Il giudice di merito nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13602.

La massima estrapolata:

Il giudice di merito nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione.

Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13602

Data udienza 26 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 20376-2017 proposto da:
(OMISSIS) SCARL, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SCARL, in persona del legale rappresentante p.t. (OMISSIS), (OMISSIS) ARL in persona del legale rappresentante p.t. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4264/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

FATTI DI CAUSA

In parziale riforma della decisione n. 1063/2007 del Tribunale di Velletri che aveva rigettato le domande proposte nei confronti di (OMISSIS) soc. coop. a r.l. da (OMISSIS) a r.l. e da (OMISSIS) soc. coop. PI, volte ad ottenere la condanna della convenuta al pagamento dei corrispettivi per i servizi di trasporto merci effettuati, nella maggiore misura del 3,5% rispetto a quella “provvisoriamente” applicata pari all’1,8% sul valore della merce, nonche’ al risarcimento dei danni patrimoniali causato dall’ingiustificato recesso la Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 4.7.2016 n. 4264, rigettava la eccezione di prescrizione dedotta con il motivo di appello incidentale e, rilevato che – anche alla stregua delle stesse ammissioni contenute nella comparsa di risposta in primo grado della parte convenuta – non risultava che i contraenti avessero concordato la misura percentuale da applicare nella determinazione dei corrispettivi, e che la domanda formulata in primo grado era da intendere – diversamente dalla interpretazione data dal primo Giudice, che aveva qualificato la pretesa come azione di condanna fondata sulla prova del raggiunto accordo sulla entita’ del corrispettivo – come mera richiesta di integrazione giudiziale della misura della prestazione dovuta ovvero di valutazione della “congruita’” della percentuale in concreto applicata, accoglieva l’appello delle societa’ di trasporto dichiarando che tra le parti doveva essere valutata, in separato giudizio, “la legittimita’ della tariffa applicata ai fini del corrispettivo ex articolo 1678 c.c…..alla stregua ex articolo 1374 c.c. della osservanza o meno di un criterio di congruita’ – stante la omissione di pattuizione circa la entita’ della percentuale da applicare”. Rigettava, inoltre, la domanda di condanna al risarcimento dei danni, ritenendo legittimo l’esercizio del diritto potestativo di recesso.
La sentenza di appello, non notificata, e’ stata ritualmente impugnata per cassazione da (OMISSIS) soc. coop a r.l. con quattro motivi, illustrati da memoria ex articolo 380 bis.1 c.p.c..
Resistono, con un unico controricorso, entrambe le societa’ di trasporto intimate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

E’ logicamente prioritario l’esame del terzo motivo con il quale (OMISSIS) soc. coop. a r.l. deduce il vizio di violazione e falsa applicazione del Decreto Legge n. 82 del 1993, articolo 2 e dell’articolo 2951 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La societa’ censura la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato la eccezione preliminare di prescrizione dei diritti derivanti dai contratti di trasporto, avendo la Corte territoriale erroneamente fatta applicazione della norma speciale (Decreto Legge 29 marzo 1993, n. 82, articolo 2 conv. in L. 27 maggio 1993, n. 162) che disciplina il contratto di trasporto di merci per conto terzi per il quale sia previsto il “sistema di tariffe a forcella” e che determina in cinque anni il termine prescrizionale in deroga a quello annuale previsto in vece per gli altri contratti di trasporto dall’articolo 2951 c.c., sebbene, da un lato, le parti non avessero in alcun modo convenuto l’applicazione di tale sistema tariffario, e dall’altro avendo la stessa Corte di merito escluso che le parti avessero determinato il criterio di calcolo del corrispettivo.
Il motivo e’ infondato.
Sia il primo che il secondo Giudice hanno ritenuto applicabile ai contratti di trasporto merci per conto terzi, conclusi verbalmente, tra le parti, il sistema tariffario speciale previsto dalla L. 6 giugno 1974, n. 298 e, conseguentemente, hanno applicato il regime prescrizionale derogativo dell’articolo 2951 c.c. previsto dal Decreto Legge n. 82 del 1993, articolo 2 conv. in L. n. 162 del 1993 per i contratti stipulati – come quelli oggetto di controversia, rispettivamente nel 1997 e nel 2000 – dopo l’entrata in vigore del decreto legge.
La societa’ ricorrente afferma che e’ errato l’inquadramento dei contratti nella disciplina della L. n. 298 del 1974 in quanto: a) “i beni trasportati appartenevano a categorie e classi merceologiche differenti, i percorsi erano quotidianamente diversi, ed i destinatari multipli”; b) “tali circostanze erano pacifiche poiche’ ammesse dalla stessa controparte in primo grado di giudizio” (memoria ex articolo 183 c.p.c.).
Gli elementi indicati non sono dirimenti ad inficiare la statuizione impugnata, atteso che:
Il sistema obbligatorio di tariffe “a forcella”, vigente al tempo, trovava applicazione generale “agli autotrasporti di merci effettuati per conto di terzi”, essendo tenute le parti contraenti alla osservanza delle disposizioni adottate in merito dalle autorita’ competenti “ai fini della determinazione dei prezzi e delle condizioni di trasporto, fatte salve le eccezioni e le deroghe previste” (L. n. 298 del 1974, articolo 50, comma 3).
Le esenzioni dal sistema di determinazione del corrispettivo a forcella erano individuate in modo dettagliato e tassativo nelle ipotesi descritte dalla medesima L. n. 298 del 1974, articolo 59, con riferimento alle quali appaiono del tutto privi di rilevanza gli elementi circostanziali indicati dalla ricorrente, stante la norma imperativa dell’articolo 51, comma 3, secondo periodo cit. legge che prescriveva: “E’ vietata la stipulazione di contratti che comportino prezzi di trasporto determinati al di fuori dei limiti massimi e minimi delle forcelle”.
Risulta quindi del tutto ininfluente una asserita ed indimostrata volonta’ delle parti di derogare al sistema tariffario vincolante, in quanto l’ambito di operativita’ della autonomia privata, nella determinazione del corrispettivo del servizio, rimaneva circoscritto soltanto alla determinazione dell’importo “tra il limite massimo e il limite minimo della tariffa a forcella corrispondente”, assunto come prezzo-base il costo al centro della forcella, e differenziando lo scostamento in base a specifiche condizioni previste dalla legge “le condizioni delle prestazioni di trasporto, in particolare in base alle caratteristiche tecniche ed economiche della spedizione; le relazioni di traffico; i termini di resa; le differenti condizioni di tonnellaggio; le categorie di merci” o ancora “in funzione del tonnellaggio complessivo di merce trasportato da una stessa impresa per conto di uno stesso mittente in un determinato periodo di tempo”.
Non avendo fornito la ricorrente alcun elemento idoneo a ritenere che i contratti di trasporto stipulati ricadessero nelle esenzioni dalla applicazione della L. n. 298 del 1974, il motivo si palesa del tutto infondato, andando esente da censura la statuizione della sentenza impugnata che rigetta il motivo di appello incidentale, confermando la decisione di prime cure che aveva ritenuto applicabile ai contratti la disciplina normativa del sistema obbligatorio della tariffa a forcella, per i quali il Decreto Legge n. 82 del 1993, articolo 2, comma 1 conv. in L. n. 162 del 1993 stabilisce il termine quinquennale di prescrizione, non ricorrendo nella specie (non essendo stata neppure allegata nella esposizione del motivo di ricorso e comunque risultando del tutto indimostrata) la ipotesi contemplata dall’articolo 2, comma 2 medesimo Decreto Legge della strumentalita’ della prestazione di trasporto rispetto all’adempimento di altre obbligazioni derivanti dal medesimo contratto alla cui disciplina del tipo occorre fare riferimento per individuare il termine prescrizionale.
Deve quindi procedersi all’esame del primo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 39, 113 e 115 c.p.c., degli articoli 2697 e 2909 c.c. e degli articoli 24 e 111 Cost., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Sostiene la societa’ ricorrente che la Corte d’appello ha abdicato all’esercizio della funzione giurisdizionale, emettendo una pronuncia dichiarativa della necessita’ di svolgere un nuovo giudizio per accertare la congruita’ della misura percentuale del corrispettivo, pari ad 1,8% calcolato sul valore della merce trasportata.
Afferma la ricorrente che la Corte territoriale ha errato nella rilevazione del contenuto della domanda introduttiva formulata dalle societa’ di trasporto, correttamente qualificata come domanda di condanna dal Tribunale, ed invece ritenuta una domanda di mero accertamento dal Giudice di secondo grado, avendo espressamente concluso le societa’ attrici per la condanna al pagamento di una somma determinata a titolo di corrispettivi. Con la conseguenza che, non essendo stati allegati e provati in giudizio gli elementi indispensabili alla determinazione del corrispettivo in misura maggiore, il Giudice di appello non avrebbe dovuto rinviare ad altro giudizio tale accertamento, ma avrebbe dovuto rigettare la domanda non avendo assolto all’onere probatorio le parti attrici.
Il motivo e’ fondato.
Indipendentemente dal coacervo di norme violate indicato in rubrica la censura coglie nel segno in relazione alla violazione degli articoli 113 e 115 c.p.c. e dell’articolo 24 Cost.
Occorre premettere che la Corte d’appello, sulla premessa della assenza di una predeterminazione della misura percentuale da applicare nel calcolo del corrispettivo, desunta da “non univoche” controdeduzioni svolte nella comparsa di risposta in primo grado da (OMISSIS) soc. coop. a r.l., ha poi ritenuto di poter delibare “soltanto” la “domanda della (OMISSIS) intesa come diretta a riconoscerle il diritto alla applicazione di un corrispettivo ex articolo 1678 c.c. congruo”, in tal modo venendo ad interpretare la domanda sulla base di elementi estrinseci alla volonta’ della parte che aveva proposto la domanda, venendo illegittimamente a ricorrere all’esame della condotta processuale della parte convenuta, certamente idonea a definire l’ambito del “thema controversum” (adesione o riconoscimento parziale della pretesa o di alcuna delle pretese) e del “thema probandum” (non contestazione di fatti allegati dalla controparte), ma non anche a costituire criterio interpretativo della volonta’ espressa dalla parte attrice nell’atto introduttivo del giudizio.
Come enunciato da questa Corte, infatti, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda il giudice di merito, non condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, ha il potere – dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonche’ dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella esercitata: e tale ampio potere, attribuito al giudice per valutare la reale volonta’ della parte quale desumibile dal complessivo comportamento processuale della stessa, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, e’ sindacabile in sede di legittimita’ soltanto se il suo esercizio ha travalicato i predetti limiti, ovvero e’ insufficientemente o illogicamente motivato (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 8225 del 29/04/2004; id. Sez. L, Sentenza n. 27428 del 13/12/2005).
La censura concernente la interpretazione della volonta’ processuale espressa nell’atto introduttivo del giudizio – cosi’ come di altri atti processuali di parte – deve, pertanto, evidenziare un vizio consistente nella alterazione del senso letterale o del contenuto sostanziale dell’atto, in relazione alle finalita’ che la parte intende perseguire (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 2148 del 05/02/2004), venendo quindi in applicazione esclusivamente il criterio ermeneutico volto ad indagare il significato che emerge dal testo dell’atto, secondo il significato fatto palese dalle parole secondo la loro connessione logica, ed evincibile dalla complessiva lettura del contenuto dell’atto, avuto riguardo anche alla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorita’ giudiziaria (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 10840 del 10/07/2003; id. Sez. U, Sentenza n. 3041 del 13/02/2007), restando esclusi – evidentemente – i criteri ermeneutici – soggettivi ed oggettivi – previsti per gli atti negoziali, che implicano la ricerca della comune intenzione delle parti (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 4754 del 09/03/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 24847 del 24/11/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 25853 del 09/12/2014).
Avuto riguardo ai principi di diritto richiamati, la Corte d’appello, “desumendo” dalla comparsa di risposta in primo grado di (OMISSIS) che la parte convenuta non avesse contestato il fatto della mancata conclusione di un accordo tra le parti contraenti in ordine – non al criterio di determinazione del corrispettivo, concordato in misura percentuale congrua sul valore delle cose trasportate ma – alla esatta entita’ della percentuale da applicare, non avrebbe pertanto dovuto operare “ex officio” in base a tale solo elemento extraneus una “riduzione” della domanda attorea che, per come riprodotta nel ricorso (alle pag. 3, 7-8) e reiterata anche nelle conclusioni rassegnate in grado di appello (e trascritte nella sentenza appello, pag. 2) non lascia adito a dubbio alcuno sulla richiesta formulata dalle parti attrici, non solo di accertamento del diritto ad un maggiore corrispettivo in applicazione della diversa misura del 3,5% sul valore della merce, ma anche di condanna al pagamento della somma come rideterminata specificamente in base al calcolo indicato.
Il percorso argomentativo seguito dal Giudice di appello risulta ancor piu’ fallace, nella parte in cui viene a qualificare la domanda, in base agli elementi istruttori offerti dalle parti, non solo determinando una inversione logica della fasi processuali, venendo a definire ex post – secundum eventum litis – l’attivita’ definitoria della pretesa che deve invece precedere il giudizio di rilevanza ed ammissibilita’ delle prove, ma risolvendo poi la controversia in palese violazione del principio dell’onere probatorio.
A fronte di una domanda che chiede accertarsi che la misura del 3,5% da applicare sul valore della merce e’ da ritenere quella congrua, e che la parte convenuta deve essere condannata a pagare il corrispettivo cosi’ rideterminato, e dopo aver svolto in sentenza l’argomento per cui e’ demandato al Giudice di procedere alla integrazione giudiziale, ai sensi dell’articolo 1374 c.c., dell’elemento contrattuale indeterminato relativo alla misura percentuale da ritenere congrua, la successiva affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui “non puo’, quindi, in questa sede accertarsi il quantum, che e’ devoluto ad autonoma sede, non essendo acquisiti in atti -cio’ che doveva farsi durante il corso del giudizio di primo grado- gli elementi obiettivi necessari per il giudizio di congruita’”, si risolve in una abdicazione dall’esercizio della giurisdizione in palese violazione del principio di effettivita’ della tutela giurisdizionale ex articolo 24 Cost., nonche’ del principio del “giusto processo” previsto dall’articolo 111 Cost., comma 1, venendo a negarsi lo scopo ultimo cui il processo stesso e’ preordinato, che e’ quello di fornire alle parti la regola di diritto adeguata alla risoluzione del conflitto di interessi, ed altresi’ viene a violare il principio di ragionevole durata del processo (articolo 111 Cost., comma 2), laddove, nella ritenuta incontestata assenza di una clausola contrattuale determinativa del corrispettivo e di fronte al quesito oggetto della controversia – concernente l’accertamento in concreto della “congruita’” della misura del 3,5% da applicare per determinare il maggiore importo del corrispettivo preteso dall’attore -, si viene a statuire, tautologicamente ed astrattamente, che le societa’ appellate – attrici in primo grado – hanno diritto ad accertare la entita’ della percentuale da applicare (anzi “che tra le parti contraenti va valutata la legittimita’ della tariffa applicata ai fini del corrispettivo”) ma che le stesse societa’ sono, tuttavia, tenute ad introdurre un nuovo giudizio, in quanto dalle stesse non era stata offerta alcuna prova “degli elementi di costo”, della “quota di incidenza delle spese generali di organizzazione”, “dei mezzi necessari per la esecuzione del trasporto”, e cioe’ “degli elementi obiettivi necessari per il giudizio di congruita’”.
Risulta evidente come una siffatta pronuncia si risolve semplicemente nella reiterazione della stessa questione controversa prospettata dalle parti, ed e’ dunque priva di qualsiasi efficacia accertativa del diritto vantato dall’attore – suscettiva di passaggio in giudicato – trattandosi di pronuncia meramente ricognitiva della necessita’ di svolgimento di una compiuta istruttoria. Il Giudice di appello, pertanto, ha disatteso l’obbligo allo stesso imposto dall’articolo 112 c.p.c.di pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa, alla stregua delle prove prodotte dalle parti, non tenendo in considerazione che in assenza di prova dei fatti costitutivi della pretesa la domanda deve essere rigettata.
L’errore si manifesta tanto piu’ grave nella illogica argomentazione che la Corte d’appello fornisce a tale scelta di sostanziale “non liquet”, affermando che “tale lacuna istruttoria in primo grado e’ la conseguenza della diversa interpretazione della domanda effettuata dal Tribunale, siccome basata su un mai dedotto accordo circa un’entita’ della percentuale maggiore rispetto a quella applicata”. Orbene e’ appena il caso di osservare come eventuali lacune od errori in cui fosse incorso il primo giudice, non esonerano il Giudice di appello dallo svolgimento della attivita’ necessaria ad emendarli, salvo che vengano riscontrati vizi di nullita’ processuale radicali che impongono la regressione della causa al precedente grado ex articoli 353 e 354 c.p.c.. Ne segue che:
a) Se le parti avevano formulato istanze istruttorie intese alla “acquisizione degli elementi obiettivi” predetti, non ammesse in primo grado ma ritualmente reiterate dalle parti con gli atti di costituzione in grado di appello, la Corte territoriale bene avrebbe dovuto disporne la ammissione e procedere alla assunzione delle prove;
b) Ove fosse stata necessaria, in base alle prove documentali gia’ acquisite, una indagine tecnica svolta da un esperto in materia di costi di esercizio dei trasporti e dei criteri tariffari applicati nel settore, la Corte territoriale bene avrebbe potuto e dovuto disporre di ufficio apposita consulenza tecnica.
Qualora invece le prove gia’ acquisite – od anche i mezzi di prova la cui richiesta fosse stata reiterata – non fossero state ritenute nemmeno sufficienti a consentire una indagine tecnica, da demandare all’ausiliario, allora la Corte d’appello avrebbe dovuto rigettare semplicemente la domanda attorea in applicazione della regola generale di cui all’articolo 2697 c.c. per cui l’onere della prova dei fatti costitutivi grava su colui che intende far valere un proprio diritto in giudizio.
Fondata e’ quindi la cesura prospettata con il primo motivo in esame, rimanendo assorbito nella pronuncia di cassazione della sentenza impugnata l’esame del secondo motivo di ricorso con il quale era stato dedotto il vizio di nullita’ radicale della sentenza di appello per incomprensibilita’ dell’iter logico giuridico posto a fondamento della decisione.
Anche il quarto motivo di ricorso con il quale si censura la sentenza impugnata per vizio di omessa considerazione di un fatto decisivo per il giudizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve ritenersi fondato.
La ricorrente deduce che fin dal primo grado di giudizio aveva prodotto, con la memoria autorizzata di cui all’articolo 184 c.p.c., la prova documentale del raggiungimento di un accordo tra le parti contraenti sulla esatta determinazione della misura percentuale da applicarsi per calcolare i corrispettivi (lettera trasmessa da (OMISSIS) soc. coop. a r.l. datata 15.2.2000 all. mem. ex articolo 184 c.p.c. – cfr. ricorso pag. 14 e 15 -), emergendo da tale missiva la richiesta di (OMISSIS) di aumentare la percentuale dall’1,6% all’1,8% come effettivamente poi applicata da (OMISSIS) soc. coop. a r.l..
La Corte territoriale con accertamento in fatto, non ripetibile in sede di legittimita’, ha stabilito che i contratti erano stati conclusi verbalmente e che dalle risultanze processuali emergeva soltanto che le parti avevano convenuto il criterio generale di determinazione dei corrispettivi (applicazione di una percentuale sul valore della merce), ma non anche la misura esatta della percentuale.
Orbene, se – come ripetutamente affermato da questa Corte – ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata, il Giudice non e’ tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo, invece, sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'”iter” logico seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 14972 del 28/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 9245 del 18/04/2007), nella specie non emerge in alcun modo che la prova documentale in questione, ritualmente prodotta in giudizio da (OMISSIS) abbia costituito, pur soltanto implicitamente, oggetto di esame da parte del Giudice di merito, venendo quindi in rilevo il vizio di errore di fatto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omessa considerazione di un fatto decisivo, atteso che, se pure con riferimento ad uno dei due distinti contratti di trasporto (la lettera proviene da una soltanto delle due societa’ di trasporto), il fatto rappresentato dal documento -concernente la richiesta formulata da (OMISSIS) soc. coop. a r.l. di aumento della misura percentuale dall’1,6% all’1,8% in corso di esecuzione del contratto – appare determinante secondo che venga a dover essere valutato sul piano probatorio – in conformita’ all’assunto difensivo secondo cui era stata originariamente fissata “inter partes” solo una misura percentuale provvisoria – come una mera integrazione della misura provvisoria o invece come accordo intercorso tra le parti sulla percentuale da applicare in via definitiva sul valore delle merci.
In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza – che ha omesso di decidere la questione controversa: determinare la misura del corrispettivo congrua e, se superiore all’importo gia’ versato, condannare la societa’ convenuta al pagamento del maggiore corrispettivo – deve essere cassata, con rinvio della causa, per nuovo esame, alla Corte d’appello di Roma – in diversa composizione – che provvedera’ a liquidare anche le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

accoglie il primo ed il quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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