Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 18 agosto 2020, n. 17213.
La massima estrapolata:
In materia di appalto, il principio dell’esclusione di responsabilità per danni in caso di soggetto ridotto a mero esecutore di ordini (“nudus minister”) non si applica al direttore dei lavori che, per le sue peculiari capacità tecniche, assume nei confronti del committente precisi doveri di vigilanza, correlati alla particolare diligenza richiestagli, gravando su di lui l’obbligazione di accertare la conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera appaltata al progetto sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, sicché non è esclusa la sua responsabilità nel caso ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente
Sentenza 18 agosto 2020, n. 17213
Data udienza 20 novembre 2019
Tag/parola chiave: APPALTO PRIVATO – DIFFORMITA’ E VIZI DELL’OPERA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6139-2016 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliati, presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato, presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato, presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4882/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 1/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/11/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e dei ricorsi incidentali;
udito l’Avv. (OMISSIS), per delega dell’Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); gli avv. (OMISSIS), e (OMISSIS), per (OMISSIS); gli Avv. (OMISSIS), e (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); gli Avv. (OMISSIS), e (OMISSIS), per (OMISSIS), i quali hanno ciascuno rispettivamente concluso come in atti.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS) premettevano di essersi avvalsi dell’attivita’ professionale del geom. (OMISSIS) per l’espletamento di tutti gli adempimenti funzionali al rilascio del permesso di costruire su terreno di loro proprieta’, sito in (OMISSIS); di avere poi designato questi quale direttore dei lavori e l’ing. (OMISSIS) quale collaudatore della struttura in cemento armato; di avere appaltato l’esecuzione del fabbricato, costituito da un villino bifamiliare, ad (OMISSIS), il quale aveva subappaltato i lavori a terzi.
Esponevano che, ultimata la struttura e rilasciato il certificato di collaudo, avevano promosso un accertamento tecnico preventivo volto ad accertare la corretta esecuzione dell’opera, che aveva evidenziato esclusivamente alcune problematiche afferenti alla copertura eliminabili con una spesa di Euro 6.594,85, mentre i propri C.T.P. avevano accertato sia difformita’ rispetto al progetto architettonico, sia gravi difformita’ strutturali, oltre che carenze di natura progettuale afferenti le fondazioni. Tali difformita’ sarebbero state imputabili sia al Decreto Legge (che aveva omesso di presentare il progetto di variante, L. n. 47 del 1985, ex articolo 15 e il progetto esecutivo, presso l’Assessorato dei Lavori e Opere Pubbliche della Regione Lazio per rendere compatibile l’intervento con la normativa antisismica vigente nella zona); sia alla ditta esecutrice dei lavori; sia ancora, al tecnico incaricato del collaudo sismico, che aveva rilasciato la relativa certificazione.
Cio’ premesso, i (OMISSIS) avevano convenuto in giudizio (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per ottenere la condanna, in solido, al ripristino della staticita’ del fabbricato e al risarcimento del danno nella misura di Euro 82.803,74, o nella diversa somma ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del danno subito per il mancato utilizzo dell’edificio.
Si erano costituiti in giudizio i convenuti, contestando gli assunti attorei; e il (OMISSIS) svolgeva anche domanda risarcitoria ex articolo 96 c.p.c..
Il giudizio si era svolto con l’interpello dei convenuti e mediante l’espletamento di CTU.
Con la sentenza n. 194/2007, depositata in data 24.9.2007, il Tribunale di Latina, Sezione Distaccata di Terracina, aveva rigettato la domanda nei confronti dell’appaltatore e del tecnico collaudatore; aveva condannato il (OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 36.331,54, indicata dal CTU quale spesa necessaria per l’eliminazione delle difformita’ riscontrate; aveva rigettato la domanda riconvenzionale per lite temeraria; aveva condannato il (OMISSIS) alle spese di lite, disponendo la compensazione delle spese tra le altre parti.
Contro la sentenza aveva proposto appello (OMISSIS) deducendo l’insussistenza della propria responsabilita’ quale direttore dei lavori e l’esclusiva responsabilita’ della ditta esecutrice delle opere appaltate; in via subordinata, la responsabilita’ solidale della ditta appaltatrice e l’eccessiva entita’ del risarcimento.
Si erano costituiti in giudizio i (OMISSIS), i quali avevano chiesto la rinnovazione della CTU, censurando la sentenza nella parte in cui aveva escluso la corresponsabilita’ della ditta appaltatrice e del tecnico collaudatore, nonche’ il capo di condanna relativo alle spese di lite, liquidate in misura non adeguata all’entita’ dell’attivita’ difensiva e non comprensive sia delle spese vive che delle spese sostenute per la C.T.P.
Si era costituito in giudizio (OMISSIS), contestando le domande svolte dal (OMISSIS) e dai (OMISSIS) nei propri confronti, concludendo per la conferma della sentenza di primo grado.
Si era costituito altresi’ (OMISSIS), il quale chiedeva la conferma della sentenza gravata, lamentando, tuttavia, la disposta compensazione delle spese di lite e chiedendo la riforma di tale capo.
Con sentenza n. 4882/2015, depositata in data 1.9.2015, la Corte d’Appello di Roma condannava (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, al pagamento in favore dei (OMISSIS) della somma di Euro 40.331,54, oltre interessi legali al saldo; li condannava in solido a rifondere ai (OMISSIS) le spese di lite del primo grado e le spese di C.T.P., oltre al pagamento delle spese di lite del grado di appello; condannava i (OMISSIS), in solido tra loro, al pagamento in favore di (OMISSIS) delle spese dei due gradi di giudizio.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di due motivi; resistono (OMISSIS) e (OMISSIS) con controricorso e ricorso incidentale sulla base di tre motivi; resiste (OMISSIS), con controricorso e con ricorso incidentale sulla base di un motivo; resiste (OMISSIS), con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, il ricorrente principale (OMISSIS) lamenta l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e, segnatamente, del fatto che il geom. (OMISSIS), quale progettista-direttore dei lavori della committenza, aveva, da un lato, comunicato al Comune di Fondi il completamento delle opere strutturali alla data del 14.4.1999, dando atto che le predette opere strutturali corrispondevano al progetto approvato, quando la committenza aveva chiuso il cantiere; dall’altro, nella medesima data del 14.4.1999, aveva impartito all’appaltatore l’ordine di correzione del solaio a integrazione e completamento della struttura relativa alla copertura del fabbricato”. Osserva il ricorrente che il suddetto fatto storico, di cui e’ stato omesso l’esame da parte del Giudice d’Appello, risulta dal testo della stessa sentenza impugnata (pag. 8, righe 20-23 e 26-27) ed ha costituito oggetto di discussione (comparsa di costituzione e comparsa conclusionale in appello del ricorrente); tale fatto, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso del giudizio. In sostanza, dapprima il Decreto Legge avrebbe ordinato di realizzare il tetto in un determinato modo (diverso dal progetto) e, poi, ripensandoci, avrebbe impartito le necessarie correzioni a cantiere chiuso dai committenti. Di tale ripensamento del Decreto Legge vi e’ prova nell’interrogatorio formale del medesimo, nel quale il (OMISSIS) specificava di essersi posto il problema di come ancorare i travi, ma che tale ancoraggio non era avvenuto nonostante l’ordine di servizio all’impresa (OMISSIS) essendo il cantiere chiuso. Pertanto, lo stesso Decreto Legge confessava l’intempestivita’ di tale ordine essendo il cantiere chiuso e il ripensamento dei precedenti ordini. Di conseguenza, l’appaltatore non aveva alcuna responsabilita’, avendo sempre e solo eseguito gli ordini del progettista-direttore dei lavori dei committenti e non avrebbe potuto eseguire le correzioni, di cui all’ordine di servizio del 14.4.1999, in quanto i committenti avevano chiuso il cantiere e quindi impedito la correzione del solaio.
1.1. – Il motivo e’ inammissibile.
1.2. – Costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 1 sttembre 2015) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioe’, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).
Nel rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).
Nel motivo in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 non v’e’ idonea indicazione. Laddove, poi, va rilevato che e’ altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullita’ della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta” (Cass. n. 27415 del 2018, cit.); giacche’ nel paradigma di cui al citato articolo 360 c.p.c., n. 5 non e’ inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).
Viceversa, oltre che privo di specificita’, nonche’ di autosufficienza, in mancanza di adeguati riscontri circa l’esatto contenuto della missiva del 14.4.1999, peraltro diretta all’appaltatore a cantiere chiuso, il motivo – rispetto al quale non risulta affatto l’omesso esame da parte della Corte di merito, che ne ha invece specificamente esaminato e circosscritto le ricadute proprio in termini di mancanza di decisivita’ (sentenza impugnata, pagg.8-10) – si sostanzia in una richiesta di riesame della valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte di merito; che risulta congrua e plausibile e, come tale, si sottrae al sindacato di legittimita’.
Vale, infatti, il consolidato principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilita’ e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013).
Al contrario, cosi’ come articolate, le censure portate dal motivo si risolvono sostanzialmente nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, cosi’ mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per cio’ solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri piu’ consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilita’ nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora porsi dinanzi al giudice di legittimita’ (Cass. n. 5939 del 2018).
2. – Con il secondo motivo, il ricorrente principale deduce la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e, segnatamente, erronea applicazione alla fattispecie concreta dell’articolo 1669 c.c., anziche’ dell’articolo 1667 c.c. e articolo 1668 c.c., comma 1, con applicazione del diverso contenuto delle rispettive garanzie: a) nel primo caso (articolo 1669 c.c.), la garanzia decennale a carico dell’appaltatore non ha natura di garanzia per la riparazione dei vizi, ma e’ tesa al mero risarcimento dei danni; b) nel secondo caso (articolo 1667 c.c. e articolo 1668 c.c., comma 1), la tutela apprestata, inquadrandosi nell’ambito della normale responsabilita’ contrattuale per inadempimento, importa, solo nel caso in cui l’appaltatore non provveda direttamente all’eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, che il committente possa sempre richiedere il risarcimento del danno nella misura corrispondente alla spesa necessaria all’eliminazione dei vizi”. Secondo la CTU di primo grado, che la sentenza impugnata pone a fondamento delle pretese risarcitorie dei committenti, l’immobile, eseguito al grezzo, non poteva essere abitato perche’ non ultimato e l’unico elemento che doveva essere rifatto era il tetto in legno riportato sull’ultimo solaio, operazione eseguibile anche dopo l’ultimazione del fabbricato e pari ad Euro 36.331,54. Nella fattispecie, la committenza, ex articolo 1667 c.c. e ex articolo 1668 c.c., comma 1, poteva richiedere il risarcimento del danno all’appaltatore solo nel caso in cui questi non avesse provveduto direttamente all’eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, ipotesi esclusa da tutti gli atti processuali posto che e’ fatto non contestato che la committenza chiudeva il cantiere prima che l’appaltatore potesse eseguire le correzioni del tetto.
2.1. – Il motivo non e’ fondato.
2.2. – L’appaltatore e’ obbligato a controllare la bonta’ del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, puo’ andare esente da responsabilita’ solo ove dimostri di aver manifestato il proprio dissenso e di essere stato costretto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente e rischio di quest’ultimo; pertanto, in mancanza di tale prova l’appaltatore e’ tenuto all’intera garanzia per i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, ne’ eventuali errori nelle istruzioni impartite dal Decreto Legge (Cass. n. 9152 del 2019; Cass. n. 8016 del 2012; cfr. anche Cass. n. 1611 del 2015).
Al contrario, il principio dell’esclusione di responsabilita’ per danni in caso di soggetto ridotto a mero esecutore di ordini (nudus minister) non si applica al direttore dei lavori che, per le sue peculiari capacita’ tecniche, assume nei confronti del committente precisi doveri di vigilanza, correlati alla particolare diligenza richiestagli, gravando su di lui l’obbligazione di accertare la conformita’ sia della progressiva realizzazione dell’opera appaltata al progetto sia delle modalita’ dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, sicche’ non e’ esclusa la sua responsabilita’ nel caso ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo nonche’ di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente (Cass. n. 8700 del 2016).
Poiche’ nella premessa del contratto conclusa tra i (OMISSIS) e l’appaltatore, richiamata all’articolo 1 come patto vincolante tra le parti, si faceva espresso riferimento alla concessione edilizia rilasciata dal Comune di Fondi e al progetto, per cui l’obbligo di eseguire l’opera in conformita’ al progetto era anche contrattualmente previsto, correttamente la Corte di merito ha, correttamente; affermato che l’assunto del (OMISSIS), secondo cui la decisione di eliminare il cordolo sarebbe stata presa dai committenti in accordo con il Decreto Legge e gli sarebbe stata imposta, avrebbe dovuto essere provata; in difetto dovendo egli essere ritenuto corresponsabile unitamente al D.L., in coerenza al principio per cui, qualora il danno risentito dal committente di un contratto di appalto sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti, ancorche’ di contratti differenti, rispettivamente d’appalto e di opera professionale, dell’appaltatore e del progettista-direttore dei lavori, entrambi ne rispondono solidalmente Cass. n. 5193 del 1995; conf. Cass. n. 3651 del 2016; Cass. n. 20294 del 2004).
3.1. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, (OMISSIS) e (OMISSIS) lamentano la (IIIA) “Nullita’ della sentenza per vizio in procedendo per violazione dell’articolo 196 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4 – Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sull’omessa pronuncia in ordine alla censura di nullita’/o inadeguatezza della CTU in relazione all’articolazione del primo motivo di gravame Vizio ex articolo 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio”; chiedendo la rinnovazione della CTU, che aveva escluso ulteriori difformita’ (mancata realizzazione di abbaini, conformita’ delle fondazioni al progetto), al contrario negate dalla Corte di merito, la quale ha affermato che non vi fosse ragione per discostarsi dalle sue conclusioni.
3.2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali (OMISSIS) deducono la (IIIB) “Nullita’ della sentenza per vizio in procedendo per violazione dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per erronea pronuncia in ordine alla richiesta di affermazione della responsabilita’ per inadempimento contrattuale del collaudatore ing. (OMISSIS) in relazione al Decreto Ministeriale 14 settembre 2005 e in forza degli articoli 1667 e 1668 c.c. – Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – Vizio ex articolo 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio Travisamento”, rilevando che il collaudatore non aveva mai ispezionato il cantiere, nonostante al momento del conferimento di incarico il medesimo si fosse obbligato ad eseguire il collaudo entro 60 giorni dalla comunicazione del Decreto Legge attestante che la struttura e la copertura dell’edificio erano state completate. Sicche’ anche il collaudatore avrebbe dovuto essere condannato in solido con l’appaltatore e il D.L..
3.3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti incidentali (OMISSIS) deducono la (IIIC) “Nullita’ della sentenza per vizio in procedendo e in iudicando per violazione dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per erronea pronuncia in ordine alla richiesta di condanna dei convenuti: direttore dei lavori e appaltatore in solido con altri responsabili al risarcimento del danno per mancato utilizzo del bene quale conseguenza dell’inadempimento contrattuale dell’appaltatore e del Decreto Legge – Violazione del principio di non contestazione ex articolo 115 c.p.c. in relazione agli articoli 1226 e 2056 c.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio Travisamento – Contraddittorieta’”. In appello i (OMISSIS) chiedevano la riforma della sentenza del Tribunale nella parte in cui era stata rigettata la richiesta di risarcimento dei danni per il mancato utilizzo dell’immobile da parte dei committenti, nonostante fosse documentata l’incompletezza dell’opera. Il danno poteva essere liquidato in via equitativa tenuto conto del valore locativo del bene, che era indicato nella misura di Euro 2.000,00 mensili. Con riguardo alla prova dell’an debeatur la stessa Corte territoriale aveva ritenuto che la censura dei (OMISSIS), circa l’omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento del danno per mancata fruizione del bene, fosse fondata (ben proposta in astratto), e tuttavia, in quanto formulata in termini assolutamente generici andasse respinta nel merito (in concreto) sul duplice rilievo del difetto di prova dell’an e del quantum (sentenza impugnata, pagina 15).
3.4. – In ragione della loro connessione, nonche’ delle modalita’ di prospettazione delle censure, i tre motivi di ricorso incidentale dei (OMISSIS) vanno congiuntamente esaminati e decisi.
3.5. – Detti motivi sono inammissibili.
3.6. – La formulazione dei medesimi, infatti, risulta connotata da una pluralita’ di questioni asseritamente riguardanti, nel medesimo contesto, tanto vizi in iudicando quanto vizi in procedendo, ovvero riferite alla dedotta violazione contestuale dei parametri di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5; i motivi sono caratterizzati da una confusa articolazione di censure eterogenee – riferite contemporaneamente tutte, congiuntamente ed indistintamente, ad asseriti vizi di violazione e/o falsa applicazione di plurime norme di legge, di nullita’ della sentenza o del procedimento e di omessa pronuncia su fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti – prive di una precisa identificazione, necessaria, appunto, per evidenziarne e compiutamente individuarne il contenuto ed analizzarne la rispettiva fondatezza o meno.
Ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. E, se e’ vero che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014).
Cio’ richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificita’, della completezza e della riferibilita’ alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle singole dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015). Sicche’ l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira impropriamente a rimettere al giudice di legittimita’ il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’articolo 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, cosi’ attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimita’ il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018).
4. – Con un unico motivo, il ricorrente incidentale (OMISSIS), lamenta la “Violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, segnatamente, l’assenza di responsabilita’ del Decreto Legge derivante dal corretto svolgimento della sua opera professionale, relativamente all’impartizione di ordine tecnico alla ditta appaltatrice per l’eliminazione della difformita’ da essa realizzata”.
4.1. – Il motivo e’ inammissibile.
4.2. – La denuncia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, non e’ piu’ riconducibile al modello proposto dall’articolo 360 c.p.c., n. 5 nella nuova formulazione prevista dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 1 settembre 2015 (v. sub 1.2., cui si rinvia, quanto alla diversita’ del parametro cosi’ come novellato).
5. – Il ricorso principale proposto da (OMISSIS) va dunque rigettato, mentre vanno dichiarati inammissibili i ricorsi incidentali proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) e da (OMISSIS). Ai sensi dell’articolo 92 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis riguardo alla controversia in esame istaurata con atto di citazione del 26.2.2002, le spese di lite vengono integralmente compensate tra tutte le parti soccombenti, nonche’ nei confronti del controricorrente (OMISSIS), sussistendone i giusti motivi in ragione della complessita’ della fattispecie. Va emessa la dichiarazione Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, con riguardo al ricorrente principale ed ai ricorrenti incidentali.
P.Q.M.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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