Il reato di cui all’articolo 348 del Cp ha natura di reato eventualmente abituale

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|24 febbraio 2021| n. 7252.

Il reato di cui all’articolo 348 del Cp ha natura di reato eventualmente abituale ed a consumazione prolungata quando l’attività abusivamente svolta non si esaurisca in un originario e unico atto, di tale che il momento della consumazione del reato, ai fini della prescrizione, deve individuarsi in quello nel quale sia cessato l’effetto tipico dell’attività abusivamente svolta (nella specie, è stato escluso l’intervenuto decorso della prescrizione sul rilievo che l’attività abusiva della professione di avvocato da parte dell’imputato non risultava ancora esaurita in ragione del perdurante svolgimento del patrocinio abusivo in giudizio).

Sentenza|24 febbraio 2021| n. 7252

Data udienza 4 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – REATI CONTRO LA P.A. (IN GENERE)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISCUOLO Anna – Presidente

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. GIORDANO E. – rel. Consigliere

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedett – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/1/2020 della Corte di appello di Firenze;
udita la relazione svolta dal Consigliere Emilia Anna Giordano;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PICARDI Antonietta, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
lette le conclusioni dell’avvocato (OMISSIS), difensore della parte civile Ordine degli Avvocati di Firenze, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni dell’avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente, che si e’ riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 gennaio 2020 la Corte di appello di Firenze, in esito a procedimento con rito abbreviato, ha confermato la condanna di (OMISSIS) alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione per il reato di cui all’articolo 348 c.p., confermando le statuizioni civili in favore dell’Ordine degli Avvocati di Firenze. I giudici di merito hanno ritenuto accertato, sulla base della documentazione prodotta dalla parte pubblica e da quella privata, che il (OMISSIS), destinatario del provvedimento di cancellazione dall’Albo con efficacia dal 2 maggio 2012, aveva esercitato abusivamente la professione di avvocato presso il Tribunale civile di Firenze patrocinando le parti nei procedimenti n. 7731/2010, 6824/2011, 59/2010 e 822/2010. Gia’ in primo grado l’imputato era stato assolto dal reato in relazione ad altri procedimenti.
2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. cod proc.
pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente denuncia:
2.1. violazione di legge in relazione agli articoli 112 e 113, 426 e 546 c.p.p., cumulativi vizi di motivazione in relazione al provvedimento adottato dalla Corte in data 8 novembre 2019 con il quale si invitavano le parti, imputato e parte civile, a depositare presso la Corte, che non l’aveva rivenuta in atti, copia della documentazione prodotta dal difensore in primo grado e relativa ai ricorsi che si supponeva illegittimamente trattati. Il difensore, pur avendo prodotto copia di atti in suo possesso, eccepisce l’illegittimita’ del provvedimento in quanto non era comprensibile quale fosse la disciplina di riferimento cioe’ se la integrazione fosse stata disposta ai sensi dell’articolo 112 c.p.p., ovvero ai sensi dell’articolo 113 c.p.p., istituti diversi nella forma (decreto, ovvero ordinanza, con correlativi obblighi motivazionali) e presupposti applicativi (necessita’ dell’atto ai fini della decisione che e’ cosa diversa dalla sua indispensabilita’, posta dalla Corte a fondamento della decisione) nonche’ con riferimento al carattere, definitivo e permanente della scomparsa della documentazione di riferimento, con conseguente illegittimita’ e abnormita’ del provvedimento; ne discende che la decisione della Corte, e quella di primo grado, fondata su un mero elenco delle produzioni, e’ inficiata da una grave carenza posto che la richiesta di rito abbreviato formulata dall’imputato era stata fondata proprio sulla condizione di acquisizione della documentazione stessa, non rinvenuta in atti con la conseguenza che il giudice di primo grado ha ritenuto sussistenti gli elementi di prova del reato, seguito dalla Corte di appello, sulla scorta del mero elenco prodotto in allegato all’imputazione. La motivazione della Corte e’ contraddittoria e dicotomica su tali aspetti;
2.2. violazione di legge, in relazione all’articolo 192 c.p.p., e al Regio Decreto 20 marzo 1865, articolo 5, all. E, e Regio Decreto n. 37 del 1937, articoli 51 e 52, travisamento della prova anche ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 348 c.p.. Il ricorrente aveva eccepito la illegittimita’ della notifica del provvedimento di sospensione adottato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del 21 febbraio 2007, poiche’ nella copia notificatagli mancava la sottoscrizione del presidente richiesta come requisito imprescindibile di validita’ del provvedimento, perlomeno con riferimento alla firma a stampa del nominativo del presidente;
2.3. violazione di legge, in relazione all’articolo 157 c.p., ai fini del computo del termine di prescrizione. La Corte ha conferito dignita’ di prova alla comunicazione del direttore di cancelleria del 7 febbraio 2013 che, a seguito di mera ricognizione dei registri SIC e SIECID, aveva indicato lo status dei procedimenti alla data di accertamento. Il reato, computando il termine di prescrizione da tale data e’, dunque, prescritto.
3. Il ricorso e’ stato trattato con procedura scritta ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8. Il difensore della parte civile ha fatto pervenire memoria e nota spese chiedendo la liquidazione delle spese processuali per l’odierna fase di impugnazione. Anche il difensore del ricorrente, come detto in epigrafe, ha fatto pervenire memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile perche’ proposto per motivi generici e manifestamente infondati.
Il ricorrente, a fronte di sentenze di merito conformi in punto di responsabilita’, riproduce argomentazioni sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato che sono state oggetto della valutazione critica dei giudici del merito che hanno correttamente individuato nella delibera del 2 maggio 2012, regolarmente notificata all’imputato, la data di efficacia del provvedimento di cancellazione dall’Ordine degli Avvocati di Firenze, in esito alle impugnazioni attivate dall’imputato avverso la delibera di cancellazione del 21 luglio 2007: dal 2 maggio 2012, pertanto, il (OMISSIS) non possedeva il requisito prescritto per l’esercizio della professione. E’ stato accertato, attraverso le certificazioni estratte dal SIC e dal SIECID – i registri informatizzati delle procedure civili ed esecutive – che alla data del 7 febbraio 2013 erano pendenti presso l’ufficio giudiziario i ricorsi o citazioni introdotti dal ricorrente, nei procedimenti specificamente indicati gia’ con la sentenza di primo grado – ma in numero decisamente minore rispetto a quelli indicati nella originaria contestazione – e tanto perche’ in relazione allo status dei procedimenti il (OMISSIS) risultava ancora patrocinatore delle relative cause, come attestato dal direttore di cancelleria in esito alla produzione dell’elenco stesso.
2. Manifestamente infondato e’ il primo motivo di ricorso.
2.1. La Corte di appello, facendo puntuale riferimento all’iter del processo, ha dato atto che in primo grado, il procedimento, trattato con il rito abbreviato, si era svolto previa acquisizione della documentazione alla quale il difensore aveva subordinato la richiesta del rito alternativo e che la documentazione difensiva era contenuta in due cartelle, debitamente acquisite agli atti processuali. Secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, e’ solo nella fase di trasmissione degli atti processuali dal Tribunale alla Corte che si e’ verificato lo smarrimento delle cartelle, e quindi delle copie degli atti dei procedimenti civili prodotti dall’imputato, il cui contenuto e’ stato ricostituito attraverso la richiesta alle parti di produrre la documentazione in loro possesso.
Sulla scorta di tale ricostruzione in fatto della vicenda processuale sono corrette le conclusioni alle quali la Corte di merito e’ pervenuta escludendo che la decisione del giudice di primo grado sia stata adottata in mancanza della documentazione probatoria prodotta, situazione che sarebbe assimilabile a quella in cui il giudice, ammessa la integrazione probatoria richiesta dalla parte, provveda poi alla definizione senza assumere la prova stessa. E’ solo in tale evenienza che potrebbe ritenersi integrata una nullita’ d’ordine generale che la giurisprudenza ha ritenuto configurabile nel caso in cui, ammessa la prova richiesta dall’imputato, il giudice decida senza assumerla perche’ superflua, nullita’ che, peraltro, sarebbe sanata se non eccepita prima della chiusura della fase di assunzione della prova (Sez. 2, Sentenza n. 50194 del 26/10/2018, Pedrotti Paolo, Rv. 274718), a comprova dell’assunto che non ci si trova in presenza di un vulnus al diritto alla prova. Tale violazione non si e’ verificata nel caso in esame poiche’ nel compendio probatorio esaminato dal giudice di primo grado erano presenti tutti gli atti prodotti dall’imputato ed alla cui acquisizione era stata subordinata la richiesta di giudizio abbreviato.
2.2. Passando all’esame delle ulteriori implicazioni che discendono dall’allegazione difensiva, ritiene il Collegio, condividendo un principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimita’ sia pure in una situazione di fatto diversa, che non e’ inficiata da nullita’ neppure la sentenza di appello impugnata, evidentemente pronunciata in mancanza di una parte dei documenti che erano in possesso del giudice di primo grado ma non potuti ricostruire, neppure attraverso la procedura attivata dalla Corte di appello di Firenze. La impossibilita’ di ricostruire il compendio probatorio nella sua integralita’ non determina, perche’ non prevista, alcuna nullita’ della decisione del giudice di appello (cfr. Sez. 2, n. 15821 del 26/02/2019, Marna Piero Carlo, Rv. 276555) ne’ la difesa ha allegato che la decisione di merito sia inficiata dalla perdita di atti fondamentali per la dimostrazione della tesi difensiva.
2.3. Infine, l’iter prescelto dalla Corte di appello, che ha fatto ricorso ad un provvedimento motivato e diretto a tutte le parti processuali invitandole a depositare gli atti andati smarriti, non puo’ dirsi inficiato da vizi o carenze che ne comportino la nullita’, anche in tal caso non previste dalle norme processuali, a prescindere dal riferimento, contenuto nella motivazione della sentenza impugnata, alla procedura di cui all’articolo 113 c.p.p., attraverso la quale, come noto, si procede alla ricostruzione del contenuto rappresentativo o decisionale di un atto del processo non piu’ esistente, diversamente dalla procedura di surrogazione – di cui all’articolo 112 c.p.p., – che presuppone, invece, la esistenza dell’atto (andato disperso) e la possibilita’ di ricostituirlo attraverso una copia.
Non sussistono dunque elementi per disattendere un principio affermato da questa Corte secondo il quale la previsione normativa del potere del giudice di stabilire le modalita’ di ricostituzione degli atti mancanti non individua alcun vincolo di contenuto e non prevede alcuna sanzione per eventuali vizi dell’attivita’ di formazione, purche’ la ricostituzione avvenga secondo le forme ritenute dal giudice conformi allo scopo per il quale la procedura e’ prevista (Sez. 6, Sentenza n. 48428 del 08/10/2014, Barone, Rv. 261249). Ne’ la procedura seguita da’ luogo ad un atto abnorme (Sez. 2, Sentenza n. 50406 del 13/11/2014, Latella, Rv. 261206) poiche’ si tratta di esplicazione di un potere finalizzato ad evitare la dispersione del compendio probatorio, e non, invece, ad una integrazione probatoria esaurendosi in un’attivita’ di natura meramente ricognitiva.
3. Privo di fondamenti, in fatto e in diritto, e’ il secondo motivo di ricorso.
Esiste in atti la copia, debitamente sottoscritta, della delibera del 21 febbraio 2007 – di cui da’ atto la sentenza impugnata – potendosi, pertanto, escludere vizi di nullita’ o inesistenza del provvedimento di cancellazione che era stato debitamente notificato all’imputato e che era stato da questi impugnato nelle competenti sedi con attivita’ difensiva svolta personalmente, sicche’, osserva la Corte di appello, ne risulta pienamente comprovata la conoscenza del provvedimento di cancellazione e, una volta che questo e’ diventato esecutivo, il consapevole svolgimento di attivita’ difensiva in carenza della necessaria abilitazione. Il ricorrente ha allegato che l’atto notificatogli, una copia con attestazione della conformita’ all’originale da parte del segretario, non recava il riferimento alle voci “firmato” e firma stampata” del presidente, ma si tratta della mancanza di un riferimento che, come nei casi nei quali tale annotazione risulti apposta, non rileva ai fini della esistenza dell’atto originale, dal quale la copia spedita per l’esecuzione e’ derivata. Non sono pertinenti alla vicenda in esame le considerazioni svolte nella sentenza delle Sezioni Unite civili di questa Corte, richiamata nel ricorso (Sez. U, Sentenza n. 11024 del 20/05/2014, Cianci, Rv. 630845), che afferiscono ad altra tipologia di problematiche ovvero alla ricorrenza della falsita’ o meno della copia derivata dall’originale in carenza di tali riferimenti ed alla sua idoneita’ rappresentativa a tal riguardo.
4. Non merita miglior sorte che il rilievo di manifesta infondatezza il motivo di ricorso che deduce la intervenuta prescrizione del reato.
Il ricorrente richiama il contenuto della sentenza di primo grado che lo aveva assolto, con riferimento all’attivita’ difensiva svolta in alcuni dei procedimenti oggetto dell’originaria contestazione, perche’ l’attivita’ illecita svolta era cessata prima dell’adozione del provvedimento di cancellazione o, comunque, di attivita’ svolta durante il periodi di sospensione ex lege della delibera di cancellazione ovvero di attivita’ successiva al 2 agosto 2010 non univocamente riconducibile all’imputato. Sostiene il ricorrente che la decisione della Corte di merito e’ carente perche’ conferisce dignita’ di prova all’attestazione rilasciata dal direttore di cancelleria compiuta sulla base di una mera ricognizione dei registri informatici, in buona sostanza, dilatando il tempus commissi delicti.
Ad avviso del Collegio risulta, invece, corretta la conclusione della Corte di merito secondo la quale il termine di prescrizione del reato non era maturato poiche’ alla data dell’attestazione ed in relazione ad alcuni dei procedimenti pendenti (sono specificamente richiamati i procedimenti n. 7731/2010, 6824/2011; 59/2011 e 822/2011) “il ricorrente, avendo mantenuto il patrocinio, aveva proseguito nell’attivita’ delittuosa tenuto conto che ove l’azione delittuosa non si sia esaurita nel compimento di un singolo atto ma abbia accompagnato attraverso il patrocinio e la domiciliazione della parte rappresentata l’iter del procedimento, si e’ in presenza di un unico reato il cui momento consumativo coincide con la cessazione della condotta”.
Il reato di cui all’articolo 348 c.p., si configura, infatti, nella sua struttura come reato eventualmente abituale (Sez. 3, Sentenza n. 37166 del 18/05/2016, B., Rv. 268312) e a consumazione prolungata quando l’attivita’ abusivamente svolta non si esaurisca in un originario e unico atto di talche’ il momento della consumazione del reato, ai fini della prescrizione, deve individuarsi in quello nel quale sia cessato l’effetto tipico dell’attivita’ abusivamente svolta e, nel caso in esame, attraverso il patrocinio in giudizio, che, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, non era cessato alla data dell’accertamento compiuto dal direttore di cancelleria che aveva attestato la pendenza, con il perdurante patrocinio dell’imputato, dei ricorsi e atti di citazione indicati. A fronte di tale accertamento sarebbe stato, pertanto, onere dell’imputato (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 27061 del 05/03/2014, Laiso, Rv. 259181), per dimostrare la cessazione della condotta e, quindi, la consumazione del reato in un momento precedente, l’allegazione di elementi documentali idonei a contrastare le indicazioni rivenienti dalla certificazione del dirigente della cancelleria, elementi che, con riferimento ai procedimenti indicati dal giudice di appello, non sono stati prodotti nella competente sede di merito.
5. Segue alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, di una somma, liquidata come in dispositivo, in favore della Cassa delle Ammende e, inoltre, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, spese che, in linea con le previsioni recate dal Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, e successive modifiche, deve essere liquidata in Euro 3.510,00, oltre accessori.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile Ordine degli Avvocati di Firenze che liquida in complessivi Euro 3510, oltre accessori di legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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