In caso di estinzione del debito tributario non si applicano le pene accessorie.

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 11 settembre 2018, n. 40320.

Sentenza 11 settembre 2018, n. 40320.

Data udienza 15 febbraio 2017.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 9.6.2016 del Tribunale di Busto Arsizio;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Mura Antonio, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi di del (OMISSIS) e per l’annullamento senza rinvio nei confronti del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS) limitatamente all’applicazione delle pene accessorie.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza ex articolo 444 cod. proc. pen. pronunciata in data 9.6.2016 il Tribunale di Busto Arsizio ha applicato su concorde richiesta delle parti ad (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), imputati, in concorso fra loro, dei reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, costituite al solo fine di consentire a terzi l’evasione dell’imposta sui redditi e sul valore aggiunto, la pena della reclusione rispettivamente nella misura di 3 anni, di 8 mesi, di 1 anno e 3 mesi e di 1 anno, unitamente alle pene accessorie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12, lettera a), b) e c) nella misura di un anno, lettera d) in perpetuo e lettera e).
Avverso il suddetto provvedimento gli imputati, come in epigrafe indicati, hanno proposto ricorso per cassazione.
2. (OMISSIS) ha proposto due ricorsi.
Con il primo, redatto in data 15.9.2017 e depositato il successivo 22.9.2017, ha articolato due motivi con i quali lamenta:
2.1) l’applicazione, in relazione al vizio di violazione di legge riferito alla L. n. 146 del 2006, articolo 4 dell’aggravante della transnazionalita’ per aver commesso i reati contestatigli avvalendosi del contributo di un’associazione, appositamente costituita, impegnata in attivita’ criminali in piu’ di uno Stato, senza che, invece, ne sussistessero i presupposti ne’ con riferimento al resto associativo che ai reati fine trattandosi dello stesso gruppo criminale privo di alcun qualificato ausilio esterno, e non gia’ di una compagine diversa e distinta da quella delineata nel capo di imputazione in relazione all’ipotesi associativa: sostiene al riguardo la difesa che manca nella specie un gruppo organizzato, operante a livello internazionale ed indipendente dall’esistenza di un’associazione a delinquere nazionale dedito allo stesso progetto criminale, cui quella transazionale dovrebbe fornire il proprio contributo, tenuto conto che la (OMISSIS) e la (OMISSIS) sono due legittime fiduciarie svizzere e che la societa’ inglese (OMISSIS) e’ una mera cartiera gestita di fatto dallo stesso (OMISSIS) e non gia’ una compagine sociale estera;
2.2) l’aumento di un anno di reclusione della pena base, disposto in violazione della L. n. 146 del 2006, articolo 4 il quale costituendo non gia’ una fattispecie autonoma di reato, bensi’ un predicato riferibile a qualsiasi delitto, non consente alcun aggravamento di pena per effetto della circostanza della transnazionalita’.
2.3. Lo stesso imputato ha altresi’ proposto, con altro ricorso depositato in pari data di quello appena esaminato, un unico motivo con il quale deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’articolo 129 cod. proc. pen. e articolo 416 cod. pen. e al vizio motivazionale, che le evidenze istruttorie non consentivano di ritenere ascrivibile all’imputato l’associazione a delinquere, non essendo emersa ne’ la sussistenza di un vincolo associativo tendenzialmente stabile finalizzato alla realizzazione di un programma criminale teso alla realizzazione di reati ulteriori a quelli in concreto posti in essere, ne’ l’esistenza di una struttura idonea alla realizzazione dei delitti che venivano invece eseguiti in ottemperanza alle direttive di volta in volta impartite dal solo (OMISSIS), come dichiarato dalla coimputata (OMISSIS), sua collaboratrice, che al pari degli altri imputati non era stata mai messa a parte del disegno criminoso perseguito dall’imputato, e come confermato dall’archiviazione disposta nei confronti dei presunti sodali di costui, ovverosia la madre ed il fratello. Sostiene pertanto la difesa che le emergenze processuali imponevano, in relazione al delitto di associazione a delinquere, il proscioglimento ai sensi dell’articolo 129 cod. pen..
3. (OMISSIS) ha, a sua volta, articolato tre motivi.
3.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13-bis di aver provveduto al ravvedimento operoso avendo estinto, mediante integrale pagamento degli importi dovuti, compresi interessi e sanzioni amministrative, i debiti tributari contestatigli antecedentemente all’udienza preliminare, e che pertanto, avendogli lo stesso Tribunale riconosciuto l’attenuante ad effetto speciale di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13, comma 2 doveva ritenersi illegittima l’applicazione delle pene accessorie indicate dall’articolo 12 dello stesso decreto disposta dalla sentenza impugnata.
3.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge processuale riferito all’articolo 445 cod. proc. pen. che, essendo la pena irrogata pari ad un anno di reclusione, non sussistevano neanche in relazione a tale distinto profilo afferente il procedimento ex articolo 444 cod. proc. pen. i presupposti per l’applicazione delle pene accessorie, espressamente esclusi dalla norma suddetta allorquando la sanzione inflitta sia inferiore ai due anni di pena detentiva.
3.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge processuale riferito al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13 bis ed al vizio motivazionale, la contraddittorieta’ della sentenza impugnata che, da un lato, concede all’imputato l’attenuante relativa al ravvedimento operoso applicando lo sconto di pena richiesto concordemente dalle parti e, dall’altro, applica ugualmente le pene accessorie, cosi’ disapplicando parzialmente il disposto di cui all’articolo 13-bis citato, cosi’ come dell’articolo 445 cod. proc. pen..
4. Il (OMISSIS) deduce, affidando le sue doglianze a tre motivi, che il carattere di indefettibilita’ delle pene accessorie rispetto a quelle principali trova puntuale applicazione nel Decreto Legislativo n. 74 del 2000, il cui articolo 13-bis, nell’incentivare il pagamento dei debiti tributari, prevede per i reati in contestazione l’attenuante ad effetto speciale relativa alla diminuzione della pena fino alla meta’ unitamente alla totale decurtazione del trattamento sanzionatorio accessorio previsto dall’articolo 12 dello stesso decreto. Tale previsione normativa va altresi’ correlata, secondo la difesa, alla disciplina in tema di patteggiamento, disponendo l’articolo 445 cod. proc. pen. che, allorquando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva, non comporta la condanna alle spese del procedimento ne’ l’applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca. A fronte della disposta applicazione da parte del Tribunale di Busto Arsizio delle pene accessorie congiuntamente al riconoscimento dell’attenuante ad effetto speciale conseguente al ravvedimento operoso effettuato dall’imputato con il pagamento integrale dei debiti tributari, invoca pertanto sia il vizio di violazione di legge riferito tanto al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 12, 13 e 13-bis quanto all’articolo 445 cod. proc. pen., sia il vizio motivazionale in assenza di argomentazioni di fatto e di diritto poste a fondamento del disposto trattamento sanzionatorio accessorio.
5. (OMISSIS) ha articolato a sua volta un unico motivo con il quale, nel lamentare l’erronea applicazione delle pene accessorie previste dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 invoca la rettificazione della sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 619 cod. proc. pen. che, non involgendo alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice, ne consente la loro diretta eliminazione, senza che debba essere disposto l’annullamento del provvedimento del Tribunale. Tuttavia con successiva memoria, depositata il 29.9.2017, deduce altresi’ la violazione dell’articolo 445 cod. proc. pen. essendo stata inflitta all’imputato, in via principale, la pena di 10 mesi di reclusione, e dunque un pena inferiore ai due anni di detenzione, chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza limitatamente alle pene accessorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In relazione al primo motivo articolato dal (OMISSIS), occorre rilevare che secondo la consolidata giurisprudenza formatasi, in tema di patteggiamento, gia’ antecedentemente alla novella n.103/17, la possibilita’ di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza con riferimento alla contestata aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 4 deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualita’ che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilita’ (cosi’, ex multis, Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015 – dep. 17/08/2015, Brughitta e altro, Rv. 264153 che ha escluso la dedotta violazione di legge nella qualificazione del fatto di cui alla sentenza impugnata in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80 a fronte della detenzione da parte dei due imputati rispettivamente di kg. 110 e 45 lordi di hashish; Sez. 6, n. 45688 del 20.11.2008, Bastea, rv. 241666; Sez. 6, n. 15009 del 27.11.2012 dep. il 2.4.2013, Bisignani, rv. 254865). In altri termini la possibilita’ di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza e’ limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione. Poiche’ invece nella specie la dedotta insussistenza dell’aggravante presenta ampi margini di controvertibilita’ a fronte della puntuale contestazione emergente dall’enunciato dell’accusa del contributo fornito, sotto forma di collaborazione ed intermediazione, da entita’ straniere non coinci’denti per dimensioni e composizione personale, con il sodalizio di cui all’articolo 416 cod. pen., anch’esso contestato, ne consegue che la doglianza svolta afferente alla configurabilita’ di una circostanza che le stesse parti hanno ritenuto sussistente nel loro accordo, si traduce, implicando una verifica dibattimentale incompatibile con la struttura del procedimento ex articolo 444 cod. proc. pen., in una censura inammissibile in questa sede. Considerato, infatti, che la natura del patteggiamento e lo scopo del controllo del giudice dianzi evidenziato imponeva, ancor prima dell’introduzione dell’articolo 448 cod. proc. pen., comma 2-bis di contenere e limitare le impugnative, spesso strumentali, proposte avverso detto tipo di sentenza, che origina dall’accordo tra le parti’ e presuppone l’implicita rinuncia dell’imputato a far valere questioni sulla colpevolezza ovvero sulla diversa qualificazione dei fatti reato e su profili fattuali, non apprezzabili in sede di legittimita’, deve ritenersi che, quando la sentenza corrisponda alla volonta’ pattizia del giudicabile, concernente nel caso di specie i dati di fatto chiaramente descritti nel capo di imputazione, in relazione alle quali le parti hanno liberamente raggiunto l’accordo, ratificato dal giudice, debba escludersi l’ammissibilita’ dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione.
Deve quindi concludersi per l’inammissibilita’ del primo motivo di ricorso.
2. La stessa sorte segue anche il secondo motivo del (OMISSIS) attesa la manifesta infondatezza delle doglianze svolte. L’aumento di pena disposto dal Tribunale, in conformita’ all’accordo delle parti, consegue infatti non gia’ al carattere transnazionale dell’associazione di cui al capo 5) dell’imputazione, bensi’ all’apporto che ad essa hanno dato le altre strutture criminali operanti in piu’ Stati con base all’estero indicate nel capo di accusa.
3. Del pari inammissibile deve ritenersi l’unico motivo articolato dal (OMISSIS) nel successivo ricorso in ordine al mancato proscioglimento dal reato associativo. Trattandosi di sentenza che trova il suo fondamento nella concorde volonta’ delle parti (la quale diviene oggetto di determinazione da parte del giudice) e che, se pure affermativa di responsabilita’, lo e’ sulla base di un accertamento solo implicito, la richiesta di applicazione della pena deve essere considerata come ammissione del fatto, essendo il giudice chiamato a pronunciare sentenza di proscioglimento solo se manchi un quadro probatorio idoneo a definire il fatto come reato o se dagli atti gia’ risultino elementi tali da imporre di superare la presunzione di colpevolezza che il legislatore ricollega proprio alla formulazione della richiesta di applicazione della pena (Sez. 2, n. 41785 del 06/10/2015 – dep. 16/10/2015, Ayari, Rv. 264595). Implicando invero il procedimento ex articolo 444 c.p.p. un giudizio allo stato degli atti, l’esclusione da parte della sentenza di una delle ipotesi di proscioglimento di cui all’articolo 129 cod. proc. pen. puo’ essere oggetto di controllo di legittimita’, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza delle cause di non punibilita’ di cui all’articolo 129 succitato. (Sez. 5, Sentenza n. 31250 del 25/06/2013 – dep. 22/07/2013, Fede, Rv. 256359; Sez. 3 sent. n. 2309 del 18.6.1999 dep. 9.10.1999 rv 215071). Nulla di tutto cio’ emerge dal ricorso in esame le cui contestazioni si traducono in deduzioni di natura eminentemente fattuale, comunque non introducibili in ragione del rito prescelto, che preclude la rivisitazione del fatto come contestato e recepito nell’accordo che le parti stesse hanno ritenuto sussistente con la loro richiesta e, come tale, ratificato dal giudice di merito che ha in ogni caso verificato le risultanze delle indagini, ivi specificamente richiamate, quale fondamento dell’ipotesi accusatoria.
4. Fondati risultano invece i motivi articolati dagli altri ricorrenti in ordine all’applicazione del trattamento sanzionatorio accessorio che, attesa la loro sostanziale sovrapponibilita’, vanno esaminati congiuntamente.
L’avvenuta estinzione da parte degli imputati del debito tributario di cui da’ atto la stessa sentenza impugnata, tanto da riconoscere loro l’attenuante ad effetto speciale di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13-bis impropriamente indicato nella parte motiva come articolo 13, comma 2-bis, e la conseguente riduzione di pena, non consentiva invero l’applicazione delle pene accessorie previste dall’articolo 12, stesso decreto, stante sia l’espressa previsione del citato articolo 13-bis, comma 1 che ne esclude” per i reati diversi da quelli richiamati dal precedente articolo 13, per i quali e’ disposta la non punibilita’, l’applicazione, sia il carattere di stretta complementarieta’ con la pena principale prevista dall’articolo 445 cod. proc. pen. nel rito definito mediante patteggiamento, venendo ivi disposta l’eliminazione del trattamento sanzionatorio accessorio allorquando la pena in concreto irrogata non superi i due anni di pena detentiva, soli o congiunti alla pena pecuniaria.
La conseguente violazione di legge che inficia la sentenza impugnata limitatamente alle sanzioni accessorie irrogate al (OMISSIS), al (OMISSIS) e al (OMISSIS) ne impone, non incidendo sull’accordo pattizio concluso dalle parti, l’annullamento senza rinvio su tale punto, ben potendo questa Corte provvedere direttamente alla loro eliminazione, la quale non implica alcuna valutazione discrezionale, trattandosi di un effetto automatico sostanzialmente premiale derivante dal ravvedimento operoso posto in essere dagli imputati e dalla pena per l’effetto irrogata in via principale.
Segue invece all’inammissibilita’ dei ricorsi del (OMISSIS) la condanna la condanna del medesimo, a norma dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento di una somma equitativamente liquidata alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi depositati da (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente all’applicazione delle pene accessorie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12, comma 1 che elimina.

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