Il giudice tributario nell’ambito di un processo a cognizione piena

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|9 febbraio 2021| n. 3080.

Il giudice tributario, nell’ambito di un processo a cognizione piena diretto ad una decisione sostitutiva tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, quando ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’Amministrazione, non deve, né può, limitarsi ad annullare “in toto” l’atto impositivo, ma deve accertare e quantificare entro i limiti posti dal “petitum” delle parti l’entità della pretesa fiscale, dandone un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dai contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c. in tal modo determinando l’ammontare effettivo delle imposte e delle sanzioni dovute dal contribuente, senza che ciò violi il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del “quantum” della pretesa tributaria.

Sentenza|9 febbraio 2021| n. 3080

Data udienza 2 dicembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Irpef – Dovere del giudice – Accertamento e quantificazione della pretesa fiscale – Amministrazione finanziaria – Dovere di rideterminare l’imponibile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5629/2014 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta delega a margine del controricorso, dagli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 130/28/13 della Commissione Tributaria regionale della Lombardia depositata il 9 ottobre 2013;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 dicembre 2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte controricorrente, avv. (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) impugno’ due avvisi di accertamento, per gli anni 2005 e 2007 – con i quali era stato accertato, con metodo sintetico, maggior reddito imponibile ai fini Irpef – deducendo che l’Amministrazione gli aveva erroneamente attribuito la quota del 100 per cento dei beni assunti come indici di capacita’ contributiva (un’autovettura, una residenza principale e altri due immobili), di cui era titolare unitamente alla moglie in regime di comunione legale.
2. La Commissione tributaria provinciale rigetto’ il ricorso, rilevando che la documentazione prodotta dal contribuente non fosse idonea a confutare le risultanze della verifica.
All’esito dell’appello proposto dal contribuente, che eccepi’ la nullita’ della sentenza per violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, oltre che l’inesistenza della notificazione degli avvisi di accertamento ed il difetto di motivazione degli stessi atti impositivi, la Commissione regionale accolse l’impugnazione.
Osservo’ che l’Ufficio aveva proceduto alla rideterminazione in via sintetica del reddito sulla base di dati erronei, poiche’ aveva imputato al contribuente, in regime di comunione legale con il coniuge, (OMISSIS), la quota del 100 per cento della proprieta’ dei beni assunti come indice della capacita’ contributiva, anziche’ la quota del 50 per cento dei medesimi; tale modus operandi, secondo i giudici territoriali, non poteva trovare giustificazione nella circostanza che il coniuge non avesse dichiarato redditi per le annualita’ in contestazione, potendo tale fatto eventualmente legittimare una autonoma azione di accertamento a carico dello stesso coniuge, ma non l’attribuzione dell’intera quota di proprieta’ al (OMISSIS).
Annullo’, quindi, integralmente gli atti impositivi, demandando all’Amministrazione finanziaria il compito di provvedere al ricalcolo del reddito presunto tenendo conto della effettiva quota di proprieta’ di cui il contribuente era titolare.
3. Per la cassazione della suddetta decisione ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate, con due motivi, cui resiste (OMISSIS) con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, deducendo “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., in particolare del combinato disposto del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36 e articolo 156 c.p.c.”, l’Agenzia delle entrate sostiene che la decisione impugnata e’ censurabile poiche’ ha disposto l’annullamento degli atti impositivi, demandando all’Ufficio la rideterminazione del maggior reddito imputabile al contribuente in ragione della quota del 50 per cento dei beni di sua proprieta’.
Assume che la sentenza e’ affetta da un vizio insanabile, perche’ nella parte motiva considera parzialmente illegittimi gli atti impositivi, mentre nel dispositivo li dichiara integralmente illegittimi.
2. Con il secondo motivo – rubricato “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’articolo 112 c.p.c.” – deduce che, laddove non dovesse ritenersi sussistente la contraddizione tra il dispositivo e la motivazione, la sentenza e’ comunque censurabile anche per avere annullato gli avvisi di accertamento, nonostante ne avesse riconosciuto in parte la fondatezza, omettendo in tal modo di procedere alla rideterminazione della pretesa fiscale, in ossequio alla natura di impugnazione-merito del processo tributario.
3. Va, preliminarmente, disattesa l’eccezione di inammissibilita’ dei mezzi di ricorso, formulata dal controricorrente, risultando soddisfatti i requisiti posti dall’articolo 366 c.p.c..
Il ricorso contiene, infatti, una esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, adeguata e funzionale alla comprensione dei motivi di ricorso, e le critiche mosse alla sentenza impugnata risultano specifiche, e non generiche, oltre che autosufficienti, in quanto contengono tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimita’ in grado di avere piena cognizione dell’oggetto della controversia, senza necessita’ di accedere ad altre fonti ed atti del processo.
4. Il secondo motivo e’ fondato e va accolto, con assorbimento del primo.
4.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il processo tributario non ha natura esclusivamente impugnatoria e di legalita’ formale, ma di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio (Cass., sez. 5, 19/09/2014, n. 19750; Cass., sez. 5, 28/06/2016, n. 13294; Cass., sez. 6-5, 15/10/2018, n. 25629; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27560; Cass., sez. 5, 10/09/2020, n. 18777; Cass., sez. 5, 6/04/2020, n. 7695), sicche’ spetta al giudice il potere (dovere) di stabilire i limiti quantitativi di fondatezza della pretesa impositiva in modo da adottare una pronuncia sostitutiva sulla sussistenza ed entita’ dei presupposti della pretesa fiscale.
4.2. Qualora, pertanto, il giudice ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non puo’ limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, restando, peraltro, esclusa dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 35, comma 3, ultimo periodo, la pronuncia di una sentenza parziale solo sull’an o di una condanna generica (Cass., sez. 6-5, 15/10/2018, n. 25629; Cass., sez. 5, 24/01/2018, n. 1728, in motivazione).
4.3. E’ ben vero che questa attivita’ di valutazione nel merito trova fondamento e limite – da un lato – nell’atto impositivo impugnato, atteso che il giudice tributario non puo’ prendere in esame elementi diversi da quelli dedotti dall’Amministrazione finanziaria, a sostegno della pretesa fiscale, in tale atto, e – dall’altro – nella regola generale dell’onere della prova e nei caratteri di indipendenza e terzieta’ che deve connotare la giurisdizione tributaria.
Tuttavia, va considerato che “il processo tributario e’ a cognizione piena e tende all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, con la conseguenza che solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o totale carenza di motivazione – il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dal Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 7, di acquisire aliunde i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso” (Cass., sez. 5, 13/07/2012, n. 11935).
Pertanto, come chiarito da Cass., sez. 5, 21/07/2010, n. 17072, quando il giudice ravvisa “l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve, ne’ puo’ limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal petitum delle parti”, in modo da dare “alla pretesa dell’amministrazione un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parti contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli articoli 115 e 116 c.p.c., (…) in tal modo determinando il reddito effettivo del contribuente, e senza che cio’ costituisca attivita’ amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria” (Cass., sez. 5, 28/01/2008, n. 1852), e senza che cio’ costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo consentita al giudice tributario, in un giudizio che non e’ solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo.
4.4. Nella specie, la Commissione regionale, pur riconoscendo la necessita’ di ricalcolare il reddito presunto tenendo conto dei beni effettivamente in possesso del contribuente nella minore quota del 50 per cento, ha totalmente annullato gli atti impositivi, rimettendo all’Amministrazione finanziaria l’attivita’ di rideterminazione dell’ammontare del reddito imponibile.
In tal modo i giudici di appello sono venuti meno all’obbligo di accertare e quantificare l’ammontare e l’entita’ della pretesa fiscale, che e’ oggetto dei poteri del giudice tributario oltre che suo preciso dovere istituzionale (Cass., sez. 6-5, 21/11/2013, n. 26157), al fine di addivenire alla esatta determinazione dell’ammontare effettivo delle imposte e delle sanzioni dovute dal contribuente.
5. Alla stregua di quanto detto, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente Commissione regionale che provvedera’ a rivalutare la vicenda processuale, attenendosi ai principi sopra richiamati, ed a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara assorbito il primo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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