Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in concorso scatta per la testa di legno, ed ex componente del collegio sindacale che, in palese soggezione del dominus

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 6 settembre 2018, n. 40098.

La massima estrapolata:

Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in concorso scatta per la testa di legno, ed ex componente del collegio sindacale che, in palese soggezione del dominus – elemento rilevante ai fini del trattamento sanzionatorio – avalla distrazioni e mistificazioni.

Sentenza 6 settembre 2018, n. 40098

Data udienza 25 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. SCOTTO U..C.G. – rel. Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/05/2017 della CORTE APPELLO di POTENZA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PRATOLA Gianluigi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Potenza con sentenza del 12/5/2017, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Potenza del 24/3/2014, appellata dall’imputato (OMISSIS), che l’aveva ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in concorso ex articolo 110 c.p., L.F. articolo 216, comma 1, nn. 1 e 2, articolo 219, commi 1 e 2, in relazione alla impresa individuale (OMISSIS), dichiarata fallita il (OMISSIS) (capo A) e del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in concorso ex articolo 110 c.p., L. Fall., articolo 216, nn. 1 e 2, articolo 219, commi 1 e 2, in relazione alla societa’ (OMISSIS) s.p.a., dichiarata fallita il (OMISSIS) (capo B) e l’aveva pertanto condannato alla pena di anni cinque di reclusione, con le pene accessorie di legge al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, ossia i fallimenti ” (OMISSIS) s.p.a.” e ” (OMISSIS)”.
La Corte di appello ha concesso all’imputato le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, ha ridotto la pena ad anni tre di reclusione, ha revocato la pena accessoria dell’interdizione legale, ha stabilito in anni cinque la durata dell’interdizione dai pubblici uffici e ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.
L’accusa per il reato di cui al capo A) era stata proposta nei confronti del (OMISSIS), gia’ membro del collegio sindacale di (OMISSIS) s.p.a., in qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. e di procuratore della ditta fallita (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), giudicati separatamente, per una serie di operazioni negoziali ritenute distrattive: la cessione in affitto di un ramo di azienda per produzione di gabbioni, reti metalliche e fili zincati, nonche’ di capannoni, attrezzature e dell’uso in licenza di marchi e brevetti, senza il versamento del canone previsto; l’utilizzazione del conto titolare a titolo personale fino a portare a 21 milioni di lire il credito dell’impresa nei suoi confronti, compensato da un fittizio apporto di immobili; la cessione delle quote di partecipazione in (OMISSIS) s.r.l. per il 60% del capitale; la cessione delle quote di partecipazione in (OMISSIS) s.r.l. per il 60% del capitale; l’incasso di Euro 34.743,23 a titolo di canoni di locazione di un immobile in usufrutto; la cessione senza corrispettivo, dopo la dichiarazione di fallimento, di due autobetoniere.
L’accusa per il reato di cui al capo B) era stata proposta nei confronti del (OMISSIS), quale membro del collegio sindacale di (OMISSIS) s.p.a., in qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. e della (OMISSIS) s.r.l. e di procuratore della ditta fallita (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giudicati separatamente, per una serie di operazioni negoziali ritenute distrattive: la cessione di un ramo di azienda alla (OMISSIS) a prezzo simulato; l’iscrizione nello stato patrimoniale del conto socio/finanziamento (OMISSIS), utilizzato a titolo personale con confusione delle attivita’ di gestione con quelle personali e creando un credito verso il (OMISSIS) di oltre 9 miliardi di lire; l’estromissione dal patrimonio sociale di materiali, trattori e veicoli; la distrazione di un impianto di frantumazione macchine operatrici e automezzi; era stata altresi’ contestata la tenuta di libri e scritture contabili in modo tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
2. Ha proposto ricorso l’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia dell’imputato, svolgendo due motivi.
2.1. Con il primo motivo, proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione alla L. Fall., articolo 216, nonche’ mancanza e contraddittorieta’ della motivazione, in relazione alla posizione dell’amministratore c.d. “testa di legno” nelle fattispecie di bancarotta patrimoniale.
La Corte di appello aveva richiamato contraddittoriamente il precedente di cui alla sentenza 19049 del 19/2/2010, secondo la quale non era consentito, in tema di responsabilita’ distrattiva dell’amministratore apparente, rifarsi automaticamente alla regola per cui il mancato reperimento dei beni nella disponibilita’ dell’imprenditore fallito implica la consapevolezza dei disegni criminosi dell’amministratore di fatto.
La Corte territoriale, poi, richiamato il dato di fatto della palese soggezione del (OMISSIS) al dominus reale (OMISSIS) e la sua veste di mera “testa di legno”, aveva ritenuto l’imputato responsabile di bancarotta fraudolenta patrimoniale senza argomentare circa la necessaria consapevolezza dei disegni criminosi perseguiti dall’amministratore di fatto.
La responsabilita’ era stata cosi’ ritenuta senza alcuna prova, ne’ alcun ragionamento opportunamente articolato in ordine alla volonta’ e alla consapevolezza ascrivibili all’imputato in riferimento alle singole operazioni economiche ritenute distrattive.
In particolare non si era tenuto conto dei seguenti fatti: il (OMISSIS) era titolare di una mera procura speciale a riscuotere; la sua veste di membro del collegio sindacale era cessata in data 25/3/1999; una precedente sentenza del Tribunale di Potenza aveva escluso ogni responsabilita’ in capo ai membri del collegio sindacale.
2.2. Con il secondo motivo, proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione alla L. Fall., articolo 216, nonche’ mancanza e contraddittorieta’ della motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante contestata.
La Corte di appello, anziche’ parametrare la valutazione di gravita’ del danno patrimoniale al valore complessivo dei beni sottratti all’esecuzione concursuale, tenendo anche conto delle dimensioni dell’impresa e della natura delle sue operazioni, come avrebbe dovuto, si era limitata a una valutazione forfettaria in quanto non oggetto di alcuna doglianza quantitativa.
Anche l’aggravante dei plurimi fatti di bancarotta era stata ravvisata anche se le numerose e reiterate condotte erano riconducibili ad un unico reato in quanto realizzate in rapida successione cronologica ed erano pertinenti ad un unico patrimonio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione alla L. Fall., articolo 216, nonche’ mancanza e contraddittorieta’ della motivazione, in relazione alla posizione dell’amministratore c.d. “testa di legno” nelle fattispecie di bancarotta patrimoniale.
1.1. Il ricorrente, osserva che la Corte di appello aveva richiamato in modo non pertinente il precedente di cui alla sentenza 19049 del 19/2/2010, secondo la quale non era consentito, in tema di responsabilita’ distrattiva dell’amministratore apparente, rifarsi automaticamente alla regola per cui il mancato reperimento dei beni nella disponibilita’ dell’imprenditore fallito implica la consapevolezza dei disegni criminosi dell’amministratore di fatto.
1.2. Effettivamente il filone giurisprudenziale richiamato non si attaglia al caso di specie e l’equivoco puo’ essersi ingenerato per l’utilizzo con significati diversi della stessa espressione riassuntiva “testa di legno” come sinonimo di prestanome.
La giurisprudenza citata ricorre al concetto di “testa di legno” e prestanome per riferirsi all’amministratore di diritto di una societa’, formalmente investito della carica, ma in realta’ mero strumento di un dominus occulto, che opera come effettivo amministratore di fatto della societa’; si ritiene quindi che l’amministratore di diritto, meramente apparente, debba comunque rispondere delle mistificazioni e delle carenze nella tenuta dei libri e delle scritture contabili, in presenza di un suo obbligo diretto e personale scaturente dalla carica rivestita, ma non dei fatti distrattivi in difetto di prova di una specifica consapevolezza dei disegni criminosi perseguiti e realizzati dall’amministratore di fatto.
1.3. Nel caso in esame il concetto di “testa di legno” e la funzione di prestanome sono stati attribuiti al (OMISSIS), che non era affatto amministratore di diritto della societa’, in una diversa accezione, ossia per esprimere l’idea che egli era un mero strumento nelle mani di (OMISSIS), sia come imprenditore individuale, sia come amministratore della societa’, per perseguire i propri disegni criminosi: ossia che il (OMISSIS) aveva realizzato le condotte distrattive avvalendosi della collaborazione attiva del (OMISSIS), gregario docile e asservito ai progetti criminosi del (OMISSIS).
1.4. Tuttavia, a prescindere dalla citazione non pertinente, la Corte territoriale ha fondato la responsabilita’ del (OMISSIS) sul carattere pacifico della realizzazione da parte sua delle condotte oggetto di imputazione, sull’assenza di ogni contestazione difensiva al proposito nonche’ sulle sostanziali ammissioni dell’imputato compiute all’udienza del 27/1/2014.
1.5. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale, poi, richiamato il dato di fatto della palese soggezione del (OMISSIS) al dominus reale (OMISSIS) e la sua veste di mera “testa di legno”, aveva ritenuto l’imputato responsabile di bancarotta fraudolenta, patrimoniale senza argomentare circa la necessaria consapevolezza dei disegni criminosi perseguiti dall’amministratore di fatto.
La responsabilita’ sarebbe stata cosi’ ritenuta senza alcuna prova, ne’ alcun ragionamento opportunamente articolato in ordine alla volonta’ e alla consapevolezza ascrivibili all’imputato in riferimento alle singole operazioni economiche ritenute distrattive.
Ben diversamente, la Corte di appello, pur tenendo conto della soggezione in cui versava il (OMISSIS) rispetto al (OMISSIS), quale elemento rilevante ai fini del trattamento sanzionatorio, ha attribuito rilievo, anche sotto il profilo soggettivo, alla riconosciuta consapevolezza del carattere illecito delle condotte, timidamente esternata dall’imputato al suo dominus e da questi prontamente rintuzzata con l’ordine di eseguire le varie operazioni senza farsi problemi se voleva conservare la sua posizione.
Il Giudice di appello non ha quindi sostenuto che (OMISSIS) aveva gli elementi per rendersi conto del carattere illecito delle operazioni a cui si era prestato per agevolare i propositi del (OMISSIS), ma piuttosto che egli se ne era reso perfettamente conto, fino al punto da esternare le proprie perplessita’ e resistenze al (OMISSIS), salvo poi tacitare le proprie remore a fronte dell’imperioso e arrogante atteggiamento del titolare dell’azienda, che gli aveva ricordato la sua subalternita’ e i vantaggi che ne conseguivano.
1.6. Il ricorrente sostiene che in particolare non si era tenuto conto dei seguenti fatti: il (OMISSIS) era titolare di una mera procura speciale a riscuotere; la sua veste di membro del collegio sindacale era cessata in data 25/3/1999; una precedente sentenza del Tribunale di Potenza aveva escluso ogni responsabilita’ in capo ai membri del collegio sindacale.
A questo proposito la Corte di appello ha evidenziato che il coinvolgimento del (OMISSIS) non era fondato solo sulla carica rivestita nel collegio sindacale, rifiutando cosi’ la pertinenza del paragone con gli altri componenti del collegio; per altro verso le responsabilita’ del (OMISSIS) erano state collegate non solo all’utilizzo della procura, ma anche alle cariche ricoperte in (OMISSIS) e in (OMISSIS), societa’ fittiziamente costituite per stornare beni e risorse dall’impresa e dalla societa’ del (OMISSIS), agendo quale fantoccio di costui, ma ricavandone anche consistenti benefici, oltre allo stipendio quale dipendente della ditta (OMISSIS) (l’amministrazione e i relativi emolumenti nelle societa’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la disponibilita’ a titolo gratuito di un appartamento e un riconoscimento di debito da spendere in sede fallimentare di oltre 70 milioni di lite (cfr sentenza di primo grado, pag.6)).
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione alla L. Fall., articolo 216, nonche’ mancanza e contraddittorieta’ della motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante contestata.
2.1. Il ricorrente sostiene che la Corte di appello, anziche’ calibrare la valutazione di gravita’ del danno patrimoniale al valore complessivo dei beni sottratti all’esecuzione concursuale, tenendo anche conto delle dimensioni dell’impresa e della natura delle sue operazioni, come avrebbe dovuto, si era limitata a una valutazione forfettaria, facendo leva sull’assenza di una precisa doglianza quantitativa.
Il motivo di appello sul punto era del tutto generico a fronte delle imponenti valorizzazioni dei fatti distrattivi descritti nei capi di imputazione e la Corte si e’ conseguentemente limitata a sottolineare che l’impugnazione non incideva sull’aspetto quantitativo delle distrazioni.
La censura e’ quindi aspecifica e comunque manifestamente infondata.
2.2. Secondo il ricorrente, anche l’aggravante dei plurimi fatti di bancarotta era stata ravvisata anche se le numerose e reiterate condotte erano riconducibili ad un unico reato in quanto realizzate in rapida successione cronologica ed erano pertinenti ad un unico patrimonio.
La censura e’ manifestamente infondata.
Al (OMISSIS) erano state addebitale plurime e variegate condotte distrattive, in parte riferibili alla ditta (OMISSIS) e in parte alla (OMISSIS) s.p.a. e sussistevano quindi ampiamente gli estremi, pur nella riconoscibilita’ di un medesimo disegno criminoso, per l’applicazione dell’aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2, che costituisce un trattamento di maggior favore rispetto all’ordinaria disciplina della continuazione di cui all’articolo 81 c.p..
Occorre infatti ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralita’ di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dalla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’articolo 81 c.p., (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, P.M. in proc. Loy, Rv. 249665).
2.3. E’ solo il caso di aggiungere, per completezza, che entrambe le aggravanti sono state sterilizzate nella sentenza di secondo grado agli effetti sanzionatori dal riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti con la conseguente irrogazione di una pena pari al minimo edittale.
3. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile; ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, cosi’ equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte cost. 13/6/2000 n.186).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende

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