione di fatto concernente i punti oggetto di annullamento, mentre l’eventuale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ai sensi dell’articolo 627 c.p.p., comma 2, e’ subordinata allo scrutinio in ordine alla rilevanza per la decisione delle prove nuovamente richieste dalle parti con i motivi di appello (Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani, Rv. 278745).
Invero, la recente novella di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, introdotta nel solco dei principi affermati dalla giurisprudenza dalla Corte EDU, non puo’ ritenersi coerente rispetto alle peculiarita’ che caratterizzano il giudizio di rinvio che si svolga dinanzi al giudice di appello.
Infatti, con la nuova disciplina e’ stato previsto il caso dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso una sentenza di proscioglimento, per motivi “attinenti alla valutazione della prova dichiarativa”.
Nel caso del giudizio di rinvio, invece, il paradigma normativo offerto dall’articolo 627 c.p.p. prevede che il giudice del rinvio e’ chiamato ad esercitare le proprie funzioni rescissorie all’interno di uno specifico perimetro delibativo, che gli viene tracciato dalla pronuncia rescindente della Suprema Corte che, comunque, nelle ipotesi di annullamento per mancanza o illogicita’ manifesta della motivazione, lascia libero il giudice del rinvio di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante autonoma valutazione dei dati probatori e della situazione di fatto concernente i punti oggetto dell’annullamento, con la possibilita’ di compiere ulteriori atti istruttori necessari per la decisione (Sez. 5, n. 33847 del 19/4/2018, Rv. 273628).
Inoltre, come gia’ rilevato supra § 2, l’articolo 627 c.p.p. prevede che il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza e’ stata annullata, salvo le limitazioni stabilite dalla legge, dettando un’ipotesi che e’ destinata a circoscrivere sul piano testuale e sistematico i poteri del giudice dell’appello in sede di rinvio.
Anche perche’ il secondo periodo dell’articolo 627 c.p.p., comma 2, prevede che “se e’ annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’assunzione delle prove rilevanti per la decisione”: norma che va interpretata nel senso che, in sede di rinvio, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in se’ gia’ istituto di carattere eccezionale, non puo’ che parametrarsi allo scrutinio sulla rilevanza delle prove “nuovamente” richieste ai fini dello specifico spazio decisorio con cui il giudice del rinvio e’ chiamato a confrontarsi.
Ne’ di tale disposizione puo’ invocarsi una applicazione analogica, considerato che sul punto non vi e’ alcuna lacuna dell’ordinamento processuale, il quale, al contrario, detta una specifica disciplina.
Appaiono pertanto non puntuali, al fine di giustificare l’obbligo di rinnovazione in sede di rinvio della prova dichiarativa, i richiami evidenziati dal ricorrente alla giurisprudenza convenzionale, in quanto i precedenti della Corte EDU (sent. 05/03/2013 Manolachi c. Romania; sent. 04/06/2013 Hanu c. Romania; sent. 09/04/2013 Flueras c. Romania) si riferiscono al caso “ordinario” di ribaltamento in appello di un giudicato assolutorio in primo grado, e non ad un giudizio di rinvio che segue lo svolgimento del processo di merito secondo regole scandite dal rispetto del principio del contraddittorio. Nelle richiamate decisioni, infatti, la Corte Europea ha ritenuto non equo il processo che, in secondo grado, si era concluso con una condanna dell’imputato all’esito, essenzialmente, di una rivalutazione – su base esclusivamente cartolare – delle testimonianze assunte in primo grado, senza passare attraverso la diretta audizione dei testi anche nel processo di secondo grado.
Nel caso in esame, invece, per l’imputato per il quale opera l’annullamento, si ripropone una sequenza processuale che non esige una rinnovazione ex officio, in quanto il giudice del rinvio, pur nel rispetto di quanto stabilito dalla sentenza rescindente, giudica alla stregua dei motivi di appello proposti dagli imputati e non sulla scorta di un’impugnazione avanzata dal pubblico ministero.
Ne’ puo’ riconoscersi, poi, al ricorso per cassazione del pubblico ministero (avverso la sentenza di secondo grado assolutoria) la qualita’ di condizione per l’applicazione dell’invocata regola di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, in quanto tale impugnazione, essendo collegata a motivi di merito, esaurisce la sua funzione esclusivamente nel giudizio di legittimita’. Tant’e’ che il giudice del rinvio sara’ tenuto a confrontarsi esclusivamente con le motivazioni della sentenza di annullamento, alla stregua degli atti di appello degli imputati, e non con i motivi di ricorso avanzati dal pubblico ministero in sede di legittimita’.
8.2. Nel rilevare la genericita’ della doglianza con cui si lamenta l’assenza di una motivazione rafforzata, la cui manifesta infondatezza e’ apprezzabile anche solo alla luce dei diffusi richiami all’impianto della sentenza impugnata, va altresi’ evidenziata l’inammissibilita’ delle censure riguardanti la mancata rinnovazione dei testi ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) che hanno riferito in ordine alla riconducibilita’ dell’arma in sequestro a (OMISSIS), per l’assorbente ragione che il testimoniale si riferisce, non gia’ alla riconducibilita’ di quell’arma in sequestro, ma alla disponibilita’ di un’arma da parte di (OMISSIS); che poi l’arma sequestrata fosse la stessa di quella vista dai testimoni non assume rilevanza determinante, essendo emersi plurimi indizi – gia’ in precedenza richiamati – che hanno consentito di attribuire la disponibilita’ e l’utilizzo micidiale all’imputato.
8.3. Anche le doglianze concernenti la mancata rinnovazione di un esperimento giudiziale sui tempi di percorrenza dall’uscita dal bar (OMISSIS) all’infermeria di (OMISSIS), sono inammissibili, in quanto, oltre a reiterare le medesime censure gia’ proposte con l’appello, e motivatamente respinte, ed a sollecitare ictu oculi una rivalutazione del merito, mediante contestazione del risultato probatorio, sono altresi’ manifestamente infondate, avendo la sentenza impugnata compiutamente motivato sul punto – che era l’oggetto principale delle severe censure della Corte di Cassazione nei confronti della sentenza assolutoria evidenziando la piena compatibilita’ dei tempi accertati mediante l’individuazione degli orari delle riprese delle telecamere, sulla base di una considerazione, non gia’ astratta dei tempi medi, ma concreta (tenendo conto dell’auto Golf utilizzata dall’imputato, anziche’ della Fiat Punto impiegata per l’esperimento dai c.c., della velocita’, del rispetto o meno delle norme stradali, del numero di persone sul veicolo), e calibrata sui tempi minimi, del tutto compatibili con l’azione criminosa attribuita ad (OMISSIS).
9. La sentenza impugnata risulta dunque del tutto immune da censure di illogicita’ o illegalita’.
Al riguardo, nell’evidenziare che si tratta di un processo di carattere indiziario, va rammentato che l’indizio e’ un fatto certo dal quale, per interferenza logica basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare secondo lo schema del cosiddetto sillogismo giudiziario. E’ possibile che da un fatto accertato sia logicamente desumibile una sola conseguenza, ma di norma il fatto indiziante e’ significativo di una pluralita’ di fatti non noti ed in tal caso puo’ pervenirsi al superamento della relativa ambiguita’ indicativa dei singoli indizi applicando la regola metodologica fissata nell’articolo 192 c.p.p., comma 2. Peraltro l’apprezzamento unitario degli indizi per la verifica della confluenza verso un’univocita’ indicativa che dia la certezza logica dell’esistenza del fatto da provare, costituisce un’operazione logica che presuppone la previa valutazione di ciascuno singolarmente, onde saggiarne la valenza qualitativa individuale. Acquisita la valenza indicativa – sia pure di portata possibilistica e non univoca – di ciascun indizio deve allora passarsi al momento metodologico successivo dell’esame globale ed unitario, attraverso il quale la relativa ambiguita’ indicativa di ciascun elemento probatorio puo’ risolversi, perche’ nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme puo’ assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosita’ metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191230).
Tanto premesso, l’affermazione di responsabilita’ risulta logicamente fondata su un quadro indiziario univoco, che parte dal dato della “concomitante presenza” dell’imputato e della vittima negli stessi luoghi e tempi (all’uscita dal bar (OMISSIS)), per passare al DNA rinvenuto sul tamburo della pistola utilizzata per sparare, alle significative tracce di polvere da sparo rinvenute sugli indumenti di (OMISSIS), al movente di rapina, alla condanna definitiva per una analoga rapina a mano armata commessa pochi mesi prima ai danni di (OMISSIS) con modalita’ del tutto sovrapponibili, agli alibi falsi forniti dall’imputato.
Al riguardo, nel ribadirne la portata indiziante, gia’ evidenziata in precedenza, va rilevato che l’alibi falso e’ stato fornito con riferimento non soltanto alla versione del maneggio dell’arma (con l’evocazione di (OMISSIS) e degli spari ai cartelli) e a quella della demolizione di un’auto il pomeriggio del delitto (quando l’imputato avrebbe maneggiato freni a disco), ma altresi’ con riferimento agli spostamenti di (OMISSIS) all’uscita dal bar (OMISSIS): su tale aspetto, su cui i ricorsi hanno del tutto omesso di confrontarsi, anche in relazione alla contestazione del dato della “concomitante presenza”, la Corte territoriale ha ben evidenziato che la versione resa dall’imputato – che aveva riferito di essersi recato, una volta uscito dal bar (OMISSIS) verso il bar della Stazione per effettuare una ricarica – e’ risultata smentita dalle telecamere, e che, solo successivamente, l’imputato ha tentato di modificare, aggiustandola, la versione, riferendo di non aver raggiunto la stazione, perche’ rammentatosi della chiusura del bar.
Sicche’ il progressivo adattamento dell’imputato alle emergenze processuali (anche con riferimento alle versioni fornite sull’arma e sulle polveri da sparo) e’ stato, con apprezzamento di fatto immune da cadute logiche, ritenuto ulteriore elemento indiziario a carico dell’imputato.
10. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 7.000,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 7.000,00, oltre accessori di legge.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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