Il travisamento della prova

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 21 gennaio 2020, n. 1163.

La massima estrapolata:

Il travisamento della prova non implica una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che un’informazione probatoria, utilizzata dal giudice ai fini della decisione, è contraddetta da uno specifico atto processuale, così che, a differenza del travisamento del fatto, può essere fatto valere mediante ricorso per cassazione, ove incida su un punto decisivo della controversia.

Nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'”id quod plerumque accidit”, sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza. (Nella specie, la S.C. ha escluso che rispondesse ai requisiti di cui all’art. 2729 c.c. la decisione di merito secondo la quale, ai fini dell’accertamento del danno da perdita della capacità di produrre reddito, l’intenzione dell’attore di astenersi dalla ricerca di un’occupazione per il resto della propria vita potesse desumersi dal mancato inserimento, nella richiesta di iscrizione nelle liste di collocamento, della dichiarazione di disponibilità a svolgere attività lavorativa, circostanza verificatasi quando egli aveva appena ventitré anni).

Sentenza 21 gennaio 2020, n. 1163

Data udienza 15 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. GUIZZI GIAIME Stefano – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 6161-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore amministratore delegato Dott. (OMISSIS), (OMISSIS) SOC COOP in persona del Presidente pro tempore del Consiglio di Amministrazione (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2122/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 14/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS);

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 2122/16, del 4 dicembre 2016, della Corte di Appello di Torino, che – respingendo il gravame esperito dall’odierno ricorrente contro la sentenza n. 8024/14, del 15 dicembre 2014, del Tribunale di Torino – ha rigettato, per quanto qui ancora di interesse, la domanda di risarcimento del danno da grave compromissione della capacita’ lavorativa avanzata dal (OMISSIS) nei confronti della societa’ cooperativa (OMISSIS), di (OMISSIS), e della societa’ (OMISSIS) S.p.a., in relazione al sinistro stradale occorso all’allora attore in data (OMISSIS).
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di essere stato, all’eta’ di venticinque anni, vittima – nelle circostanze di tempo e luogo sopra meglio indicate – di un sinistro stradale, in ragione della collisione tra il motociclo che conduceva ed un autofurgone di proprieta’ della societa’ (OMISSIS), guidato dal (OMISSIS) ed assicurato per la “RCA” dalla societa’ (OMISSIS).
Avendo subito gravi lesioni personali a causa dell’incidente, radicato un primo giudizio innanzi al Giudice del lavoro del Tribunale torinese, il (OMISSIS) otteneva il riconoscimento della invalidita’ civile, nella misura del 75%, di talche’, su tali basi, conveniva in giudizio le societa’ (OMISSIS) ed (OMISSIS), oltre che il (OMISSIS), per conseguire il ristoro di tutti i danni conseguiti al sinistro.
L’adito giudicante, tuttavia, accoglieva solo parzialmente la domanda risarcitoria, escludendo, segnatamente, il ristoro del danno patrimoniale futuro da compromissione della capacita’ lavorativo/reddituale, negando la possibilita’ di applicare il criterio di liquidazione equitativa costituito dal cd. “triplo della pensione sociale”, sul rilievo che esso non possa operare quanto l’attore come sarebbe avvenuto nel caso di specie – non abbia provveduto ad “allegare dati di fatto concreti su cui innestare il ragionamento di accertamento e liquidazione di tale tipo di danno”, in particolare individuando, nei casi (come quello presente) in cui risulti privo di occupazione, “l’attivita’ lavorativa che (…) avrebbe potuto in futuro espletare”.
Esperito dal (OMISSIS) gravame, la Corte piemontese, sul punto, pur confermando il rigetto della pretesa risarcitoria, motivava tale decisione su basi diverse. Riteneva, infatti, che lo stato di disoccupazione dell’appellante fosse risultato volontario, non avendo costui “dimostrato di aver mai lavorato, ne’ ricercato un’occupazione, ne’ di essere stato iscritto alle liste di collocamento prima della loro abrogazione”, nonche’ evidenziando come “gli elementi in atti” imponessero di ritenere “che egli non fosse, affatto, intenzionato ad entrare nel mercato del lavoro”, come confermato pure dai fatto che “il certificato di disoccupazione”, dal medesimo prodotto in giudizio, non fosse “corredato dalla dichiarazione di essere disponibile a svolgere attivita’ lavorativa”.
3. Avverso la sentenza della Corte torinese ricorre per cassazione il (OMISSIS), sulla base – come detto – di un unico motivo (ancorche’ destinate ad articolarsi in tre diverse censure).
3.1. Esso deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione o falsa applicazione degli articoli 1, 2, 4 e 35 Cost., degli articoli 2727 e 2729 c.c., nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c., degli articoli 1223, 1226, 2043 e 2056 c.c. e dell’articolo 137 cod. assicurazioni, oltre che della disciplina in materia di dichiarazioni finalizzate allo “stato di disoccupazione”.
Premesso il rilievo che il diritto al lavoro riveste nella nostra Costituzione (articoli 1, 2, 4 e 35), nonche’ la sicura configurabilita’ e risarcibilita’ – ex articoli 1223, 1226, 2043 e 2056 c.c. – del danno patrimoniale futuro da perdita o riduzione della capacita’ lavorativa, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non avrebbe fatto corretta applicazione del principio, enunciato da questa Corte, che ne esclude il ristoro in caso di disoccupazione volontaria.
In particolare, essa sarebbe venuta meno al dovere di “accertarsi scrupolosamente” del presupposto, individuato da questa Corte, per il diniego della pretesa risarcitoria, ovvero;1
“consapevole rifiuto dell’attivita’ lavorativa”, vale a dire l’essere, quella compiuta dal soggetto inoccupato, una “scelta cosciente di rifiuto del lavoro”. La Corte torinese, difatti, avrebbe ravvisato la prova dello stato di disoccupazione volontaria, traendola presuntivamente dalla mancata dimostrazione, da parte del (OMISSIS), di non aver lavorato prima del sinistro, ne’ di aver ricercato di un’occupazione o di essersi iscritto alle liste di collocamento prima della loro abrogazione nel 2003.
In questo modo, tuttavia, la sentenza impugnata avrebbe violato gli articoli 2727 e 2729 c.c., avendo fondato il ragionamento su presunzioni prive dei caratteri della gravita’, precisione e concordanza, realizzando, cosi’, una “manifesta imprudenza valutativa” delle risultanze istruttorie, in violazione dell’articolo 116 c.p.c.
Agli atti, infatti, vi sarebbe prova documentale che l’odierno ricorrente ebbe a rivolgersi ad un centro per l’impiego, rendendo la dichiarazione di disponibilita’ di cui al Decreto Legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, articolo 3, comma 1. Il tutto, peraltro, senza tacere che il (OMISSIS) avrebbe allegato, nel corso del giudizio di primo grado, di aver svolto piccoli lavori prima della verificazione del sinistro (sia quale operaio che quale addetto al volantinaggio), circostanza confermata anche dalla teste (OMISSIS), madre convivente dell’odierno ricorrente. Inoltre, a privare di qualsiasi fondamento, fattuale e giuridico, la presunzione di volontaria disoccupazione raggiunta dalla Corte territoriale, con riferimento al periodo antecedente al sinistro, ricorrerebbe il dato statistico, in tutto e per tutto notorio (articolo 115 c.p.c.), della elevata disoccupazione giovanile, come confermato dai dati Istat relativi al periodo dal 1977 al 2012.
A maggior ragione, pertanto, la Corte territoriale non avrebbe potuto spingersi – come invece ha fatto – ad estendere la presunzione di consapevole rifiuto al lavoro per il periodo compreso dall’anno del sinistro, ovvero il 2006, sino al verosimile anno di pensionamento, anno 2046, proiettandolo per un considerevole lasso di tempo di ben quarant’anni.
4. Ha proposto controricorso la societa’ (OMISSIS), per resistere all’avversaria impugnazione.
Evidenzia, in particolare, come la sentenza impugnata abbia fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali, enunciati da questa Corte laddove escludono il risarcimento del danno da menomazione della capacita’ lavorativa in caso di disoccupazione volontaria, avendo il giudice di appello ritenuto, con valutazione non sindacabile in questa sede, la mancanza di prova, da parte del (OMISSIS), di aver svolto, prima o dopo il sinistro, attivita’ lavorativa.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ex articolo 378 c.p.c., insistendo nelle rispettive argomentazioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va accolto, per quanto di ragione.
6.1. L’unitario motivo di impugnazione, come detto, si articola in tre diverse censure, le prime due delle quali non sono fondate, diversamente dalla terza.
6.1.1. Quanto, infatti, alla dedotta violazione degli articoli 1, 2, 4 e 35 Cost. e degli articoli 1223, 1226, 2043 e 2056 c.c., nonche’ dell’articolo 137 cod. assicurazioni (ovvero, la prima delle censure formulate), ad escluderne la fondatezza vale la constatazione che la Corte territoriale non ha affatto disatteso i principi in tema di danno patrimoniale – futuro – da menomazione della capacita’ lavorativa, elaborati de qua Corte con specifico riferimento alla fattispecie concernente un soggetto privo di occupazione.
E’ stato, infatti, ripetutamente affermato che, in “tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al momento dell’infortunio per essere il soggetto leso disoccupato, puo’ escludere il danno da invalidita’ temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidita’ permanente che – proiettandosi per il futuro – verra’ ad incidere sulla capacita’ di guadagno della vittima, al momento in cui questa iniziera’ una attivita’ remunerata, salvo l’ipotesi che si tratti di disoccupazione volontaria, ovvero di un consapevole rifiuto dell’attivita’ lavorativa” (cosi’, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 13 luglio 2010, n. 16396, Rv. 614108-01; in senso analogo Cass. Sez. 3, sent. 11 dicembre 2003, n. 18945, Rv. 569304-01).
Cio’ detto, la Corte territoriale ha ritenuto integrata proprio l’ipotesi del “consapevole rifiuto dell’attivita’ lavorativa” da parte del (OMISSIS), cio’ che esclude la fondatezza delle censure di violazione delle norme suddette, alla luce del principio secondo cui “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa” – che e’ quanto si lamenta nel caso di specie, come e’ reso evidente dalle altre censure proposte dal ricorrente, che tendono a mettere in discussione proprio l’apprezzamento del giudice di appello circa l’effettiva ricorrenza di un “consapevole rifiuto dell’attivita’ lavorativa” – “e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimita’” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03, nonche’ Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01).
6.1.2. D’altra parte, non fondata e’ pure la pretesa del ricorrente oggetto della seconda censura dallo stesso articolata – di mettere in dubbio la correttezza della valutazione operata dalla Corte territoriale, circa il carattere “volontario” dello stato di disoccupazione, ipotizzando la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., e dunque prospettando un cattivo apprezzamento del materiale probatorio.
Al riguardo, infatti, e’ sufficiente richiamarsi al principio secondo cui l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dai testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del dell’articolo precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4), – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458).
Ne’, poi, la violazione dell’articolo 115 c.p.c. (dedotta dal ricorrente con riferimento alla lamentata erroneita’ dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa la carenza, nel certificato di disoccupazione prodotto in giudizio da esso (OMISSIS), della “dichiarazione di essere disponibile a svolgere attivita’ lavorativa”) risulta prospettata sotto il profilo del “travisamento della prova”, cio’ che ne avrebbe reso possibile l’esame da parte di questa Corte.
Difatti, se e’ vero che “la denuncia di travisamento del fatto – che costituisce motivo di revocazione ai sensi dell’articolo 395 c.p.c. e non di ricorso per cassazione – e’ incompatibile con il giudizio di legittimita’ perche’ implica la valutazione di un complesso di circostanze che comportano il rischio di una rivalutazione del fatto non consentita al giudice di legittimita’”, e’, d’altra parte, innegabile che “diversa da quest’ultima emergenza e’ l’ipotesi del travisamento della prova che implica, non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, e’ contraddetta da uno specifico atto processuale”; evenienza, quest’ultima, che ricorre quando “l’informazione probatoria riportata ed utilizzata dal giudice per fondare la decisione sia diversa ed inconciliabile con quella contenuta nell’atto e rappresentata nel ricorso o addirittura non esista” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 25 maggio 2015, n. 10749, Rv. 635564-01).
Orbene, quantunque il ricorrente si dolga del fatto (documentandolo, e dunque ottemperando al disposto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) di essersi rivolto ad un centro per l’impiego, il 4 novembre 2004, rendendo la dichiarazione di disponibilita’ di cui al Decreto Legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, articolo 3, comma 1, esso non ha proposto, come detto, la censura di violazione dell’articolo 115 c.p.c. sotto il profilo del travisamento della prova.
6.1.3. Fondata e’, invece, la terza censura, ovvero quella di violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c.
6.1.3.1. Si contesta, in questo caso, l’affermazione della Corte territoriale secondo cui “il certificato di disoccupazione”, prodotto in giudizio dal (OMISSIS), in quanto non “corredato dalla dichiarazione di essere disponibile a svolgere attivita’ lavorativa”, sarebbe idoneo a fondare la presunzione che costui, fino al raggiungimento dell’eta’ pensionabile, non avrebbe svolto attivita’ lavorativa, ne’ sarebbe stato intenzionato a svolgerla.
Orbene, che si tratti di censura ammissibile (diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente), non e’ revocabile in dubbio, alla stregua del principio secondo cui, “qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravita’, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento e’ censurabile in base all’articolo 360 c.p.c., e non gia’ alla stregua dello stesso articolo 360, n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’articolo 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta” (Cass. Sez. 3, sent. 4 agosto 2017, n. 19485, Rv. 645496-02; in senso sostanzialmente analogo puro Cass. Sez. 6-5, ord. 5 maggio 2017, n. 10973, Rv. 643968-01; nonche’ Cass. Sez. 3, sent. 26 giugno 2008, n. 17535, Rv. 603893-01 e Cass. Sez. 3, sent. 19 agosto 2007, n. 17457, non massimata sul punto).
6.1.3.2. Oltre che ammissibile la censura coglie anche nel segno, per le ragioni di seguito indicate.
Sul punto, occorre muovere dal rilievo che, in relazione ai caratteri della gravita’, precisione e concordanza che debbono connotare necessariamente le presunzioni, questa Corte ha chiarito quanto segue. In particolare, che “la gravita’ allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioe’ rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche “lex artis”)”, esprimendo nient’altro che “la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui, dato un fatto A noto e’ probabile che si sia verificato il fatto B”, non essendo, invece, “condivisibile invece l’idea che vorrebbe sotteso alla gravita’ che l’inferenza presuntiva sia “certa”” (cosi’ Cass. sez. 3, n. 19435 del 2017, cit.). Difatti, “per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarieta’ assoluta ed esclusiva (sulla scorta della regola della inferenza necessaria), ma e’ sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilita’ basato sull'”id quod plerumque accidit” (in virtu’ della regola dell’inferenza probabilistica)” (cosi’ Cass. Sez. 3, sent. n. 17457 del 2007, cit., in senso analogo, piu’ di recente, Cass. Sez. 2, sent. 6 febbraio 2019, n. 3513, n. 652361-01; Cass. Sez. 2, sent. 31 ottobre 2011, n. 22656, Rv. 619955-01). Si ritiene, dunque, che il giudice possa “trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purche’ dotati dei requisiti legali della gravita’, precisione e concordanza”, dovendosi solo escludere “che possa attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici” (nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 17457 del 2007, cit.).
Orbene, gia’ riguardata sotto questo profilo, e’ da ritenere integrata – nel caso di specie – la violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. Non risponde, infatti, al requisito della “gravita’” l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la mancanza della dichiarazione di disponibilita’ a svolgere attivita’ lavorativa, nella richiesta di iscrizione nelle liste di collocamento (circostanza, peraltro, contestata da (OMISSIS), sebbene non adeguatamente, ovvero – come sarebbe stato necessario – attraverso la deduzione di un “travisamento” dell’informazione probatoria recata da quel documento), sarebbe idonea a far presumere che egli si sarebbe astenuto, addirittura per un quarantennio, dalla ricerca di attivita’ lavorativa. Infatti, si fatica a comprendere su quali basi la sentenza impugnata abbia formulato un giudizio di probabilita’, basato sull'”id quod plerumque accidit”, per risalire dal fatto (noto) della mancata dichiarazione di disponibilita’, nell’anno 2004, alla dimostrazione della mancata volonta’ di ricercare un’occupazione lavorativa per tutta l’esistenza futura dell’interessato.
Ma vi e’ di piu’.
Difettano, nella specie, anche i requisiti della precisione e concordanza.
Sul punto, va osservato che la precisione “esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilita’ che si indirizzi solo verso di esso”, mentre “non lasci spazio, sempre al livello della probabilita’, ad un indirizzarsi in senso diverso, cioe’ anche verso un altro o altri fatti”, la concordanza, invece, individuando un “requisito del ragionamento presuntivo, che non lo concerne in modo assoluto, cioe’ di per se’ considerato, come invece gli altri due elementi, bensi’ in modo relativo, cioe’ nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori, volendo esprimere l’idea che, intanto la presunzione e’ ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi” (cosi’, nuovamente, Cass. sez. 3, sent. 19485 del 2017, cit.).
Cio’ detto, ancora una volta, non e’ dato minimamente comprendere – dalla sentenza impugnata – in che modo l’assenza, nell’iscrizione delle liste di collocamento nell’anno 2004, della dichiarazione di disponibilita’ a svolgere attivita’ lavorativa, possa “in via di inferenza probabilistica”, far presumere – “con un grado di probabilita’ che si indirizzi solo verso di esso” – il fatto costituito dal persistere di tale intendimento lungo un arco temporale cosi’ ampio, corrispondente addirittura all’intera aspettativa di vita di un individuo allora ventitreenne.
Infine, non v’e’ chi non veda l’assenza – nel ragionamento presuntivo della Corte territoriale – degli “altri elementi probatori”, idonei a consentire che il fatto noto “indirizzi alla conoscenza” del fatto ignoto da provare.
Risalta, dunque, pienamente riscontrata la violazione delle norme (articoli 2727 e 2729 c.c.) in tema di presunzioni.
7. All’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione, segue la Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, affinche’ decida nel merito, alla stregua dei principi teste’ illustrati nei §§ 6.1.3.1. e 6.1.3.2.
8. Le spese del presente giudizio saranno liquidate all’esito del giudizio di rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, per quanto di ragione, e cassa, per l’effetto, la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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