Imprescrittibilità dell’azione di disconoscimento di paternità proposta dal figlio

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 21 febbraio 2019, n. 5242.

La massima estrapolata:

L’imprescrittibilità dell’azione di disconoscimento di paternità proposta dal figlio, introdotta dall’art. 244, quinto comma, c.c. come riformulato dall’art. 18 del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, si applica, in quanto non esclusa dalle disposizioni transitorie di cui all’art. 104, commi 7 e 9, del medesimo d.lgs., anche ai giudizi già pendenti alla data di entrata in vigore della nuova normativa.

Ordinanza 21 febbraio 2019, n. 5242

Data udienza 16 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. MELONI Marina – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 22071/2015 proposto da:
(OMISSIS); (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che le rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3416/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/11/2018 dal cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

CHE:
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Latina il 27.1.14 che accolse la domanda proposta nei loro confronti da (OMISSIS) – al cui decesso in corso di causa era subentrato il figlio (OMISSIS) previa riassunzione – e accertato che (OMISSIS) non era figlia naturale di (OMISSIS), dichiaro’ la falsita’ del riconoscimento effettuato dinanzi al notaio il 4.4.95.
Le appellanti hanno lamentato l’erronea applicazione dell’articolo 263 c.c., sull’impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicita’, norma volta a tutelare gli interessi del minore conferendo certezza ai rapporti familiari ed a garantire stabilita’ al soggetto riconosciuto, deducendo altresi’, la mancata allegazione di fatti nuovi, sopravvenuti, atteso che l’attore era consapevole che alla data del riconoscimento non era il padre naturale.
Si costitui’ (OMISSIS) – quale figlio del convenuto deceduto -resistendo all’appello.
Con sentenza del 3.6.15, la Corte d’appello di Roma ha respinto l’impugnazione osservando che: la legge non prescriveva la necessita’ della sopravvenienza di elementi nuovi e rilevanti ai fini di giustificare l’impugnazione per difetto di veridicita’ effettuata dallo stesso autore del riconoscimento consapevole della falsita’ della dichiarazione, essendo da escludere, in tal caso, la revoca del riconoscimento – vietata dalla legge – poiche’ tale autore non si limitava a compiere un atto contrario, ma era tenuto, proprio attraverso l’impugnazione ex articolo 263 c.p.c., alla giudiziale dimostrazione della veridicita’ del riconoscimento; la domanda non era soggetta al termine di decadenza annuale di cui alla novella introdotta dalla L. n. 219 del 2012sulla base della norma transitoria di cui al Decreto Legislativo n. 154 del 2013, articolo 104poiche’ anteriore all’entrata in vigore della legge di riforma; non ricorrevano i presupposti per ritenere incostituzionale l’articolo 263 c.c., come affermato dalle due pronunce in materia emesse dalla Corte Cost.; non sussisteva un concreto interesse della minore alla propria identita’ e alla tutela della paternita’ in discussione, per aver lei sempre saputo della falsita’ del suo riconoscimento, come emerso dall’istruttoria svolta in primo grado.
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo, depositando documenti a norma dell’articolo 372 c.p.c.
Resiste (OMISSIS) con controricorso.

RITENUTO

CHE:
Con l’unico motivo di ricorso e’ denunziata la violazione dell’articolo 263 c.c., avendo la Corte d’appello affermato la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’azione d’impugnativa del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicita’, pur proposta da soggetto consapevole del falso riconoscimento.
Al riguardo, le ricorrenti lamentano che: sebbene la ratio dell’azione in esame sia quella di conformare alla realta’ oggettiva quella giuridica attraverso l’accertamento della divergenza tra la genitorialita’ biologica e quella dichiarata con l’atto di riconoscimento, nel caso concreto, tuttavia, ammettere l’impugnativa da parte dell’autore sarebbe equivalso a legittimare la stessa impugnazione anche per motivi pretestuosi e non degni di tutela, a distanza di molti anni; a differenza della situazione del figlio legittimo, l’articolo 263 c.c. contemplava un’azione imprescrittibile – con efficacia fino alla citata riforma – con ingiustificata disparita’ di trattamento.
Il ricorso e’ infondato.
Preliminarmente, va osservato che e’ inammissibile l’eccezione di nullita’ dei giudizi di primo e secondo grado per l’asserita invalidita’ della procura alle liti sottoscritta da (OMISSIS) sollevata dalle ricorrenti nella memoria depositata a norma dell’articolo 372 c.p.c., in ragione dell’invocata incapacita’ naturale dello stesso (OMISSIS). Invero, tale eccezione implicherebbe accertamenti di fatto inerenti al contenuto di documenti mai depositati nel corso dei giudizi di merito, in contrasto con il consolidato orientamento secondo cui nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, secondo quanto disposto dall’articolo 372 c.p.c., non e’ ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilita’ del ricorso e del controricorso ovvero, eventuali nullita’ inficianti direttamente la sentenza impugnata (Cass., n. 7515/11; ord. n. 28999/18).
La Corte d’appello ha correttamente applicato l’articolo 263 c.c., evidenziando le differenze tra l’impugnazione del riconoscimento con l’azione di disconoscimento della filiazione legittima e con l’azione di revoca del riconoscimento del figlio naturale (in conformita’ del consolidato orientamento di questa Corte: Cass., n. 30122/17; n. 2269/93).
Invero, va osservato che l’impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicita’, ai sensi dell’articolo 263 c.c., e’ ammessa in ogni caso in cui il riconoscimento sia obiettivamente non veridico, a nulla rilevando eventuali stati soggettivi di buona o mala fede dell’autore del riconoscimento, e quindi anche nel caso in cui il riconoscimento stesso sia stato effettuato con la consapevolezza dell’altrui paternita’. La relativa azione e’ imprescrittibile, in considerazione della peculiare natura delle azioni di stato, le quali incidono in materia dominata da interessi pubblici e percio’ sottratta alla disponibilita’ dei privati, senza che cio’ violi l’articolo 3 Cost., in relazione alle ipotesi previste dagli articoli 244, 265, 266 e 261 c.c. (Cass., n. 5886/91).
In particolare, la doglianza relativa all’abuso dell’impugnazione in questione, se compiuta dallo stesso autore del falso riconoscimento, non e’ fondata. Invero, secondo un precedente orientamento, ai fini dell’accoglimento dell’azione in esame l’articolo 263 c.c. richiedeva la dimostrazione della assoluta impossibilita’ che il soggetto che aveva inizialmente compiuto il riconoscimento fosse, in realta’, il padre biologico del soggetto riconosciuto come figlio (tra le tante, v. Cass., n. 17095/13).
Tale orientamento e’ stato di recente rimeditato da questa Corte la quale ha affermato che tale dimostrazione non e’, in realta’, dettata dalla legge e che non siano piu’ attuali le ragioni che le avevano dato origine, sostanzialmente fondate sul disvalore di un concepimento al di fuori del matrimonio e, dunque, sulla ritenuta natura confessoria del riconoscimento della susseguente nascita. Alla luce dell’evoluzione dell’interpretazione del diritto positivo, per le mutate concezioni sociali, la Corte di cassazione ha, pertanto, ritenuto che in tema di azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicita’, stante la nuova disciplina introdotta dalle riforme del 2012 e 2013 in materia di filiazione, la prova della “assoluta impossibilita’ di concepimento” non e’ diversa rispetto a quella che e’ necessario fornire per le altre azioni di stato, richiedendo il diritto vigente che sia il favor veritatis ad orientare le valutazioni da compiere in tutti i casi di accertamento o disconoscimento della filiazione (Cass., n. 30122/17; n. 18140/18).
Ora, nel caso concreto, la questione della prova del disconoscimento della paternita’, da parte del soggetto autore del riconoscimento, pur secondo i criteri evidenziati dalla recenti pronunce di questa Corte, non e’ stata oggetto del motivo del ricorso e non e’ dunque oggetto dell’impugnazione (come peraltro gia’ in appello).
Parimenti destituita di fondamento e’, poi, la critica relativa alla mancata applicazione del termine di decadenza per l’azione di cui all’articolo 263 c.c. introdotto dal Decreto Legislativo n. 154 del 2013, articolo 104, comma 10, pur mancando la previsione di retroattivita’ della nuova norma.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’imprescrittibilita’ dell’azione di disconoscimento di paternita’ proposta dal figlio, introdotta dall’articolo 244 c.c., comma 5, come riformulato dal Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, articolo 18 si applica, in quanto non esclusa dalle disposizioni transitorie di cui all’articolo 104, commi 7 e 9 medesimo D.Lgs., anche ai giudizi gia’ pendenti alla data di entrata in vigore della nuova normativa (Cass., n. 14557/14).
Al riguardo, la Corte d’appello ha correttamente applicato itale principio, rilevando che i termini per proporre l’azione d’impugnazione, previsti dall’articolo 263 c.c. e dall’articolo 267 c.c., dai commi 2, 3 e 4 decorrevano dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 154 del 2013, mentre l’azione in questione era stata proposta anteriormente.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida nella somma di Euro 2200,00 di cui 200,00 per esborsi oltre alla maggiorazione del 15% per il rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita’ e gli altri dati significativi, a norma del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52.

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